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Autore: Koa__    16/10/2022    1 recensioni
Un anno e mezzo dopo il suo matrimonio, Magnus Bane vive una vita felice come Sommo Stregone di Alicante e marito dell’inquisitore Alec Lightwood. Ha una vita perfetta, un lavoro appagante e un uomo accanto che ama da morire. Da quando Clary ha riacquistato la memoria, poi, le cose non potrebbero andare meglio di così. Un giorno, però, mentre svolge il proprio lavoro di inquisitore presso l’istituto di Stoccolma, Alec scompare nel nulla. Magnus, Jace, Clary, Isabelle e Simon si recano in Svezia per indagare, ma una volta giunti lì si rendono conto che il mistero è ben più fitto di quanto non si aspettassero. Nel bel mezzo di una discussione, il gruppo riceve un messaggio nel quale si dice che, per ritrovare Alec, serviranno il Coraggio e la Magia, le abilità di Jace e Magnus dovranno quindi unirsi. Se inizialmente i due non fanno che discutere su come sia meglio agire, rinfacciandosi le cose a vicenda, a un certo punto si renderanno conto che saranno costretti ad andare d’accordo per il bene di Alec.
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Jace Wayland, Magnus Bane, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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 La maledizione spezzata (Prima parte)

 




 

Magnus aveva subito il fascino di quella strana costruzione che si stagliava solitaria in fondo alla vallata, fin da quando lui e Jace erano usciti dalla foresta incantata, ormai due giorni prima. Spesse volte si era ritrovato a fissarla e, quando non lo faceva, ragionava su cosa avesse di così tanto particolare da attrarlo così insistentemente, senza però trovare una risposta. Jace aveva iniziato a prenderlo bonariamente in giro, infilandoci anche il sesso e dicendo che in realtà la torre era una metafora fallica e che in sostanza lui era arrapato. Ogni volta evitava di dirgli che quello con problemi del genere era lui, considerato che ancora subiva il fascino dei suoi occhi, ma si era limitato a mollargli uno schiaffetto sulla nuca per farlo stare zitto, salvo poi ridacchiare tra sé. Non era messo così male, certo gli mancava il suo dolce fiorellino, ma poteva sopravvivere sei giorni senza sesso. E comunque non c’era nessuna metafora fallica dietro la sua ossessione per quella torre. Era qualcosa di radicalmente diverso, e insolito, che non aveva mai percepito prima. Più si avvicinava, più quella strana sensazione diventava potente. Aveva a che fare con la magia, questo lo aveva intuito fin da quando avevano messo piede nella foresta incantata, anche allora aveva sentito un’atmosfera particolare impregnare l’aria, ma sulle prime l’aveva erroneamente addebitata alla presenza degli angeli. Se Ragnor fosse stato lì con lui lo avrebbe di sicuro preso in giro, quel ramarro ammuffito avrebbe trovato spassoso il suo non riuscire a trovare una risposta adeguata ai dubbi che lo attanagliavano, ma soprattutto avrebbe trovato assai divertente il suo seguitare a tormentarsi. In passato aveva sempre dimostrato di avere una soluzione per tutto, anche quando la risposta era scappare dall’altra parte del mondo e far finta di niente. Questo era invece un problema che non poteva evitare e che a dirla tutta lo innervosiva. Era una questione legata alla magia, argomento sul quale era piuttosto ferrato. Come tutti gli stregoni, infatti, era in grado di percepire i suoi simili e più erano vicini, più intensamente riusciva a farlo e in quella torre laggiù era pur certo che ci fosse uno stregone, forse più di uno. Era il tipo di magia che li contraddistingueva, a causargli delle perplessità. Non aveva detto nulla a Jace perché era un qualcosa che non riusciva proprio a spiegarsi. Se Alexander era stato rapito dagli angeli, o portato lì chissà per quale motivo, probabilmente era successa la stessa cosa anche ad altre persone, stregoni a quanto pareva. Quando però Magnus arrivava a questo punto dei ragionamenti, il cervello si inceppava. D’accordo, Alec non era solo e questo ormai era piuttosto chiaro, ma perché aveva la sensazione che fosse letteralmente circondato da incantesimi in tutto e per tutto simili ai suoi? Questo era il nocciolo della questione.

 

La magia di uno stregone era come un’impronta digitale, aveva l’identità del genitore demone che lo aveva generato e non era un qualcosa che si poteva nascondere o falsificare. Era come un’eredità, non era dissimile alla forma di un viso o al colore degli occhi ereditato da un parente. La stessa cosa valeva per i demoni, quando questi venivano sulla terra era impossibile per loro nascondere il proprio potere o mascherarlo in qualche modo. La magia che scorreva nelle vene di Magnus era quella di Asmodeo, la stessa che suo padre in più occasioni aveva definito regale, cercando di convincerlo che era una buona cosa. Non lo era mai stata e, in virtù di questo, era sicuro che non ci fosse proprio nulla di buono in fondo a quella vallata. Il pensiero di cosa avrebbero trovato, francamente lo terrorizzava. Non poteva essere suo padre, era impossibile che fosse sulla terra. Lo aveva confinato nel limbo e con ogni probabilità ci sarebbe rimasto per millenni, sempre se avesse trovato un modo per uscirne. Ma se non era lui, la risposta era una soltanto: Asmodeo aveva avuto altri figli. Il che avrebbe dovuto essere impossibile: ogni Principe dell’inferno generava un’antica maledizione alla volta, non avrebbe mai potuto avere dei fratelli, così gli avevano detto tutti quanti, dai Fratelli Silenti che lo avevano cresciuto sino a Ragnor che gli aveva insegnato tutto ciò che sapeva riguardo la magia. E siccome quella che si sentiva addosso era la stessa impronta di suo padre, non riusciva a essere concentrato e sereno come invece Jace mostrava di essere a ogni passo. Magnus al contrario era confuso e spaventato. E a niente servivano le sue rassicurazioni da Shadowhunter, sebbene più volte avesse avuto la prova che il legame Parabatai fosse attendibile al cento per cento, non ci credeva mai davvero quando gli diceva che Alec stava bene. Si preoccupava anche di aggiungere che, dall’altra parte del legame, continuava a sentire un miscuglio di felicità e preoccupazione, a quel punto Magnus annuiva e cadeva di nuovo preda dei propri pensieri. Non voleva fidarsi delle sue parole e non perché temeva lo stesse prendendo in giro, ma perché non voleva alimentare false speranze. Aveva bisogno di avere paura, se si fosse sentito troppo tranquillo e se il suo dolce marito in realtà fosse… Non riusciva neanche a pensare che potesse essergli successo qualcosa di brutto, eppure ci si sforzava, immaginava Alexander moribondo e ferito, preda di incantesimi che gli causavano terribili allucinazioni. Era meglio questo, che illudersi che andasse tutto bene per poi restare delusi.

 

C’era un aspetto che, dopo un anno e mezzo insieme, trovava affascinante in Alexander e questo riguardava sicuramente l’imprevedibilità. Quel ragazzo non faceva mai quello che ci si aspettava potesse fare, Magnus trovava meraviglioso che nonostante i suoi venti e qualcosa anni riuscisse a stupire un vecchio stregone navigato come lui, che comunque di cose ne aveva viste. Con il passare dei secoli aveva iniziato a trovare banale e prevedibile qualunque persona incontrasse e il mondo aveva cominciato a diventare noioso, poi però aveva conosciuto Alexander. Non aveva bisogno che qualcuno gli ricordasse perché amava quel ragazzo, fu sufficiente posare lo sguardo su di lui dopo giorni di lontananza, per venire sopraffatti da un’incredibile ondata di amore. Con l’ansia che lasciava il suo corpo e Alexander che lo baciava con così tanta passione, Magnus Bane si ricordò con un po’ più di forza quanto amava suo marito. Non ricordava neanche che fosse mai stato così bello, aveva pensato intanto che se lo stringeva al petto e gli tastava con insistenza la schiena, in cerca di ferite che non c’erano. Se le aveva avute, doveva esser stato in grado di guarirle con l’Iratze. Forse riprese a respirare soltanto allora, mentre la sua giovanile irruenza lo prendeva in contropiede e il pizzico di eccitazione che suo marito aveva infilato dentro a quel bacio, lo sconvolgeva e divertiva in egual misura. Stava bene ed era vivo, pensò lasciando che la paura abbandonasse il suo corpo. Alexander lo aveva sorpreso un’altra volta, Magnus lo ripeté a se stesso intanto che Jace si metteva in mezzo e smorzava la passione, ma fu dopo che furono entrati nella torre, che riuscì davvero a sconvolgergli la vita. Tanto per cominciare non capiva proprio perché quella dannata costruzione avesse ben cento gradini che si snodavano su di una ripidissima scala a chiocciola in un edificio odiosamente tondeggiante, se c’erano degli stregoni là dentro, perché non avevano materializzato un ascensore? Era proprio ridicolo, aveva pensato, annaspando per la fatica su per i gradini. Era difficile star dietro a due Shadowhunter allenatissimi, in più pareva che Jace non percepisse affatto la stanchezza, cosa che lo rendeva ancora più odioso del normale. Avevano marciato per giorni in quella dannata foresta, con pericolosi demoni e creature che parevano avere come scopo nella vita il dar fastidio a loro, perché diavolo stava correndo come un forsennato? A un certo punto aveva addirittura accelerato il passo mentre Magnus arrancava, portandosi teatralmente una mano al petto e sostenendo di non farcela più a continuare. Quando arrivarono in cima, dopo tanta fatica, si lasciò melodrammaticamente cadere contro lo stipite della porta. Li vide allora, davanti ai suoi occhi. Erano la conferma a tutte quelle teorie, spesso strampalate, che si era costruito negli ultimi giorni. Alexander non era solo in quella sua insolita prigionia. C’erano degli stregoni, eccome se c’erano. Erano due e se ne stavano in una culla. Bambini, neonati per la precisione. Magnus non era un esperto a riguardo, ma dovevano avere qualche mese. Come aveva percepito si trattava di suoi fratelli, non poteva essere altrimenti dato che avevano il marchio degli Asmodeo. Le iridi avevano lo stesso colore di quelle di suo padre ed erano uguali alle sue in tutto e per tutto: ambrati occhi da gatto su un volto dai tratti orientali. Quindi aveva ragione, papà aveva avuto altri figli. Non aveva proprio idea di come avesse fatto a scappare dal limbo o magari era successo prima che venisse confinato. Poteva anche essere, ragionò. Una gravidanza umana durava nove mesi e quei piccoli quanto tempo potevano avere? Sei mesi? Otto? Non lo sapeva, ma al momento era anche inutile scervellarsi a riguardo, era successo e basta. Probabilmente la loro madre umana li aveva tenuti per un po’ e poi abbandonati, come spesso succedeva ai piccoli stregoni. E forse a quel punto un demone li aveva rapiti e qualcuno, magari, li aveva salvati. E poi? Poi le fate li avevano trovati? E avevano invocato gli angeli, che avevano chiesto il loro aiuto? Sì, pensò, aveva senso. Più o meno. No, non ne aveva, ammise alla fine. Era tutto così strano, si disse, avanzando dentro la stanza con passo incerto. Sino ad allora era rimasto immobile sulla soglia a fissare quei bambini come se stesse guardando due alieni, quando si avvicinò un po’ meglio alla culla, notò che una coperta era stata gettata sopra ai loro corpicini. Niente di strano, se non fosse che questa aveva ricamata sopra la runa dell’angelo, il simbolo degli Shadowhunter. Chissà perché. Poteva anche succedere che i demoni ingravidassero delle Shadowhunter, ma di solito i loro figli morivano ancora prima di nascere, era improbabile che riuscissero a sopravvivere. A parte Tessa, però lei aveva una storia particolare alle spalle.
 

«Loro sono Max e Rafael» disse Alec, spezzando il silenzio, Magnus si ritrovò a sollevare il viso su di lui. Sorrideva e aveva un’espressione dolce che di rado gli aveva visto indossare, era diversa dalla confidenza che mostrava quando erano insieme, sembrava c’entrare con quei piccoli più che con lui. Alec si era avvicinato al lettino con il passo sicuro di chi sa perfettamente come muoversi, quindi si era sporto sopra di essa e i bambini avevano iniziato a ridacchiare e a emettere deliziosi versetti. Oh, Magnus amava i bambini. Gli erano sempre piaciuti.
«Appena arrivato qui» riprese, qualche istante più tardi. «L’angelo Gabriel mi è apparso e ha detto che avrei dovuto proteggerli. Sono stati maledetti, anche se non so come o da chi, ma non possono uscire dalla torre. Ha detto che i demoni continuavano ad attaccarli e che le loro barriere magiche erano allo stremo. Ha anche detto che solo noi tre, unendo le nostre forze, avremmo potuto spezzare la maledizione. Anche se non ho idea di cosa potrei fare io a riguardo.» Lui un’idea ce l’aveva, invece. Non era il più esperto del mondo in quanto a maledizioni, ma poteva anche cavarsela. Solo che non capiva quale sarebbe mai potuto essere il ruolo di Jace e Alec in tutta quella vicenda. D’accordo, il suo fiorellino si era occupato tutto da solo dei piccoli, mentre il biondino… Beh, doveva ammettere che era stato piuttosto utile avere uno Shadowhunter al seguito, lassù nella foresta incantata. C’era comunque qualcosa che gli sfuggiva in quel quadro. Era come se avesse davanti un puzzle di mille pezzi e avesse faticato per riuscire a metterli insieme tutti, ma una volta completato non riuscisse a mettere a fuoco il disegno. Aveva la risposta lì davanti agli occhi e ancora stentava a vederla.
«Poveri bimbi, da soli contro tutti quei demoni» osservò Jace, sporgendosi sopra la culla e sfiorando il nasino di uno dei due con la punta di un dito. Magnus vide il bimbo tendersi, ma subito rilassarsi sotto al tocco deciso di Alexander, corso a rassicurarlo con qualche carezza sulla pancia. Era evidente che avesse già instaurato una sorta di legame con loro, perché c’era familiarità in quel che faceva, così come nella maniera in cui i bimbi lo cercavano con lo sguardo.
«Hanno lottato fino a che hanno potuto, hanno quasi prosciugato la loro magia, quei demoni sono tantissimi e di notte ne arrivano orde intere.» Di questo non ne dubitava, lo aveva capito sin da quando avevano messo piede nella foresta, anche allora era stato chiaro che quegli esseri volevano qualcosa di diverso dall’uccidere loro due. Era come se stessero cercando un tesoro prezioso che gli era stato nascosto, adesso sapeva di cosa si trattava.
«Non c’è da stupirsene» osservò Magnus, ancora restando indietro. «La magia di mio padre è di stirpe nobile, tutti i suoi figli sono dei Principi. Non che a me sia mai interessato, ovviamente.»
«T-tuo padre?» balbettò Alexander. Ma certo, che pensava? Che fossero sbucati da sotto a un cavolo? Era vero che non ne sapeva poi molto di sesso e che, nonostante tutto, fosse ancora un incredibile ingenuo, ma come pensava nascessero i bambini?
«Tranquillo, fiorellino, non penso sia uscito dal limbo» cercò di rassicurarlo. «Però i pettegolezzi girano velocemente nel mondo delle tenebre, mi pare ovvio che siano venuti tutti a sapere che Asmodeo ha avuto altri due figli. Se i demoni arrivano è perché vogliono la loro magia, la mia magia. Quella di mio padre. Mi piacerebbe capire come sia possibile, però» concluse, con fare meditabondo. Quel che era certo era che non avrebbe permesso a nessuno di prenderli e volgerli al male. Erano piccoli e indifesi, ma soprattutto completamente innocenti, meritavano di vivere la vita serena che a lui era mancata durante l’infanzia. Li avrebbe tenuti con sé, avrebbe dato ai suoi fratelli una vera famiglia nella quale vivere. Era sicuro che Alexander non avrebbe avuto niente da obiettare, non avevano ancora parlato seriamente di avere dei figli, ma il suo dolce confettino si era preoccupato di fargli sapere che voleva una famiglia dopo appena due mesi che stavano insieme. Avrebbero dovuto discuterne prima, perché due bambini di quell’età cambiavano la quotidianità di una coppia, ma non potevano lasci…

«Aspetta, che hai appena detto?» se ne uscì Jace, con tono acuto e carico d’incredulità. Aveva urlato così tanto, che uno dei due neonati aveva cominciato ad agitarsi nel lettino. Era il caso di gridare in quel modo? Si chiese, notando come Alec invece che cullare subito il piccolo, si era irrigidito. Che aveva detto di strano? Forse aveva capito che era sua intenzione adottarli e non era d’accordo, in fondo chi vorrebbe orde di demoni alla porta tutti i giorni? Beh lui non…
«Hai appena detto che Asmodeo ha avuto altri due figli, giusto?» gli chiese Jace, questa volta con tono più basso e controllato. Magnus si limitò ad annuire senza ribattere, non capiva la reazione di quello Shadowhunter. E poi perché facevano quella faccia?
«Amico» borbottò quel biondino saccente, scrollando la testa in senso di diniego. Aveva l’impressione che non sapesse bene se ridere o piangere, ma era certo che si stesse trattenendo dal prenderlo a male parole. «Non hai capito davvero niente!»
«Capito cosa?»
«Magnus» intervenne Alec, si era fatto avanti di un passo e lo aveva raggiunto, prendendolo per mano e guardandolo con fare rassicurante.
«Questi non sono i figli di Asmodeo.» Come non lo erano? Ma in che senso? Era chiaro che si sbagliasse, forse l’angelo non gli aveva spiegato come stavano le cose. Ma anche se non l’avesse fatto, cosa non poi tanto strana, come ci si poteva sbagliare? Quello era il marchio di suo padre, nessun altro demone in nessuna dimensione infernale esistente aveva niente del genere.
«Ma i tuoi!»
«I che?» chiese, non capendo.
«Sono i tuoi figli» ripeté Alec. I-i s-uoi cosa? Lui aveva dei figli? No, era impossibile. Gli stregoni erano sterili e anche quando le stregone restavano incinte, i bambini nascevano morti. Era una cosa risaputa. In più erano anni che non faceva sesso con una donna. Lui con dei figli. Magnus Bane? Assurdo! Non seppe spiegare come accadde, ma nei fatti fu proprio allora che successe. Non appena il peso di quelle parole gli arrivò al cervello e si rese conto di quello che Alec gli aveva appena detto, il mondo iniziò a diventare sfuocato e lui si ritrovò a faccia in giù contro il pavimento.



 

*



 

«L’abbiamo perso» commentò Jace, un sopracciglio arcuato verso l’alto e un’espressione divertita in volto mentre osservava il corpo di Magnus steso a terra. Era stato costretto a trattenere le risate quando lo aveva visto svenire, ma in effetti era assurdo che non avesse capito che quelli nella culla erano i figli suoi e di Alec. D’altra parte era talmente ovvio, pensò intanto che il suo Parabatai gli tirava una gomitata nel fianco.
«Smettila di fare l’idiota e aiutami a metterlo sopra al letto» gli disse, azzerando con un paio di falcate la distanza che lo divideva dallo stregone e chinandosi, così da poterlo toccare. Gli sfiorò il viso diventato improvvisamente pallido mentre Jace sorrideva appena. Era incredibile che suo fratello avesse dei figli, oh, avrebbe dovuto spiegare molte cose, questo era certo. Nel frattempo però fece come gli era stato ordinato in silenzio, sollevò il corpo inerte di Magnus per i piedi e qualche istante più tardi lo gettò di malagrazia sopra al materasso. Riusciva a sentire i piccoli agitarsi dentro la culla e incredibilmente non riusciva a smettere di guardarli, erano la cosa più bella che avesse mai visto. Fin da quando gli angeli avevano mandato il messaggio di fuoco, giorni prima a Stoccolma, aveva intuito che Alec stesse proteggendo qualcosa d’importante. Qualcosa che lo aveva trattenuto in quel posto senza neanche tentare di scappare, Jace era sicuro che se l’avesse voluto avrebbe cercato almeno di mandargli un messaggio di fuoco o addirittura di scappare. Suo fratello era uno Shadowhunter molto capace, aveva trattenuto per giorni tutti quei demoni da solo, occupandosi anche di due neonati. Man a mano che si era avvicinato alla torre, aveva percepito qualcosa di diverso in suo fratello rispetto al solito. Non aveva realmente capito di cosa si trattasse fino a quando non li aveva visti, a quel punto tutto aveva avuto senso. Somigliavano così tanto ad Alec, che era impossibile scambiarli per qualcun altro. Al tempo stesso il marchio da stregone che esibivano e i tratti orientali dei loro volti erano il chiaro segno che fossero anche per metà stregoni.
«Come ci sei arrivato?» indagò suo fratello, si era seduto sul letto proprio accanto a Magnus e aveva iniziato ad accarezzarlo dolcemente sul viso.
«Andiamo» borbottò Jace, chinandosi sulla culla e facendo delle facce buffe per farli divertire. Oh, sarebbe stato uno zio straordinario! Ben più di Izzy, che sicuramente li avrebbe viziati e decisamente più di Simon, che avrebbe riempito loro la testa di tutta quella robaccia mondana che ancora Jace faticava a capire.
«Ti assomigliano tantissimo, ma al tempo stesso sono identici a Magnus, quindi era ovvio che fossero figli anche suoi. Sono stati gli angeli, non è vero? O è così o hai nascosto davvero bene la gravidanza sotto agli addominali. Non che mi stupisce che sia stato tu a rimanere incin…»
«Piantala!» sbottò Alec a bassa voce, arrossendo come un peperone. «E non sono certo rimasto incinto, a quanto pare si tratta di una benedizione. Penso siano nati da una donna, anche se non ho idea di chi sia, loro non l’hanno detto.»
«Wow» fischiò Jace di approvazione e stupore, sollevando il viso in direzione di suo fratello. «Sapevo che erano una leggenda.»
«Mh, tutte le storie sono vere» ribatté lui, saggio. «Forse gli angeli non distribuiscono spesso benedizioni, ma ti posso assicurare che in questo caso hanno fatto sul serio.»
«Mi immagino la tua faccia quando ti è apparso l’angelo» commentò Jace, ridacchiando. Poteva quasi riuscirci in effetti, lui che una volta ne aveva visto uno, e in una situazione del tutto diversa, poteva testimoniare quanto stupefacenti potessero apparire. Se poi niente meno che uno come Gabriel scendeva sulla terra per annunciare la nascita di due figli per metà Nephilim e per metà stregoni, beh, era tutto ancora più incredibile.
«Ehi, tu» disse Alec, falsando la propria stessa voce. «Ci sono due bambini nati in modo misterioso che hanno i geni sia tuoi che quelli di tuo marito. Ah, vengono attaccati notte e giorno dai demoni, ma tranquillo li ho messi in una landa desolata in mezzo al nulla piena di fate ladre e Leprecauni molesti.»


«Te l’ho mai detto che amo il tuo sarcasmo?» 

 

A parlare era stata la voce flebile e roca di Magnus, che aveva aperto gli occhi sfarfallando le lunghe ciglia glitterate. Jace aveva spostato lo sguardo su di lui, il suo viso aveva ripreso un bel colorito.
«Stai bene?» aveva domandato Alec, aiutando Magnus a mettersi seduto. Gli aveva passato una mano dietro la schiena e lo accarezzava delicatamente, come a volerlo rassicurare. Non doveva essere facile sapere di avere due figli e trovarseli davanti, già nati e cresciuti.
«Tutto a posto, fiorellino!» aveva esclamato Magnus, guardandosi attorno e posando lo sguardo sulla culla dove si riuscivano a sentire i due bambini gorgogliare. Jace aveva notato i suoi occhi da gatto sbarrarsi e le pupille feline diventare ancora più grandi e liquide. Era evidentemente sconvolto, ma come spesso succedeva suo cognato usava l’ironia per uscire dalle situazioni più imbarazzanti e non far capire al resto del mondo di essere spaventato a morte.
«Fiorellino, sarà meglio che spieghi» disse, indicando con un cenno del mento i due neonati.
«Quello che so è davvero niente» rispose, facendo spallucce. Alec si era alzato dal letto, aveva raggiunto la culla e preso in braccio il primo dei due bambini. Era quello che più somigliava a Magnus in quanto a lineamenti, sulla tutina aveva ricamato il nome: Max. Al loro fratellino sarebbe piaciuto avere un nipote che portava il suo stesso nome. In effetti, a osservare bene il piccolo, poteva notare anche dei tratti in comune con i Lightwood, come la forma del viso o quella del naso. Alec aveva percorso qualche metro con il bimbo in braccio e poi si era seduto sul letto accanto a un Magnus che ora pareva particolarmente agitato. Non stava fermo un istante, sembrava che qualcuno gli avesse messo degli spilli sotto al sedere.
«Mi è apparso Gabriel, ha detto che abbiamo ricevuto una benedizione. I bambini hanno tratti in comune con entrambi, sono sia tuoi che miei. Hanno i poteri da stregone, ma sono anche dei Nephilim.»

«Tesoro» disse Magnus con pazienza. Ancora stentava a guardare il piccolo, anzi pareva voler posare gli occhi ovunque tranne che su Alec e il bambino. Se aveva intenzione di mollarlo solo perché avevano dei figli che non avevano chiesto di avere, beh, se la sarebbe vista con il suo pugno perché gliene avrebbe dato uno talmente forte da spaccargli il naso.
«Ti renderai conto che tutto questo è impossibile!»
«Credi che non lo sappia anche da solo?» sbottò lui, irritato, assumendo un’espressione infastidita pur non alzando troppo la voce per non spaventare il bambino. «Pensi che non abbia rimuginato per giorni sul fatto che si siano sbagliati o che sia tutto un errore? Perché l’ho fatto, in ogni momento e con la paura che magari tornassero a portarmeli via perché si resisi conto di aver commesso un errore. O che uno di quei demoni riesca a rapirli? Se pensi che non abbia…»
«Lo so, tesoro, ti conosco e so che hai pensato a tutte queste cose» annuì Magnus, con tono ora più rassicurante. «Solo che è insolito anche per una benedizione. Sapevo che erano talmente rare che gli stessi Shadowhunter le consideravano un mito, ma sapevo anche che qualche bambino era nato senza essere stato effettivamente concepito da due genitori perché impossibile o perché sterili, eccetera. Ma noi siamo due uomini, tesoro e non abbiamo idea di chi abbia partorito queste creature. Capisci che è troppo anche per una benedizione?»
«Gli angeli agiscono per vie misteriose» commentò Jace, saggio. Comprendeva quel discorso, in effetti si era fatto venire gli stessi dubbi. E lui per primo, con tutto quello che aveva passato con Clary, faticava a fidarsi di un qualsiasi essere celeste. Però anche il mettere in discussione il potere degli angeli in un momento come quello, era tutt’altro che una mossa intelligente.
«E questo che vorrebbe dire?» si indispettì lo stregone.
«Di non mettere in dubbio il potere sconfinato degli angeli, Magnus, questo sto dicendo» annuì Jace con convinzione.
«Sarà, ma neanche sappiamo perché abbiamo ricevuto questa benedizione. Mi rendo conto che abbiamo fatto tante cose positive per unire il mondo dei Nascosti a quello degli Shadowhunter e fare in modo che ci sia più comprensione, ma mi domando se questo sia sufficiente a ricevere un dono del genere.»    
«E infatti non è per quello!» li aveva interrotti Alec. Jace non era riuscito a non notare l’imbarazzo colorare le sue guance, così come il suo tenere gli occhi fissi sul bambino invece che dedicare a loro le proprie attenzioni. Era rimasto fermo unicamente perché aveva un neonato in braccio, ma era sicuro che se avesse potuto avrebbe iniziato a girare per la stanza come un leone in gabbia.
«Quando ho ceduto al ricatto di Asmodeo» esordì, abbassando lo sguardo sino al piccolo Max e iniziando a giocare con lui. Gli aveva dato un dito e questo aveva cominciato a succhiarlo tutto contento. «Ti ho lasciato così che potessi riavere i tuoi poteri, il mio sacrificio è stato giudicato e sono stato benedetto.»
«Oh!» esclamò Jace, sorpreso. Avrebbe dovuto immaginarlo.

 

All’epoca gli sarebbe piaciuto molto sapere quello che suo fratello aveva combinato con quel demone. Non aveva voluto dirgli perché aveva lasciato il suo ragazzo, aveva dovuto scoprire ogni cosa da Isabelle con la quale Alec si era confidato. Probabilmente aveva fatto bene a tacerglielo, perché era quasi sicuro che avrebbe cercato di convincerlo ad agire in un’altra maniera. Jace non era mai stato uno da sacrifici, era fortemente convinto che esistessero maniere per fare le cose che non comprendessero il gettare alle ortiche una cosa bella come un amore. Ma Alec aveva una personalità molto diversa dalla sua, non aveva esitato un istante prima di mettere da parte se stesso, poi aveva fatto in modo che Magnus potesse sentirsi nuovamente completo. 
«Mostramelo» ordinò lo stregone, interrompendo il silenzio che era sceso tra di loro, prima di affrettarsi a spiegare. «Cedere al ricatto di un Principe dell’inferno è un atto che gli angeli non si sprecherebbero a giudicare di per sé, quindi devi aver detto o fatto qualcosa che ha attirato la loro attenzione. Mostrami i tuoi ricordi, qualunque cosa possa avere a che fare con quello che è successo un anno e mezzo fa.» Jace vide suo fratello annuire frettolosamente, prima di alzarsi dal letto dove lui e Magnus erano seduti. Quindi si preoccupò di rimettere il bambino nella culla, dando un bacio a entrambi una volta che erano stati ben coperti e subito li raggiunse sul letto.
«Sono pronto» annuì.

 

Jace non aveva la minima idea di quello che Magnus stava vedendo, aveva posato le mani sulle tempie di Alec e poi i suoi occhi erano diventati bianchi. Erano rimasti immobili in quel modo forse per qualche minuto, non di più, fino a quando non li aveva visti allontanarsi. A quel punto sul volto dello stregone era apparsa un’espressione sofferta, anzi molto di più, era un dolore profondo. Non lo aveva visto in quello stato neanche dopo esser stato colpito da un demone, il giorno prima. Aveva il fiato corto, quasi fosse reduce da una lunga corsa mentre i suoi occhi truccati erano pieni di lacrime che si forzava a trattenere. Come spesso accadeva quando si trattava di lui, Jace aveva la sensazione che volesse fuggire a nascondersi per non far vedere a tutti quanto stesse male, qualunque cosa avesse visto doveva aver bruciato più del fuoco. Poteva soltanto immaginare cosa avesse realmente detto o pensato Alec in quel periodo risalente ormai a un anno e mezzo prima, aveva vissuto soltanto una piccola parte della storia, per la maggior parte gli era stata raccontata in un secondo momento. Ma sapeva che quel periodo era stato drammatico per suo fratello. All’epoca aveva sentito sin da subito che qualcosa in lui non andava, dalla felicità immensa per la proposta di matrimonio che aveva intenzione di fare era passato a un dolore costante che non lo aveva abbandonato fino a quando non si erano ritrovati a Edom. Quella stessa sofferenza ora stava di riflesso tra le espressioni di Magnus Bane.
«Oh, Alexander» aveva sussurrato, asciugandosi gli occhi con il dorso della mano e cercando di trovare un contegno che pareva di continuo venirgli a mancare.
«Cos’hai visto?» si azzardò a chiedere, facendosi avanti di un passo. Era più che altro curiosità, suo fratello non aveva mai voluto confidarsi con lui e Jace non aveva insistito perché non gli ci era voluto molto per rendersi conto di quanto difficile fosse per una persona introversa, il semplice parlare con qualcuno.
«Tutto!» esclamò Magnus, quindi prese nervosamente a camminare per la stanza. «Il patto con mio padre, le cose che ti ha detto per convincerti che saresti stato la mia rovina e che avrei finito con l’odiare te per quello che mi era successo.»

«Che cosa?» sbottò Jace, incredulo. Sapeva che i demoni superiori oltre che spietati erano anche piuttosto subdoli, che amavano manipolare i mortali o ingannarli, ma Asmodeo lo aveva davvero convinto di una cosa del genere? Decisione sofferta oppure no, era stato Magnus a decidere di sacrificare i propri poteri per salvarlo, nessun altro avrebbe potuto farlo desistere a rinunciare.
«E aveva ragione!» se ne uscì Alec, alzando la voce così tanto che, nella culla, i piccoli avevano cominciato ad agitarsi. «Avevi perso la tua magia soltanto perché io non ero disposto a rinunciare al mio Parabatai, perché ero troppo debole per fare quello che andava fatto.» Seriamente lo pensava? Era convinto di essere un debole? Jace aveva capito con il tempo che quello era uno dei crucci maggiori di Alec, aveva sempre sofferto al pensiero che la sua famiglia lo considerasse indegno di dirigere l’Istituto di New York, ma non pensava che fosse seriamente convinto di valere così poco.
«Tu non sei debole!» esclamò Jace, con forza, facendosi avanti in mezzo a loro senza alcuna paura.
«E invece lo sono stato!» replicò lui, annuendo con forza. «Non avevo il coraggio di ucciderti e lui ha rinunciato a tutto per salvarti. La tua magia era tutto per te e l’hai persa per colpa mia» concluse rivolgendosi a un Magnus che si era ammutolito e che guardava insistentemente a terra. Probabilmente giorni prima gli avrebbe dato del vigliacco per non riuscire neanche ad alzare gli occhi e affrontare lo sguardo di suo marito, ma aveva imparato a conoscerlo e a leggere tra le righe. Tremava vistosamente, con le dita ritorte in due pugni stretti e il corpo teso allo spasmo. Sembrava arrabbiato e sul costante orlo di un precipizio che lo avrebbe fatto affondare dentro a un baratro oscuro. Jace non soltanto vedeva tutto questo, ma lo capiva persino. In fondo, Clary non si era comportata diversamente. Aveva rinunciato ai suoi ricordi del mondo delle ombre, aveva rinunciato a loro pur di salvare tutti quanti dalla follia omicida di Jonathan. E per quanto in un primo momento fosse stato arrabbiato, poi la sola cosa che aveva desiderato era poterla riavere indietro.
«Sei tu a essere tutto per me!» urlò Magnus. «Avrei vissuto da mondano pur di starti vicino» strillò, disperato, spezzando il silenzio sceso su di loro. Aveva sollevato il volto e gridato con quanto fiato aveva in corpo. «E invece sei sceso a patti con un demone.»
«L’ho fatto per» ribatté Alec. «Volevo chiederti di sposarmi e tu ti sei presentato a cena ubriaco, mi hai detto che non saresti mai stato più felice senza la tua magia. Quanto ci avresti messo prima di rinfacciarmi che eri diventato un mortale a causa mia? E non ti azzardare a dire che non è vero, perché ogni dannata volta che ti chiedevo di parlarmene mi riempivi di stronzate. Perché sei sempre quello che deve mostrarsi forte e incrollabile, anche quando ti senti morto dentro. Perché Asmodeo aveva ragione.» Alec aveva concluso il proprio monologo con voce sottile, rotta dalle lacrime che forzatamente tratteneva. Erano cose che si era tenuto dentro per tutto quel tempo, probabilmente tra il matrimonio e il trasferimento ad Alicante non ne avevano più parlato. Rivivere quei ricordi aveva portato a galla nuovamente il dolore, e questo era sfociato in rabbia.
«E quindi è stato meglio lasciarmi, vero?»
«D’accordo, ragazzi» intervenne Jace, frapponendosi tra loro con decisione prima che potessero fare o dire cose di cui si sarebbero pentiti per tutta quanta la vita. Stavano uno davanti all’altro, al centro della stanza, e adesso si guardavano con un’espressione che non riusciva a decifrare. Sembravano arrabbiati e addolorati, forse un po’ malinconici; ma aveva davvero senso prendersela in questo modo? Avevano sofferto come cani, d’accordo, ma poi era andato tutto per il meglio, o no?
«Capisco che portare a galla questi ricordi sia brutto per entrambi, ma è andata a finire bene. Guardate a cos’ha portato il sacrificio di Alec» disse indicando la culla, poco lontana. «Ora avete due splendidi bambini ed è meglio che vi concentriate su di loro. Qui e ora, ragazzi, pensate a come uscire da questa situazione per tornare tutti quanti a casa il prima possibile e vivere quella vita che vi meritate di avere.» Dopo che ebbe detto quelle parole, Jace vide le guance di suo fratello sgonfiarsi e quindi arrossire, la rabbia sembrava svanita tutta quanta all’improvviso, la postura fino ad allora rigida aveva lasciato spazio a un’altra decisamente più rilassata.
«Mi dispiace per tutto il male che ti ho causato» aveva detto e Magnus in risposta aveva sollevato lo sguardo, abbozzando un sorriso furbo e compiaciuto. «Volevo soltanto che tu fossi di nuovo te stesso, che ti sentissi completo. Saresti andato avanti, in un modo o nell’altro l’avresti fatto.» Di nuovo, il silenzio scese tra di loro come una coperta troppo corta. Jace si tirò indietro di qualche passo, era evidente che non avessero ancora del tutto sistemato le cose e si sentiva il terzo incomodo in tutta quella faccenda. Forse avrebbe dovuto dire qualcosa per aiutarli, ma poco dopo fu Magnus a prendere in mano la situazione: «Quello che la notte di Halloween hai detto a Isabelle, lo pensavi davvero?» * Aveva una vaga idea di quello che stesse dicendo, ma di nuovo non conosceva i dettagli. Ricordava che era successo tutto nell’arco di una serata, durante la quale lui era stato preso da altre faccende, ma Alec invece pareva aver intuito perché lo aveva visto annuire, sebbene timidamente. 
 

«Quindi tu credevi seriamente che io mi sarei rifatto una vita? Che avrei avuto qualcun altro dopo di te?»
«Non sono il tuo primo amore, Magnus e non sarò nemmeno l’ultimo» ammise Alec, abbassando lo sguardo. Nei suoi occhi, così come nel fondo della sua anima, Jace riusciva a scorgere la sua sincerità più brutale di quella che aveva usato fino ad allora. Era una verità che faceva male a lui per primo, un qualcosa che aveva impiegato del tempo prima di accettare, ma dirla ad alta voce doveva fare ancora male come agli inizi della loro storia quando suo fratello si era sentito insicuro.
«E se quel giorno Maryse non fosse venuta al loft, dicendomi che avevi intenzione di chiedermi di sposarti? Se non avessi capito dell’inganno di mio padre, tu avresti vissuto tutta la vita da solo?» di nuovo, Alec annuì. Era come se non avesse più parole. Il rossore delle sue guance parlava per lui.
«Gli Shadowhunter si innamorano una volta soltanto ed è per la vita» intervenne nuovamente Jace. Era una di quelle storielle alle quali non aveva mai voluto credere, una fantasia da sciocchi romantici, ma poi aveva conosciuto Clary e aveva capito che qualcosa di vero doveva pur esserci. Vedere la maniera devastante con cui Alec si era innamorato di Magnus o Isabelle di Simon, gliene aveva dato soltanto la prova. Si diceva che i Nephilim amassero in maniera feroce e che, dopo aver perso il loro vero amore, si sarebbero sentiti incompleti e soli per tutta la vita. Jace non aveva dubbi riguardo al fatto che Ale si sarebbe sentito in quel modo se mai avesse davvero lasciato Magnus per sempre. E forse sì, lui non avrebbe mai e poi mai agito in quel modo, ** ma ammirava suo fratello per il gesto di immensa generosità che aveva compiuto. A quanto pareva, pensò osservando la culla con i due bambini che gorgogliavano come se fossero impegnati in chissà quali discorsi, non era il solo a pensarla in quel modo.
«Nessuno avrebbe preso il tuo posto e io non avrei potuto dimenticarti neanche volendo. Però sarei stato felice all’idea che avevi di nuovo i tuoi poteri. Avresti amato qualcun altro e mi sarebbe andata bene.» Da quel momento non ci furono altre parole, quando Magnus attirò Alec a sé per baciarlo con passione, Jace non si mise in mezzo prendendoli in giro. Non era il momento di dar loro fastidio, si disse, decidendo di concentrare le proprie attenzioni su un qualcosa di diverso. Era stato tentato di prendere uno dei bambini in braccio, ma non ne aveva mai tenuto uno per davvero aveva paura di farlo cadere o romperlo; per quanto assurdo potesse sembrare, Jace avrebbe tenuto un bambino come si teneva una spada. *** Quindi preferì avvicinarsi a una delle due finestre, quella che si affacciava direttamente sulla vallata offriva una visione della foresta incantata a dir poco spettacolare. Il tramonto era già passato da almeno mezz’ora, i colori del cielo erano già mutati e dall’arancio erano passati a un violetto bluastro. Ancora poco e sarebbe sceso il buio. 

 

Il primo lo vide arrivare da un paio di chilometri, era un demone ragno gigantesco e avanzava rapido con le sue otto zampe. Il secondo gli stava appresso, esattamente identico a questo, mentre altri per lo più demoni raul, stavano correndo in loro direzione. D’istinto, Jace mise mano alla spada assumendo una postura da combattimento. L’elsa roteò nella sua mano esperta, intanto che l’adrenalina gli correva sotto la pelle, causandogli piccoli brividi e una lieve increspatura.
«Ragazzi, mi dispiace interrompervi» disse, con tono serio. Li vide allontanarsi di scatto l’uno dall’altro e poi guardarlo come se volessero ucciderlo a mani nude. «Abbiamo un problema demoni là fuori, stanno arrivando e presto saranno qui sotto.» Alec parve attivarsi nell'immediato, con l’addestramento da Shadowhunter che si faceva vedere in situazioni come quella. Cambiò immediatamente la propria postura, assumendo un’espressione dura.
«Ho delle armi giù di sotto: spade, mazzafrusti e anche un arco.»
«Ottimo» annuì Jace, aveva sempre sognato di usare un mazzafrusto!
«Voi due andate» intervenne invece Magnus. «Tratteneteli il più possibile. Io intanto cerco di capire di che maledizione si tratta. Presto» gridò alla fine, Alec lo precedette di poco giù per le scale. I demoni, si disse, erano vicini.   

 

 




Continua

 

*Tutta la scena che segue fa riferimento al dialogo che avviene nella 3x18 tra Alec e Isabelle in cui lui le parla del patto con Asmodeo: “But I’m not the first person he’s loved and I wont be the last. Breaking up is gonna hurt like hell, but it’s the kind of hurt he can recover from” (Non sono la prima persona che ha amato e non sarò neanche l’ultima. Lasciarsi farà male da morire, ma è il tipo di dolore dal quale si può riprendere).
E poi quando Izzy gli chiede: “But what about you? Can you recover?” (E tu? Riuscirai a riprenderti) Alec non risponde, ma fa segno di no con la testa come a voler dire che lo amerà per sempre. 
https://www.youtube.com/watch?v=bLmjQtQLFRo&ab_channel=Shadowhunters

**Dalla puntata 3x18, in un dialogo in cui Alec chiede a Jace se si sacrificherebbe per amore nel modo in cui intende fare lui, accettando il patto di Asmodeo e Jace, pur non conoscendo i dettagli, gli dice che non lo farebbe mai. 

***Ne “Il libro bianco perduto”, Jace viene accusato da Alec di trattare il piccolo Max come se fosse un’arma e non un bambino. Nello specifico, dopo che si è reso conto che suo fratello ha sistemato il piccolo in mezzo alle armi perché “Lo trovava divertente”, Alec gli dice che c’è un motivo per cui la gente non vuole affidargli i propri figli. Altra citazione a “Il libro bianco perduto” poco più sotto rispetto a questo punto, quando Jace dice di aver sempre sognato di usare un mazzafrusto.

 

Note: Avrebbe dovuto essere un capitolo unico che chiudeva la storia, ma ho deciso di dividerlo in due quando mi sono resa conto della lunghezza. In questo abbiamo visto gli eventi dal punto di vista di Magnus e da quello di Jace. Nel prossimo avverrà la conclusione della vicenda, narrata da Alec. Il prossimo capitolo è già scritto, va solo revisionato e penso che entro mercoledì lo pubblicherò. Intanto un paio di spiegazioni su questo: quando ho pensato di scrivere questa storia ho subito ricordato della scena tra Alec e Isabelle sopracitata. Avrei tanto voluto che Magnus vedesse quello che Alec aveva detto subito prima di accettare il patto di Asmodeo. Ragion per cui ho deciso di scrivere questa storia. L’idea della benedizione è venuta dopo, però insomma se una persona doveva essere benedetta quella era proprio Alec.

Per me è un periodo un po’ nero con la scrittura, che va avanti da un po’ a dire il vero, quindi questo capitolo sarà un po’ meh, forse. Ma volevo comunque arrivare alla fine e non lasciare la storia incompiuta. Un grazie a chi ha letto e recensito fino a qui, grazie anche per i kudos e i bookmark su AO3 e Wattpad.
Koa
 
   
 
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