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Autore: J85    07/10/2022    0 recensioni
Quinto ed ultimo capitolo del pentagono di racconti con protagonista Sara Silvestri.
Nello specifico, si tratta di una mia personale rivisitazione del manga "Cyborg 009", in cui la storia è stata decisamente modificata.
Inoltre, questa storia a capitoli servirà ad esplorare il mio personale universo narrativo, sviluppato durante tutti questi anni di passione per tutti questi anni di scrittura e immaginazione.
Per uno strano scherzo del destino, nove persone, di varie nazionalità e professione, si ritrovano con la propria vita totalmente stravolta dall'essere stati trasformati in mutanti, ognuno con un suo potere specifico.
Ad aiutarli, arriverà proprio la nostra Sara che li addestrerà per affrontare al meglio l'organizzazione criminale nota come Spettro Bianco, in tutta una serie di avventure, compresi what if e crossover.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Cross-over, Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 3

Le prime avventure”




Quando i nove tornarono all’edificio che, fino a qualche minuto prima, era stata la loro prigione, vi trovarono ad aspettarli una figura ormai conosciuta. La stessa donna bionda che, tramite gli schermi presenti in ogni cella, gli aveva comunicato che la loro vita d’ora in avanti era mutata per sempre, era ora in carne ed ossa di fronte a loro.

“Bentornati”.

“Ma te sei la chica bionda di prima!” urlò stupito il messicano, indicandola anche a tutto il resto della compagnia.

“Esatto. Potete chiamarmi Sara Silvestri, se volete” li informò lei.

“Sei venuta a darci il colpo di grazia?” le domandò l’italiano allarmato ma, allo stesso tempo, sorpreso di incontrare una sua connazionale, mentre stava già trasformando la sua mano destra in un’arma da fuoco.

“Niente affatto. Al contrario, sono venuta a darvi nuovamente il benvenuto alla Humana. Questa volta verrete trattati in maniera più civile, dato che avete accettato di aderire per vostra volontà al nostro progetto. Dunque, niente più prigionia ma, piuttosto, avrete ognuno una vostra camera da letto personale, con tutti i relativi comfort”.

Il gruppo, nonostante quanto detto dalla presunta padrona di casa, rimase comunque titubante.

“Allora…” prese la parola la francese “Possiamo davvero fidarci di te?”.

“Se volte seguirmi, lo capirete” concluse Sara, voltandosi per avviarsi verso l’abitazione.

Per il momento, nessuno della compagine sembrò avere l’intenzione di seguirla. Poi, il più innocente di loro, iniziò a fare qualche passo in avanti.

“Dove vai Igor?” lo richiamò preoccupata Frédérique.

Il ragazzino si bloccò un attimo, per poi voltarsi verso i restanti otto “Io mi fido di lei”.

Bastarono queste semplici parole a convincere gli adulti a seguire il russo.


Entrati nell’ingresso aprendo una pesante porta blindata, lasciata per l’occasione socchiusa, poco più avanti si trovarono davanti un enorme salone, con una decina di sedie disposte in maniera circolare. Attorno ad esse, vi erano vari mobili d’arredamento come: una libreria piena di libri dalle più svariate dimensioni, una vetrata con esposta un’elegante argenteria, un orologio a pendolo dal classico suono ritmato, una lunga tavola rettangolare appoggiata ad una parete e, attaccato al muro, uno grosso schermo, al momento spento.

“Sembra di essere ad una riunione degli alcolisti anonimi” ironizzò l’americano.

“Prego signori” la bionda ricomparve da un angolo della stanza, facendo sobbalzare dallo spavento qualcuno di loro “potete accomodarvi”.

L’africano alzò la mano per chiedere la parola “Posso sedermi per terra? Non ho mai amato granché le sedie”.

“Ma per quanto riguarda il nostro amico energumeno qui” chiese Bernardo indicando l’indiano “Siamo sicuri che la scranna reggerà?”.

Nonostante queste rimostranze, il volto della giovane donna rimase impassibile. Alla fine, tutti gli invitati presero posto.

“Bene. Se avete delle domande da pormi, sono a vostra completa disposizione” spiegò la bionda.

“Io vorrei sapere, onorevole signora, il motivo per cui siamo qui?” domandò il cinese.

“Come già vi ho anticipato ore fa, noi dell’Humana vi abbiamo recuperato per concedervi la possibilità di vendetta verso Mohammed Al-Shirida, il vero responsabile di ciò che vi è accaduto”.

“Mi domando” esordì l’inglese “come mai siamo stai scelti noi? E, soprattutto, costui è davvero così pericoloso come sembra che lei ci vuole suggerire?”.

“Purtroppo la vostra scelta è stata pressoché casuale. Una delle manie di questo emiro qatariota è proprio quella di affidarsi alla casualità, nella programmazione dei suoi piani criminali. Per quanto riguarda la sua pericolosità vi svelerò che, in sé e per sé, l’unica forza di quest’uomo è data dalle sue immense ricchezze. Tale caratteristica ha portato questa persona a compiere uno degli esperimenti più orribili e distruttivi che il mondo possa immaginare…”.

I nove, dopo queste ultime parole, rimasero con il fiato sospeso.

“… Attraverso il mercato nero più inquietante che questo pianeta possa avere, è riuscito a procurarsi due dei cervelli più letali che siano mai esistiti. Una volta avutili in suo possesso, ha dato vita alla più inquietante operazione chirurgica inimmaginabile…”.

Il pathos tra i presenti era ormai palpabile.

“Quest’uomo, o sarebbe meglio dire questo mostro, a fuso parte del suo cervello con altre provenienti dal cerebro di Napoleone Bonaparte ed Adolf Hitler!”.


La notizia più shoccante che si potesse dare fu affidata a nove persone provenienti da parti differenti del globo terrestre. Dopo tale rivelazione, furono ben pochi e insignificanti i quesiti posti alla signora Silvestri.

Uno dei più colpiti da tali eventi fu lo statunitense Johnny Wayne che, per tale motivo, ottenne il permesso di uscire fuori dall’abitazione per prendere letteralmente un po’ d’aria. Ad ampliare maggiormente le sue preoccupazioni vi erano anche le parole che Sara gli aveva sussurrato pocanzi.

“Soggetto N. 9, su di te l’Humana ripone grandi speranze dato che, secondo i nostri calcoli, sei la persona più adatta dei nove per guidare gli altri alla vittoria”.

“Cazzo!” proruppe infine l’americano “Io l’unica cosa che so guidare sono le monoposto. Non certo un gruppo di supereroi, o quel cazzo che dovremo essere!”.

“Johnny…”.

Una voce femminile lo fece voltare di scatto all’indietro. La francesina gli si portò di fianco, appoggiandogli una mano delicata sulla spalla.

“Tutto bene?”.

“Sì certo, a parte tutto questo casino!”.

“Ti capisco Johnny. Anch’io sono la prima a non credere a cosa ci sta succedendo”.

“Ma la cosa più assurda è tutta quella storia dei tre cervelli, per quello che ho potuto capire…”.

L’americano si fermò, vedendo la donna scrutare attentamente un punto imprecisato in direzione dell’orizzonte.

“Che ti succede? C’è qualcosa che non va?”.

La ballerina in un primo momento non rispose. Poi, finalmente si ridestò “No… niente. Mi sembrava che qualcosa sfrecciasse nella nostra direzione… ma mi devo essere sbagliata”.

L’altro, allarmato, si mise a fissare il medesimo punto visivo ma, a parte le cime degli alberi tutti attorno e qualche vetta montana, non riuscì ad identificare alcuna presenza minacciosa.

“Comunque, dati i tuoi nuovi poteri, non è una cosa da sottovalutare. Meglio rientrare alla base ed informare Sara di tutto ciò”.

Lei accolse positivamente la decisione presa da Wayne e, entrambi a passo svelto, rientrarono nella villa che li stava ospitando.

“Sara! Sara! Ma è possibile che non si faccia viva proprio ora?” imprecò l’uomo.

“Forse allora è meglio chiedere l’aiuto degli altri” propose dunque lei.

La coppia salì rapidamente l’elegante scala in legno che li portava al piano superiore, quello adibito alle varie camera da letto riservate ai membri del gruppo.


Una volta lì, entrarono come una tempesta dentro la prima stanza incontrata. Spalancata la porta, si trovarono davanti l’inquietante visione di un messicano in mutande.

“Oddio!” gridò la fanciulla, coprendosi la faccia rossa con le mani.

“Che c’è? Io, quando sono a casa mia, giro sempre in mutande” spiegò senza pudori Bernardo.

“Invece di perder tempo” lo canzonò il biondo “Mettiti i calzoni e vieni con noi che Frédérique pensa di aver visto qualcosa”.

I due uscirono da quella camera veloci come se dentro vi fosse la più letale delle pestilenze, tanto da non accorgersi dell’avvicinarsi di un altro essere umano.

“Che sta succedendo qui?” domandò allarmato l’italiano.

“Ah, stiamo perdendo anche troppo tempo!” sbottò Johnny “Meglio che andiamo solo noi quattro che sennò, avanti che li abbiamo avvisati tutti, potremo già essere sotto attacco”.


Il quartetto, uscito dalla villa, si avviò nella direzione che gli indicava la francese. Di colpo, un fulmine a ciel sereno si abbatté nelle vicinanze. Loro rimasero bloccati in silenzio, temendo ciò che poteva attenderli se proseguivano nella ricerca. Ma, a causa di quella morbosa curiosità verso l’ignoto a cui ogni essere umano è predisposto, i quattro ripresero il cammino.

Improvvisamente, si trovarono davanti ad una figura spettrale che lì osservava silenziosamente. Un uomo, o almeno era ciò che presumevano fosse, dai capelli canuti, la pelle di un pallido cadaverico, gli occhi freddi e bianchi come il ghiaccio e una veste del medesimo colore.

Il soldato si fece coraggio e tentò un approccio verbale “E-Ehi tu! C-Chi diavolo sei?”.

L’interpellato non sembrò dare alcun segno di risposta. Poi iniziò a muovere le labbra “Io sono il Soggetto N. 10”.

“C-Cosa?!” esclamò allibito il Soggetto N. 7.

“E cosa vuoi da noi?” chiese furioso il Soggetto N. 9.

L’albino si trincerò nuovamente nel suo silenzio di tomba. Quindi riprese la parola “Mi è stato soltanto ordinato di eliminare gli altri nove”.

“C-Cosa?! E da chi?” esclamò sempre più allibito Borghi.

“Che sia la stessa Humana?” ipotizzò sconvolta Arone.

“E se invece si trattasse dello Spettro Bianco?” propose contrariato Wayne.

“Non me ne importa una cazzo! Se vuoi venire a farci il culo, io ti aspetto!” lo provocò Alberti, che già stava mutando la sua mano destra in una Smith e Wesson.

Alla vista di tale minaccia, il nuovo arrivato fece un passo e scomparve. Letteralmente. Solo uno dei quattro intuì cosa fosse appena successo e, per tutta risposta, parti egli stesso all’inseguimento.

Mentre tutto l’ambiente attorno a lui sfrecciava sfuggente, l’americano si mise a pensare “Possibile che abbia anche lui la supervelocità? Che gli abbiano dato il mio stesso potere? Però, se fosse stata l’Humana, avrebbe dovuto indossare la nostra stessa uniforme. Invece la sua è anche troppo… bianca!”.


Nel frattempo, il Soggetto N. 3 si mise ad urlare “Fermati N. 10! Se anche tu sei stato trasformato in un mutante come noi, non dovresti attaccarci ma, anzi, potresti diventare un nostro alleato!”.

L’interessato si fermò di colpo davanti alla donna.

“No! Ferma, piccola! Non capisci che è un nostro nemico!” pensò il biondo, oppure parlò tanto veloce da non essere compreso.

Il Soggetto N. 10 sembrò colpito dalle parole della donna. I suoi occhi iniziarono a brillare di una luce sinistra, per poi emettere due raggi laser verso di lei. Il velocista fece appena in tempo a salvarla.


“Al diavolo! Io me la squaglio!” sentenziò il baffuto, mentre iniziava a mutare forma in un ghepardo, per cercare di sfuggire più rapidamente.

Purtroppo, tale procedura, non gli permise di vedere l’enorme gorilla di montagna che gli piombò rovinosamente addosso.

“Figlio di puttana perché non te la vedi con me?” ma, nonostante la quantità infinita di pallottole sparategli contro da Andrea, la sua pelliccia sembrò non risentirne affatto.

Accortosi di tale fastidio, il suo avversario riprese infine la sua forma, questa volta però presentava stretta fra le dita una minacciosa bomba a mano.

“Oh cazzo!” imprecò l’altro mentre saltava appena in tempo per evitare danni peggiori dovuti all’esplosione.


Il biondo tornò nuovamente ad affrontarlo “Allora sei soltanto un lurido copione!”.

L’albino lo squadrò serafico. Nel giro di un secondo, entrambi scomparirono dalla vista umana.

In tutta la foresta, due folate di vento s’inseguivano, facendo lo slalom fra i tronchi dei vari alberi presenti. Nel contempo, i due sfidanti non si perdevano d’occhio, mentre tutta la realtà attorno a loro andava al rallentatore. Mentre proseguivano, Johnny notò gli occhi del nemico tornare ad illuminarsi minacciosamente. Si bloccò appena in tempo per evitare la traiettoria dei due raggi laser.

“Cazzo! Questo bastardo riesce ad usarne anche due alla volta!” constatò allarmato lo statunitense.

Perso di vista il N. 10, il Soggetto N. 9 si mise a controllare rapidamente tutto l’ambiente circostante. Mentre proseguiva nella sua ricerca, sentì uno strano sibilo farsi via via sempre più nitido. Ancora una volta, si scostò appena in tempo per evitare un enorme masso destinato alla sua testa.

“Fatti vedere, brutto figlio di puttana!” urlò disperato l’americano.

Per tutta risposta, fu investito da una pioggia di pallottole che, fortunatamente, o lo mancarono o s’infransero contro la sua uniforme antiproiettile. Preso dal panico, Wayne fuggì via trovando rifugio dietro il fusto di un abete.

“Non ce la faccio ad affrontarlo da solo!” confessò a sé stesso il velocista “Dove sono finiti tutti gli altri?”.

Mentre riprendeva fiato, si accorse che la foresta si era fatta silenziosa in maniera allarmante. Dopo un tentennamento iniziale, si decise a fare capolino per controllare la situazione. Tutto sembrava calmo e tranquillo. Troppo calmo e tranquillo.

Come nel peggior incubo immaginabile, tutto il bosco circostante iniziò a mutarsi. Gli alberi, i sassi ed anche qualche foglia in qualcosa dalla forma nettamente più umana.

“Oh merda!” imprecò con un filo di voce il mutante mentre, davanti a lui, si presentava ora un intero esercito formato da individui tutti praticamente identici al Soggetto N. 10.

“Non è possibile…”.

“Sì, lo è”.

Preso com’era nell’ammirare quell’inquietante spettacolo, Johnny non si era accorto di avere al suo fianco proprio lo stesso rivale albino.

“M-Ma cosa ti hanno fatto?”.

“Loro sono tutti miei fratelli”.

“Giusto un gruppo di scienziati nazisti poteva pensare ad una tale follia!”.

“Per te sono folli, per noi sono geni. Ora, Soggetto N. 9, sai cosa ti aspetta…”.

L’interessato lo sapeva. Chiuse gli occhi quando cominciò a vedere, tra i vari gemelli, alcuni con gli occhi già luminosi, altri con le bocche già fiammeggiante, mentre molti stavano già tramutando parti del loro corpo nelle più svariate armi da fuoco.

Il corpo del pilota tremava tutto, aspettando di percepire il più grande dolore possibile che l’avrebbe di certo portato alla morte. Tale attesa sembrava non avere mai fine. Non avvertendo ancora alcuna sensazione, il condannato si decise infine a sollevare appena una palpebra.

“Dove sono?” esclamò, mentre osservava le onde che si infrangevano contro gli scogli. Tutto ciò avveniva nel fondo dello strapiombo dove ora si trovava il biondo.

“Johnny mi senti?”.

“C-Chi sei?” domandò nuovamente al vento.

“Sono Igor, sto parlando direttamente dentro alla tua mente. Ho fatto appena in tempo a trasferirti lontano da loro, grazie alla telecinesi”.

“Allora ora dove mi trovo?”.

“Sei a qualche chilometro da loro. Più in là non ho potuto portarti perché, appena ti hanno visto scomparire, hanno subito cominciato a cercarti, anche scandagliando tutto il territorio telepaticamente”.


Come aveva previsto il ragazzino russo, i mutanti albini, oltre ad utilizzare la telepatia, sfruttavano anche la super velocità e la capacità del volo.


Nel quartier generale degli Humana, tutti i restanti Soggetti, compresi i tre che avevano inizialmente accompagnato Wayne nella loro sfortunata fuoriuscita, circondavano Wansa che, nel frattempo, proseguiva con l’istruire il compagno in difficoltà.

“Eppure ci sarà un modo per poterli sconfiggere, evitando di usare qualsiasi ordigno atomico” chiese isterico l’americano.

“L’unica tua possibilità, mi sta dicendo Sara, è quella di usare la tua velocità per metterli gli uni contro gli altri”.

“Quindi voi non avete intenzione di muovere il culo per aiutarmi?”.

“Noi dobbiamo rimanere qui alla base, nel caso decidessero di attaccarci tutti in massa”.

Soggetto N. 9 ci rifletté un attimo. Poi partì a tutta velocità per mettere in atto, o per lo meno tentare di farlo, il piano del suo gruppo. Fatto appena qualche metro, notò l’arrivo di tre nemici. Fu allora che il velocista iniziò a correre attorno a loro, sperando che questi ultimi lo seguissero come le pecore fanno con il pastore. I tre, come auspicato, partirono al suo inseguimento. dopo qualche minuto di corsa circolare, uno del trio prese la direzione opposta, pensando di bloccare il fuggitivo. Ma era proprio ciò che voleva l’americano.

Scansandosi all’ultimo microsecondo, mandò i tre a scontrarsi frontalmente tra loro.

“Bingo!” esultò festante il vincitore.

Esaltato dal suo primo successo, lo statunitense mise in atto tutta una serie di disfide, portando in poco tempo tutti i cloni a darsi battagli fra di essi. Nel pieno della lotta, come se qualcuno avesse premuto un interruttore invisibile, tutti i Soggetto N. 10 presenti collassarono al suolo.

Mentre l’unico uomo in piedi era rimasto a bocca aperte nel vedere tale spettacolo, la voce nella sua testa tornò a farsi sentire “C-Ci sei Johnny? Com’è andata?”.

“È stato più divertente che guidare in una monoposto! Poi però è successo qualcosa di strano… tutti i mutanti sono svenuti, o almeno spero siano soltanto svenuti”.

“Lo sappiamo Johnny” lo informò Igor “Sara ci ha informato che è intervenuta la stessa Humana per risolvere la situazione”.

“E non potevano pensarci prima?! Comunque adesso cosa faccio io?”.

“Forse era per metterti alla prova. Dicono che devi rientrare alla base”.

Nonostante fosse ancora perplesso, alla fine Soggetto N. 9 obbedì agli ordini.




Tutto l’ambiente circostante sembrava essere tornato sereno. Anche se, e di ciò ne erano coscienti gli stessi Humana, difficilmente tale situazione sarebbe durata ancora per molto, in particolar modo ora che lo Spettro Bianco sapeva dove erano rifugiati i nove mutanti.

Come a presagire una nuova tempesta, nello stesso suolo in cui il velocista del gruppo aveva affrontato i molteplici cloni albini, iniziò a crearsi una lieve crepa. Mano a mano che i secondi passavano, tale incrinatura si allarga sempre più, fino a raggiungere il livello di una vera e propria voragine. Raggiunto un diametro di parecchi metri, la furia si placò. A poco a poco, da quell’apertura cominciò ad emergere un inquietante obelisco.


“R-Ragazzi! Ci sono altri problemi!” Igor avvertì il resto del gruppo, che nel frattempo stava dando il bentornato a Johnny.

“Cosa? Ma se sono appena rientrato!” protestò rabbioso l’americano.

“A quanto pare” s’intromise Sara “lo Spettro Bianco non vuole darci tregua. Dato che Soggetto N. 3 è priva di sensi, Soggetto N. 1 riesci a percepire di cosa si tratta?”.

“Purtroppo non con chiarezza. Ma, da quando è apparsa questa nuova minaccia, non sento più l’esistenza dei cloni”.

Senza proferir parola, il più massiccio della comitiva si avviò verso la porta d’ingresso.

“Dove vai, capo?” tentò di fermarlo Wayne.

“Fuori” tagliò corto Giunan.

“Qualcuno vada con lui!” ordinò Silvestri.

“Vado anch’io!” informò gli altri Juna.

“Eh sia! Almeno morirò da eroe!” lo seguì Jack.

Vedendo altre tre persone uscire dalla villa, Johnny sbraitò contro i pochi rimasti presenti “Dove sono gli altri che erano usciti con me? E come mai Sara ha detto che Frédérique è priva di sensi?”.

“Cerca di darti una calmata, onorevole Wayne” lo richiamò Chang “I tre compagni che erano con te sono stati condotti nell’altra stanza, per fargli recuperare un minimo le proprie forze”.

Come un lampo, il pilota si proiettò verso la camera adiacente, dove trovo, sopra a tre brande, il trio con cui aveva affrontato Soggetto N. 10. Dei convalescenti, solo Andrea si era già rialzato dalla posizione distesa.

“Johnny, che sta succedendo lì fuori?” cercava d’informarsi l’italiano.

L’altro non lo ascoltò nemmeno, preoccupato com’era verso la salute della francesina. Con una nuova fierezza nel suo sguardo, ripartì ad alta velocità verso l’esterno.

“Soggetto N. 9!” tentò inutilmente di richiamarlo Sara.


In un attimo, lo statunitense si trovò a rimirare il torreggiante profilo dell’obelisco, la cui punta sembrava perforare addirittura il cielo.

“Che cazzo è quello?” esclamò nel vederlo.

“Johnny? Che ci fai tu qui?” gli domandò Lincoln, che arrivò planando dall’alto.

Ma prima che lui potesse rispondergli, una voce potente provenne dal monumento.

“Dunque è presente anche Johnny Wayne”.

I quattro rimasero immobili nell’ascoltarlo.

“Vi informo subito che non sono qui per combattervi, a meno che non me ne diate possibilità. Sono qui per darvi la grande occasione di unirvi a noi, dato che siamo stati noi stessi a crearvi. Voi nove avete avuto la grande opportunità di migliorare le vostre vite, utilizzando le nuove capacità che vi abbiamo concesso”.

“Grande opportunità un cazzo!” gli rispose a tono il biondo “Che grande opportunità avremo nel metterci agli ordini di un idiota che si è impiantato nel cervello tutta quella merda?!”.

“Se questo è ciò che pensate, non mi rimane che una soluzione”.

Un rettangolo luminoso iniziò a brillare sulla parete liscia dell’obelisco.

“Attenti!” avvertì appena in tempo i compagni Soggetto N.8, poco prima che un raggio calorifero si abbatté al suolo.

Il nemico immobile sparò nuovamente, questa volta andando a colpire il terreno al di sotto dell’indiano. Una nuova piccola voragine si andò a creare, facendo inabissare il nerboruto uomo fino alla cintola.

“Maledetto!” imprecò il pellerossa.

Gli altri tre si avvicinarono al loro amico in difficoltà.

“Scappate voi!” gli urlò contro Geran.

Nel frattempo, sulla superficie dell’obelisco comparirono altri due rettangoli luminosi. Senza alcun preavviso, iniziarono a prendere di mira i mutanti ancora in grado di muoversi. Il trio scelse allora tre differenti vie di fuga: Il soggetto N. 2 in aria, il N. 9 sulla terra ed il N. 6 nel mare lì vicino.

I raggi continuavano a balenare nel tramonto come fossero stelle impazzite.

L’inglese tentò di comunicare con l’americano “Ci deve essere pure un modo per distruggerlo!”.

“Io proverò ad attaccarlo frontalmente. Te invece attaccalo dall’alto” propose un Johnny Wayne ancora in piena corsa.

Effettuando un inversione ad U, arrivò alla base del monumento alla massima velocità. Giuntò lì, iniziò a colpirlo ripetutamente, con l’unico risultato di non averlo scalfito minimamente.

Contemporaneamente, in cielo, il dandy lanciava urla belluine ad un raggio evitato.

Ripartito nella sua folle corsa, il Soggetto N. 9 riuscì appena in tempo ad evitare un altro colpo che poteva essere fatale. Nel farlo, si sbilanciò e cadde al suolo a metri distanza. Nel rialzarsi, ebbe un’illuminazione.

“Jack!” urlò al suo compagno volante “Forse possiamo sconfiggerlo se lo colpiamo in uno dei punti da cui partono i raggi laser!”.

“E con cosa lo colpiamo?”.

“Non lo so! Te hai qualcosa da usare?”.

Il britannico ci pensò un attimo su. Poi, cercando in una tasca all’interno della cintura, tirò fuori un suo personale portafortuna: un piccolo teschio di cristallo.

Intanto, l’obelisco sembrò quasi attendere il nuovo attacco dei suoi rivali.

Quando Johnny vide il segno di assenso effettuato dal capo del suo amico in aria, scattò nuovamente verso il nemico. Come da previsione, un rettangolo riprese ad illuminarsi e, con una mira inaspettatamente eccezionale, Jack riuscì a centrarlo in pieno, mandando in frantumi lo stesso soprammobile.

Inizialmente l’obelisco non sembrò minimamente scalfito poi, a poco a poco, su e di esso cominciarono ad apparire crepe sempre più rilevanti finché, con un frastuono infernale, crollò al suolo in mille pezzi.

L’ultima cosa che pronunciò urlando fu “Siete già morti!”.

Il velocista, per evitare qualsiasi tipo di danno, si portò a metri di distanza mentre il nativo americano fu miracolosamente illeso, anche grazie alla sua robusta costituzione.


Nel sopraggiungere al luogo della battaglia, Wansa, Yu e Silvestri trovarono i due anglofoni accasciati uno accanto all’altro.

“State bene ragazzi?” per la prima volta gli Humana videro una Sara visibilmente preoccupata.

“Tutto ok!” rispose un esausto Wayne “Cercate piuttosto di liberare Geran da lì dentro” indicandoglielo.

“E come facciamo?” chiese perplesso il cinese.

“Potresti pensarci tu” gli suggerì il russo.

“E come?”.

“Puoi usare il tuo fuoco per rendere più malleabile la terra attorno al suo corpo, così lui potrà liberarsi con più facilità”.

L’asiatico ci rifletté un attimo su. Poi decise di attuare il piano del ragazzino. Tutto ciò riuscì alla perfezione.

“Ehilà gente!” salutò il resto della comitiva un Soggetto N. 8 con l’uniforme ancora bagnata.




“Finalmente sono riuscito ad avere un po’ di pace” fu il pensiero dell’americano mentre, sdraiato al suolo, escludeva tutto il mondo attorno a lui chiudendo le palpebre. Le foglie che cadevano dai rami sopra di lui, come per una specie di riverenza verso il mutante, gli atterravano tutte attorno.

Un leggero scricchiolio lo fece tornare alla realtà.

“Scusami Johnny” sussurrò appena Frédérique “Ti ho svegliato?”.

“No, tranquilla tesoro. Sdraiati qui insieme a me” la invitò il biondo.

La francesina obbedì, continuando a guardarsi ripetutamente attorno.

“C’è così tanta vita in questa foresta. Senza questi occhi speciali di certo non me ne sarei mai accorta”.

Il pilota di Formula 1 sghignazzò leggermente “Non dirmi che anche a te fa piacere essere stata cambiata…”.

“Beh non posso certo dire che mi dispiaccia. Con la mia vista, ora riesco a vedere anche il più piccolo lineamento su una foglia mentre sta cadendo.”

Nonostante quanto detto in quest’ultima affermazione, il Soggetto N. 3 non notò la presenza di un estraneo, proprio nella stessa boscaglia in cui i due membri dell’Humana si stavano rilassando.

Si trattava nello specifico di un tizio dalla media statura, vestito con un lungo impermeabile marrone e con in testa una cappellaccio sgualcito del medesimo colore.

“Ho raggiunto l’obiettivo” affermò apparentemente soltanto a sé stesso.


All’interno della villa, che fungeva da quartier generale per il gruppo, il resto dei mutanti si stava via via abituando a quell’enorme abitazione.

Era ormai da parecchi minuti che Andrea stava mutando la sua mano destra nelle più svariate armi da fuoco che aveva in testa. Colpito da ciò, Bernardo gli si fece vicino.

“E’ davvero una figata! Vero, amico?” esclamò entusiasta.

L’italiano, per tutta risposta, gli lanciò uno sguardo feroce che non ammetteva repliche. Il messicano, di conseguenza, capì l’antifona e gli si allontanò rapidamente.

Nel proseguo della sua personale odissea, notò l’indiano d’America accovacciato al suolo, in uno stato di profonda meditazione.

“C-Che sta facendo?” domandò incuriosito.

A dargli una risposta ci pensò Chang “Penso che stia pregando i suoi dei, o almeno così credo”.

In un altro angolo della sala, l’africano ed il russo si dilettavano nel giocare con dei soldatini di legno finemente lavorati.

Improvvisamente, il più giovane dei due alzò di scatto la testa.

“Che cos’hai Igor?” gli chiese allarmato Jack.

Wansa non gli diede udienza ma, invece, si affrettò a contattare telepaticamente i due componenti che si trovavano all’esterno dell’edificio.

“Johnny… Johnny mi senti? Sono Igor…”.

Wayne, dopo un iniziale sobbalzo, rispose al ragazzino come se usasse il più semplice degli apparecchi telefonici “Ti sento Igor, anche se comunicare in questa maniera mi sembra ancora alquanto assurdo”.

“Perdonami Johnny ,ma ho rilevato la presenza di un intruso non lontano da voi”.

“Un intruso? Dove si trova?”.

“A circa 300 metri alla tua sinistra”.

Appena saputa l’ubicazione del nemico, il Soggetto N. 9 scattò in piedi e, nel giro di un secondo scarso, aveva già atterrato lo sconosciuto.

“Chi cazzo sei tu?” gli inveì contro, mentre lo teneva schiacciato contro il terreno.

L’uomo a terra, inizialmente sorpreso dal repentino attacco subito, riuscì a colpire l’avversario con un calcio all’inguine, tornando nuovamente libero.

Il biondo digrignava i denti, più per il forte dolore provato che per aver abbassato imprudentemente la guardia, riuscendo a malapena a rimettersi in piedi.

“Figlio di puttana!” urlò mentre ripartiva alla carica.

Il fuggitivo, questa volta, tirò fuori dal suo impermeabile una pistola, riuscendo a sparare un colpo.

Per il velocista fu un gioco da ragazzi evitare il bozzolo che, dalla sua visuale super accelerata, procedeva con una lentezza assoluta.

Raggiunto il nemico, lo statunitense lo mise definitivamente al tappeto con un gancio destro.


“… Ciò dimostra ancora di più che lo Spettro Bianco conosce la nostra posizione” concluse il suo ragionamento Sara Silvestri, mentre osservava il prigioniero.

L’uomo, momentaneamente legato con una corda attorno al corpo, presentava in testa, senza più il suo copricapo, dei capelli scuri pettinati all’indietro in maniera impeccabile, grazie al presunto uso di gel.

“Non vedo l’ora che si svegli così ci penserò io a farlo cantare a dovere!” esclamò esaltato il Soggetto N. 7.

Come a dare ascolto alle sue richieste, l’intruso si ridestò di colpo.

“Ok gangster…” partì all’attacco il baffuto “Dicci subito chi ti manda o altrimenti ti pentirai di essere nato!”.

Lo sconosciuto non fece una piega.

“Ora che hai finito di fare il buffone, lascia fare ai professionisti” lo spintonò via in malo modo Alberti.

Inginocchiatosi di fronte a lui, tramutò la sua mano destra in una glock, puntandogliela poi dritta in fronte.

“O spari o muori, a te la scelta”.

Il prigioniero dimostrò ancora una volta grande freddezza “Sono pronto a morire per i miei ideali”.

“Fermati Andrea!” lo richiamò l’americano.

“La sua è una volontà di ferro. Non parlerà” informò il gruppo il Soggetto N. 1, dopo aver provato inutilmente a penetrargli in testa.

“Humana! Usciamo un attimo di qui e decidiamo come agire!” ordinò perentoria Sara al resto del gruppo.

Dopo che il Soggetto N. 5 ebbe chiuso vigorosamente la porta della cella, tutti i presenti si riunirono in cerchio.

“Pensate che sia saggio lasciarlo da solo?” chiese preoccupato l’inglese.

“Legato così dove vuoi che vada?” sentenziò il Soggetto N. 9.

“Ma farà davvero parte anche lui dello Spettro Bianco?” espose il suo dubbio il cinese.

D’un tratto, si udì una forte esplosione proveniente da dentro la camera.

“Cos’è stato?” gridò lo zairese.

Il gruppo si precipitò dentro la stanza, trovandola con una nuova aperta sul muro che dava verso l’esterno.

“L’avevo detto io che non bisognava lasciarlo da solo!” fece presente Lincoln.

“Questi muri vengono giù anche troppo facilmente” osservò ironico Borghi.

“Col cazzo che lo faccio scappare quel bastardo!” esclamò il velocista prima di scomparire apparentemente nel nulla.

Arone si avvicinò alla breccia ed urlò al vento “Non puoi andare sempre da solo Johnny!”.


Un saetta rossa e gialla sfrecciava quasi impercettibile tra il verde della foresta. Con uno sguardo altrettanto rapido, il cacciatore dava la caccia alla sua preda.

Appena un attimo, ma lo vide. Rallentò drasticamente la sua andatura, tanto da cadere nella trappola. Come si vedeva fare per catturare i conigli, ora Johnny Wayne penzolava a testa in giù inerme, con la propria caviglia destra stretta ad una liana di un albero.

“Cazzo!” imprecò, mentre cercava inutilmente di tirarsi su per liberarsi.

Dopo ripetuti tentativi, tornò nuovamente a lasciarsi pendolare nel vuoto. Giusto in tempo per sentire lo sparo. Certo della sua morte, aspettò in silenzio la fine.

Ma il bersaglio a cui mirava il cecchino non era il giovane ma bensì l’appendice vegetale. Con un tonfo sordo, il biondo ricadde di schiena al suolo.

“Ti stavi divertendo, Johnny?” lo canzonò il Soggetto N. 4.

“Finalmente siete utili anche voi!” sbuffò seccato lo statunitense, mentre si ripuliva l’uniforme dal terriccio.

La coppia non ebbe tempo di dare seguito ai propri battibecchi perché, proprio di fronte a loro, si presentò lo stesso uomo misterioso fuggito pochi istanti prima.

“Fermò lì e non muoverti!” lo mise subito sotto tiro Andrea.

“Prediamolo ora che è disarmato!” esclamò Johnny pronto a partire.

Improvvisamente però, qualcosa nel volto del nemico sembrò cambiare. Dei piccoli puntini neri si avvicinavano sempre più ai due. Fortunatamente, questi ultimi ebbero grande prontezza di riflessi e si buttarono di lato. Furono altrettanto rapidi nel rimettersi in piedi e controllare la corteccia del fusto dietro di loro. Conficcata in essa vi erano, di fatti, tanti piccoli e rigidi aghi scuri.

“Ma che diavolo?” l’americano ancora non comprendeva cosa essi erano.

“Non posso crederci…” gli diede la sconvolgente risposta l’italiano “quelle sono le sue ciglia”.

“Che cazzo stai dicendo?” gli sbraitò contro il compagno, il quale si rifiutava nella maniera più assoluta di credere a quell’assurdità.

“Il tuo collega ha ragione, biondino”.

Il duo tornò a squadrare l’avversario, tornato nuovamente loquace.

“Io sono in grado di sparare contro i miei rivali le mie ciglia. Inoltre, riesco anche a farle ricrescere in meno di un secondo. Ovviamente, ora crederete che non sia poi un’arma così terribile. Perciò ci tengo ad informarvi che esse sono, oltre che più dure del diamante, velenose come il più letale dei serpenti”.

I due membri dell’Humana rimasero immobili nell’attendere la prossima mossa del nemico.

Alla fine, Wayne ruppe il silenzio “Quindi fai parte anche te dello Spettro Bianco?”.

“Esattamente” rispose secco l’interessato.

“Qual è il tuo nome?” riprese questa volta l’ex-militare.

“Immagino che posso concedervi di saperlo, come vostro ultimo desiderio. Io mi chiamo Nicolas Simon e…”.

L’uomo dovette improvvisamente interrompere la sua presentazione a causa di una stretta mortale che gli serrava la gola. Il dialogo fra i tre si rivelò infatti un efficace modo di guadagnar tempo, attuato dai mutanti, nell’attesa che entrasse in azione un loro alleato. Un serpente, di notevoli dimensioni, si era lentamente calato da un ramo al di sopra del trio.

Mentre il viso del presunto francese stava già pericolosamente divenendo paonazzo, quest’ultimo tentò nuovamente un altro attacco con le sue piccole e letali armi ma, dato che aveva già il capo sollevato dalle spire del rettile, anche questa volta non colpirono alcuno dei suoi obiettivi.

“Forza Bernard,o uccidilo!” lo spronava Alberti.

“No, aspetta! Potrebbe sempre esserci utile come ostaggio!” gli ricordò invece Wayne.

Nel frattempo, ritrovandosi nuovamente prigioniero, Simon tentò un ultimo disperato stratagemma, cercando disperatamente qualcosa nella tasca del suo impermeabile con l’unica mano libera, mentre l’altra lottava inutilmente contro l’animale.

Fortunatamente, gli occhi del pilota di Formula 1 erano allenati ad individuare anche il più piccolo dei dettagli “Attento Berny! Ha una bomba!”.

Il mutaforma strabuzzò un attimo gli occhi e, seguendo l’istinto, morse il nemico alla clavicola.

Il sicario gemette appena e, una volta lasciato cadere l’ordigno, con ancora la spoletta inserita, si allontanò in una fuga sempre più zoppicante. Fatto ancora qualche passo, scivolò da un breve dirupo dentro un ruscello quasi del tutto secco.

L’ultima voce che sentì in vita sua fu caratterizzata dall’accento americano.

“Nicolas, mi senti? Chi ti ha mandato qui da noi? Dove sono? Ti prego, rispondimi!”.

L’uomo morente sillabò appena “Torna alle origini, Johnny”.




Fin da piccolo gli erano sempre piaciute le sfide di velocità. Cominciando dalle biciclette con gli altri ragazzini del vicinato, arrivando poi ai gran premi tra le vetture della Formula 1. La nuova frontiera di questo suo particolare hobby, divenuto poi vera e propria professione, lo vedeva ora, a piedi, confrontarsi con un treno merci nello stato dell’Indiana.

“In effetti non ci sono altre possibili spiegazioni…” rimuginava per l’ennesima volta il velocista.


Qualche ora prima


“… “Torna alle origini”. Ecco tutto ciò che mi ha rivelato prima di morire” terminò il suo resoconto al resto della squadra.

“Probabilmente si riferisce al tuo paese di origine” ipotizzava una comunque dubbiosa Sara “Oppure, se si riferisce alle tue origini come mutante e non come essere umano, può voler dire che devi tornare ad Indianapolis, dove ti abbiamo raccolto noi dell’Humana”.

Alla fine il biondo sbottò “È inutile stare qui a perdere ulteriore tempo, io mi metto subito in viaggio! Se ci sono novità avvisatemi tramite Igor”.


Dopo altri secondi, era finalmente davanti all’Indianapolis Motor Speedway, il circuito automobilistico più famoso d’America.

“Perfetto!” disse soddisfatto Wayne “Ed ora che sono qui, cosa faccio?”.

Mentre il nostro era impegnato dai suoi mille quesiti, a pochi metri da lui si stava svolgendo una delle più classiche scene tra studenti, per la precisione tre di essi avevano fregato il sacchetto della merenda ad un quarto. Quest’ultimo si presentava come un ragazzone di quasi 2 metri, capelli castani quasi rasati ed un segno inequivocabile di obesità.

“Forza ciccione! Riprenditi il tuo cibo!” lo sbeffeggiava uno dei tre bulli, mentre gli altri due sghignazzavano sguaiati.

Il Soggetto N. 9, nonostante si ricordasse bene che anche lui, in passato, era stato l’artefice di tale comportamento scorretto, sapeva che ora non poteva lasciar perdere. Ora era un eroe.

“Ehi, coglione! Ridagli subito il suo pranzo!”.

Il trio si voltò all’unisono verso il tizio vestito in rosso e giallo.

“E te chi cazzo sei? E come cazzo sei vestito?”.

“Ma quello non è Wayne?”.

“Già! Oppure è uno che gli somiglia molto! Magari sta girando un spot pubblicitario…”.

“Allora! Non mi hai sentito?” insistette il mutante.

“Perché? Se non glielo restituisco, che fai?” lo provocò quello che sembrava il capo.

Sul viso del pilota tornò a disegnarsi un sorrisetto furbo.

In un attimo, il sacchetto unto si trasferì magicamente dalle mani del bullo a quelle del suo legittimo proprietario.

“Ma che cazzo?! Come hai fatto?” imprecò il giovane verso quell’uomo che, secondo la sua vista umana, non si era mosso di un millimetro.

“Ora levatevi dalle palle sennò, fidatevi, potrei fare molto peggio” li minacciò senza possibilità di repliche.

Come dei fulmini, i tre si dileguarono nei meandri urbani.

Soddisfatto del suo operato, il biondo si avvicinò alla vittima “Stai bene? Ricordati che non devi mai farti mettere sotto da quella gente!”.

“G-Grazie” rispose a malapena lui.

“Inoltre uno come te, grande e grosso, non può farsi mettere sotto da certi idioti!”.

Il ragazzone, apparentemente ritardato, continuava a fissare il suo salvatore con un aria inebetita in volto.

Johnny tentò nuovamente con il dialogo “Come ti chiami?”.

“Otto”.

“Otto? Ma sei di queste parti?”.

“Sì. Mia madre Germania”.

“Ok…” disse, comprendendo approssimativamente che sua madre era di origini tedesche “Si sta facendo tardi, faresti meglio a rientrare a casa ora”.

Otto, dopo aver salutato il suo nuovo conoscente, decise di seguirne il consiglio.

Il Soggetto N. 9 seguì con lo sguardo il tragitto dello studente. Di colpo, vide una macchina bianca che, arrivata a tutta velocità, gli si fermò vicino sgommando. Subito da essa uscirono due persone che, con gran rapidità, obbligarono il ragazzo ad entrare con loro nel veicolo, che ripartì subito dopo.

Rimasto letteralmente sbigottito da quel sequestro fulmineo, lo statunitense partì subito all’inseguimento. notò subito che il guidatore dell’auto era davvero abile, riusciva ad evitare le vetture che gli si presentavano davanti con grande maestria. Chi trovò invece difficoltà fu proprio lo stesso Johnny Wayne che, a causa della sua mente concentrata esclusivamente sulla macchina, inciampò su un dosso antivelocità presente sulla strada cittadina. Dopo un violento ruzzolone, andò a schiantarsi contro un distributore di giornali lì vicino. Rimessosi faticosamente in piedi, con subito un nugolo di curiosi accorso attorno a lui, ripartì alla caccia senza dare alcune spiegazioni.

“Quei bastardi me la pagheranno!” inveiva furioso il mutante in corsa.

Sempre più spericolata, l’automobile passò a pochi centimetri dal muso di un’autocisterna. Questa, rallentando appena in tempo per evitare l’urto, presentava ora di fronte al velocista il proprio rimorchio. L’inseguitore, non rallentando minimamente, la superò correndoci sopra, appoggiando appena le punte dei piedi sulla superficie rotonda.

“Perché poi avranno rapito proprio Otto e non me? Se ovviamente anch’essi sono dello Spettro Bianco…” proseguiva nei suoi pensieri durante la corsa disperata.

A questo punto, fu un gioco da ragazzi evitare ogni singolo operai presente in un cantieri per lavori in corso. Nel mentre, il lunotto della macchina era sempre più vicino. La mano del mutante riuscì quasi a sfiorarlo, poco prima che essa svoltasse improvvisamente a destra.

Giunti nei pressi di un parco giochi l’auto scavalcò, sobbalzando violentemente, un paio di aiuole, per dirigersi nello spiazzo sterrato al centro di esso. Su un altalena lì presente, vi era una bambina dai capelli corvini acconciati in due codini laterali. Il veicolo ci stava andando a sbattere contro. Notato ciò, il Soggetto N. 9 aumentò ancora di più la frequenza dei suoi passi e, appena in tempo, riuscì a salvare la vita della bimba.

“Stai bene, piccola?” le domandò preoccupato l’uomo.

“S-Sì” riuscì malapena a rispondere la ragazzina.

Nel frattempo, dall’automobile erano usciti in tre, più l’ostaggio, tutti di bianco vestiti.

“Immagino siate dello Spettro Bianco…” urlò al gruppetto, lontano da lui di almeno una ventina di metri “Lasciate in pace quel ragazzo e vedetevela con me!”.

“Davvero mutante pensi di essere nella posizione giusta per darci degli ordini?” gli replicò uno di loro.

“A me non interessa far parte di questa guerra fra bambini! Ma ben che meno voglio che sia coinvolta gente come Otto! Quindi, lasciatelo andare!”.

“Guerra fra bambini? Come osi tu, razza inferiore?” s’infuriò l’altro interlocutore “Comunque, se davvero tieni a questo idiota, sappi che noi non lo stiamo costringendo affatto!”.

Wayne rimase spiazzato da queste ultime parole. A riprova di esse, però, Otto iniziò ad incamminarsi verso la figura in rosso e giallo, con i suoi presunti sequestratori immobili dietro di lui.

Il biondo, con pochi rapidi passi, gli fu accanto.

“Che ti succede, Otto? Scappa ora che puoi!”.

“Tu… Humana…” biascicò appena il ritardato.

“Cosa? Aspetta, cosa ti ha detto quella gente?” cercò di comprendere meglio la situazione.

L’energumeno riprese a muoversi. Effettuati pochi passi, si posizionò dietro l’americano. Con un’impensata rapidità, cinse le sue muscolose braccia attorno alla sua vita e, con un perfetto supplex, lo mandò a schiantarsi al suolo.

Dopo lo shock iniziale, l’uomo a terra iniziò a percepire ben chiaro il dolore al collo. Con gran fatica, riuscì a mettersi gattoni, dando così una nuova opportunità al suo avversario per atterrarlo una seconda volta.

“Otto…” riuscì appena a sospirare, a corto di fiato “Puoi anche far parte di quelli dello Spettro Bianco, ma io non ti attaccherò”.

Il lottatore provetto sembrò esitare un attimo. Poi partì con una chiave articolare al collo dello sfortunato avversario. Ora il fiato era del tutto assente per il mutante.

“Ri… Ricordati una sola cosa Otto… quelli che ti hanno portato qui, hanno quasi investito una bambina… io l’ho salvata”.

Inizialmente, le parole dello statunitense sembrarono non scalfire minimamente il gigante ritardato. Con il passare dei secondi, però, la sua stretta si fece sempre più larga, fino allo sciogliersi del tutto.

Con l’aria nuova che gli entrava nei polmoni, Johnny non smetteva di tossire, mentre Otto si rimetteva lentamente in piedi.

“Cosa fai idiota? Finiscilo!” urlò alle sue spalle uno dei terroristi.

Il nerboruto rimase immobile. Fu allora che gli altri iniziarono ad inveirgli contro. Fino allo sparo.

Il Soggetto N. 9, ancora a terra, alzò di scatto il capo, notando una macchia rossa nel gilet beige del giovane farsi, via via, sempre più ampia.

Come una sequoia abbattuta, Otto cadde esanime al suolo.

L’americano, con gli occhi sbarrati dal terrore, gridò disperato il nome della vittima, cercando inutilmente di risvegliarlo scuotendogli le spalle enormi.

Con le lacrime che gli scendevano copiose dagli occhi, sussurrò “Figli di puttana!”.

Stretti i pugni, si rialzò per partire all’attacco. Per poi fermarsi immediatamente. Tutti i nemici erano stati resi inoffensivi. Gli altri otto erano entrati in azione. Troppo tardi.

“J-Johnny…”.

Un filo di voce, appena udibile, catturò l’attenzione di Wayne.

“Otto! Come ti senti? Non muoverti che vado a chiamare i soccorsi”.

“T-Tu… mio… a-amico?”.

“Certo che lo sono!”.

Il giovane Otto spirò.

Lo statunitense riprese a piangere disperato.

Perdonaci Johnny” a parlare era il Soggetto N. 3 “Non abbiamo fatto in tempo”.

  
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