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Autore: J85    14/10/2022    0 recensioni
Quinto ed ultimo capitolo del pentagono di racconti con protagonista Sara Silvestri.
Nello specifico, si tratta di una mia personale rivisitazione del manga "Cyborg 009", in cui la storia è stata decisamente modificata.
Inoltre, questa storia a capitoli servirà ad esplorare il mio personale universo narrativo, sviluppato durante tutti questi anni di passione per tutti questi anni di scrittura e immaginazione.
Per uno strano scherzo del destino, nove persone, di varie nazionalità e professione, si ritrovano con la propria vita totalmente stravolta dall'essere stati trasformati in mutanti, ognuno con un suo potere specifico.
Ad aiutarli, arriverà proprio la nostra Sara che li addestrerà per affrontare al meglio l'organizzazione criminale nota come Spettro Bianco, in tutta una serie di avventure, compresi what if e crossover.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Cross-over, Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 4

Da gas, a neve ed infine acqua”




Una bella mattina soleggiata, di quelle ideali per ascoltare gli usignoli cantare. Tranne che alla villa degli Humana, dove il dolce suono emanato dai volatili è sostituto dal rumore, ben più fastidioso, di un poligono di tiro improvvisato dal Soggetto N. 4 all’esterno dell’edificio.

Al suo interno, l’aria era ancora meno rilassata.

“Madre de dios!” imprecò furibondo il messicano, mentre stava davanti allo schermo di un computer “Ma è possibile che quello scemo là fuori faccia tutto questo casino?”.

“Perché sei così alterato? Stai studiando per l’università?” gli controbatte Johnny.

“Ma quale università?!” gli rispose seccato Bernardo “Volevo solo cercare di sapere com’erano andati gli ultimi incontri di lucha libre”.

“Perché? Segui la lucha libre?”.

“Claro che sì! Non mi perdo un evento!”.

“Ma come fa a piacerti quella roba?”.

“Tu sei un americano, non le puoi capire queste cose”.

“Che c’entra? Il wrestling ce l’abbiamo anche noi. Ma da voi avete tutti le maschere. Come fai ad appassionarti ad un lottatore piuttosto che un altro?”.

“Non capisci niente! Il bello sta proprio nella maschera!”.

“In che senso?”.

“La maschera per i luchadores è una tradizione! Si tramanda di padre in figlio”.

“Sarà… senti! Il nostro cecchino preferito ha smesso di allenarsi!”

“Bueno! Era ora!”.

Sfortunatamente, nel silenzio che si era venuta a creare, cominciarono a sentirsi rumori di molteplici passi pesanti.

I due in sala fecero appena in tempo ad alzarsi che, come un uragano, una marea di soldati, tutti vestiti di bianco, penetrarono dentro l’abitazione.

“E ora cosa vogliono questi?” urlò allarmato il Soggetto N. 7.

Come a rispondergli, Sara Silvestri si affacciò dalla tromba delle scale.

“Svelti Humana! Siamo sotto attacco!”.

Ma, nonostante quest’ultimo disperato avvertimento, i mutanti furono presto tutti circondati.

Da un’altra stanza, venne portata nel salone Frédérique Arone, che continuava a domandare “Cosa sta succedendo?”.

“Tenete alte le mani! Altrimenti vi spariamo direttamente in testa!” intimò a loro uno dei soldati, i cui volti erano coperti da maschere antigas.

“Ora che facciamo, Johnny?” sussurrò all’orecchio dell’amico il baffuto Borghi.

“C’è ben poco da fare, Bernardo. Questo match l’hanno vinto loro” gli rispose rassegnato il biondo.

Seguendo gli ordini di colui che sembrava il colonnello di quell’esercito, i nove abitanti di quel quartier generale vennero portati fuori da esso, dove già li aspettava l’italiano.

In uno spiazzo lì vicino, era appena atterrato un grande aereo nero. In fila indiana, gli ostaggi vennero fatti salire lentamente su quel veicolo. Una volta terminato quel carico umano, l’aeroplano prese silenziosamente il volo. Al suo interno, i deportati erano tenuti costantemente sotto il tiro di numerosi mitra.


Dopo ore interminabili di volo, i presenti iniziarono a sobbalzare, presagendo così l’effettuazione di un atterraggio.

“Eccoci arrivati” osservò sarcastico il Soggetto N. 2.

Dopo altri secondi, il portello di scarico si aprì rivelando, agli occhi meravigliati dei prigionieri, uno dei più classici paesaggi artici. I soldati che li aspettavano al suolo, quasi confondendosi con il ghiaccio bianco lì presente, salutavano i loro colleghi con il classico saluto nazista.

“Dove saremo ora?” domandò ai suoi compagni un terrorizzato Chang Yu.

“Di certo siamo nella merda!” gli rispose alterato Andrea.

“Silenzio!” gli intimarono i loro carcerieri, puntandogli contro le loro armi da fuoco.

Dopo altri metri, la marcia si fermò davanti ad un edificio di un solo piano, con la totale mancanza di finestre sulle pareti e, a fare bella mostra di sé sulla porta d’ingresso, una svastica in bassorilievo.

“Comandante! Gli obiettivi sono stati tutti catturati!” informò un soldato, rivolgendosi ad alta voce ad una figura lì vicino. Tale persona era avvolta da un lungo impermeabile militare, con cui cercava il più possibile di ripararsi dalla brezza gelida che soffiava in quel posto, ed un cappello con visiera ben inculcato sulla testa.

“Benissimo! Procediamo pure con il trattamento!” ordinò entusiasta.

I dieci furono fatti ripartire, sempre con le canne dei mitra puntati su tutti loro, verso quell’anonimo edificio dove, una volta aperta l’entrata, dovettero immettersi rapidamente.

Quando anche l’ultimo di loro, l’enorme Geran, fu dentro, con un rumore sordo, la porta si richiuse alle loro spalle.

“E ora che si fa?” cercò l’appoggio dei suoi compagni Borghi.

“Come mai ci hanno fatto entrare qui?” replicò il cinese.

“Di certo, non ho un buon presentimento…” sentenziò Juna, squadrandosi attorno.

“O-Oddio” balbettò un Igor mai così terrorizzato “L-Loro v-vogliono…”.

Il ragazzino non fece tempo a terminare la sua frase che si iniziò a udire un sibilo sinistro.

“Che succede?”chiese un’impaurita Soggetto N. 3.

“Stanno usando il gas” informò il resto del gruppo Sara, apparentemente impassibile “Bene Humana, fate come vi dico: Non usate i vostri poteri, cercate di trattenere il fiato il più possibile e, soprattutto, abbiate fiducia in me”.

“Abbiate fiducia in me? Qua stiamo rischiamo di morire e lei ci dice soltanto di aver fiducia in lei?!” protestò Lincon, vicino ad una crisi di nervi.

“Calmati Jack! Può darsi che Sara abbia un piano!” lo richiamò Wayne.

Ormai la nuvola letale era sempre più incombente su di loro. Improvvisamente Sara si afferrò un orecchio, avvertendo gli altri “Appena usciamo fuori di qui, corriamo subito verso l’aereo. Altrimenti, non avremo scampo”.

Alcuni degli Humana stavano per perdere i sensi quando la bionda, si staccò un orecchino dal lobo e, premutolo appena, lo lanciò contro una parete nelle vicinanze. Tempo tre secondi ed il gioiello esplose, lasciando una discreta apertura nel muro.

Era la loro occasione: Johnny scattò prima di tutti, per raggiungere a supervelocità l’aereo, seguito a ruota da Jack, che volava ad altezza uomo. Bernardo si era tramutato in una motoslitta, facendo salire su di essa Igor e Frédérique. Andrea aveva trasformato la sua mano in una Glock, pronta ad ogni evenienza.

La loro fuga disperata tra i proiettili che iniziarono ad occupare l’aria, grazie anche alla resistenza delle loro uniformi, ebbe successo. Appena salita a bordo, Sara prese i comandi del veicolo. Prima che lo sportello si richiuse, Soggetto N. 4 sparava a vista a chiunque si avvicinasse, mentre Soggetto N. 5 lanciò contro i nemici un armadio di munizioni presente all’interno del vano.

“Grazie al cielo siamo salvi!” esultò felice la francesina.


“… Dunque sono giunta a questa conclusione” terminò il suo discorso Silvestri.

I nove l’ascoltarono in religioso silenzio, senza proferir parola.

“Ehi Frédérique, controlla che non ci abbia seguito nessuno” le ordinò Alberti.

“Negativo, signore” rispose secca lei.

“Ok Sara, fai quello che devi” la spronò l’americano.

L’assistente fece un’ultima carrellata degli sguardi del suo gruppo. Poi tornò a guardare in basso, dalla plancia di comando, e premette un bottone. Con un forte sibilo un missile, lanciato dall’aereo, andò a schiantarsi sulla villa che, fino ad allora, gli aveva dato rifugio. Tutti fissavano l’enorme palla di fuoco che ora era diventata.

Il Soggetto N. 6 guardò un attimo di lato poi, rivolgendosi a Borghi, gli disse “Mi chiedo come mai lui abbia voluto andare a fuori ad assistere a tutto ciò”.

“Puro esibizionismo!” proclamò il messicano, fissando a sua volta il Soggetto N. 2 che, a differenza degli altri, ora si trovava all’esterno dell’aereo, fluttuando lì nelle vicinanze.

All’interno del jet l’indiano, seguendo il suo istinto, iniziò ad intonare un’antica cantilena della sua tribù, tenendo un mano sulla spalla di Sara e l’altra su quella del più piccolo della compagnia.




Tutta quell’improvvisa ansia ad Igor aveva fatto tornare in mente l’inizio di quella sua vita, mentre in Siberia cercava inutilmente di scappare a quell’emissario dello Spettro Bianco. Come in quella triste occasione, quella figura nera lo stava braccando sempre più.

“Aiuto!” fu l’unica cosa che riuscì a gridare, con la voce della mente, prima che il buio lo avvolgesse.


“E io che gli avevo chiesto soltanto di andarmi a fare la spesa” erano ormai delle ore che il signore cinese non si dava pace.

“Ti prego, calmati Chang. Nessuno pensava che anche qui in Austria potevamo essere in pericolo” cercava di tranquillizzarlo Arone, anche lei in pensiero per le sorti del piccolo russo.

“D’ora in avanti saremo sempre in pericolo!” rifletteva ad alta voce il Soggetto N. 9.

“Forse io posso esservi d’aiuto”.

I tre si voltarono nella direzione da cui era provenuta quella voce. Con loro grande stupore, videro un ragazzino molto rassomigliante al loro membro scomparso, che per di più indossava la loro stessa uniforme.

“Te chi sei?” domandò ancora allibita Soggetto N. 3.

“È quel coglione di Bernardo!” gli rivelò Andrea, appena sopraggiunto.

“Cosa?!” esclamò la francesina, sempre più sorpresa “Come mai ti sei conciato così?”.

“Perché ho pensato che, se riduco la mia età apparente a quella di Igor, forse posso mettermi in contatto con lui”.

“Non credo che basti questo” smontò subito la sua ipotesi Sara “Se avesse potuto, il Soggetto N. 1 ci avrebbe di certo già contattato, grazie ai suoi poteri”.

“Se non altro, così ci hai guadagnato in bellezza” ironizzò Lincon.

“Almeno io sto provando a fare qualcosa!” sbottò il finto bambino “Voi invece cosa state facendo per ritrovarlo?”.

“Ma stai zitto!” lo zittì il Soggetto N. 4.

“Secondo voi sono stati quelli dello Spettro Bianco?” chiese ai compagni Juna.

Nessuno rispose poiché, improvvisamente, tutti i presenti percepirono qualcosa.

“Avete sentito anche voi?” cercò conferme la ballerina.

“Certo. Non c’è dubbi: era lui!” sentenziò Silvestri.

“E ora cosa facciamo?” chiese lumi il congolese.

“Lo andiamo a riprendere, che domande!” saltò su il messicano.

“E se fosse una trappola?” ipotizzò diffidente l’italiano.

“Sembra come se stessimo usando un radar” tentò di spiegare l’americano “sappiamo più o meno dove si trova, però non ne siamo totalmente certi. Almeno finché non lo raggiungiamo di persona”.

“Il grande spirito ci guiderà” proclamò l’indiano.

“Bene! Io vado. Almeno con la mia velocità prima lo trovo e meglio è!” si apprestò a partire Johnny.

“Aspetta vengo anch’io!” lo bloccò il falso ragazzino.

“Perché dovresti venire anche te? Soprattutto in quelle condizioni poi”.

“È proprio perché sono così che posso esserti utile! Magari è gente che ruba i bambini. Avrei più possibilità io a trovarli che te”.

“L’unico che mi può essere utile è Jack. Così mi perlustra la zona in modalità aerea”.

“Eh va bene” acconsentì il britannico “Allora andiamo?”.

Nel giro di qualche minuto, la coppia partì al possibile salvataggio. Tuttavia, non si accorsero di essere in realtà in tre. Di fatti, non visto dagli altri, il mutaforma era ora diventato un pidocchio, attaccato saldamente ai capelli tinti di biondo del pilota di Formula 1.


La loro ricerca stava, come speravano, dando i suoi frutti, portandoli in un vallico alpino, ai confini con l’Italia.

“Che sia davvero questo il posto?” Jack Lincon domandò al compagno, sperando di farsi capire tra il forte rumore delle raffiche di vento e neve.

“Credo proprio di sì. Certo che non mi aspettavo si trovasse dentro un castello” esclamò lo statunitense, continuando a fissare la cupa magione che si trovava in basso, a circa un chilometro da loro.

“Allora? Che aspettiamo?”.

I due sobbalzarono nell’udire quella voce improvvisa.

Giratisi, si trovarono di fronte il Soggetto N. 7, accucciato come loro dietro ad un masso.

“Che cazzo ci fai qui?” gli inveì subito contro Wayne.

“Dovevi rimanere con gli altri!” lo appoggiò l’inglese.

“Piantatela! Sono qui per darvi una mano e basta!” tagliò corto il nuovo arrivato “Da qui, sembra che ci siano almeno tre guardie” informò i suoi compagni, con gli occhi tramutati in una specie di binocolo.

“Bene. Jack, tu prendi il volo. Noi andiamo a piedi” decise il piano il Soggetto N. 9.

“Roger” obbedì l’altro.


Come una macchia rossa e gialla appena visibile, Johnny, con il finto ragazzino caricato sulle spalle, sistemò tutte le persone nel giardino del castello.

Nel frattempo, in aria, il dandy aveva notato altre persone sui torrioni. Planando giù in picchiata, li lasciò esanimi alle loro postazioni.

Anche Borghi si diede da fare, calciando la testa di un nemico che si stava destando troppo presto.

“Sistemati” annunciò Jack, atterrando.

“Perfetto. Entriamo allora!” esclamò lo statunitense.

Per far ciò, quest’ultimo si fece dare un passaggio dal suo collega volante, atterrando oltre le mura della magione. Appena con i piedi per terra, dei ringhi preoccupanti lo rimisero subito in guardia. Voltato appena il capo, notò cinque dobermann partire all’assalto. Con uno dei suoi scatti, raggiunse una porta lì vicino, dove si stava apprestando ad entrare anche il Soggetto N. 2.

Una volta al sicuro, il finto ragazzino si staccò dalle spalle dell’americano per, una volta tramutatosi a sua volta in cane, abbaiare contro ai suoi simili.

“Smettila Berny!” lo richiamò all’ordine il biondo.

“Cosa sono quelle?” richiamò l’attenzione degli altri due il dandy.

L’americano guardò i punti indicati dal suo compagno “Sembrano delle telecamere di sorveglianza”.

“Ah no!” s’infuriò il messicano “Nessuno ha il diritto di riprendermi senza il mio permesso!”.

Detto ciò, il mutaforma si avvicinò ad una parete, toccandola e, nel giro di qualche secondo, il suo corpo era diventato quello di un piccolo geco.

Ancora colpiti dalle capacità del Soggetto N. 7, i due mutanti rimasti riconobbero appena un singhiozzo infantile.

Più decisi che mai si precipitarono verso una nuova porta. Una volta spalancatola, si trovarono davanti una figura inquietante. Un uomo sulla sessantina, basso, con lunghi capelli bianchi spettinati a fare come da cornice ad un paio di occhi spiritati.

“Benvenuti mutanti nella mia umile dimora”.

“Te chi diavolo sei?” tagliò corto Wayne.

“Mi chiamo Roland Fuchs e, come avrete immagino già intuito, faccio anch’io parte del glorioso gruppo dello Spettro Bianco”.

“E osa pure chiamarlo glorioso gruppo?” lo redarguì il britannico “Comunque, siamo qui per recuperare un ragazzino. Ed è inutile che lei dica di non saperne niente, dato che sappiamo per certo che Igor si trova qui”.

“Beh sappiate che qui di ragazzini ce ne sono per tutti i gusti. Non mi credete? Allora guardate pure da voi!” detto ciò, indicò al trio un punto in penombra della stanza. Di colpo esso s’illuminò, mostrando un cilindro in vetro con, al suo interno, un gruppo di bambini terrorizzati, tutti completamente nudi.

“Ma che cazzo?” imprecò il biondo.

“Madre de dios! Vuoi dire che tu sei…” disse Bernardo.

“Esatto! Io sono un pedofilo” concluse l’austriaco.

“Figlio di puttana!” urlò lo statunitense, partendo immediatamente all’attacco.

Giunto a pochi centimetri dal suo obiettivo, una forza invisibile lo sbalzò in aria. Prima che se ne capacitasse, anche a Lincoln fu riservato il medesimo trattamento. Borghi, per sua fortuna, fece appena in tempo a cambiarsi in una palla da tennis, ballonzolando per tutta la sala.

“Che cazzo succede?” riuscì a malapena a dire un Soggetto N. 9 dolorante sul pavimento.

“A quanto pare” gli rispose Fuchs “Il vostro compagno non ha alcuna intenzione di seguirvi per tornare da voi”.


Lontano dall’attenzione della gente presente, la piccola sfera giunse in un altro angolo della stanza. Con sua somma sorpresa, vi trovò accucciato proprio il piccolo russo.

In un attimo, la pallina tornò ad essere il baffuto “Igor! Finalmente ti ho trovato! Svelto, aiutaci a sconfiggere quella bestia così possiamo tornare a casa!”.

“Io non voglio venire” lo informò a sorpresa l’interessato.

“Cosa? E perché?”.

“Lui ha detto che qui sono al sicuro…”.

“Ma cosa dici? Sai cosa fa a quei bambini?”.

“Lo so. Ma so anche che li protegge dal mondo esterno”.

“Dai Igor, non scherzare! Non puoi davvero pensare che sia meglio vivere con quel pedofilo schifoso!”.

“Ma così lo Spettro Bianco non mi darà più la caccia”.

“E ti rovinerà per sempre la vita! Noi invece faremo tutto il possibile per che ciò non accada! Ti prego, Igor, torna con noi a casa”.

“Ma non abbiamo più una casa!”.

“Finché noi Humana staremo insieme, quella sarà casa tua e di tutti noi!”.

Il bimbo rimase per qualche secondo in silenzio.

“Io ho paura…” riprese poi.

“Tutti abbiamo paura! Ma io ed i ragazzi ti daremo una cosa che, di certo, quelli dello Spettro Bianco non potranno mai garantirti: la libertà”.

Il telepate riprese il suo mutismo, stando sempre ben attento agli altri due membri, ancora schiacciati a terra da una pressione invisibile.

“Ti prego, Igor!” gli gridò disperato il Soggetto N. 7 “Lascia stare Johnny e Jack e libera gli altri bambini!”.

Una nuova luce brillò nei suoi giovani occhi che, fino ad allora, erano come spenti e senza voglia di vivere.

“… Ed ora, se permettete,” esclamò il padrone di casa “lasciate che mi sfoghi un po’ su questi… ah!”.

Di colpo, un forte dolore aveva colpito la testa del criminale. Era come se tutto il suo perverso cervello volesse evadere dal cranio.

“Bravo, così! Ora libera i ragazzini!” lo incitò Bernardo.

Wansa obbedì, mandando in frantumi la loro prigione di vetro. Senza accorgersene, riservò lo stesso trattamento anche al capo di Roland Fuchs.




Corsica

In quella tranquilla spiaggia soleggiata, per gli Humana sembrava giunta un po’ di pace.

“Questo posto è davvero un paradiso!” esclamò Bernardo mentre, in pieno rilassamento, si abbronzava in costume, con sugli occhi un paio di occhiali da sole.

“Dunque era qui che tu, onorevole Frédérique, passavi le vacanze estive della tua infanzia?” domandò Chang, visibilmente interessato sotto l’ombrellone.

“Esatto” gli rispose l’interessata “questo posto mi fa ricordare tutti i bei momenti che avevo con i miei genitori e la mia sorellina…”.

“Prima che cominciasse tutto questo casino” concluse la frase della donna, Andrea.

Nel frattempo, Igor si divertiva a creare castelli sempre più dettagliati con la sabbia. Come un fulmine a ciel sereno, un boato esplose sott’acqua, nelle vicinanze del golfo in cui si trovavano loro.

“Cos’è stato?” chiese preoccupato Jack.

“Ora lo vedremo” esordì Sara “Soggetti N. 7, 8 e 9 andate ad indagare!”.

Erano ormai dei mesi che i mutanti si allenavano sotto i preziosi consigli della bionda quindi, i tre uomini nominati, le obbedirono immediatamente come soldati fedeli.

Ovviamente, il più rapido di tutto fu Juna che, una volta entrato in quello che era diventato il suo elemento naturale, iniziò subito a perlustrare la baia. Johnny riuscì a recuperarlo grazie alla sua velocità sovrumana, mentre Borghi se la prese con più calma, trasformandosi in un non meglio specificato pesce.

Dopo minuti di ricerche, l’africano si trovò davanti qualcosa d’insolito. Lì per lì sembrava un sub che si dilettava nel suo hobby però, ad una più accurata osservazione, si notava che il suo corpo non era totalmente umano.

Quest’ultimo, una volta accortosi di essere stato scoperto, tentò la fuga riemergendo. Ma gli Humana gli furono subito addosso.

“Chi sei tu?” gli urlò contro l’americano.

L’essere non emise alcun suono.

“Forse non capisce la nostra lingua. Magari è francese” ipotizzò lo zairese.

“Bene. Allora portiamolo dagli altri” concluse Wayne.


Una volta riconosciuta la sua lingua madre, il cyborg acquatico rivelò tutto ciò che sapeva al Soggetto N. 3.

“Dice che, già da qualche settimana, in questa zona si verificano delle preoccupanti esplosioni subacquee. Perciò, gli uomini del governo francese hanno costruito un particolare modello di robot, resistente alle più elevate pressioni sottomarine”.

“In effetti un robot ci mancava al nostro gruppo!” ironizzò il messicano.

“Anche se forse non si tratta dello Spettro Bianco” esordì Silvestri “Dobbiamo comunque indagare, se vogliamo usare a fin di bene i vostri poteri”.

“Bueno. Allora che si fa?” domandò Borghi.

“Direi che l’unica cosa che possiamo fare è… tuffarci in acqua!” sentenziò lo statunitense.

“Chi va di noi?” chiese un impaziente Soggetto N. 4.

Alla fine furono inviati, oltre agli ultimi due che avevano parlato, anche il nuotatore della squadra.


La prima ora di ricerche, con Johnny ed Andrea che erano muniti di respiratori, fu totalmente infruttuosa. Passato qualche minuto, il trio notò la totale assenza di fauna sottomarina. Procedendo fin dove la luce del sole riusciva ad illuminarli, ne incontrarono nuovamente una. Per loro sfortuna, si trattava di un esemplare in salute di squalo grigio. I tre, tenendosi ovviamente ad una distanza di sicurezza, notarono qualcosa di strano attaccato al suo tronco. Era una scatola rettangolare nera, con una lucina rossa che s’illuminava ad intermittenza. Tale ordigno fece scattare un campanello d’allarme nella testa dei mutanti. Tali pensieri furono rilevati da Wansa che, sulla spiaggia e coadiuvato dal resto del gruppo, si teneva in contatto con loro.

“Dì al Soggetto N. 8 che renda inoffensivo l’animale il più velocemente possibile, così poi possono portarlo qui da noi” ordinò Sara.

I dettami furono comunicati e, sebbene non particolarmente euforico della scelta, Juna obbedì.

Messosi fuori dalla visuale del predatore marino, gli afferrò appena la pinna caudale e, scivolando nell’acqua, lo rovesciò supino, rendendolo così in uno stato catatonico.


Una volta tornati sulla spiaggia, con sorpresa di tutti, ci pensò Sara Silvestri a disinnescare la bomba, staccandola nel contempo dal pescecane.

“Ora cosa ne facciamo di lui?” domandò il Soggetto N. 5.

“Io avrei un’idea…” propose Bernardo, tra lo stupore dei presenti “Potremo rimetterlo in acqua, così da vedere se tornerà da quelli che gli hanno messo la bomba addosso”.

“Potrebbe funzionare” acconsentì la bionda “Bene. Johnny, dirigi la squadra”.

Tutta la compagnia stava seguendo il pellerossa, impegnato a ributtare in mare lo squalo.

“Fermi tutti! Qualcuno dovrà comunque rimanere qui. Con me voglio Juna, Chang ed anche Andrea”.

“Ehi! Aspetta un attimo! Andate solo voi?!” si lamentò il Soggetto N. 7.

“Bernardo ha ragione” Concordò Arone “Devo venire anch’io con voi, dato che si tratta della mia nazione di appartenenza”.

“Se te la senti Frédérique…” il pilota non sembrava molto entusiasta.

“Certo che me la sento!”.

“Io verrò con voi” si candidò il robot francese.


Alla fine, i prescelti si tuffarono in acqua, seguendo come spie la rotta presa dal letale pesce, nonostante il proseguo delle proteste da parte del messicano.

In molti avevano dei dubbi riguardanti il cyborg che li accompagnava. Essi però furono dissipati quando l’androide, accortosi di una murena che si avvicinava minacciosa alla sua connazionale, la fulminò con un piccolo raggio laser proveniente dai suoi occhi.

L’animale si stava ora insinuando tra vari corpi scuri galleggianti nel fondo del mare. Fu allora che l’italiano fece appena in tempo, grazie all’aiuto del telepate, ad avvertire gli altri della pericolosità di quelle mine sottomarine.

Poco più in là, lo squalo era entrato a malapena dentro una spaccatura nella roccia. Tenendo gli occhi ben aperti, i sei vi entrarono a loro volta.

Appena riemersi, i mutanti si squadrarono tutti attorno, trovandosi all’interno di un’umida grotta. L’essere metallico lanciò un dardo soporifero al pescecane, facendolo addormentare.

“A prima vista sembra tutto normale” iniziò il Soggetto N. 9 “Frédérique, controlla tu”.

La donna proseguì ad osservare l’ambiente tutto attorno a loro. Poi si pronunciò “C’è qualcosa dietro quelle rocce”.

“Bene bene. Ora anche signor Yu può essere utile!” esclamò entusiasta il cinese.

Ispirando profondamente, lanciò contro la parete rocciosa una potente fiammata, facendola sciogliere in un attimo.

Passati dentro quella nuova apertura, si trovarono dentro un lungo corridoio, con pareti, soffitto e pavimento tutto in metallo. Poco più avanti notarono una figura, tutta vestita di bianco, armata di fucile.

Prima che tutti i presenti se ne potessero capacitare, Andrea Alberti, con la mano destra già mutata in arma da fuoco, sparò contro la guardia, colpendola in mezzo alla fronte.

Quasi in simultanea, si cominciò ad udire il forte rumore di una sirena.

“Tu fatto scattare allarme, testa calda!” lo rimproverò il Soggetto N. 6.

“Cazzo!” imprecò il cecchino.

“Ok, ognuno per sé gente! Ci ritroviamo qui tra mezz’ora” ordinò l’americano, ricordando quando faceva la medesima cosa quando era piccolo con i suoi amici.

Nonostante ciò, l’unico ad allontanarsi dal gruppo fu il mutaforma. Gli altri cinque proseguirono, trovandosi all’interno di un enorme hangar.

Dopo una rapida occhiata, il biondo informò gli altri “Lì sotto è pieno di quei bastardi”.

“Ci pensò io!” disse Juna, mentre si toglieva uno stivale.

Gli altri lo fissavano perplessi.

“Così noi freghiamo i leoni” tornò a parlare l’africano, lanciando la calzatura il più lontano possibile.

Tutte le guardie si affrettarono verso il punto da cui era provenuto il rumore dell’atterraggio.

“Perfetto! Io vado avanti!” informò Wayne, prima di sparire nel nulla.

Con la sua supervelocità, non dava tempo ai suoi nemici di accorgersi della sua presenza, mettendoli ko uno dopo l’altro.

I quattro rimasti erano a loro volta ben protetti dalle fiammate del Soggetto N. 6 e dagli occhi laser del robot.

D’un tratto, un improvviso terremoto fece finire la francesina con il sedere per terra.

“Che cos’è stato?” chiese allarmata.

A rispondere a lei, come a tutti gli altri, ci pensò il russo “È stato Andrea! Ha trovato il modo di far saltare tutto in aria! Scappate più veloci che potete!”.


“Allora?! Ce l’hanno fatta?” domandava insistentemente il Soggetto N. 7.

Igor aspettò ancora qualche secondo prima di rispondere “Sì, ce l’hanno fatta”.

Tutti i presenti sulla spiaggia tirarono un grosso respiro di sollievo.


Sottacqua, lo zairese si accorse del suo compagno italiano in difficoltà. Tempestandolo d’insulti mentali per come aveva agito, lo trascinò via con sé, stando attento alla sua gamba ferita. Dopo poco, si ricongiunsero agli altri a cui si erano uniti per quella faticosa avventura.




Era ormai una settimana che Borghi perlustrava i fondali corsi, anche grazie all’aiuto del robot francese, ma di altri squali minacciosi non vi era nemmeno l’ombra.

Mentre stava risalendo in superficie, sotto forma di delfino, notò però una sagoma singolare. Essa era troppo grande per essere uno squalo ma, al contempo, troppo piccola per essere una balena. A pochi metri da lei notò che il suo corpo era totalmente formato di metallo. Sempre più allarmato, raggiunse rapidamente gli altri.


“… Ve lo giuro! C’è un sottomarino vicino alla costa! Sembra uno di quelli dei nazisti!” proseguiva nelle sue affermazioni il mutaforma.

“Un U-Boot?” chiese perplesso Andrea.

“Può anche darsi. In effetti, rientra tutto nello stile dello Spettro Bianco” ipotizzò Sara.

“Oddio! Ci mancava anche questa!” esclamò infastidito Jack.

Mentre il gruppo proseguiva nelle sue discussioni, l’occhio nascosto di un periscopio li osservava da lontano. Il sommergibile era ora quasi a pelo d’acqua e, con un meccanismo estremamente silenzioso, pronto a lanciare il suo primo missile.

Il sibilo che esso provocò, appena fuoriuscito dal mare, catturò l’attenzione degli Humana. Questi ultimi, in preda al panico, cercano di mettersi in salvo più velocemente possibile. Nella confusione, Chang Yu cadde a terra, facendo a sua volta finire sulla sabbia Silvestri.

“Mettetevi tutti al riparo che ci bombardano!” urlava a squarciagola Alberti.

Incredibilmente, il primo attacco non venne replicato dai terroristi. La calma apparente che si era venuta a creare permise al Soggetto N. 9, in un lampo, di raggiungere la responsabile della loro squadra.

“Che cosa si fa, Sara?”.

“L’unica cosa da fare è rendere inoffensivo quell’U-Boot” tagliò corto la bionda.

“Forse da qui riesco a colpirlo” propose l’italiano.

“Non siamo sicuri della sua posizione. E poi l’esplosione potrebbe avere un effetto tsunami sulla spiaggia” concluse la sua connazionale.

“Io riesco a vedere dove si trova!” esclamò la francesina.

“Benissimo! Indicamelo che così li raggiungo!” le propose il Soggetto N. 8.

Appena lei ebbe obbedito a quanto dettole, Juna si tuffò in mare, nuotando più rapidamente possibile verso il suo obiettivo.

“Ma non sarebbe meglio che qualcuno andasse con lui?” domandò l’inglese.

Sara ci pensò un po’ su, poi ordinò ”Soggetto N. 9, vai con lui”.

Wayne, per niente sorpreso da quella scelta, si tuffò a sua volta in acqua, usando le sue gambe ultrasoniche per raggiungerlo.

Senza proferir parola, l’energumeno indiano si avviò verso il bagnasciuga. Nonostante gli altri lo chiamassero a gran voce, egli seguì gli altri due.


Intanto, dentro il sottomarino…

“Signore!” uno degli addetti ai radar richiamò l’attenzione del suo superiore “I mutanti si stanno avvicinando a noi!”.

“Eccellente!” rispose il capo “Appena sono abbastanza vicini, tu attiva il congegno”.

“Sissignore!”.


Lo zairese e l’americano furono lì per lì sorpresi di ritrovare con loro il pellerossa, ma subito concentrarono le loro attenzioni verso il veicolo appena scoperto. Come ad accoglierli, da un’apertura laterale dell’U-Boot comparve un gigantesco tentacolo meccanico. Questo, nonostante la resistenza provocata dall’acqua, riuscì a separare il trio, lanciandogli contro un fendente.

Mentre Johnny cercava di ristabilire il contatto telepatico con la spiaggia, il tentacolo si avvolse attorno al più grosso di loro. Grave errore di valutazione da parte dello Spettro Bianco che vide, con suo grande rammarico, il Soggetto N. 5 spezzarlo come fosse fatto di carta.

Gli uomini in rosso e giallo ebbero però poco da esultare dato che, da dietro il sommergibile, iniziarono a comparire delle loro vecchie conoscenze: Gli squali. Questa volta, fortunatamente, senza alcun ordigno esplosivo attaccato al corpo.

Per nulla intimorito, Geran si avventò contro uno di loro, stringendolo al tronco e, senza alcuno sforzo apparente, spezzandolo ad angolo retto. Gli altri due, ispirati dalla prestazione dell’amico, partirono loro stessi all’offensiva.

Johnny attraversò letteralmente da parte a parte uno dei pesci, provocando una vera e proprio esplosione del suo corpo, facendo comparire per un attimo materia solida dove già era presente.

Juna, invece, riuscì a far azzannare tra di loro un gruppetto di pescecani, evitando un loro attacco combinato.

Vistosi definitivamente sconfitto, il sottomarino cercò di mettere in atto una ritirata disperata. I tre mutanti partirono all’inseguimento, trovandosi ad evitare vari banchi di pesci piccoli, disorientati da cotanto movimento a quelle profondità.

“Speriamo che i respiratori di Johnny e Geran siano ancora carichi…” pensava il Soggetto N. 8, sentendosi arrivare, nel giro di qualche secondo, una risposta affermativa da parte di Igor.

Con poche bracciate, furono sopra il loro obiettivo. Subito, Giunan si mise a tempestare il mezzo con devastanti pugni.

Trovato il portello esterno, lo statunitense richiamò a grandi gesti il suo compagno, chiedendogli di staccarlo di netto. Il gigante eseguì in un attimo.

Divelto anche il portello interno, l’acqua iniziò ad entrare dentro lo scompartimento.

Fatto appena capolino, il Soggetto N. 9 si vide sfiorare l’occhio da un proiettile.

“Fuori di qua, svelti!” urlò con quanto fiato aveva in corpo, vincendo anche il rumore dell’acqua che scendeva a cascata dall’alto.

Rimessosi i respiratori, Johnny e Giunan seguirono l’africano verso la salvezza.

  
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