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Autore: BlueMagic_96    13/10/2022    3 recensioni
[SPOILER!!] [KrBk/ BkDk solo accennate]
ISPIRATA DAL CAPITOLO 362 DEL MANGA. SE NON VOLETE INCAPPARE IN POSSIBILI SPOILER EVITATE DI LEGGERE ANCHE QUESTA INTRODUZIONE. SIETE AVVISATI.
E’ passato quasi un anno da quando AFO è stato sconfitto, ma Kirishima non riesce a trovare pace. La battaglia è stata vinta, sì, ma a quale prezzo? Bakugou non c’è più e l’unico modo che ha per sentirlo vicino è visitare regolarmente la sua tomba. Ormai questa è la sua vita. Quando la sua strada si incrocia con quella di Izuku, però, Kirishima capisce di non poter più scappare: è giunta l’ora di affrontare i propri demoni e di confrontarsi con l’unica persona che, forse, può davvero capirlo.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Izuku Midoriya, Katsuki Bakugou, Kirishima Eijirou
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Se siete qui presumo sia perché siete in pari col manga (e in quel caso vi invio un abbraccio virtuale di solidarietà) o perché non ve ne frega nulla di eventuali spoiler. In ogni caso benvenuti o bentornati!

Quando ho letto il capitolo 362 ho letteralmente perso la testa (come penso molti di voi) e ho subito capito che dovevo scriverci qualcosa: inizialmente doveva essere una BakuDeku ma poi ho pensato a Kirishima e... beh, era da tempo che volevo scrivere una KiriBaku e quale modo migliore di iniziare se non con LA MORTE?!


Non mi resta molto altro da dire se non: buona lettura! 


 

 
Kirishima odiava la pioggia. La odiava da allora.

Ogni mattina guardava fuori dalla finestra nella speranza di intravedere un raggio di sole o uno stralcio di azzurro, qualcosa che lo aiutasse a dimenticare il grigiore delle nubi e il ticchettio assordante delle gocce sull’asfalto: i suoi peggiori incubi avevano preso le sembianze di un cielo plumbeo carico di pioggia, ormai.  

Quella mattina non faceva differenza.

Spense la sveglia e calciò via le lenzuola, dopodiché si alzò dal letto e barcollò fino all’altro lato della stanza per sollevare le tapparelle e spalancare i battenti della finestra: era una soleggiata domenica di aprile e la strada che dava sul suo cortile era ancora incredibilmente silenziosa, probabilmente perché non erano ancora le sei e la gente preferiva riposarsi, la domenica.

Prese un respiro profondo e si riempì i polmoni della fresca aria mattutina: la testa gli pulsava e si sentiva terribilmente pesante, come di consuetudine; era da mesi che non riusciva a dormire come si deve, e quella notte in particolare nemmeno le medicine erano riuscite a sedare i suoi pensieri.

Andò in bagno e si diede una rapida sistemata, ignorando gli aloni scuri che gli cerchiavano gli occhi e cercando di nascondere le due dita di ricrescita corvina sotto una delle sue fidate bandane.

Scese le scale in punta di piedi, tentando di non fare troppo rumore, ma quando si fermò sul pianerottolo dell’ingresso per mettersi le scarpe una voce fin troppo familiare lo fece sobbalzare: “Vai di già?” sua madre lo stava guardando a braccia conserte dalla cima delle scale, lo sguardo stanco e preoccupato di chi vorrebbe rendersi utile ma non ha la più pallida idea di come fare.

Eijirou si sistemò la giacca sulle spalle ed evitò di incrociare il suo sguardo: “Sì... non dovrebbe esserci troppa gente a quest’ora” disse, sperando di chiuderla lì.

Purtroppo per lui sua madre non sembrava avere intenzione di mollare l’osso: “Tutto ok?” chiese la donna scendendo le scale, la vestaglia viola distrattamente legata in vita, “Sei pallido, vuoi che ti accompagni?” si propose, allungando una mano per carezzare il viso agitato del figlio.

D’istinto, Kirishima si allontanò: “No, te l’ho già detto!” rispose con aria scocciata, pentendosene subito dopo, “Scusami... sto bene, davvero, ho solo dormito poco” continuò con un sospiro dispiaciuto, prendendo la mano di sua madre e stringendola in una muta richiesta di comprensione; le voleva un bene dell’anima, davvero, ma era stanco di essere compatito e aveva bisogno di affrontare da solo i suoi demoni.

Le diede un bacio sulla guancia e cercò di rassicurarla: “Torna a letto, mmh? E’ domenica” la pregò, e la donna si vide costretta ad assecondarlo, ma non prima di averlo stritolato in un caloroso abbraccio.  

Un minuto dopo, Eijirou era fuori casa.

Quando arrivò al cimitero, i cancelli erano già aperti: non era l’unico visitatore, ovviamente, ma le poche anime che passeggiavano tra le lapidi grigie e silenziose a quell’ora del mattino erano perlopiù anziani, vedove e vedovi venuti a trovare i loro defunti consorti in quella tiepida domenica di aprile.

Kirishima odiava andare al cimitero quando era troppo affollato – ecco perché era solito venirci di sera, quando la maggior parte delle persone era a casa a preparare da mangiare o a rimboccare le coperte ai bambini – ma quel giorno aveva promesso a Mina e Kaminari che avrebbero cenato insieme e si era dovuto arrangiare di conseguenza; sarebbe stata una serata difficile anche per loro, dopotutto.

Continuò a camminare per gli stretti sentieri ghiaiosi fiancheggiati d’erba, gettando rapidi sguardi alle tombe di marmo intorno a sé e chiedendosi quali gesta e quali ricordi fossero sepolti al loro interno: alcune lapidi erano sommerse di fiori, altre erano così spoglie e trasandate da far stringere il cuore.

Non permetterò che ti riduca così, lo giuro, pensò.

Salì gli ultimi gradini che lo separavano dalla sua meta ma, arrivato in cima alla piccola collinetta, rimase pietrificato: qualcuno era arrivato prima di lui, qualcuno con un’inconfondibile massa di riccioli verdi.

Di tutte le persone, lui era l’ultimo che voleva incontrare.

Izuku era solo e gli dava le spalle, lo sguardo basso e le mani giunte davanti a sé mentre fissava la lapide ai suoi piedi: avevano condiviso un sacco di cose, troppe per due ragazzi di soli vent’anni, e Kirishima gli voleva davvero bene ma proprio per questo non aveva ancora avuto le forze di affrontarlo.

Nonostante Midoriya fosse sempre stato un amico prezioso, nonostante il supporto che si erano dimostrati  in quei mesi difficili e nonostante il rispetto e l’ammirazione che li avevano sempre legati, Eijirou continuava a provare quello strano senso di nausea ogni volta che lo guardava.

Risentimento. Ma risentimento per cosa, esattamente?
Kirishima lo sapeva benissimo ma non aveva alcuna intenzione di affrontare il problema.

Già, meglio seppellirlo sotto metri di terra, vero? Non è forse quello che hai sempre fatto?

Il rosso dovette appoggiarsi al muretto di pietra al suo fianco quando il volto insanguinato di Katsuki gli si parò davanti, lo sguardo vacuo rivolto al cielo grigio, la pioggia che gli scivolava sulle guance sporche di cenere e il corpo inerme che giaceva in una pozza rossa di sangue e lacrime.

Lacrime di chi, ormai era difficile dirlo.

Scosse la testa, cercando di tornare al presente e di allontanare i pensieri negativi: angoscia e tristezza non erano le emozioni che voleva portare con sé durante le sue visite; Bakugou non avrebbe apprezzato e come minimo gli avrebbe urlato addosso qualche insulto, se se ne fosse accorto.

Lanciò una rapida occhiata in direzione di Izuku, chiedendosi a cosa stesse pensando in quel momento e quali sentimenti lo avessero spinto fin lì: più lo guardava e più si sentiva di troppo, a disagio, come se stesse sbirciando in qualcosa di intimo, qualcosa che non era destinato ai suoi occhi.

Fece per voltarsi e scendere la gradinata, lasciando il ragazzo da solo con il suo dolore e con i suoi pensieri, quando una voce nella sua testa lo fermò: era la voce cruda e sincera di Katsuki.

Tsk, codardo. E questo lo chiami ‘essere virile’? Ma per favore!

Kirishima deglutì vistosamente e si sentì arrossire, colto in flagrante: stava scappando di nuovo, come aveva sempre fatto da quando aveva memoria, nascondendosi dietro una maschera di umiltà e indifferenza che non gli aveva mai portato nulla di buono nella vita, solo dolori e rimpianti.

Solo occasioni perse per sempre.

La vera ragione per cui aveva evitato Izuku dal giorno del funerale era perché si vergognava di se stesso: si vergognava della rabbia, dell’invidia e del fastidioso senso di inferiorità che lo pervadevano ogni volta che si trovava in sua presenza; del dolore che lo affliggeva se immaginava il passato che Deku e Katsuki avevano condiviso insieme – passato che non lo vedeva in alcun modo partecipe – e del rimpianto angosciante che lo assaliva quando pensava al futuro di cui erano stati tutti quanti derubati.

Si vergognava perché sapeva che Izuku non meritava nulla di tutto quello: il ragazzo dai capelli verdi stava soffrendo proprio come lui, stava cercando di rimettere insieme i pezzi come tutti quanti, e probabilmente anche lui si stava crogiolando nel rimpianto, sommerso da una serie di infinita di ‘forse’ e ‘se solo’.

Se solo fossi arrivato prima, forse sarebbe ancora vivo.

Se solo fossi stato sincero, forse a quest’ora saremmo stati felici.


Non sapeva con che coraggio lo avrebbe guardato negli occhi, o con che parole gli si sarebbe rivolto dopo tanto tempo, ma sapeva che era giunto il momento di crescere e di voltare pagina.

E’ ora di tornare a vivere, Eijirou... tu che puoi. Non deludermi.

Il rosso prese un profondo respiro e avanzò silenzioso sull’erba umida di rugiada, ma Izuku si voltò verso di lui prima che potesse annunciarsi, gli occhi grandi cerchiati di scuro e un sorriso amichevole ad incurvargli le labbra mangiucchiate: “Ehi” lo accolse timidamente, e parte di Eijirou trovò conforto nel notare che anche i suoi sorrisi, per quanto onesti e sinceri, avevano perso un po’ della loro brillantezza.

Non sono il solo, quindi. Quel pensiero lo intristì e lo fece sentire ancora più in colpa.

Il rosso ricambiò il sorriso e si fermò a qualche passo da lui: “Ehi!” esclamò, e solo allora si rese conto di non avere la più pallida idea di come continuare la conversazione.

Bella giornata, eh?! Pessimo approccio.
Non ti ho mai visto qui, vieni spesso? Più che un modo di rompere il ghiaccio sembrava un terribile tentativo di rimorchio.
Come stai? Domanda stupida, ma in circostanze del genere forse non c’era spazio per domande intelligenti.

“Come stai?” si ritrovò a chiedere, rigirandosi nervosamente un anello intorno al dito.

Izuku alzò le spalle e ridacchiò: “Diciamo solo che ho dormito poco... e a giudicare dalla tua faccia direi che non sono il solo!” disse, inclinando leggermente la testa di lato come per osservarlo meglio.

Kirishima non poté fare a meno di sorridere e tirare un sospiro di sollievo, ringraziando mentalmente Midoriya per la sua capacità di rendere tutto più semplice e naturale: “Già, nottataccia” convenne.

Il ragazzo dai riccioli scuri rise e raccolse il suo zaino da terra: “Bene, è ora che vada...”

“A dire la verità, erm... mi chiedevo se ti andava di tenermi compagnia” lo bloccò Eijirou di getto, prima che potesse dargli nuovamente le spalle. “Se ti fa piacere, ovviamente!” si affrettò ad aggiungere.

Izuku rimase immobile per qualche secondo prima di rilassare le spalle e lasciarsi andare ad un sorriso di gratitudine: “M-Ma certo! Mi farebbe molto piacere!” rispose, invitandolo a raggiungerlo.

I due si inginocchiarono di fronte alla grossa lapide di marmo scuro su cui era inciso in caratteri dorati il nome di Bakugou, chinando rispettosamente il capo: Kirishima tenne gli occhi fissi sul nome dell’amico, lo ripeté più e più volte nella testa come per rievocarne il suono ed evitò attentamente di incrociare i numeri sottostanti; era già abbastanza difficile essere lì, non aveva bisogno di un promemoria che gli ricordasse quanti anni aveva Katsuki quando aveva esalato il suo ultimo respiro.

Diciannove.

Diciannove fottutissimi anni. Faceva male anche solo a pensarlo, leggerlo sarebbe stato impensabile.

“E’ bello averti qui” disse inaspettatamente il riccio, rompendo il silenzio, “Mi fa sempre un certo effetto venire da solo, non so come mai...” continuò, strofinandosi nervosamente i palmi delle mani, a disagio.

Kirishima lo capiva bene: “Anche a me. Penso sia il silenzio” rispose, e Izuku annuì in assenso.

Era sempre strano parlare a qualcuno che non poteva risponderti ma lo era ancora di più se quel qualcuno, in vita, era stata una persona caotica e rumorosa come Katsuki, qualcuno che voleva sempre avere l’ultima parola e che il silenzio lo pretendeva solo dagli altri.

“Sì, forse hai ragione,” convenne Izuku, la fronte corrugata con fare pensieroso, “eppure non so... per quanto mi metta a disagio cerco sempre di venire ad orari dove sono sicuro di essere solo” confessò, “Senza offesa, eh! Sono davvero felice di vederti, è solo che...” si affrettò ad aggiungere, mortificato.

Eijirou gli mise una mano sulla spalla e lo invitò a rilassarsi: “Tranquillo, io faccio lo stesso. Mi sentirei stupido a parlargli davanti ad altra gente, per questo vengo sempre sul tardi, anche se poi finisco per sentirmi stupido ugualmente perché quando sono qui non so mai bene cosa dire” ammise.

Izuku sospirò: “Non è affatto stupido. Ci sono giorni in cui mi siedo qui davanti, guardo la sua foto e me ne vado senza dire nulla, così come sono venuto; altre volte invece inizio a blaterare e non riesco a fermarmi, parlo a vanvera e dico cose inutili finché non mi costringo ad alzarmi e a lasciarlo in pace” disse, grattandosi la nuca.
“Non penso ci sia una regola, sai? Sono sicuro che sia felice di averti qui, indipendentemente da cosa gli dici o da quanto tempo rimani” terminò il giovane con un sorriso sincero.

Kirishima gliene fu grato – gli piaceva pensare che Katsuki potesse vederlo e che apprezzasse le sue visite, e sapere che anche Izuku la pensava come lui lo confortava, in qualche modo – ma quella gentilezza gratuita non fece altro che farlo sentire ancora peggio con se stesso: “Lo spero proprio” si limitò a dire, ripensando alle lunghe conversazioni che lui e il biondo erano soliti intrattenere dopo le lezioni.

Bakugou che si lamentava perché invece di andare a letto doveva rimanere sveglio ad aiutarlo con i compiti di matematica, Bakugou che a colazione era più irritabile del solito e lui che invece non riusciva a tenere la bocca chiusa, Bakugou che anche di domenica lo costringeva ad allenarsi insieme a lui finché non erano entrambi esausti.
Bakugou che, a quanto pare, apprezzava la sua compagnia.

“E’ stato molto bello quello che hai detto al funerale” la voce di Izuku lo riportò alla realtà.

Kirishima alzò un sopracciglio e scoppiò in una risata amara e quasi infastidita: “Ma per favore, è stato pietoso, se ci ripenso mi viene da vomitare...” ed era vero. La nausea lo assalì.

Durante la cerimonia ognuno aveva avuto modo di onorare la memoria di Katsuki dedicandogli un pensiero carino o raccontando un aneddoto significativo che lo riguardasse, ma quando era arrivato il suo momento, Kirishima non ce l’aveva fatta: aveva speso tre giorni per prepararsi un discorso, qualche riga che riassumesse il suo legame con Bakugou, ma gli era sembrato tutto così assurdo e stupido che quando era venuto il momento di parlare la gola gli si era chiusa e il cervello si era rifiutato di collaborare.





Bakugou avrebbe odiato queste smancerie quindi sarò breve: per me è sempre stato il Numero Uno e sempre lo sarà. Spero che possa sentirmi, perché non sono mai riuscito a dirglielo prima.  





“Io trovo che sia stato bellissimo” ribatté Izuku dopo qualche secondo di silenzio, la voce ferma e decisa di chi sa quello che dice, “Eravamo tutti così presi dal nostro dolore che nessuno ha pensato a quello che avrebbe fatto piacere a lui. Io più di tutti avrei dovuto pensarci, eppure non l’ho fatto” continuò, e il suo sguardo si rabbuiò.

Kirishima conosceva quell’espressione.

“Ti ringrazio, ma temo che non la pensino tutti come te” rispose con un mezzo sorriso, ripensando a Mitsuki e Masaru che lo guardavano dall’angolo della stanza, lo sguardo basso e il cuore in pezzi.

Non aveva mai avuto modo di conoscere veramente i genitori di Katsuki e a maggior ragione era rimasto sconvolto dal calore con cui lo avevano accolto prima della cerimonia funebre:





“Kirishima? Kirishima Eijirou, vero?” aveva esclamato Mitsuki quando lo aveva intravisto tra la folla.
Eijirou le era andato subito incontro, cercando con tutto se stesso di ignorare l’incredibile somiglianza che la legava al figlio, ma il cuore gli balzò nel petto quando incrociò quegli occhi cremisi così dolorosamente familiari, “Oh, vieni qui, tesoro!” aveva esclamato la donna, allungando le braccia verso di lui per stringerlo in un abbraccio talmente vigoroso che Eijirou aveva temuto per le sue costole.

“Finalmente ci conosciamo... Katsuki ci ha parlato tanto di te, sai?” aveva aggiunto Masaru, passandosi una mano tra i capelli castani e dandogli una solidale pacca sulla spalla. “Ti teneva in grande considerazione...”

“Grazie per essergli stato vicino. Il mio Katsuki, lui... so quanto potesse essere dura stargli intorno, davvero... è tutta colpa mia... ho sbagliato così tante cose con lui! Grazie per essere stato suo amico, nonostante tutto! Pensavo fosse impossibile ma ti voleva davvero bene, Kirishima” aveva poi concluso la donna, in lacrime.






Dopo tutto quello che gli avevano detto, dopo tutto il calore e l’affetto con cui lo avevano accolto, Kirishima aveva accartocciato il suo discorso e gettato le sue belle parole in un angolo per uscirsene con quelle due misere frasi di commiato.

Mitsuki doveva esserne rimasta alquanto delusa, e forse anche Masaru.

“Tu, piuttosto. Quello che hai detto, io... non ci sarei mai riuscito” continuò il rosso, riprendendo da dove avevano interrotto e cercando di essere onesto con se stesso.

Midoriya era salito da solo sul pulpito, coraggioso e determinato come lui non sarebbe mai stato, e aveva mantenuto il suo contegno e la sua lucidità per tutto il discorso; discorso che chiaramente non aveva preparato perché ogni parola che aveva detto veniva dal cuore.

Il ragazzo dai capelli verdi sorrise e gli mise una mano sulla spalla: “Grazie. Spero solo che gli sia piaciuto” rispose, spostando gli occhi sulla foto di Katsuki che persino in diapositiva sembrava fissarli con sufficienza e con aria vagamente divertita, “Ogni tanto mi chiedo se faccio bene a venire qui così spesso... ho sempre paura di dargli fastidio” aggiunse timidamente.

Kirishima non riuscì a trattenersi dal commentare: “Tsk, come no” mormorò, e Izuku lo guardò con aria confusa, “Non riusciresti a dargli fastidio nemmeno se volessi” continuò, alzando gli occhi al cielo e serrando le labbra in un muto gesto di disappunto, dettaglio che a Midoriya non sfuggì affatto.

Il ragazzo da capelli verdi si era accorto che qualcosa non andava e impiegò trenta secondi buoni prima di porre la fatidica domanda: “Erm, tutto ok? Ho detto qualcosa che non va?” azzardò con voce flebile.

Eijirou strinse i pugni sulle ginocchia e sentì lo stomaco contorcersi in preda all’ansia ma si era ripromesso di non scappare, non questa volta; lo doveva a se stesso, a Izuku, e soprattutto a Bakugou.

“No, non... scusami, non hai fatto niente che non va. Sono io. Me ne sto qui a fingere che vada tutto bene quando in realtà sono mesi che ti evito e che penso cose... cattive” si lasciò finalmente andare, cercando di ignorare il groppo in gola che gli impediva di parlare fluidamente. “Tu mi sei sempre stato amico e io... io non lo so più. Non so più cosa pensare di me, di te, di tutto!” continuò mordendosi il labbro, esasperato.

Izuku prese un respiro profondo e si fece avanti: “Eijirou, qualunque cosa tu abbia...”

“No, non capisci!” sbottò il rosso senza più riuscire a trattenersi, “Sono così... arrabbiato! Ogni volta che ti guardo non faccio altro che chiedermi cosa vedessero i suoi occhi e la cosa che mi più mi manda in bestia è che lo vedo. Capisco perché ti tenesse in così alta considerazione, perché ti desiderasse così tanto!”

Il ragazzo dai capelli verdi deglutì vistosamente di fronte a quello sfogo: “Io...”

“Non sai cosa avrei dato perché mi guardasse come guardava te” continuò Eijirou, ormai inarrestabile, “Deku, Deku, Deku... sempre e solo Deku. Trovava il modo di parlare di te anche quando non c’entravi nulla e mi è sempre andato bene così, credimi” gli occhi pizzicavano terribilmente ma non c’erano rabbia o rancore nelle sue parole, solo tristezza e rassegnazione.
“Per quanto facesse male non ho mai fatto nulla in proposito perché ero il primo a notare quanto voi due foste uniti. Volevo che Bakugou fosse felice, davvero, e l’unico che poteva renderlo felice eri tu. Lo sapevo io, lo sapeva lui, e sono convinto che lo abbia sempre saputo anche tu. Aspettavo solo che ve ne rendeste conto ma... ma non c’è stato tempo” la gola gli si chiuse di nuovo e fu costretto ad asciugarsi una guancia con la manica della giacca.
“Non c’è stato tempo e ora mi chiedo se... mi chiedo se le cose sarebbero potute andare diversamente. Se avessi trovato il coraggio di dirgli la verità, di confessargli i miei sentimenti, forse avremmo potuto essere felici lo stesso, anche solo per poco. Ma ora è troppo tardi, è troppo tardi per fare qualunque cosa...”

Non riuscì a finire di parlare che Midoriya gli era già addosso, le braccia intorno al collo e il volto schiacciato contro l’incavo del suo collo mentre lo stringeva a sé in un abbraccio che racchiudeva più di mille parole:

Ti chiedo scusa se ti ho fatto soffrire e ti perdono per qualunque pensiero negativo tu abbia avuto nei miei confronti; sei l’unico che può capire il mio dolore e dobbiamo restare uniti, abbiamo bisogno l’uno dell’altro.

Rimasero così per qualche secondo, inginocchiati sull’erba in una posizione tutt’altro che comoda, e a Eijirou ci volle un attimo per processare la cosa: era da mesi che sognava quell’abbraccio, lo desiderava con tutto se stesso, eppure allo stesso tempo non pensava di meritarselo.

Rispose al gesto di Izuku stringendo le braccia dietro la sua schiena, aggrappandosi alla sua maglia in un gesto quasi disperato mentre il suo pianto silenzioso si trasformava in un singhiozzare sommesso: “Credevo di essere una brava persona, di poter diventare un brav’uomo, ma sono solo un ragazzino pieno di invidia e rancore” disse, staccandosi da lui dopo quella che parve ad entrambi un’eternità. “Credevo di poter salvare il mondo ma non sono riuscito a salvare nemmeno lui!” esclamò, tirando su con il naso.

“Non siamo riusciti a salvarlo” lo corresse Izuku, e non c’era fastidio o irritazione nella sua voce, solo sincera tristezza. “So cosa provi, credimi. Non c’è notte in cui mi addormenti senza rivederlo a terra in una pozza di sangue e non c’è giorno in cui mi svegli senza pensare che dovrei esserci io al suo posto” confessò con amarezza, la voce che tremava e le dita che giocavano nervosamente con i bordi della felpa scura.

Fissava un punto indistinto sul prato, cercando tra i fili d’erba la forza necessaria per continuare il discorso e dire l’indicibile. Kirishima aspettò che continuasse senza cercare di interromperlo.

“Fa ridere, sai? Tutti continuano a elogiarmi e congratularsi con me per il mio lavoro ma ogni volta che mi guardo allo specchio tutto quello che vedo è la faccia di una persona che ha dedicato la sua vita a perseguire un sogno che ora non ha più senso di esistere” aggiunse con aria sommessa.

“Lo amavi?” la domanda uscì fulminea e tagliente dalle labbra del rosso prima che potesse fermarla.

Non voleva essere così diretto.
Non voleva mettere Izuku in difficoltà – non quel giorno e non di fronte alla tomba di Bakugou – eppure era successo.

Era stato rapido e meno doloroso del previsto, ma la parte più delicata doveva ancora venire: strappare il cerotto era facile e indolore, se lo si faceva bene, ma raschiare i residui di colla poteva essere un processo lento e spiacevole. 

Midoriya aprì la bocca e la richiuse un paio di volte, spiazzato, ma arrivati a quel punto non poteva mentire, men che meno a se stesso: “Sì, tantissimo” confessò infine, una lacrima solitaria a rigargli la guancia. 

Due semplici parole. Un sussurro. Eppure un rombo di tuono avrebbe fatto meno rumore. 

Kirishima si morse il labbro: “Perché non glielo hai mai detto?”

“E tu?” lo incalzò l’altro, riportando lo sguardo su di lui senza alcuna malizia.

Eijirou si sentì mancare la terra sotto i piedi: touché.

Ormai era inutile negare l’evidenza: “Per paura, credo. Insicurezza” si ritrovò a rispondere.

Paura di come avrebbe potuto reagire l’altro, paura di perderlo per quello che in futuro avrebbe potuto rivelarsi un semplice capriccio, paura di non essere la persona giusta. Non era mai stato innamorato, prima.

Per la prima volta da quando avevano aperto l’argomento, Izuku sorrise: “Siamo più simili di quello che credi, Kirishima” gli disse, allungandosi verso di lui per mettergli una mano sulla spalla.

Eijirou sorrise di rimando ma non riuscì a trattenere un commento sarcastico: “Forse, ma non abbastanza.”

Col tempo Midoriya era riuscito a liberarsi dall’ombra di Katsuki, dimostrandogli di poter tranquillamente camminare al suo fianco e di riuscire a gettare a terra un’ombra altrettanto imponente.

Kirishima, a differenza sua, era destinato a rimanere indietro: non era mai riuscito a stare al passo e mai ci sarebbe riuscito, eppure, tutto sommato, gli andava bene così; l’ombra di Katsuki era sempre stata troppo grande per lui, è vero, ma l’aveva sempre trovata incredibilmente accogliente.

“Eijirou... io e Kacchan eravamo molto uniti, è vero, ma in tutti questi anni non l’ho mai visto sorridere così tanto come quando eravate insieme” disse Izuku, costringendolo e tornare al presente. “Io non sarei mai stato capace di capirlo e assecondarlo come facevi tu e sarei un bugiardo se ti dicessi che non sono mai stato invidioso del vostro rapporto” continuò, e a Kirishima non rimase che guardarlo a bocca aperta.

Midoriya era stato invidioso di lui? Lo stesso Midoriya che gli era sempre sembrato così irraggiungibile?!

Qualcosa si sgretolò dentro di lui, un macigno di rabbia e senso di colpa che si portava appresso da troppo tempo, e si sentì subito più leggero: forse Izuku aveva ragione, non erano poi così diversi.

Vedendo che il rosso non diceva nulla, Deku riprese parola: “Non so cosa provasse per te, così come non so cosa provasse per me – è di Kacchan che stiamo parlando, dopotutto – ma so per certo che eravamo importanti per lui. E’ questo ciò che conta, no?” lo incalzò, e Kirishima non poté fare altro che annuire.

“E riguardo a quello che hai detto al funerale... sono sicuro che Kacchan sapesse. Lui sapeva sempre tutto” concluse Izuku, e solo allora si accorse che l’altro non aveva spiaccicato parola per tutto il suo discorso. “Scusa, ho di nuovo parlato troppo...”

Eijirou scosse la testa: “Grazie,” lo interruppe, commosso, “grazie di cuore. Mi... mi dispiace non averti parlato prima, sono stato un idiota” ammise a testa bassa, e mai parole furono più sincere.

Izuku sorrise: “Tranquillo, potrei dire la stessa cosa di me. Sono solo felice che alla fine siamo riusciti a chiarirci. Mi mancava parlare con te e... Dio, siamo proprio degli idioti!” concluse con una piccola risata che Eijirou non poté fare a meno di imitare.
“Dici che ci sta urlando addosso, in questo momento?” aggiunse, indicando la foto di Katsuki ai loro piedi.

“Mi pare ovvio” rispose l’altro con un sorriso di scherno, “e almeno stavolta ne avrebbe tutte le ragioni!”

“Già,” convenne il ragazzo dai capelli verdi, schioccando la lingua, “chissà... mi piace pensare che non sia stato un caso se ci siamo incontrati proprio questa mattina” borbottò con aria pensierosa.

Kirishima ripensò alla data cerchiata in rosso che aveva segnato sul calendario di camera sua: 20 aprile.

Quel giorno Bakugou avrebbe compiuto vent’anni. Vent’anni di fierezza e arroganza, di passione e dedizione, di intuito e forza bruta; vent’anni interamente dedicati al raggiungimento di un sogno, un sogno di perfezione che si era infranto nove mesi prima su un terreno umido di pioggia e sangue.

“Ho smesso di credere nel caso” rispose semplicemente Kirishima, un lieve sorriso ad incurvargli le labbra.

Buon compleanno, amico mio, fu tutto quello che pensò guardando il cielo. Ovunque tu sia.






Non sto piangendo, no.

E’ brutto da dire ma scrivere di gente che soffre e confessa i propri sentimenti è sempre un’esperienza catartica (forse sono psicopatica ma almeno per me è così).

Spero che la storia vi sia piaciuta e se vi va fatemi sapere cosa ne pensate nei commenti, sapete che apprezzo sempre molto!
La prossima storia che pubblicherò sarà decisamente più divertente (hehehe), lo giuro.

xoxo

Ilaria;)
  
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