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Autore: Persefone26998    26/10/2022    0 recensioni
"La verità, è che forse Aether si sente solo troppo stanco e sfibrato per reggersi ancora sulle sue gambe."
Non era programmata, non so neanche precisamente da dove sia nata questa storia, ma sentivo il bisogno di scriverla. Ai posteri l'ardua sentenza.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aether
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Il silenzio è un’arma a doppio taglio quando in testa hai tanto rumore a premere contro i timpani, spesso risulta quasi controproducente nel momento in cui di tutto quel fracasso non sai che fartene e vorresti solo spaccarti in due il cranio pur di farlo uscire; in pochi giorni era come se avesse sperimentato cinquecento anni di vita, come se fosse tornato all’istante in cui si era svegliato dal suo lungo sonno, quel limbo fluttuante che aveva navigato mentre le orme di sua sorella si impilavano una dietro l’altra sulla terra di Teyvat. Pensava spesso a lei e con la stessa frequenza si chiedeva perché non riuscisse ancora a capire cosa l’avesse spinta nel profondo dell’abisso, quale malia l’avesse sedotta accogliendolo nelle sue viscere pur di spezzare quel filo sottile che li teneva ancora uniti dal momento in cui erano scivolati l’uno dietro l’altra dal grembo materno; poi c’erano quei momenti dopo aver assaggiato il sale di quel mondo, quel rumore assordante nella sua testa e la sensazione di acido sulla punta della lingua a farlo sentire così vicino a lei, a fargli chiedere se la metà degli orrori che stava affrontando nel suo lungo viaggio fossero ricaduti con la stessa forza sulle spalle di sua sorella o se i suoi occhi avessero scavato ancora più a fondo. A fargli chiedere, una volta raggiunta la fine del suo viaggio, cosa ne sarebbe rimasto di se stesso.
Perché di tanti aspetti Aether era certo della sua esistenza, quell’immortalità quasi maledetta che era più una condanna ad affrontarla da solo, quanto del fatto che avvicinarsi alla verità equivaleva all’erodersi della propria coscienza, come se dentro una parte di sé riuscisse a percepire la maledizione che aleggiava spettrale in quella terra.
Fili di oro pallido e pietre azzurrognole oscillano davanti ai suoi occhi, un pendolo incantatore che si muove ai piccoli aggiustamenti dei muscoli di Al-Haitham mentre ha la testa immersa nel suo libro; non ha idea del perché quei movimenti ripetitivi gli mettano tanta calma, forse è che nel deserto l’afa è talmente pesante da fargli parere la gola di sabbia, forse è che la tempesta che ha ripreso a picchiare contro i muri e i vetri di quella casa sembra lottare per sovrastare il rumore nella sua testa, forse sono i mormorii sconnessi e folli dei Custodi di Aru Village o forse è la sensazione di non aver fatto abbastanza, di non essere stato abbastanza per aiutare quella piccola Archon dai capelli di luna e l’ingenuità di una bambina troppo saggia.
La verità, è che forse Aether si sente solo troppo stanco e sfibrato per reggersi ancora sulle sue gambe.
E quindi resta a guardare quelle nappine e quei ninnoli che gli volteggiano davanti agli occhi in silenzio, le voci di Candace e Dehya sono solo un suono lontano misto al rimestio delle stoviglie e al sobbollire di una pentola, mentre tutto il mondo sembra fatto di ovatta e resta solo il rumore nella sua testa; perché c’è talmente tanto conforto nel non pensare a niente che non siano quelle oscillazioni, che un po’ il petto lo sente meno costretto dalla fatica e dall’ansia.
Sa che l’uomo lo sta guardando, deve probabilmente avere uno sguardo così stralunato e inquietante che non sente il bisogno di processare in quel momento, non ha la forza necessaria a pensare a qualsiasi cosa che non siano quelle nappine e il respiro impastato nei suoi polmoni. È che a stare troppo a pensarci, si chiede se avrebbe mai potuto fare qualcosa di diverso, se una sua azione o anche una sua parola avrebbero potuto cambiare il corso di eventi vecchi cinquecento anni, se in qualche modo Scaramouche sarebbe potuto essere diverso e quasi più simile al dolore esuberante che indossa Childe come maschera ogni giorno; si sente quasi di fare un torto al rosso mentre pensa che vorrebbe saper affrontare l’orrore del mondo come fa lui, con un sorriso di scherno sulle labbra e delle promesse insensate ad un fratello che è più il ricordo di ciò che si è stati e di ciò che si è perso, perché alla fine di tutto ad affrontare i traumi Childe fa schifo quasi quanto Aether stesso, ma ad ammetterlo cadrebbe anche la risatina bugiarda di quando gli aveva raccontato il suo passato quella notte sotto il cielo di Inazuma.
Si interroga spesso su quanto sangue dovrà ancora scorrere prima che la verità di quel mondo si schiuda davanti ai suoi occhi, prima che anche l’ultima briciola della sua mente si sgretoli come un castello di sabbia in riva al mare e non rimanga il resto di niente; dopo due anni si sentiva talmente logoro e stanco da faticare a respirare, se n’era accorto con tale prepotenza nella cappa soffocante dell’ospedale abbandonato e nelle rovine in fiorescenza dello Scarlet King, due tombe così distanti e lontane nello scopo della loro creazione, che si portavano dietro il peso del vaso di Pandora che era stato scoperchiato durante quel Cataclisma. E Aether cominciava a dubitare sempre con più convinzione che la Speranza fosse rimasta sul fondo ad attendere che qualcuno la raccogliesse.
- Se hai qualcosa da chiedere non è stando a fissarmi che troverai risposte
Al-Haitham ha una voce baritonale che non ha bisogno di alzarsi per catturare l’udito, è una rappresentazione della sua presenza così silenziosa e magnetica che lo rende uno strano enigma; ad Aether, per quanto sappia di sbagliarsi e che non è un paragone razionale, ricorda Dainslef desaturato degli anni solitari della sua maledizione, con quel distacco cinico e così razionale da parere quasi disempatico, con quel modo di far sembrare il mondo freddamente semplice nei suoi orrori. Non che Aether si fosse mai considerato un sognatore o un visionario, tra di loro era sempre stata Lumine ad essere il sole luminoso in grado di farsi amare da chiunque, come se sua sorella riuscisse a emanare il calore delle stelle anche nella freddezza apparente che ammantava i suoi passi; quanto grandi erano stati gli orrori visti da Lumine per spingerla ad abbracciare la causa dell’Abisso? Sa quanto grande e orgoglioso fosse il senso di giustizia di sua sorella, quanto l’altra sia sempre stata incapace di chinare il capo di fronte a ciò che non considerava corretto e spesso Aether è quasi terrorizzato al pensiero di arrivare al nucleo pulsante di quel mondo se persino lei ne era rifuggita disgustata.
- Hai mai provato la sensazione di essere a un passo da qualcosa che non vuoi scoprire?
- Se non volessi scoprirla, smetterei di cercarla... se la cerchi, forse ti interessa... raccontarsi bugie non serve a niente
È logico, è sensato, potrebbe voltarsi e fingere che mai niente di tutto quello sia esistito, che non ci siano esseri umani su quella terra a torturare altri esseri umani per un’eresia schiava del potere, che le mura a Caravan Ribat non siano altro che un’illusione e non la menzogna che l’Accademia ha costruito sulla gentilezza passata di Rukkhadevata, che Scaramouche non abbia davvero pensato di poter colmare il vuoto nel suo petto e la crudeltà subita creandone altra a sua volta, come un animale ferito incapace di capire che non gli si rigenereranno le ferite ad accoltellare gli altri; vorrebbe fingere che quando la sua mente si è scambiata con quella di Nahida non abbia sentito l’oppressione della sua gabbia nel santuario di Surasthana, perché Aether si sente già schiacciato dalla sua stessa mente.
- Non cercare risposte che non sei pronto ad affrontare
- Non so se le sto davvero cercando o se arrivino da sole... forse sta diventando difficile capirlo
L’altro lo guarda, i suoi occhi sono così taglienti da sembrare fatti di cristallo zigrinato, scrutano con la stessa calma gelida che caratterizza ogni movimento dell’altro, quasi fosse impossibile per qualunque persona normale scuotere la sua mente; e Aether si ritrova ad invidiarlo in modo viscerale e lo odia al contempo perché lui di calma sente di non averne più neanche un briciolo, perché tutto è diventato troppo e non è sicuro di riuscire a camminare ancora con le sue gambe, si sta sbriciolando come una duna del deserto sotto la tempesta.
- Allora dovresti fermarti
Forse dovrebbe davvero, o il peso che sente sulle spalle finirà a schiacciarlo; anche se sente che chiudendo gli occhi finirebbe solo a rivivere un incubo.
***
Nel suo mondo di origine la sabbia ha una consistenza diversa dai deserti di Sumeru, ma non saprebbe dare una spiegazione esatta a questa sensazione, la sua memoria pare divertirsi a capitombolare come un vaso storto ogni volta che tenta di riacciuffare sprazzi del suo passato; gli sembra quasi che più tempo scorra in quel mondo, più il passato sbiadisca e si confonda con ricordi che non sono mai esistiti, che sono frutto della sua immaginazione, che non hanno più l’odore dei capelli di Lumine e il calore delle stelle che avevano visto sorgere e tramontare. A volte, dubita anche di riuscire a ricordare chi lui sia, cosa si celi dietro le spoglie mortali che le persone guardano ogni giorno incontrandolo, chi sia Aether oltre un nome e una cascata di capelli dorati; a volte, dubita che riuscirà mai a ricomporsi al termine del suo viaggio.
L’acqua in cui scivola è stranamente calda nella temperatura fredda delle notti desertiche, o forse è il contrasto dell’aria sulla pelle a farla sembrare un pentolone ribollente, un po’ l’espressione della condizione ossimorica su cui si sente di camminare; una parte di sé, quella che non riesce a vivere senza sua sorella quasi temesse che a camminare da solo potrebbe sbiadire, freme per scavare fino alle viscere di quel mondo, preme per comprendere cosa l’altra abbia visto perché sia necessario arrivare alla fine del suo errare per ricongiungersi a lei.
Una parte ancora di sé non riesce a voltare le spalle senza macinare nel senso di colpa, un’oscura melma che gli incrosta i polmoni e non gli permette di respirare, una voce che ha il suono della risata cristallina di Lumine e dell’altruismo che aveva sempre caratterizzato ogni passo dell’altra e che lui non si sente in grado di eguagliare; non che Aether non voglia aiutare le genti di quel mondo, non che il suo cuore non si stringa a pensare a Nahida, all’ingiustizia gettata davanti a quei piccoli occhi eppure incapace di scalfire l’amore che l’Archon provava per la sua terra, non che Aether non vorrebbero prendere Scaramouche a schiaffi in faccia, perché anche lui ha perso tutto e Aether è terrorizzato all’idea di diventare un agglomerato di rabbia e risentimento senza raziocinio.
È solo che l’ultima parte di Aether, quella più rumorosa e aggressiva, si sente sola anche nella folla e con la voce di Paimon a scampanellargli nelle orecchie, si sente così stanca che ogni passo sembra pesare come secoli sulle sue spalle, si sente così scarica e svuotata di se stessa che non sa quanto davvero voglia continuare a perdere pezzi invece di lasciarsi spegnere come una stella morente; quell’ultima parte è terrorizzata e sente il corpo un masso inamovibile, scivola sotto la superficie dell’acqua che riflette il cielo scuro sul suo capo. Il cielo è una menzogna gli aveva detto il suo nemico una volta e anche la piccola Archon aveva paragonato la pallida luna tondeggiante al di là delle dune a una fabbrica di inganni.
Come se nella trapunta di stelle si celasse il vero velo che lo separava da sua sorella, una distanza pari a quella tra la cima dei tetti di Mondstadt e l’acqua cristallina in cui i suoi capelli sciolti sembrano vene d’oro nello scuro lapislazzuli.
 
Angolino del disagio
Questa è struttura.
Scherzi a parte, non ho la minima idea di perché io abbia scritto questa storia, ho semplicemente visto una fanart con Aether con i capelli sciolti in acqua e sono andata a braccio. Forse è che sono particolarmente stanca e sfibrata anch’io ultimamente, ma per qualche ragione sentivo di aver bisogno di far parlare questa storia.
E niente, un rant non programmato del 26 ottobre.
Alla prossima,
Покa.
 
  
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