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Autore: Risa_chan    19/10/2022    0 recensioni
«Mamma?»
Shoyo chiamò con la voce incerta, aprendo la porta della cucina malconcia.
La stanza era in ordine ma vuota: la mamma non c’era.
I passetti rimbombavano sul vecchio pavimento malconcio, l’asia che saliva nel petto di Shoyo.
Tutte le mattine lo svegliava con un bacio e facevano colazione insieme, lasciano Nastu dalla vicina prima di uscire. Quando andava al lavoro molto presto, al suo risveglio trovava Mami-san e le sue ciambelle calde e profumante. Ma la casa era vuota, buia e spaventosa.
[Fanfiction partecipante al Writober 2022 indetto da fanwriter.it] #fuorichallenge
Genere: Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Natsu Hinata, Shouyou Hinata
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Fanfiction partecipante al Writober 2022 indetto da fanwriter.it
 
FANDOM: Haikyuu!!
TITOLO: Misteri famiglia
PROMNT: Crime (Pump AU)
PERSONAGGI: Hinata Shoyo, un po’ tutti.
COPPIA: a Sorpresa!
 
 

Prologo

 

2002
 

 
 
«Mamma?»
 Shoyo chiamò con la voce incerta, aprendo la porta della cucina malconcia.
La stanza era in ordine ma vuota: la mamma non c’era.
I passetti rimbombavano sul vecchio pavimento malconcio, l’asia che saliva nel petto di Shoyo.
Tutte le mattine lo svegliava con un bacio e facevano colazione insieme, lasciano Nastu dalla vicina prima di uscire. Quando andava al lavoro molto presto, al suo risveglio trovava Mami-san e le sue ciambelle calde e profumante. Ma la casa era vuota, buia e spaventosa.
C’era troppo silenzio e così pochi posti in cui cercare nell’angusto appartamento.
Riprovò in salotto. «Mamma?»
Non era neanche lì. Chiharu Hinata non si trovava né in camera sua e né in bagno.
 
Il silenzio fu rotto dal pianto di sua sorella. Corse nella stanzetta dove lui e Nastu dormivano.
La bimba se ne stava in piedi sul lettino aggrappandosi alle sbarre con tutte le forze; gli occhi pieni di lacrime e i capelli rossi arruffati.
Shoyo si avvicinò per cercare di tranquillizzarla. «Nastu-chan non piangere, ci sono io con te!»
La bimba smise di piangere e gongolò felice. «Da-da!»
«Tieni,» le disse porgendole l’orsacchiotto spelacchiato, «torno subito, okay?»
Come se Nastu avesse compreso le sue parole si risiedette sul materasso intenta a giocare con il giocattolo di pezza. Solo allora, accertatosi che sue sorelle stesse bene, corse fuori dalla stanza, poi giù lungo il corridoio verso la porta della signora Mami-san.
Forse la mamma era dovuta uscire perché il suo capo l’aveva chiamata come a volte capitava, forse Mami-san sapeva dov’era.
Il corridoio con le porte di legno scandente sembrava non finire mai mentre si ripeteva che la mamma sarebbe tornata presto e tutto sarebbe andato bene…
Bussò con forza alla porta 304 finché una signora dall’aria smunta, i capelli sale e pepe non gli aprì la porta.
«Sho-chan, cielo perché bussi così forte?»
Gli occhi di Shoyo si ripeterono di lacrime, si lanciò tra le braccia di mami-sa, spiegando a fatica, tra un singhiozzo strozzato e l’altro che si era svegliato e lui e Nastu erano soli in casa.
«Su, non piangere caro,» Mami-san gli accarezzava i capelli cercando di tranquillizzarlo, «sono sicura che Haru-chan tornerò presto.»
Shoyo era soltanto un bambino spaventato eppure percepì l’ansia e l’incertezza nella voce della donna.
«Quando l’hai vista l’ultima volta?»
Shoyo si scostò dal golfino ceruleo. «Ieri sera credo, quando ci legge la favola della buona notte.»
Il sorriso rassicurante di Mami-san si spense alla sua risposta poi però tronò ancora più largo ed evidente di prima senza però arrivargli agli occhi.
 «Sai che facciamo? L’aspettiamo insieme il suo ritorno mentre facciamo colazione sarai affamato.»
 Shoyo annuì. Afferrò la mano della donna e insieme tornarono nel loro appartamento
Mami-san si guardava in torno nervosa, sbirciò nella camera di sua madre prima di andare a prendere Nastu e portarla in cucina. Shoyo la seguiva ubbidiente.
Mami-san preparò uova e toast che servì a Shoyo su un piatto sbeccato, con i fiorellini gialli stilizzati. Mentre dava il biberon con latte e biscotto lacciava in continuazione occhiate all’orologio appeso alle pareti.
Mentre mangiavano il citofono suonò.
La donna si asciugò le mani su uno strofinaccio. «Sho-chan, rimani in cucina con tua sorella, vado ad aprire.»
Non stette via tanto, ma quando tornò il suo viso aveva perso completamente il poco colore che aveva. Non era sola, con lei c’era un poliziotto altissimo, il naso grande e il sorriso gentile
Mami-san si dette accanto a lui. «Questo signore ti vuole fare alcune domande sulla mamma.»
Shoyo lo guardò speranzoso il poliziotto. «Troveri la mamma, vero?»
L’uomo gli accarezzò i capelli proprio come aveva fatto la sua vicina preferita. «Sei un ometto coraggioso, vero Shoyo-kun?»
«Sì signore!» esclamò convito.
«Bene, devo dirti una cosa molto importante, ascoltami ok?»
Shoyo annuì di nuovo.
Il poliziotto gentile cercò di spiegargli la cruda realtà.  Sua madre non sarebbe più tornata; la polizia aveva già trovato il suo corpo senza vita. Hinata Chiharu era stata trovata all’alba abbandonata in mezzo ai rifiuti con 57 coltellate al volto e al petto.
 
 
 

2018

 
 
Hinata Shoyo si svegliò di colpo sudato e ansate.
Si mise a sedere cercando di ritrovare il controllo dei suoi sensi. Riconobbe la carta da parati grigia, non avrebbe mai saputo se fosse stata di quel colore da sempre oppure era lo sporco a renderla di quel colore.
Fuori dalla finestra sentì il miagolio di un gatto seguita da ’imprecazione di un ubriaco probabilmente inciampato nella povera bestia. Lasciò uno sguardo alla sveglia: le due meno un quarto.
Si sfregò gli occhi prima di scendere dal letto per andare a perdere un bicchiere d’acqua.  Percorse il lungo corridoio e attraverso il salotto per andare in cucina.
«Accidenti…»
Il lavabo perdeva ancora si fece un appunto mentale di dargli un’occhiata appena poteva, dopo aver superato la giornata che lo attendeva.
Prese un bicchiere e li riempì d’acqua.
Si appoggiò al mobile usurato cercando di riordinare i pensieri.  Aveva di nuovo sognato la maledetta mattina in cui sua madre era scomparsa per sempre. Quell’incubo lo perseguitava ad intervalli regolari. Forse perché viveva a pochi isolati di distanza dalla sua vecchia casa, nello stesso quartiere pieno di immondizia strabordante dai cassonetti, puttane e senza tetto nei vicoli angusti tra un grattacelo fatiscente e l’altro.  Ma era il desiderio mai morto di sapere cosa fosse successo a sua madre tanti anni prima ha tenerlo sveglio.
Era anche nervoso perché quel giorno avrebbe rivisto quel bastardo di genitore che gli era rimasto dopo anni.
Shoyo non ricordava poco e nulla si suo padre; era stato arrestato quando aveva cinque anni e da quel momento non si era più fatto vedere né sentire.
Beh, non che avrebbe potuto presentarsi a casa a perdersi cura dei suoi figli, al momento era in carcere con l’accusa di rapina mano armata. Si era beccato 30 anni, e non era riuscito a prendersi neanche un permesso premio.
Lo stronzo era un recidivo di quelli brutti, perciò i giudici non avevano usato il guanto di velluto ma uno di ferro.
Comunque, i suoi figli avevano perso l’unico genitore buono e lui di certo non si era preoccupato in che mani erano finiti. Almeno fino al mese prima quando gli era arrivata una lettera di suo padre in cui lo pregava di andarlo a trovare.
Nastu e Shoyo se le erano cavata meglio senza di lui.  Avevano un buon carattere: socievoli e allegri e come aveva detto l’assistente sociale facilmente “piazzabili”.
Shoyo era troppo piccolo per capire ma quella parola lo aveva fatto raggelare.  Come avrebbe capito poi, lui e sua sorella erano soltanto numeri, un problema in più per un funzionario oberato di lavoro e sottopagato.
Ma erano stati fortunati, pur avendo un padre in carcere e una madre ammazzata. Una coppia senza figli aveva sentito la loro storia e avevano deciso di perderli con sé in affido.
I genitori adottivi non erano molto più ricchi di sua madre, anzi: vivevano nella stessa zona, ma per lo meno il loro appartamento era messa meglio dello sporco, pidocchioso appartamento che Chiharu doveva lavorare duramente per tenersi stretto.
Non che a Shoyo del denaro non era mai importato granché, né prima né tanto meno dopo quando per vivere faceva il fattorino, e gli andava più che bene.
L’unica cosa che gli mancava davvero era sua madre.
L’unica cosa che voleva era scoprire chi l’aveva uccisa e perché.
Provava un’infinita amarezza nel costatare che, quando avrebbe potuto fare qualcosa era troppo piccolo, ed ora che era adulto, era passato troppo tempo perché la verità venisse fuori.
Si scrollò quei pensieri tristi, mise il bicchiere nel lavandino.
Recriminare il passato, crogiolarsi nei se, non avrebbe riportato in vita sua madre, non lo avrebbe aiutato scoprire la verità.
 Aveva messo da parte i soldi necessari per pagarsi un avvocato e cercare di riaprire il caso.  Ora che aveva raggiunto la maggiore età poteva finalmente scoprire l’assassinio di sua madre.
   
 
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