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Autore: Johnee    19/10/2022    1 recensioni
Una storia parallela alla trama principale di Inquisition che concerne: due nevrotici, i traumi™, gufi appollaiati su trespoli impossibili e la ricerca della reciprocità.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cullen, Hawke, Inquisitore
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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CW: Menzione di disordini alimentari

 

20 - Carburante

 

Nonostante le avvisaglie del cambio di stagione si percepissero chiaramente a Skyhold, le temperature non avevano subito drastiche variazioni. Il vento soffiava con uguale intensità, la brina ricopriva puntualmente i cortili tutte le sacrosante mattine e le finestre delle zone più umide erano regolarmente patinate di condensa. Ogni alterazione, purtroppo per gli abitanti della fortezza, era puramente visiva.
Infatti, quella sera, poco distante dal gran ballo al Palazzo d'Inverno, era molto fredda e molto umida; in più, nel cielo si poteva riconoscere una formazione di nuvole temporalesche.
La voliera era inzuppata nella tipica bicromia della luce gialla imposta a un ambiente buio. Dal nero si virava a una sfumatura di arancione ambrato, che sfiorava il metallo lucido delle gabbie e dei trespoli, i quali scendevano in maniera irregolare da un sottotetto oscuro come le intenzioni di Corypheus. Persino gli occupanti del locale avevano perso i loro colori propri, in virtù di quella ristretta declinazione del grigio e del giallo.
Le spie di Leliana lavoravano quiete, ma non silenziose. Erano abbozzi di sagome, contorni dorati di presenze che sussurravano negli intervalli tra il mobilio come serpi che scivolano tra l'erba alta della prateria.
Cullen non adorava quel posto, soprattutto quando era buio. Gli pareva di non essere mai completamente al sicuro, nonostante nutrisse un gran senso di fiducia nei riguardi della padrona di casa. Padrona di casa a cui aveva chiesto un favore a titolo personale e con cui, in quel momento, si stava consultando di fronte a un elegante altare dedicato ad Andraste.
-L'Alta Comandante Osmond è stata...- iniziò Leliana, facendo una lunga pausa alla ricerca di un aggettivo adatto.
-Una strega acida e senza redenzione?- le suggerì Cullen, con una nota di seccatura nel tono di voce. Mentre parlava, il suo sguardo descriveva l’ambiente circostante, come se fosse alla ricerca di una minaccia.
Leliana rivolse un mezzo sorriso al suo interlocutore. -Ecco spiegato perché hai voluto che indagassi al posto tuo.- chiosò, allacciando le dita dietro la schiena. -Mi è parsa una donna sbrigativa, a cui non piace essere intervistata su questioni che per lei risultano futili, interrompendola mentre svolge il suo incarico.- specificò.
Cullen alzò brevemente gli occhi al cielo. -Insomma, non ti ha dato le informazioni.- tagliò corto.
-Certo che no.-
-Le hai ottenute ugualmente, suppongo.-
Leliana ampliò di poco il sorriso. -Mi sembra ovvio.-
Cullen si soffermò a studiare il suo viso, con aria dubbiosa. -Voglio sapere come hai fatto?- domandò, abbassando la voce.
La sua interlocutrice aprì una mano verso la voliera, fino a indicargli la sua scrivania. Si mossero verso di essa insieme, i loro passi attutiti dal frullare delle ali dei corvi e dall'eco del loro gracchiare.
Una volta seduti, una collaboratrice di Leliana si premurò di appoggiare tra loro un vassoio contenente una teiera coperta da una maglia a uncinetto che ricordava la forma di un nug, due tazze di ceramica laccata e una ciotola di noci sgusciate ricoperte di miele e zucchero. Una lingua di fumo risaliva dal beccuccio del contenitore, portando con sé un avvolgente profumo floreale con una decisa nota agrumata. Un’ottima pausa olfattiva per chi non era abituato ai forti odori che caratterizzavano il locale.
-Dimmi un po', Comandante.- disse Leliana, dopo aver avvicinato le tazze, già riempite, a entrambi. -Perché vuoi avere informazioni sul fantasma di Marian Amell?-
Cullen parve risentire di quel nome come se qualcuno gli avesse appena appoggiato una mano gelida sul braccio. Si prese i suoi tempi, prima di rispondere, indugiando a sorseggiare il tè. -A essere onesti, non lo so nemmeno io. La mia mente me l'ha suggerito durante la mia assenza e non sono più riuscito a dimenticarlo.-
Leliana lo osservò con cura. -Non è stato facile reperire quelle informazioni, quindi dimmi le cose come stanno realmente, per favore.- lo incalzò.
Lui, di nuovo, tentennò. Mandò giù una sorsata, per darsi il tempo di riflettere, poi esalò un sospiro secco, ancorato a un gran senso di frustrazione. -La incontravo spesso nei corridoi, parlavamo spesso dopo le funzioni e ho seguito il suo Tormento. Il mio primo Tormento e l'unico in cui abbia veramente sperato che il Mago ne uscisse vivo.- ammise. -Troppo sincero?-
Leliana non si scompose. -Va' avanti.-
-Avrebbe dovuto essere trasferita ad Aeonar, perché complice di un Maleficar. Complice involontaria, vorrei precisare, anche se sul momento...- Cullen si impedì di finire la frase, chinando sulla superficie del tavolo un'occhiata sfiorata dal rimorso. -Il suo trasferimento non è andato a buon fine, perché la carovana è stata attaccata dai Prole Oscura lungo la Strada del Re, quindi l'hanno riportata a casa, cioè, al Circolo, in attesa di avere aggiornamenti sulla situazione.-
Leliana lo ascoltò attentamente, analizzando il suo viso dal bordo della tazzina.
-Poi, è successo quello che è successo.- proseguì Cullen, facendo vagare lo sguardo sulla stanza. -L'ultimo ricordo che ho, che la riguarda, risale a poco prima che Hadley chiudesse la porta alle nostre spalle. Ho disarmato un Maleficar, le ho dato il suo bastone e l'ho spinta al di là della porta, senza dire niente.- scosse appena la testa. -Non l'ho vista tra i Maghi superstiti, né tra la pila delle vittime da consegnare alle pire. Sul momento, non avevo la capacità mentale di preoccuparmi di qualcun altro, quindi ho lasciato perdere. Ho saputo dopo anni che era morta e me ne sono sorpreso. Era scaltra, ingegnosa, aveva un'ottima dialettica e se la sapeva cavare bene in situazioni difficili, soprattutto con le persone. Devo sapere cosa...-
-Lo vuoi davvero sapere?- lo interruppe Leliana, riponendo la tazza sul piattino lentamente.
Era un suggerimento palese, pronunciato con l’intenzione di farlo desistere dall'approfondire ulteriormente la questione; ma Cullen era affamato di verità. -Sì.- decretò.
Leliana si umettò le labbra, restando silenzio per diversi istanti prima di parlare, come per dare un ordine alle parole da riferirgli. Una volta decisa, si sporse nella sua direzione. -Era tra gli adepti più fedeli di Uldred, Cullen.- gli rivelò, usando un tono di voce dolce e moderato. -Mi dispiace.-
Lui aggrottò la fronte, guardandola con perplessità. -Non ci credo. Non era da lei, Leliana.- la contraddisse, aggrappandosi ai ricordi che aveva della ragazza con cui divideva sempre due chiacchiere dopo le funzioni e tante occhiate dolci nei corridoi. -Era un'apprendista vivace e finiva spesso in punizione, d’accordo, ma da infrangere qualche regola ad allearsi con un mostro... no, non è un comportamento coerente con la persona che conoscevo.-
-Ho indagato a fondo, Cullen. Puoi fidarti della mia parola.-
-Non aveva ragione di farlo!-
-Un Mago non ha ragione di desiderare la libertà, dopo aver ricevuto una sentenza ingiusta di morte? Dopo essere stato trattato come una bestia da pollaio fin dall'infanzia, costretto a sottostare a regole che non lo beneficiano nemmeno quando le rispetta?-
-Non così, non...- provò a dire lui, per poi zittirsi, sopraffatto da mille elucubrazioni.
Leliana allora recuperò un documento da un cassetto, posandoglielo davanti. Descriveva cinque diverse testimonianze di Maghi e Templari presenti all'epoca, che confermavano la rivelazione.
Cullen però stentava a crederci. -Se avesse saputo quello che mi stavano facendo...- iniziò.
Leliana appoggiò il dito sulla terza testimonianza, fornita da un Adepto della Calma. Confermava il peggio. Non solo Marian sapeva quello che gli stavano facendo, ma lo avvallava. -Probabilmente, era sotto l'influenza della Magia del Sangue.- la giustificò lei, mentre Cullen scorreva uno sguardo sconvolto sul foglio.
Rimasero in silenzio a lungo, soffrendo della tensione di chi condivide un'esperienza traumatica. Perché anche se Leliana non l'aveva vissuta con la stessa severità, ritornare a Kinloch con la mente era un viaggio che distorceva la sua percezione del presente. Il suo naso ricordava l'odore nauseante dello zolfo e della materia organica che impestavano ogni stanza in cui l’Eroe del Ferelden la conduceva; le sue orecchie sentivano ancora le grida e le suppliche di entrambe le fazioni, in un'eco lugubre, mentre i demoni banchettavano sulla disperazione di chi era esausto, o troppo debole per contrastarli; la vista le riportava una sinfonia di pustole rosse e viola, calde e pulsanti, che butteravano le pareti e da cui fuoriuscivano scie di liquido scuro e viscoso; le sue mani invece erano rigide e contratte sull'impugnatura dell'arco e sul metallo delle frecce, perché il pericolo proveniva da ogni direzione e la sua voce da bardo non era abbastanza forte da contrastarlo. Sembrava un “qui e adesso”, più che una brutta esperienza avvenuta nel passato.
Nello sguardo di Cullen, avvinto da una straziante desolazione, riconobbe il terrore che la scuoteva quando quel viaggio sensoriale le arrivava sotto forma di incubo (o peggio, come un ricordo improvviso che distoglieva la sua attenzione dal presente), perché nemmeno per lei esisteva un modo gratificante di uscire da quell'abisso.
-Avresti preferito che mentissi.- disse Leliana, accarezzando con lo sguardo la ciotolina delle noci, troppo nauseata per favorire. -E ammetto di essere stata tentata di farlo. Mentire è parte del mestiere, d'altronde.-
Cullen, esausto dalla pesantezza della rivelazione, si passò una mano sul viso. -Ti ringrazio per non averlo fatto.- ammise, a malincuore, perché una parte di sé agognava una bugia, qualcosa che non avrebbe aggiunto schifo allo schifo, permettendogli il lusso dell'ignoranza.
Leliana prese un respiro profondo. -Permettimi almeno di risparmiarti i dettagli sulla sua morte. Non penso che a questo punto tu voglia approfondire.- gli suggerì.
Cullen ci rifletté, poi diede un cenno di diniego. -Concordo.- disse, semplicemente.
Senza che entrambi se ne rendessero conto, le loro mani si strinsero saldamente sopra la superficie della scrivania, mentre i loro sguardi si fissavano su un punto non specificato, nascosto tra le venature del legno del mobile, senza riuscire a celare adeguatamente il brulicare di una moltitudine di pensieri che li avrebbero tormentati per il resto dei loro giorni.

Il premio per il locale più lugubre di Skyhold andava sicuramente alla camera-studio dell'Inquisitrice.
La fioca luce notturna, stemperata da una coltre di pioggia, si disperdeva sulla superficie di una scrivania ricoperta di ninnoli macabri, portacandela ricavati dalle ossa di diversi animali e faldoni carichi di materiale didattico. Sparsi tra essi, si annidavano documenti relativi a tutto ciò che è necessario sapere a una carica politica in preparazione a un evento fondamentale come il gran ballo dell'Imperatrice.
Sulla frazione del pavimento che circondava il mobile, disposti in un anfiteatro di disordine, c'erano libri sugli argomenti che più interessavano alla proprietaria di casa, dai manuali sull'alchimia ai mille modi di indossare il verde in ogni stagione dell'anno. Era un disordine letterario a livello fisico e contenutistico, eppure era palese che l’amore che veniva riversato su ciò che era importante fosse uguale a quello dedicato alle tematiche più superficiali.
A coprire la porzione di fredda pietra che rivestiva il pavimento dal focolare al letto, erano stati disposti molti tappeti di lana, che nascondevano i piedi dei mobili e avvolgevano la letteratura rasoterra in un abbraccio confortevole. Le fibre erano sormontate da sentieri irregolari, sintomo dell’iperattività di Lavellan, che riusciva a dedicarsi a più attività contemporaneamente senza fare troppa fatica. Quei solchi sui tappeti, insomma, provavano che fosse una persona che per pensare usava il corpo intero.
Il letto appariva comodo e maestoso, cinto da una testiera di legno intrecciato con, all'apice delle due sponde, una decorazione costituita da rami e palchi di cervo ben cerati. Il materasso, invece, era oberato di cuscini ricamati con foglie di quercia e raffigurazioni naturali. Inoltre, non era soltanto rivestito di coperte, ma anche di pellicce (cacciate e conciate da Lavellan stessa) e sopra di esse erano sparsi altri libri e scheletri di meccanismi da ultimare.
Oltre a possedere una catena di librerie, i muri erano tempestati di trappole e trofei di caccia, compresi di palchi, teschi e corna di varietà molteplici. La luce azzurro verdognola del velfuoco, proveniente da dei candelieri smilzi disposti agli angoli della stanza, danzava sul pallore mortale di quelle decorazioni, facendo si che le ombre proiettate strisciassero lungo le intercapedini delle pietre murarie, tremando convulsamente qualora uno spiffero colpisse le fiamme.
L'altare dedicato a Falon'Din, che Lavellan aveva costruito nel locale terrazzato che sovrastava la zona notte, era immerso completamente nel buio. A prima vista, creava un inquietante agglomerato malforme, ma quando il secco bagliore dei lampi illuminava la stanza a giorno, si poteva notare una terrificante scultura raffigurante un barbagianni ammantato, ricavata da un patchwork di legnoferro, ossa e materiali di recupero. Era attorniata da rami di quercia dipinti di ogni colore e spolverati con foglia d’oro, su cui erano stati appesi nastri, collane e ninnoli costruiti con gusci di frutta secca che creavano un cicaleccio perpetuo a causa dei tanti spifferi che ferivano la stanza.
Lavellan adorava il suo antro da strega mancata, perché era stato costruito seguendo i suoi gusti, le sue abitudini e i suoi interessi. Riteneva che fosse splendido e molto confortevole. Il problema era che nessuno, eccetto il suo segretario, sembrava condividere le sue scelte in fatto di estetica; nemmeno Dorian, che nel paradigma che definiva la sua personalità aveva “amante del macabro”.
Se non fosse che le persone erano costrette a frequentarlo, nessuno ci avrebbe mai messo piede volontariamente e Lavellan, pur essendo abituata a trattenere per sé certe inclinazioni discutibili, per evitare di indisporre gli animi sensibili, non riusciva a non sentirsi ferita da quel rifiuto.
In quella tetra notte tempestosa, figlia di una giornata uggiosa e straboccante di impegni, Lavellan aveva deciso di prendersi una pausa doverosa, trovando asilo nell'oscurità che avvolgeva l'altare. Le accadeva di aggiornarlo sempre quando aveva bisogno di assecondare un pensiero particolarmente rumoroso, infilando rametti, foglie, fiori secchi e ossicini nei tendini di halla per decorare gli spazi che le sembravano vuoti. Era un'operazione che favoriva il processo cognitivo, impegnandole le mani per velocizzare le idee. Pregare normalmente, come la stragrande maggioranza della sua gente, le sembrava incoerente con la sua persona e le pareva insincero rivolgersi ai Numi senza presentare loro se stessa nella sua interezza. Soprattutto, la riteneva una mancanza nei riguardi di Falon’Din, che l’aveva guidata fin da quando aveva emesso il suo primo vagito.
-Me le cerco.- borbottò, rivolgendosi a un moccolo di candela che aveva posizionato su una ciotolina di legno antistante l'altare. Quella era sorretta da tre mani scheletriche, dipinte d'oro e riccamente inanellate. Come base, c'era un piedistallo d'onice circolare, che rifletteva la fiammella, unica fonte di calore visivo in una sinfonia di colori freddi.
-Già, me le cerco.- ribadì Lavellan, annodando i vertici del serto su cui stava lavorando. -Ogni volta che dico “questa è la volta buona”, non è mai la volta buona. Delltash!- si rivolse allora alla scultura. -Cos'è, un modo di dirmi che devo restare concentrata sull'obiettivo?-
La scultura venne illuminata interamente da un lampo, ma giustamente non rispose.
-Posso avere una, ma dico una gioia in vita mia?- si lamentò Lavellan, scoccandole un'occhiata truce. -Posso darti ragione sul fatto che la mia fronte intrattenga una relazione promiscua con tutti i muri che trova sul suo cammino, ma almeno tu cerca di venirmi un po' incontro, dai! Posso fare il mio dovere ed essere felice allo stesso tempo, eh! Non è che devo per forza sacrificare ogni cosa.- aprì una mano nella sua direzione. -Ora mi verrai a dire: “Ankh, che me ne frega delle tue faccende personali? Io ho problemi ben più grandi!”.- la scimmiottò, inventandosi una voce lamentosa e distorta dalla condiscendenza. -“Pensa in grande, pensa in avanti, non soffermarti su questi pensieri superficiali. La tua gente ha bisogno di te, non cincischiare!”- roteò lo sguardo, mentre ripuliva il serto degli accessori ingombranti. -Ti pare che cincischi? No, dimmelo, ti pare che stia cincischiando?-
-Mi pare che tu stia impazzendo.-
Lavellan sobbalzò, rischiando di strappare la decorazione dallo spavento. -Fenedhis lasa, Shaan!- gemette, cercando di regolarizzare il respiro. -Annunciati, diamine!-
Il suo segretario fece capolino dalla botola alla sua destra, incrociando le braccia sul pavimento, nell'assumere una posa rilassata. Le rivolse un'occhiata divertita. -Non ne ho mai avuto bisogno.- replicò, soffermandosi a osservarla. -Eri talmente concentrata a fare la cretina che non ti sei nemmeno accorta che questa è la terza volta che passo.-
Lavellan appoggiò il serto all'apice della statua, dandosi qualche secondo per controllare che restasse fermo al suo posto, prima di muoversi verso il nuovo arrivato. Gli indicò di discendere la scaletta con un gesto brusco, prima di accedere a sua volta al piano inferiore. Una volta lì, trovò ad aspettarla sulla sua scrivania una rosa di gallette di riso ricoperte di marmellata, decorate con mirtilli e foglie di menta.
-Il tuo cuore era al tavolo della cena, prima, abbacchiato come un segugio chiuso fuori di casa durante un acquazzone.- le rivelò Shaan, sedendosi sul letto mentre lei recuperava il cibo. -Il suo sguardo correva spesso verso la porta delle tue stanze.-
Lavellan si rigirò una galletta tra le mani, studiandola con aria delusa prima di addentarla. -Non posso stargli troppo addosso, dopo quello che è successo.- disse, a bocca piena.
Shaan incrociò le gambe sul materasso, prima di rivolgerle un'occhiata scettica.
Lavellan reagì a quell’accusa implicita alzando gli occhi al cielo. -Avanti, dillo.-
-Te l'avevo detto.-
-Wow, nessuna esitazione!-
Shaan esalò un sospiro rassegnato. -Proprio perché in amore hai la fortuna di un amuleto per il malocchio, pensavo che avessi imparato che è il caso di andarci piano.- disse, ingentilendo il tono di voce.
Lavellan finì la galletta a fatica, si pulì le mani sui pantaloni, poi si andò a sedere al suo fianco. -Non c'è niente che non va tra noi, ha solo bisogno di un po' di tempo per riprendere contatto con la realtà.- spiegò. -Pensa di avermi ferita.-
-Ti ha ferita.- puntualizzò lui.
-Non intenzionalmente. Un delirio è un delirio proprio perché non ha un senso. Sono eventi successi nella nostra vita che si mescolano nella nostra testa, creando delle fantasie, e queste molto spesso sono svincolate dalla logica.- articolò lei, con convinzione. -Non è una cosa che si può controllare.-
Shaan però non sembrava essere persuaso da quelle parole. -Da quant'è che ti evita?-
Lavellan finse di rifletterci, ma era ovvio che fosse certa della risposta. -Tre giorni.- disse, chinando lo sguardo a terra. -Come l'hai visto?-
-Te l'ho detto, è abbacchiato, ma sembra stare bene.-
Lavellan guardò l'Ancora, che creava un braccialetto luminoso sulla chiusura del guanto che lei indossava per proteggerla. -Vorrei che non avesse così tanta paura di essere consolato.- confidò, tristemente.
Shaan avvolse il suo avambraccio con una stretta leggera. -Per un uomo che segue un codice d'onore, è molto facile diventare preda dell'orgoglio.- le spiegò. -E, molto spesso, la linea che intercorre tra orgoglio e vergogna è molto sottile.-
-Nel suo caso, è trasparente.- commentò lei, passandosi una mano sul capo. -Il problema è che lo capisco, lethallan. Ricevere rassicurazioni su qualcosa di così personale... ti fa sentire in colpa di esistere.- fece una pausa. -Tu che hai visitato le Valli molto prima di me, sai cosa vuol dire.-
Shaan non rispose, mantenendo sul viso un'espressione apparentemente neutra. Il suo sguardo era intellegibile, i suoi lineamenti rilassati, ma le dita appoggiate sulla manica del completo di Lavellan ebbero un tremito quasi impercettibile.
Lei rispettò quel silenzio, che alla fine era una conferma alla sua teoria. Appoggiò la mano sulla sua, semplicemente, conscia di non essere l'unica ad avere a che fare con qualcosa che umanamente era impossibile da processare.
Per molto tempo, l'unico rumore che si udì nella stanza fu lo scrosciare della pioggia proveniente da fuori, accompagnato dal saltuario crepitio di un tuono nella distanza.
-Fai bene a parlargli.- mormorò Shaan, curvo sul quel parco contatto fisico che spartivano. -A condividere con Lui quello che succede da questa parte. Non è qualcosa che facciamo tutti, al di fuori dei funerali.-
Lavellan sorrise appena. -Allora non pensi davvero che stia impazzendo.-
-Certo che lo penso, ed è un dato di fatto. Tu non sei mai stata tanto a posto con il cervello.- disse lui, senza tracce di divertimento sul viso. -Solo una pazza potrebbe pensare di assicurarsi un ruolo di comando in un'organizzazione voluta dai vertici della Chiesa.-
-Quindi è per questo che mi mettete costantemente in dubbio.- intervenne lei, assegnando una sfumatura maliziosa al sorriso che indossava.
Shaan ricambiò. -Chi ti mette in dubbio non possiede uno sguardo così allenato come il tuo.- disse, appoggiando la mano libera sulla sua. -In un universo dinamico come il nostro, in tempi sregolati come questi, la tua veggenza merita una fiducia incondizionata.-
Lavellan indugiò sul suo sguardo penetrante, rilassando gradualmente la postura. -Ma serannas.- disse.
Il suo interlocutore chinò lievemente il capo, in risposta. Attese qualche istante prima di ritornare alla carica su un discorso meno gravoso. -Ah, e per rispondere a nome di chi è impossibilitato a farlo: ci sono cose che puoi pianificare e altre che devi per forza vivere sul momento. La tua relazione appartiene alla seconda categoria.- le rivolse un'occhiata comprensiva. -Per una volta, pianificare potrebbe essere controproducente.-
Lavellan esalò un sospiro pesante. -Farò finta di non aver appena ricevuto un consiglio d'amore da qualcuno che l'amore lo riversa unicamente sulle scalette.-
Shaan si sciolse dalla presa, per rialzarsi. -Solo perché non ho tutta questa fretta di legarmi, non significa che non abbia esperienza.- la contraddisse, mentre si raddrizzava la giacca del completo. -Hai altri dieci minuti per riprendere fiato, poi ti aspettano cinque riunioni di fila.-
Lavellan sentì il peso delle responsabilità gravarle su ogni singolo osso che aveva in corpo, con il risultato che le si curvò la schiena.
-E finisci il cibo. È un ordine.- aggiunse lui, muovendosi verso le scale che portavano ai piani inferiori.
-Manco fosse mio padre.- brontolò lei, alzandosi a sua volta per raggiungere il vassoio. Lo rigirò sulla superficie della scrivania, saggiandone i bordi con le dita, mentre scorreva uno sguardo assente sul suo contenuto. -“L'unica cosa che riesce a mangiare quando il suo stomaco è annodato dal nervosismo”- mormorò, prendendo una galletta con cura per evitare di spandere la marmellata sui libri.
Se l’avvicinò alle labbra e l'aroma dolce della marmellata aderì immediatamente al suo olfatto, sbloccando la sensorialità di un ricordo confortante. Al primo morso, la memoria le propose subito le immagini sfocate collegate a esso, fornendole un contesto spazio-temporale a cui associare i suoi sentimenti.
-Dieci minuti.- disse tra sé e sé, ritornando la fetta al vassoio con lo sguardo di chi si sta aggrappando con tutta la psiche a un pensiero per non lasciarlo scappare.
-Dieci minuti.- ripeté, mentre il suo corpo si muoveva automaticamente attraverso le scalinate che conducevano ai locali inferiori.
-Dieci minuti. Dieci minuti. Dieci…-
Con i capelli e le spalle umidi di pioggia, maledisse il magnetismo che legava la sua persona e Cullen, poi bussò alla porta del suo ufficio, con decisione.
Non le servì annunciarsi, perché dal tono di voce con cui lui pronunciò -Avanti.- intese che fosse già al corrente della sua identità. D’altronde, anche lei tendeva a riconoscerlo al volo, quando l’attrazione che intercorreva tra le due parti si faceva più invadente.
Cullen era in piedi al di là della scrivania, indossando una rigidità partorita dal gran senso d’imbarazzo che provava nei riguardi della nuova arrivata.
Lavellan però non era lì né per rassicurarlo, né per discutere di ciò che era successo tre giorni prima. Si diresse verso la scrivania con decisione, così come affrontava il tavolo di guerra quando il consiglio si soffermava a discutere di questioni delicate, quindi appoggiò le mani sul bordo del mobile, protendendosi verso la mappa tattica che lo sormontava. -Quando a una ragazzina interessano più i cimiteri dei giocattoli, è difficile trovare un punto di connessione con gli altri.- iniziò, mantenendo un tono di voce moderato. -C’è sempre qualcosa da dimostrare, qualcosa da nascondere, qualcosa di cui privarsi per evitare di essere definita pazza. E oltre alla stranezza c’è la debolezza, il venire fraintesa per…- fece per sovrapporre una mano sullo stomaco, istintivamente, ma si impedì di concludere il gesto.
Cullen rilassò di poco la postura, avvicinandosi di un passo alla scrivania per prestarle orecchio attivamente.
-Non mi è rimasto niente di mia madre.- proseguì lei, sforzandosi di guardare il suo interlocutore dritto negli occhi. -Niente di materiale, intendo. Ciò che mi rimane è il conforto che mi dava dividere quel poco che ci veniva assegnato dopo che lei tornava dalla caccia. Non serviva che le dicessi quello che provavo, non serviva che mi giustificassi… quella piccola interazione mi bastava per non sentirmi sbagliata.- fece una pausa, per deglutire l’emozione. -Non ricordo i dettagli del suo viso, o il tono della sua voce, ma ricordo la nostra ultima cena insieme.-
-Marmellata di frutti di bosco su gallette di riso.- mormorò Cullen, carezzandola con uno sguardo malinconico.
A Lavellan non servì confermare la risposta. -Il suo ultimo atto di amore, per me, che sarei rimasta da sola con…- si indicò con un cenno sbrigativo, amareggiata. -Non me ne ero mai resa conto, prima che mi venisse fatto notare. Persino il mio cibo preferito ha a che fare con la morte. È… coerente. Nel senso più noioso del termine.-
Cullen rilasciò un respiro che, dalle tempistiche in cui stava eseguendo quell'azione, era ovvio avesse trattenuto per troppo tempo. -Non penso che abbia a che fare con la morte.- disse. -È il tributo involontario a un gesto altruistico. Forse è il motivo scatenante che ti ha spinta a diventare quel genere di persona per gli altri, anche se non te ne sei mai resa conto.-
-Quel genere di persona?- gli fece eco lei, dubbiosa.
-Quella che si priva dell'ultima mela della stagione per confortare un ragazzino che ha appena perso tutto.- elaborò lui, con un tono di voce che secerneva rispetto. -E che continua a darmi fiducia, nonostante…- si indicò, proprio come aveva fatto lei pochi istanti prima. -Tua madre ti ha lasciato molto più di quello che immagini, ed è un'eredità che ha salvato molte persone, me compreso.-
Lavellan deglutì, impedendo al nodo alla gola, formatosi a causa di quelle parole, di controllare la sua emotività e metterla in una situazione più difficile di quella che aveva anticipato. -Ha senso.- tagliò corto.
A fatica, si raddrizzò, lisciandosi la giacca sui fianchi, poi fece un passo indietro. -Grazie per avermi ascoltata.- disse, rivolgendogli un sorriso breve, tirato. -E scusa per l’interruzione.-
Cullen ricambiò il sorriso, con altrettanta enfasi. -Non preoccuparti.- replicò. Fece il giro della scrivania, con calma, poi si avvicinò alla porta settentrionale, per tenergliela aperta. -Ti accompagno.- propose.
-Non serve.- lo rassicurò lei, passandogli una mano sul braccio, coperto dall’armatura.
Indugiarono sull’ingresso a lungo, indecisi se contare le piastrelle del pavimento, osservare la pioggia lavare ciò che c’era oltre la porta, o troncare quell’interazione di netto per evitarsi ulteriori imbarazzi.
Cullen optò per la quarta opzione. Chiuse la porta e avvolse Lavellan tra le sue braccia, dando e ricevendo il carburante che serviva a entrambi per andare avanti in un contesto in cui si sentivano talmente esausti psicologicamente da non avere più la forza nemmeno di soffrire.

 

*



-Quelle tue dannate capre cornute hanno riempito il prato di escrementi. Ci ho rimesso la suola degli stivali nuovi.-
-Non sono mie, sono venute con le cacciatrici.-
Dorian sollevò uno sguardo divertito dal bicchiere di rosso che si stava godendo in compagnia di Varric e Cullen, nella corte del torrione occidentale. Lo portò in direzione della passerella, nella quale due guardie stavano facendo conversazione.
-Allora non sono l'unico a essere stato benedetto dalla fortuna, oggi.- bofonchiò Varric, che sedeva scompostamente su una catasta di legna.
-Se davvero portasse fortuna, a quest'ora noi fereldiani saremmo ricchi sfondati.- commentò Cullen, che sedeva, semisdraiato, al suo fianco con tutta l'aria di dover prendere sonno da un momento all'altro.
Dorian li zittì con un cenno, riprendendo ad ascoltare.
-Perché ve le portate appresso, poi?- domandò il primo soldato, che stava chiaramente picchiando un merlo con la suola dello stivale, per ripulirla.
-Perché sono animali sacri a Ghilan'nain, non è una cosa che uno shem può capire.-
-Capisco che semmai visitassi uno dei vostri accampamenti, mi ritroverei ad affrontare un campo minato.-
Il secondo soldato ridacchiò. -Sempre che ci arrivi. Hai visto le cacciatrici, no? Quelle scoccano a vista.-
-Le ho viste, le ho viste. L'unica carne che hanno le vostre cacciatrici è quella che abbattono, apparentemente. Come facciano a stare in piedi è un mistero.-
Varric si voltò appena verso Cullen. -Effettivamente.- commentò. L’altro, che stava sorseggiando il suo vino, gli rivolse un'occhiata di totale disapprovazione.
-Non eri anche tu un cacciatore, prima di entrare nell'Inquisizione?- tornò alla carica il primo soldato.
Ci fu un istante di silenzio. -Sì, meno pesi, più sei veloce e meno fai rumore.- rispose l'Elfo. -Ma la situazione è un po' più complessa, almeno nel mio clan. Il cibo che cacciavo lo portavo al Guardiano e lui lo razionava in base alle esigenze. In un clan come il mio che ha tante persone anziane, o tante famiglie, viene data la priorità alle persone più fragili. Di solito, noi cacciatori eravamo gli ultimi ad assaggiare le nostre prede.-
-Mi sembra una stupidaggine. Siete voi che avete più bisogno di restare in forze.-
-Vallo a dire al mio Guardiano. Se vuoi ti do carta e penna e gli mandiamo un corvo.-
Il primo soldato sbuffò. -Quindi l'Inquisitrice...- iniziò.
-L'Inquisitrice non fa testo.-
-In che senso?-
Varric e Dorian fecero convergere i loro sguardi su Cullen, che si era drizzato a sedere, con aria arcigna.
-Nel senso che non è una cosa legata alla caccia. Gira voce che abbia lo stomaco delicato, se capisci quello che intendo.-
-Dici che è in dieta?-
-Privarsi volontariamente del cibo, o peggio, vomitarlo dopo i pasti, è da considerarsi una dieta?-
Dorian si affrettò ad appoggiare una mano sulla spalla di Cullen, invitandolo a desistere dall'intervenire. -Voglio vedere dove vuole andare a parare.- mormorò, altrettanto infastidito.
-Da quello che so, è una cosa comune tra le nobildonne.- replicò il primo soldato. -Quando lavoravo per la sicurezza di dama Tourbette, sentivo lei e le sue dame di corte discutere di pratiche peggiori. Hai mai visto un corsetto? Quella è tortura vera e propria! Una volta madame è quasi svenuta durante un ricevimento perché quel marchingegno era troppo stretto. Da che mi ricordo, le altre dame l'hanno elogiata per essere rimasta in piedi fino alla fine.- fece una pausa. -Per fortuna siamo nati poveri e con un pene, eh?-
-Ho sentito dire dalla dama di compagnia della matrona De Launcet che molti dei vostri nobili si circondano di quelli della mia gente proprio perché li affascina quel genere di magrezza. Più un Elfo è magro, più è attraente, da quello che ho capito.-
-Quindi lo dici che lo fa per...?-
L'Elfo diede uno sbuffo eloquente. -Può essere che a lui piaccia così e lei si senta in dovere di...-
Cullen, che non ne poteva davvero più di assecondare la curiosità di Dorian, si alzò e si diresse verso la passerella con passo sicuro. Varric inspirò l'aria rumorosamente tra i denti, spostando uno sguardo imbarazzato altrove, mentre Dorian si attivava a sua volta, seguendo l'offeso per vedere come avrebbe gestito la situazione.
Quello, a dispetto delle sue aspettative, non sbranò i due soldati, anche se ne avrebbe avuto il pieno diritto. Piuttosto, li raggiunse con una calma innaturale, per posizionarsi alle loro spalle con un'espressione tremenda dipinta in viso. Dorian osservò i due passare da un sorriso gioviale allo sbiancamento graduale ma costante dei loro visi, per poi mettersi subito sull'attenti.
Cullen passò uno sguardo avvelenato su entrambi, dunque indicò loro il cortile. -Già che siete qui a fare niente, date una ripulita a questo posto.- ordinò.
-Ma signore, ci sta già pensando la squadra di manutenzione.- provò a dire il primo soldato, timidamente.
Cullen si limitò a guardarlo dritto negli occhi.
Il suo sottoposto annuì, nervosamente. -Sissignore.- balbettò.
-Faglielo fare a mani nude.- suggerì Dorian, per poi ripulirsi il palato con un sorso di vino.
-No, perché dopo li aspetterò nel mio studio per vedere il da farsi.- dichiarò Cullen, agitando una mano nella loro direzione per congedarli. Quelli esitarono un solo istante, con il terrore dipinto nello sguardo, poi si mossero velocemente attraverso la passerella per ottemperare all’ordine.
Cullen attese che se ne fossero andati, poi si passò una mano sul viso, stancamente, sforzandosi di mollare la presa sulla rabbia che provava. Dorian lo osservò con aria attenta, dal bordo del suo calice. -Cos'hai intenzione di fargli?-
-Purtroppo, niente. Sono bravi soldati, hanno solo la lingua lunga.-
Il suo interlocutore assunse un’espressione sbalordita. -Bravi soldati?! Ti hanno appena accusato di...-
-Lo so di cosa mi hanno accusato.- tagliò corto Cullen, tornando sui suoi passi.
-Meglio così. Le voci sono voci.- intervenne Varric, restituendo il bicchiere di vino che l’offeso aveva lasciato nella foga. -Non dargli troppo peso, Ricciolino. Sono soldati, la prossima settimana troveranno qualcosa di diverso su cui spettegolare.-
Cullen tornò a sedere, accigliato. -Preferirei che l'argomento del giorno non riguardasse sempre lei.- ammise, recuperando il contenitore.
-È normale. È il capo.- disse Varric, battendogli una mano sulla schiena. -Sapessi cosa dicono dell'Usignolo. Quelle storie sono realmente fantasiose.-
-Lo so cosa dicono delle mie colleghe, ed è altrettanto ingiusto.-
-Lei ci ride sopra.-
-Solo perché ci ride sopra, non delegittima il fatto che siano voci degradanti e diffamatorie.-
Varric si strinse nelle spalle. -Questo è vero, ma non è una cosa che puoi controllare. È pura goliardia.-
-Non è goliardia, è bassezza.-
Dorian si rimise al suo posto, sporgendosi poi verso di loro. -In tutta franchezza, questa cosa mi dà da pensare. Le uniche cose che le vedo mangiare sono frutta di bosco e noccioline.-
-A furia di mangiare solo mirtilli, si trasformerà in un cespuglio.- chiosò Varric, rigirandosi il bicchiere tra le mani.
-Smettiamo di parlarne, d'accordo?- sbottò Cullen. -È una voce. Messa in giro con l'intenzione di ferirla. Se la legittimate in questa maniera, peggiorerete la situazione.-
Dorian lo squadrò con uno sguardo indagatore. -Ci stai zittendo e basta, o parli così perché c'è un fondo di verità?-
Varric sospirò. -Secondo te?- rispose, in maniera eloquente.
Cullen non confermò, ma nemmeno negò quell'ipotesi, perché lui per primo era incerto sulla sua validità. In ogni caso, non erano affari che li riguardavano. Finì semplicemente il bicchiere in un sorso e lo appoggiò a terra, per poi rialzarsi con un alone di seccatura nello sguardo. -Devo tornare in caserma.- annunciò, muovendosi verso le scale. -Buon proseguimento, signori.-
Dorian lo osservò allontanarsi, poi recuperò il fiasco di vino e si riempì di nuovo il bicchiere. -Tu che cosa ne pensi?- domandò.
-Che non sono affari nostri, ma anche che sia il caso di fare quattro chiacchiere con il piccoletto, giusto per stare tranquilli.- rispose Varric, allungando il bicchiere in direzione del suo interlocutore per permettergli di rabboccarlo. -Tornando a noi, hai già provato la divisa?- domandò, cercando di sviare il discorso su argomenti meno personali.
Dorian si picchiettò i bordi delle labbra con un fazzoletto, poi spostò lo sguardo verso il sole che tramontava, coperto parzialmente dal mastio. -Lo farò stasera. Voglio essere presente quando Ankh proverà il vestito.- ammise. -La stilista ha lavorato duro, ma lei ci ha perso direttamente il sonno a furia di lezioni di danza e allenamenti sui tacchi.-
-Allenamenti sui tacchi?-
-Trampoli. Deliziosi, fiammeggianti e dolorosissimi trampoli.- dichiarò Dorian, con un sorrisetto. -Ma cosa ne parlo a fare con te che nei tuoi libri scrivi di vestiti come se fossero focacce ripiene!-
Varric rise. -D'accordo, mi limiterò ad annotarmi la reazione del ricciolino.- fece. -E spero per lui che non debba più fare i conti con accuse del genere.- aggiunse, a mezza voce.
Dorian prese un sorso di vino, con aria assorta. -Siamo in due.-

La ramanzina che Cullen fece ai due soldati fu breve e concisa, così come la conseguente punizione che rifilò loro. Entrambi non se l'aspettavano, perché erano stati colti in flagrante a diffamare la catena di comando, ma non osarono lamentarsi quando vennero assegnati loro soltanto un mese di turni ignobili e lavori pesanti in caserma, anzi, si scusarono sentitamente e accettarono le conseguenze delle loro azioni, com’era giusto che fosse.
Cullen li osservò allontanarsi con il cuore pieno di risentimento, perché odiava l'idea che i suoi uomini assegnassero a lui le colpe di una situazione che nemmeno Lavellan poteva controllare. Perché così come lui non poteva gestire il proprio trauma con la sola forza di volontà, lei non era in grado di far fronte alle conseguenze del suo nemmeno se Andraste in persona fosse scesa dai cieli per farle la predica. Lui sapeva che la sua compagna ne era consapevole, perché fin troppo razionale per negare l'evidenza, ma allo stesso tempo era certo che non avrebbe mai fatto un passo verso la guarigione senza prima capire i dettagli del suo malessere.
Il problema era che da sola non ci riusciva, l'intervento degli altri la infastidiva e basta e qualsiasi cosa lui facesse per venirle incontro sembrava portare al risultato opposto, causandole ancora più sofferenza.
Però non poteva mollare la presa, non dopo quello che lei aveva fatto per lui.
Fregandosene totalmente che fosse in atto la prova generale del vestito, si presentò di fronte alla porta d'accesso agli alloggi dell'Inquisitrice con una ciotolina di noci glassate e bussò sonoramente un paio di volte.
Gli andò ad aprire il segretario personale di Lavellan, che lo squadrò da capo a piedi con aria severa, prima di fargli cenno di seguirlo. -Non deve guardare, ma soprattutto, non deve toccare niente.- lo mise in guardia Shaan, mentre risalivano la rampa di scale che portava alle stanze dell'Inquisitrice. -Lasci qualsiasi oggetto contundente fuori e stia particolarmente attento a quelle noci, se non vuole che la signora Adra la scuoi vivo. Ah, e non...-
-Ho capito, ho capito. Starò attento.- lo interruppe Cullen, con voce annoiata.
Una volta risalita l'ultima rampa di scale, si ritrovò all'ingresso di un dedalo di stoffe e paraventi che avevano modificato profondamente il layout della stanza. Cullen si fermò sull'ultimo gradino con aria confusa, poi appoggiò le noci sul corrimano, provvedendo a liberarsi della spada e degli stivali, per evitare di incastrarsi durante il suo cammino.
-Inquisitrice, c'è il Comandante.- annunciò il segretario, scomparendo dietro a un paravento.
-No, no, no, no, no!- esclamò la voce burbera di Adra, facendo fare un giro su se stesso a Cullen, che non aveva la minima idea da dove provenisse. -Deve per forza aspettare. Se la tocca la sgualcisce e se la vede si rovina la sorpresa.-
-Posso tornare più tardi, non c'è problema.- si affrettò a dire Cullen, recuperando la ciotola per provare a muovere un passo attraverso il labirinto. -Ero solo passato a fare un saluto.-
Adra imprecò. -Non si muova da lì! Sono subito da lei con la sua divisa, ingegnere. Maestro, mi faccia un favore: lo blocchi prima che scappi, o non riuscirò mai a fargliela mettere.-
-Ci provo!- rispose la voce di Dorian, che Cullen riuscì a rintracciare nei pressi della scrivania dell'Inquisitrice. -Sono dietro al velluto di fustagno, Comandante.- lo indirizzò.
-E come accidenti è fatto il velluto di fustagno, adesso?- bofonchiò Cullen, tappando il contenitore con la mano libera per evitare di perdere pezzi per strada.
-Quello di fianco allo sciamito.-
-Oh, per l'amor di...! Sei alla scrivania o alla terrazza?-
-Alla scrivania. Attento ai rotoli di stoffa per terra! Sembra un campo di battaglia dopo che è passato un Artificiere.-
Dopo un'eternità a cercare di evitare di calpestare tessuti fin troppo costosi per trovarsi distesi per terra, Cullen riemerse dal dedalo, con il viso arrossato e un demone per capello. Raggiunse con uno sguardo allibito Dorian, che osservava la sua figura in uno specchio alto più di lui, poi si sporse per appoggiare la ciotola sulla scrivania.
-Cassandra è appena andata via.- gli riferì Dorian, raggiungendolo per prenderlo per un braccio e condurlo verso una rastrelliera con appese una serie di divise, situata a ridosso del letto. -Spero che non ti lamenterai per tutto il tempo, come ha fatto lei.- aggiunse, recuperando la sua divisa per consegnargliela con fare sbrigativo. Cullen la prese tra le braccia, con aria sofferente. -Devo proprio?-
-Deve, ingegnere. Deve.- rispose Adra.
Dorian lo spinse dietro a un paravento, poi tornò a specchiarsi. -Hai scelto tu questo rosso, no?-
-L'ho suggerito, non pensavo che l'avrebbe scelto.- replicò Cullen, disfandosi dell'armatura il più velocemente possibile per concludere alla svelta quella che lui riteneva una situazione creata ad arte per fargli perdere la pazienza.
-Eppure lo sai che gli Elfi non capiscono il rosso.-
Cullen si bloccò, sporgendosi al di là del paravento per rivolgergli un'occhiata stupita. -Gli Elfi non capiscono il rosso? E come diavolo ha fatto a...-
-Perché so fare bene il mio lavoro, ingegnere.- intervenne Adra, fuoriuscendo dal labirinto per raggiungere Dorian e sistemargli la giacca sulle spalle. -Le sta d'incanto, maestro!- si complimentò, abbassandosi gli occhiali sul naso nel fare un passo indietro. -Ecco uno che si è fatto vestire senza problemi. Guardi e impari, ingegnere!-
Dorian fece un giro su se stesso, poi compì una breve riverenza. Cullen alzò gli occhi al cielo, poi tornò a vestirsi. -Lav, se ci sei batti un colpo!- disse.
-Non può. Siamo al trucco e deve restare perfettamente immobile.- rispose una voce nuova, femminile e affettata, che lui non riconobbe.
Scontento, finì di abbottonarsi la giacca e uscì, con una fascia blu tra le mani e l'aria confusa. -E questa cos'è?- domandò, porgendola ad Adra.
Lei la raccolse e completò il lavoro al posto suo, per poi condurlo di fronte allo specchio. -Ma si guardi, ingegnere! La veste come un guanto!-
-Se i guanti fossero stretti sul torace.- si lamentò lui, senza però crederci troppo, perché la sua espressione, dapprima seccata, aveva assunto una sfumatura di soddisfazione.
Dorian inarcò un sopracciglio sopra uno sguardo scettico, poi spostò la testa verso il punto in cui era apparsa Adra poco prima. -Quando possiamo vedere il vestito?- domandò.
-Se fosse per me, lo vedreste direttamente al Palazzo d'Inverno.- rispose Adra, che stava cercando di capire quale fosse il problema con il taglio della giacca della divisa di Cullen, dato che non sembrava essere stretta come lui lamentava. Intuendo che fosse un commento fine a se stesso, ci rinunciò immediatamente, preferendo muoversi verso il tavolo alla ricerca del suo taccuino.
Quando notò la ciotolina di noci glassate, assunse immediatamente un'espressione dubbiosa. Si voltò brevemente verso Cullen, tornò a guardare la pietanza, infine rilassò i muscoli del viso. -Ragazzi, cinque minuti di pausa.- ordinò, battendo le mani due volte. Recuperò la ciotola e la consegnò tra le mani del suo portatore. -Non la tocchi, non metta le mani sul vestito e, soprattutto, niente baci.- lo avvisò, per poi indicargli una direzione al di là di un muro di gabardina nera, dal quale era appena fuoriuscito un gruppetto di persone, compreso un Nano in vestaglia dall’aria esausta.
-Posso respirare, almeno?- brontolò Cullen, contento di potersi allontanare due minuti da quella follia.
-Se deve.- scherzò Adra.
Dorian la fulminò con lo sguardo. -Ho aspettato due ore pur di vedere quel vestito.- le fece notare.
Adra lo squadrò da capo a piedi. -E a me che me ne importa? Si tolga la divisa, prima di stropicciarla.-
Seccato, Dorian soffiò una serie di imprecazioni in tevene, ritornando dietro al paravento per cambiarsi.
Cullen, nel frattempo, era riuscito a trovare la strada per raggiungere Lavellan, rischiando di riversare frutta secca sul vestito della truccatrice, che si era attardata per indicargli la strada. Quando vide la sua compagna, incorniciata dai drappi di tessuto che ricadevano dalle rastrelliere e dai paraventi, il fiato gli si mozzò in gola.
Il vestito era nero opaco, elegante, marziale e la fasciava come se le fosse stato dipinto addosso. Le spalline si congiungevano su un colletto senza alette, il quale si insinuava in un profondo scollo a V che scendeva fino alla chiusura dello sterno. Le maniche si aprivano sul gomito e l'eccedenza di stoffa andava ad aumentare il volume di una gonna svasata, aperta sul davanti e dotata di uno strascico di corte. Gli avambracci e le gambe erano coperti da un'armatura dorata, incisa in modo da richiamare un'ambivalenza simbolica. Infatti, a seconda di chi posava l'occhio su di essa, si potevano riconoscere sia le fiamme simbolo della Chiesa, ma anche il tronco di una quercia.
A coronare l'abbigliamento, i capelli erano stati acconciati in una treccia che le ricadeva ordinatamente sulla schiena, mentre i suoi occhi erano leggermente truccati di nero, amplificando il verde magnetico che li caratterizzava e illudendo l’osservatore che fossero affilati, quasi gatteschi. Le labbra invece erano dipinte di un mogano profondo, strutturate alla perfezione.
Se già al naturale la trovava bella, in quel momento Cullen ritornò a chiedersi, per l'ennesima volta, come accidenti fosse riuscito a fare in modo che una chiara manifestazione della perfezione si innamorasse di lui.
Lavellan osservava il suo riflesso in uno specchio lungo addossato alla parete, con le mani giunte in grembo e una vena di malinconia nello sguardo severo. Se possibile, quella nota di austerità dava ancora più potere alla sua figura, elevata nobilmente dall’ensemble.
-Promettimi che ti vestirai così al mio funerale.- scherzò lui, portandosi alle sue spalle.
Lavellan si voltò nella sua direzione. -Te l'hanno mai detto che sei una frana a flirtare?- lo canzonò.
Cullen sorrise lievemente, mentre appoggiava la ciotolina tra le sue mani. -Volevo solo dire che...- iniziò, per poi bloccarsi, sopraffatto.
Lei passò uno sguardo divertito su di lui. -Grazie.- disse, semplicemente, per poi iniziare a spiluccare le noci, attenta a non rovinare il rossetto.
Cullen carezzò il suo viso con occhi rapiti, indeciso su come approcciarsi a lei, che gli sembrava su tutto un altro piano dimensionale. Addirittura, appariva più alta.
Ci mise qualche istante a realizzare che era effettivamente più alta. Difatti, riusciva a guardarla direttamente negli occhi senza dover chinare la testa.
Lavellan intuì quello che le stava per chiedere e liberò una gamba dalle falde della gonna, approfittando dello spacco per sollevarla e appoggiare lo stivale su uno sgabello.
-Sembrano pericolosi.- commentò lui, osservando che la scarpa portava un tacco importante, decorato con una spirale di fiamme dorate che si congiungevano sul tallone. Ma erano davvero fiamme, o erano foglie?
-Mi alleno a portarli da settimane.- ammise lei, riportando il piede a terra. -Mi sono slogata due volte la caviglia, ma adesso riesco a muovermi in linea retta senza barcollare.-
-Sono molto poco pratici.-
-Orribilmente poco pratici. Ma ho in mente di...-
Un colpo di tosse al di là del tessuto la fece desistere dal continuare. Allora sospirò, appoggiando la fronte sulla spalla di Cullen, con aria stanca. Lui, che aveva l'ordine di non sfiorarla nemmeno con la più pura delle intenzioni, dovette ricorrere a tutto il suo autocontrollo pur di evitare di prenderla tra le braccia.
-Devo resistere.- mormorò lei, chiudendo gli occhi.
Cullen indulse in una minuscola trasgressione e le sfiorò il capo con un bacio lieve, poi cercò il suo viso con lo sguardo, per rivolgerle un sorriso. -Andrà tutto bene, amore mio. Saremo al tuo fianco durante tutto il ricevimento, non devi preoccuparti di niente.-
Lei però non sembrava per niente rassicurata dalle sue parole. Svuotò la ciotola, poi gliela restituì, per ritornare a guardarsi allo specchio, accigliata. -L'Araldo di Andraste.- fece, passandosi una mano sullo stomaco. -Pronta a salvare i suoi oppressori dalla rovina mentre perdono tempo con balli e banchetti, sapendo che l'unico applauso che riceverà a fine serata sarà quello tra il suo sedere e la sedia quando arriverà il momento di rilassarsi.- voltò uno sguardo tinto di frustrazione verso Cullen. -Non sai cosa darei per poter affrontare Corypheus faccia a faccia. Qui e adesso.-
-Sono con te.- replicò lui, portandosi al suo fianco. Osservò entrambi allo specchio, per diversi istanti, riconoscendo la rabbia che Lavellan gli aveva mostrato alle Tombe di Smeraldo, poi sospirò. -Purtroppo, non siamo ancora pronti. Abbiamo davvero bisogno dei dannati orlesiani, per vincere una battaglia del genere.-
-Non parlavo di una battaglia. Dico solo che da bambino non ha ricevuto abbastanza sculacciate e qualcuno dovrebbe provvedere in tal senso.-
-Arriveremo anche a quello, te lo prometto.-
-Nel senso che me lo terrai fermo mentre lo picchio, o che faremo a turni con il battipanni?-
-Decideremo quando saremo riusciti a metterlo alle strette. È solo questione di tempo.-
Lavellan aprì la bocca per replicare, ma ci rinunciò subito, imponendosi di scrollarsi di dosso la rabbia con un bel respiro profondo. Cullen raggiunse le sue mani per stringerle tra le proprie, impossibilitato a resistere altrimenti alla distanza impostagli. -Saremo così efficaci che non saprà nemmeno cosa l'ha colpito.- ribadì.
-Questi stivali sono così rumorosi che mi sentirebbe arrivare da chilometri di distanza.- replicò lei, permettendo che le loro dita si intrecciassero naturalmente, nonostante i guanti d’arme.
-Prova a pestargli un piede, allora. Magari è la volta buona che lo rallentiamo.- scherzò lui, rivolgendole un sorrisetto.
Lavellan rise, appoggiando la fronte sulla sua. Fece per baciarlo, ma si fermò giusto in tempo, ricordandosi del trucco. -Mi manchi terribilmente.- disse con un filo di voce e la desolazione nello sguardo, memore del fatto che l'unico momento che avrebbero potuto trascorrere insieme, da soli, prima del ballo, sarebbe stato forzatamente inquinato da discorsi relativi al lavoro.
Lui, che condivideva i suoi sentimenti, strinse la presa sulle sue mani. -Adesso non possiamo proprio fermarci, cuore mio. Ma quando arriverà il momento di riprendere fiato, ti starò così addosso che non vedrai l'ora di tornare in missione.-
Lavellan sorrise appena. -Come una sciarpa?- domandò, piano.
-Come un cappotto.- rispose lui, guardandola con occhi carichi di affetto.
-Dottoressa, non possiamo stare qui tutta la notte.- intervenne Adra, battendo le mani nervosamente dall'altro capo del labirinto di stoffe.
Lavellan e Cullen si scambiarono un'occhiata stanca, poi lei sciolse le mani dalla stretta, con decisione. -Ci sono!- disse, riprendendo il controllo dei suoi sentimenti. -Grazie di essere passato.- aggiunse, a mezza voce.
Cullen le rivolse un ultimo sorriso, attraverso lo specchio, poi recuperò la ciotolina vuota e si dileguò.
Una volta ritornato alla scrivania dovette fare i conti con un'espressione di totale disprezzo. -Perché quando ci sei di mezzo tu finisco sempre per rimetterci qualcosa?- lo aggredì Dorian, seriamente irritato.
Cullen lo ignorò. Appoggiò la stoviglia sulla superficie del mobile, poi si diresse verso il paravento, prendendo a slacciarsi la divisa. -È solo un vestito.- disse, dopo un po'.
Dorian, che si era affacciato sulla terrazza, esalò un sospiro nervoso. -Lo sai benissimo che non è "solo un vestito".- protestò, raggiungendo il Nano in vestaglia all’esterno per farsi consolare con un bicchiere di cordiale.
Cullen si ritrovò a sorridere tra sé e sé. -Già.- replicò, semplicemente.



 

-Nota-

Pronti per andare a comandare ad Halamshiral
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Da un lato, non vedevo l’ora, dall’altro aiuto
Ma aiuto per me, eh. Psicologico.
Abbraccissimi <3

   
 
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