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Autore: vielvisev    31/10/2022    4 recensioni
La notte di Halloween è dolorosa per molte persone, tra queste Severus Piton.
Ed è proprio a Halloween, ogni anno, che il Serpeverde permette alle sue pareti occlumanticche di cadere, così da farsi investire dai sentimenti e il dolore, concedendosi per poco di perdere il consueto controllo per soffrire in pace.
Accanto a Severus sfilano personaggi che rispetta, che forse a modo loro sono suoi amici: Minerva, Narcissa, Remus.
Una storia di dolore e ricordi, di senso di colpa, rispetto e amicizia.
C'è un po' di Dramione a portare il sorriso, un po' di Wolfstar a portare il dolore, un po' di Regulus Black a portare memoria.
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Minerva McGranitt, Narcissa Malfoy, Remus Lupin, Severus Piton, Sirius Black | Coppie: Draco/Hermione, Lily/Severus, Remus/Sirius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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.I resti.


 
Halloween. L'inizio della fine. 
 Le zucche arancioni riempivano ogni stanza di Hogwarts, le risate e gli scalpiccii degli studenti arrivavano da ogni angolo. C'era aria di festa, una tensione magica che si spandeva nell'ambiente al ritmo di scherzi e urletti trattenuti. 
Una goliardia rara di quei tempi, che univa tutte le Case. I Serpeverde si aggiravano con i ghigni stampati sui nobili volti, i Grifondoro erano schiamazzanti e agguerriti, i Corvonero svestivano i panni di ricerca e intelletto per qualche scherzo a buon mercato e i Tassorosso erano sfrenati nel ridere e divertirsi, complici di molte delle urla spaventate di chi non si aspettava un attacco di caccabombe. Halloween. Una festa. L'inizio della fine. 


Severus si teneva ai confini della vita ad Hogwarts in quei giorni dell'anno. Il suo corpo che si muoveva per inerzia per i corridoi e durante le lezioni, mentre la sua mente faceva la conta dei morti. La conta delle persone che portava sulle sue esili spalle. Cercava di limitare il suo astio, sapeva che sarebbe stato orribile con chiunque avesse intralciato il suo vagare assente tra quelle mura. Studenti, o professori che fossero. Perché era Halloween. Quella era la notte dell'anno dove i suoi nervi si scoprivano e il suo controllo diveniva labile. 14 anni. 14 anni da quando tutta la sua vita si era sgretolata. Da quando aveva perso tutto e vanificato la morte di Regulus e tanti altri per il suo unico vuoto istante di vanagloria.

14 anni da quando la sua illusione di aver fatto finalmente la scelta giusta, di aver curato le sue ferite, di aver provato almeno a cominciare a fare l'ammenda dei suoi peccati, si era frantumata. Aveva dovuto accettare di essere il cattivo della sua storia, Severus. Aveva dovuto scendere a patti con il fatto di aver infranto le sue speranza infantili e di essere ricordato per qualcosa di grande, come qualcuno di giusto. Aveva infangato le promesse fatte sul letto di morte di sua madre, sii giusto, potente e perfetto, nel tentativo di essere accettato da qualcuno. Qualcuno

Non importava che erano stati Mangiamorte e reietti della società a comprenderlo. Severus aveva agito per essere amato, per essere capito per la prima volta dopo Lily, ci aveva provato e aveva fallito. Aveva ricevuto pacche sulle spalle da uomini che non lo insultavano, né chiamavano Mocciosus, ma aveva mandato a morte persone e superato un limite. La sua feroce conoscenza e il suo desiderio di rivalsa si erano frantumati in una sola notte. Non era diventato un eroe, non aveva dimostrato che il suo sangue misto era comunque abbastanza. Non era stato riconosciuto come potente, inarrestabile e prezioso. Si era relegato nell'ombra. Aveva perso Lily, si era obbligato a non attirare l'attenzione, aveva chinato il capo alla mano benevola di Silente, l'unico che aveva riconosciuto qualcosa in lui. L'unico che...

“Severus”.
Piton fermò la sua camminata nervosa e si voltò rigidamente verso la voce. Minerva lo guardava. 
 “Minerva. Qual buon vento?” parlò rigido e freddo, le labbra serrate che appena tremolavano.
 La donna lo osservò per un attimo quasi troppo lungo, così materna come non riusciva a impedirsi di essere dietro la rigida disciplina che imponeva a sé stessa e i suoi studenti. Fece un passo avanti e poggiò una mano sottile sull'avambraccio di lui, sciolse i lineamenti in un sorriso debole. 
 “Stai bene?” chiese infine, ma lui non rispose “So che di solito stanotte...”

Qualcosa si frantumò nel petto dell'uomo, come sempre davanti a quella fragile preoccupazione con cui la donna lo investiva. Davanti a quello sguardo che lo ammoniva a ricordarsi di non ferirsi da solo troppo a fondo, di non ammantarsi solo di solitudine. La rispettava, Severus. Rispettava quella donna lucida e incredibilmente intelligente, con l'unico difetto di avere una speranza troppo alta nei confronti della giustizia. Anche se la vita non è giusta e Severus lo sapeva.
 “Mi cercavi per qualcosa, Minerva?” le chiese con clinico distacco. 
 “Severus...” iniziò lei in un velato rimprovero, pieno di dolcezza. 
Si fissarono per un altro istante. Lei che lo implorava di parlare e lui che taceva con ostinazione. Serpeverde e Grifondoro. Orgoglio e testardaggine mischiati insieme nello stesso modo, ma nutriti da ferite diverse e aspirazioni distanti.


La donna fu la prima ad arrendersi, scosse appena il capo, in un gesto che lui aveva imparato a riconoscere negli anni che si erano costretti a passare entrambi tra quelle mura. Lei a seguire e diffondere i suoi ideali, lui a cercare una cura per la sua anima sempre più nera. Mai troppo vicini, mai amici, ma pieni di una comprensione intima e dolorosa. 
 “Mi cercavi per qualcosa quindi, Minerva?” ripeté lui con noncuranza, che provocò in lei un altro sospiro.
 “Sì, Albus dice che puoi andare a casa per oggi. Come ogni anno”
 “Non quando Raptor era qui. Quell'anno ho dovuto passare Halloween a correre per i corridoi e temere la vita di quelle teste calde dei tuoi Grifondoro senza senno” disse con sprezzo lui e lei picchiettò gentile con la mano nel punto in cui aveva stretto il suo avambraccio, gli occhi che si scostavano appena, il sorriso morbido. 


 “Su Severus, dovresti imparare a lasciar andare il rancore, sai? Albus aveva bisogno di te quell'anno”

“Albus ha sempre bisogno di me” la corresse lui e lei sorrise con più dolcezza, fissandolo ora negli occhi. 
 “Abbiamo tutti bisogno di te in effetti” 
Lui fece uno sbuffo scettico dal naso adunco, scosse il capo e si incamminò borbottando un “Ci vediamo dopodomani, Minerva” mentre si allontanava svelto, il mantello nero sulle spalle magre.
 “Severus” lo richiamò lei, con tono secco, che non lasciava repliche “Non dovresti rimanere solo oggi...”
Lui si fermò, afferrò la radice del naso tra indice e pollice, intuendo la preoccupazione della donna in quelle parole. Si voltò di nuovo verso di lei, lo sguardo come sempre gelido e annoiato, anche se era ben consapevole che su di lei non avrebbe avuto effetto. Perché lo conosceva troppo a fondo, Minerva.  Non si faceva ingannare da un po' di freddo distacco.


Era stata sua insegnante, lo aveva visto sedersi ogni giorno accanto a Lily, le dita di entrambi sporche di inchiostro e i sorrisi insensati. Lo aveva visto arrossire, ridere ed essere felice. Aveva conosciuto un Severus ancora pieno di speranza. Un Severus che si definiva il principe mezzosangue. Un Severus figlio di un Babbano, ma nutrito da ambizione e potere. Un Severus promettente, a cui non importava nulla della purezza del sangue e che eppure si era sgretolato proprio quell'unica stupida parola: sanguesporco. Minerva poteva vederlo fino alle ossa e comprendere il suo dolore, ma non ne avevano mai parlato

 
 “Per favore, Severus. Sii prudente. La mente è qualcosa di fragile e...”
 “Non sarò solo. Narcissa verrà a trovarmi” concesse lui e la Mcgranitt fece un breve cenno. 
 “Bene. Salutamela. Anche se forse non le farà piacere sapere che mi ricordo di lei”
 “Forse no”
 “Forse allora potresti parlarle di quanto suo figlio stia diventando sgradevole con i compagni...”
 “Non mancherò”

“O di come  non riesca a togliere gli occhi di dosso da Hermione Granger dopo il Ballo del Ceppo dello scorso anno. Questa potrebbe essere una conversazione piuttosto divertente in effetti.”
“Non credo che questo le farà piacere” disse sarcastico Piton. 
“Appunto” sorrise la donna. 
 “Molto poco Grifondoro, Minerva”
 “Vorrei poter dire la stessa cosa sulla tua Casa, Severus, ma sei così dannatamente Serpeverde”


Si guardarono per un istante. Forse lei si chiese se potesse fare di più per aiutare l'anima persa di Severus Piton, forse lui si chiese se l'avrebbe messa più in pericolo concedendole un po' di amicizia. Si allontanarono per corridoi diversi però. I loro passi che suonavano secchi e solitari negli angoli della scuola. Lei pronta ad essere il perno di un migliaio di ragazzini senza direzione, lui pronto a sfogliare pezzo per pezzo la sua mente in cerca di equilibrio.


*

Spinner's End sapeva di cenere e spezie. Lo stesso odore che aveva intriso i suoi vestiti nel tempo. 
Le pareti erano scure e colme di libri, gli ingredienti delle pozioni catalogati e ordinati, il fuoco del caminetto sempre acceso, a combattere con il suo crepitare l'umidità e il silenzio. Un rifugio per quelle giornate. Un luogo tranquillo.

Severus stava seduto sulla sua poltrona preferita, assorto, leggermente tremante. Il peggio era passato, forse.
Il dolore si espandeva ancora nel suo petto, mozzandogli il respiro, man mano che fuori dalle finestre la notte calava, ma stava diventando sopportabile. Era il suo spazio, quello. Quella piccola parentesi nella sua vita senza cedimenti in cui invece poteva permettersi di lasciar crollare le barriere, di far sbriciolare la sua maschera, di farsi inondare dal senso di colpa, dalla consapevolezza di aver fallito, come uomo, come amico, come persona decente. 


L'Occlumanzia costante era estenuante e aveva plasmato la sua personalità fredda e distaccata, cibandosi della sua rabbia e regalando lui disciplina e controllo. Era in grado di fare un'analisi precisa di ogni singolo elemento, Severus, una catalogazione in comparti priva di errore, un ordine freddo e innaturale che gli permetteva di muoversi nelle spire di quella guerra senza far trapelare un briciolo delle sue debolezze e dei suoi tormenti, ma era solo, devastato e sotto un controllo costante, appunto. Sempre. Tranne in quell'unico giorno all'anno. Quell'unico giorno in cui tornava a essere Severus. Severus e basta. Senza più legami, promesse e cicatrici profonde sul suo corpo troppo stanco.


 Nessuno aveva accesso a quella parte di sé. Silente vi aveva assistito solo una volta e Severus ricordava di aver visto l'orrore nei suoi occhi. Lui, l'uomo che Voldemort temeva e che aveva fermato Gellert Grindelwald nella sua follia, aveva provato un dispiacere e terrore troppo grandi da gestire davanti al dolore di Severus Piton, davanti ai suoi singhiozzi incontrollati, alla sua sofferenza dilaniante, alla sua mente tremante. E lo aveva lasciato andare, Silente. Gli aveva concesso di ritirarsi a ogni Halloween e ad avere il diritto di soffrire. 


 Soffrire era una cosa che era impossibile da evitare in quella giornata, non c'era modo di allentare un'Occlumanzia così serrata senza conseguenze. Il corpo di Severus era impregnato delle Arti Oscure che aveva usato per mezza vita e che ancora era spesso costretto a usare. Non allentare mai la presa lo avrebbe estraniato dalla sua umanità, la avrebbe reso troppo insensibile, troppo crudele, troppo gelido, ma quando si concedeva di far cedere le sue protezioni in quella terribile giornata di lutto, non provava mai sollievo. Il contatto con le sue emozioni, solitamente soffocate e catalogate sotto un controllo maniacale, era comunque brutale, al limite del gestibile e violento.
Severus si sentiva andare a fuoco, schiavo del suo senso di colpa. I dettagli che credeva di aver dimenticato diventavano chiari e roventi. Il suo corpo cedeva, i polmoni collassavano nelle lacrime, le spalle si tendevano fino a bruciare, i muscoli e le terminazioni nervose si stremavano in tremori fragili e continui.

Non importava quanta cura ci mettesse, con quanta delicatezza cercasse di far abituare la sua mente alla libertà del giogo occlumantico: la sua magia priva di limiti sprizzava tutto intorno, il suo corpo si contraeva in spasmi. Severus lasciava che quel processo avvenisse. Provava quasi sollievo nel suo dolore così acuto, come fosse una giusta punizione, il suo modo catartico di ricordare come tutto fosse colpa sua.
Il suo petto sobbalzò in un nuovo singhiozzo, la mano tremò e la tazza di the che teneva in mano cadde a terra e andò in frantumi. Trasalì al limite dell'emicrania che gli invase la testa, facendo traballare scaffali e corridoi nel labirinto della sua mente. Allungò una mano verso la bacchetta, ma si fermò, riconoscendo la sua magia sfrigolare sulla punta delle dita e la sensazione di voler piangere farsi pungente. Era troppo fragile, troppo esposto. 

Troppo solo.

Minerva intuiva quella distruzione senza limiti che si auto imponeva, ma non aveva mai invaso i suoi spazi. Gli aveva consigliato più volte di non costringere il suo corpo alla costante Occlumanzia però, ma Severus aveva troppa paranoia per seguire quel consiglio saggio e non si concedeva il minimo errore. Se volevano vincere la guerra non erano previste crepe. Non erano previsti margini di imprevisto. Lui poteva richiedere da sé solo la perfezione. Perché Voldemort non poteva intuire nulla: né il suo doppio gioco, né il suo dolore. Non era concesso.


Severus si distruggeva con costanza metodica dunque e Minerva ne vedeva le ombre il giorno dopo, quando lui tornava tra i corridoi della scuola, spinto dal senso di dovere. Ne intuiva l'odore oscuro, l'ombra nei suoi occhi tremolanti, nella sua maschera ricostruita a perfezione, nelle sue spalle contratte, nella sua Occlumanzia così densamente ripristinata da tenere distante chiunque da lui, anche fisicamente. Un passo più in là. Un passo più lontano dall'oscuro Severus Piton. 
 Intuiva, Minerva,  ma non poteva essere per lui d'aiuto, né presente.
Nessuno aveva accesso a lui in quei momenti dove il suo ordine interiore collassava su sé stesso, rivelando ricordi, ferite e dolore, così brutalmente, che il suo animo sempre gelido e in controllo ne veniva ogni volta devastato. Nessuno
Tranne Narcissa. 

La donna sedeva rigida sul suo divano. Non lo guardava. Non parlava se non era lui a chiederlo. Beveva the dalla sua tazza, sorseggiandolo lentamente e si assicurava che quella di Severus fosse sempre piena. Quando cadeva in terra, come in quel momento, allora allungava distrattamente la bacchetta e la aggiustava. 
 Era distante, elegante, riservata. Come il suo sangue Black e l'influenza Malfoy le avevano insegnato ad essere. Una compagna perfetta per vivere quei momenti in cui la solitudine lo avrebbe ucciso, ma il suo orgoglio esigeva il segreto.
Narcissa era stata quella a trovare Severus la prima volta dopo che lui era tornato da Silente. Dopo che aveva scoperto di Lily. Lo aveva trovato in una pozza di lacrime e sudore, accasciato fuori da Malfoy Manor, inconsapevole del suo corpo, perso nella sua Occlumanzia. Lo aveva trovato e avrebbe potuto chiamare Lucius, o fare domande, ma aveva scelto diversamente. Forse per istinto, forse per compassione.
Si era chinata su Severus, l'aveva portato a Spinner's End, era rimasta con lui. E così ogni anno da quel momento, la notte di Halloween, mentiva all'amato marito e si allontanava da casa per raggiungere il Serpeverde. Non aveva mai fatto domande. Non aveva mai chiesto cosa lo avesse ridotto in quello stato la prima volt e cosa lo costringesse da allora a mantenere la barriere Occlumantiche costantemente alzate, causando quel collasso ogni anno in quella specifica notte. Non aveva inferito. Non lo faceva nemmeno mentre lui aveva convulsioni e chiedeva perdono in un mormorio costante, le nocche delle mani rese bianche da uno sforzo fantasma.


 Aveva preferito non sapere, Narcissa Malfoy. Negli anni, usando lei stessa l'Occlumanzia a livello avanzato, aveva cominciato a cogliere i sintomi dell'astinenza alla libertà che quella mente tenuta troppo sotto controllo, gridava. Aveva notato i tremori nelle mani di Severus, oltre le sue lacrime. Si era presentata così alla sua porta più preparata, con pozioni rinvigorenti, erbe rilassanti, infusi, profumi e aveva imparato a fare esami diagnostici per controllare che l'uomo non stesse attaccando troppo duramente la sua salute mentale.
 Metteva a bollire il the, Narcissa e gli imponeva la sua presenza discreta per quelle poche ore. Si prendeva cura di lui senza patetismi e affetto, che eppure provava per quell'uomo retto e amico di lunga data. Era abile Narcissa Malfoy, tesa a proteggere ciò che amava, capace di rendersi un'ombra quando necessario. Era l'unica che Severus desiderava avere accanto quando era così fragile. Sapevano entrambi quando il peggio passava, quando tirare i primi sospiri di sollievo, ma non ne parlavano. Si facevano solo compagnia.


Dopo ore di silenzio, spasmi e dolori Piton si schiarì la gola e parlò con voce rauca e spezzata, gli occhi completamente neri come due lunghi tunnel, infestati dalla sofferenza, dai ricordi e dai suoi tormenti. 
 “Tuo figlio sta diventando uno stronzo a scuola” disse. 
La donna sbatté solo una volta le ciglia, inarcando un sopracciglio in un'espressione severa e adorabile. 
 “Non posso imporgli di essere troppo diverso da Lucius, in fondo” rispose soave e Severus ghignò. 
 “Credo però, nonostante la sua boria, che si sia innamorato di una Nata Babbana” 
Il sopracciglio di Narcissa si inarcò ancora un poco più in alto, tacque un secondo di troppo.
 “Ma non mi dire” strascicò lentamente.
 “Già” rise Severus, senza gioia, scuotendo il capo “Una delle peggiori del suo genere, per altro”
 “Forse allora anche tu, in quanto padrino, hai avuto la sua influenza su di lui” 


L'uomo trasalì, Narcissa sorrise della sua leggera stoccata, facendolo corrucciare e continuando a sorseggiare per qualche secondo il sue the, con quella che sembrava un'aria svagata.     
 “è la Granger. Vero?” chiese dopo poco.
Severus sbatté le palpebre perplesso. Scacciando un ricordo dove stava affondando, con il suono della risata di Lily. 
 “Ma come...”
 “Oh, voi uomini siete i peggiori” disse lei con leggerezza, poggiando con eleganza la tazza vuota sul basso tavolino tra loro “Tu che non hai mai insultato nessuno per il suo sangue in vita tua, ma ti sei ritrovato a insultare proprio Lily Evans, per altro condannandola a morte dopo qualche anno. Draco passa le vacanze estive e invernali a insultare quella ragazza con tanto fervore che non vedo come potrebbe essere qualcun altro oltre che lei” 
 “Avrei insultato la tua intelligenza forse a pensare che tu non ne fossi al corrente”
Narcissa ridacchiò appena, per un istante parve solo giovane e sincera. 


 “Chiamalo sesto senso materno, Severus. Draco è prevedibile e ingenuo. Spero non sia troppo simile a mia sorella Andromeda. Spero che sappia fare scelte ponderate anche per proteggere la ragazza, ma immagino che lo capiremo solo a tempo debito. Se si presenterà il problema troveremo la soluzione”
Severus arricciò le labbra, incassando il colpo e scuotendo appena il capo, vagamente incredulo.
 “Sei proprio una Serpe, Cissa.”
“Grazie per il complimento, Severus.” disse lei.
Si alzò puntando ancora una volta la bacchetta verso l'uomo, che rimase inerme, i muscoli ancora squassati dal dolore. Una luce azzurra in schemi e linee si propagò del petto di lui e la donna rimase un secondo a osservarla con occhio critico. Controllò che gli spasmi fossero placati, che il dolore si stessi alleviando senza conseguenze gravi.
 “Sei stabile. Le tue barriere Occlumantiche sono rialzate?”
 “Quasi” gracchiò lui “Sto prendendo ancora respiro prima di tornare a chiudere la mente”

Narcissa annuì appena, interruppe l'incantesimo diagnostico e per un istante prese il volto dell'uomo tra le mani. Lo osservò attenta, gli occhi chiari come ghiaccio, mentre si assicurava che fosse veramente intero, come se temesse di vederlo sbriciolarsi tra le sue dira. Fece un sospiro. I polpastrelli che appena sfioravano le guance di Severus.
 “Fai attenzione, Piton. Non superare il limite. Il Signore Oscuro non è affatto stupido e nemmeno tu puoi essere sempre infallibile. Mi spiacerebbe perderti”
 “è tutto a posto, Narcissa, tutto sotto controllo. Tu piuttosto...”
 “Nessuno bada a me. Sono un'ottima moglie Purosangue. Non attiro l'attenzione.”
 Lui fece un cenno con il capo e prese un profondo respiro. 
 “Grazie” disse e quella parola tra le sue labbra sembrò acre e strana, persino in quel momento in cui era sincera.
 Narcissa sorrise di rimando scuotendo appena il capo con gentilezza. Fece scivolare le sue mani via dalle guance dell'amico e si avvolse nel suo mantello in un gesto elegante, andando verso l'uscita. 
 “Oh non mi ringraziare, Severus. Arriverà prima o poi il giorno in cui sarò io ad aver bisogno di te, o della tua protezione per qualcuno. Sarà confortante sapere che non potrai tirarti indietro.”
 “Serpe” disse lui, ma quasi sorrideva, il volto contratto in quella smorfia per lui strana.


*

Stava pensando a Regulus, Severus. 
Lo faceva sempre nella notte di Halloween. Pensava alla vita finita prima del tempo di quel Black che era stato quasi amico. Avevano condiviso gli stessi incubi e la stessa incertezza, loro che erano più giovani tra tutti i Mangiamorte, ancora increduli di essere stati scelti. Avevano assaporato entrambi l'umiliante e fredda consapevolezza di non essere davvero voluti, né tantomeno amati. Regulus così perfetto in ogni sua movenza, che eppure non era riuscito a scalzare Sirius dall'amore cieco e terribile di sua madre. Regulus così composto e fragile come porcellana.


Severus l'aveva quasi invidiato per la sua intelligenza e innata eleganza, Regulus Black e quel suo viso affilato, giovane e aristocratico. Pallido negli angoli dove erano rimasti in piedi insieme, gli avambracci brucianti e gli sguardi persi. Regulus Black e le sue labbra piegate in un sorriso triste, gli occhi grigi come quelli del fratello, eppure così diversi, così profondi, che lo fissavano cosciente e canzonatorio. “Pensi davvero che gli sopravviveremo, Severus? Non lo faremo. La scelta è se accettarlo, o distruggerlo. È un folle. Come può un Mezzosangue che vuol essere il migliore di tutti sostenere che i Purosangue siano l'unica via? È incongruenza. Dobbiamo fermarlo”

Era morto con ancora la gioventù attaccata alle ossa, Regulus. Severus non aveva mai capito perché, ma aveva intuito il tradimento, nascosto negli occhi grigi e ferocemente intelligenti del ragazzo. Aveva cominciato ad occludere da allora. Regulus era stato il motivo, quando Dolohov lo aveva preso da parte, lo aveva cruciato fino a sfinirlo e gli aveva chiesto più e più volte, se lui, Severus Piton, sapeva qualcosa di più su Regulus Black. Se era in combutta con lui. Erano forse amici?


Ci fu un leggero strofinio di nocche sulla porta d'ingresso a strapparlo dai suoi pensieri. Lo stesso strofinio insistente e gentile che Severus si era abituato a sentire una volta al mese o poco più, per tutta la durata dell'anno scolastico di un paio d'anni prima. Quel rumore di nocche che anticipava una chiacchierata amichevole a cui lui non avrebbe davvero partecipato, un tentativo di dialogo educato, manciate di sorrisi stanchi nei fumi della pozione antilupo. Remus Lupin. 

Severus sbatté le palpebre nel silenzio del suo soggiorno, chiedendosi se l'esperienza traumatica dell'abbassamento delle sue barriere Occlumantiche l'avesse fatto infine impazzire, fino a immaginare Remus Lupin fuori dalla sua porta. Si chiese se non dovesse richiamare Narcissa, o forse andare da Minerva a farsi controllare. Ma mentre, troppo sfinito per pensare, si stava lasciando di nuovo andare contro l'alto schienale della poltrona, lo strusciare di nocche contro il legno della porta riprese e Severus sospirò pesantemente. Non lo stava immaginando.

 Fingere di non essere in casa era fuori questione. Conosceva i Grifondoro e la loro stupida testardaggine. L'aveva vista risplendere negli occhi verdi di Lily e poi in quelli di studenti che si accavallavano nella sua memoria, anno dopo anno. Lupin non se ne sarebbe andato se era arrivato fin lì spinto da qualche motivo. Avrebbe atteso. Paziente come solo un Grifondoro ostinato sa essere, quando capisce che con la calma può ottenere molto di più che con la forza.

Si trascinò alla porta, Severus. I muscoli doloranti e l'Occlumanzia che vibrava nella sua mente ricomponendosi pigra. Era fragile e tagliente come vetro quando arrivò all'ingresso. Così pronto a spezzarsi. Così pronto a ferire. 
 “Lupin.”
“Severus”
L'uomo sorrideva, avvolto nel suo pastrano marrone, le spalle piegate, gli occhi stanchi. Si guardarono un istante come sconosciuti. Si conoscevano da anni, non erano mai stati amici. Remus aveva provato a parlargli più volte durante il suo anno ad Hogwarts, vero. Aveva cercato di scalfire la loro distanza, forse nel bisogno di trovare qualcuno che potesse comprenderlo. Perché entrambi avevano sofferto ed entrambi avevano ferite. Non ne avevano mai discusso davvero però.


 E ora Remus aveva ritrovato il suo fragile amore con Black. Tornato da Azkaban per annegare nei suoi incubi e frantumarsi pezzo per pezzo, mentre il mannaro cercava di ricomporlo con ostinazione commovente. E Severus invece si era barricato il più possibile nella sua solitudine, respingendo l'amicizia che Lupin aveva provato ad offrire.
Non importava che fossero rimasti gli unici testimoni di un passato ingombrante, se non si contava Black e la sua mente fragile e sconnessa. Non importava che avessero entrambi sofferto per Lily, che avessero ferito il loro corpo con il senso di colpa, che si fossero entrambi sentiti abbandonati dal mondo intero senza più una direzione. Erano diversi. 


 “Ho pensato ti facesse piacere avere una visita stanotte” disse Remus soffice, le mani in tasca. 
Non cercò di entrare, aspettava di essere invitato. Gentile. Paziente. Educato. Severus strinse le labbra, stendando a concedergli la benevolenza di un whiskey e del silenzio in compagnia. 
 “Che cosa vuoi Lupin? Non è serata”
 “Avanti Severus. Immagino tu stia uno schifo” tentò lui, gli occhi color cioccolato seri. 
 “Non capisco cosa tu voglia e francamente non ho alcun desiderio di vedere la tua brutta faccia” abbaiò l'altro e per un istante sembrò che il mannaro potesse cedere all'irritazione, ma poi il suo volto scarno si accartocciò in un sorriso. 
 “Sempre il solito” mormorò appena “è Halloween, Severus. Non dirmi che non stai pensando a lei.”

Piton rimase in silenzio. L'espressione immobile e arcigna. Lo fissò per un lungo istante con una maschera di sprezzo. 
 “Black è in una brutta serata, vero? Te ne vai in giro a dar rogne alla gente per questo?” 
 “Sirius è in una pessima serata, vero” confermò Lupin con un sussurro, il sorriso ancora teso. 
Severus dondolò sui talloni, stare in piedi dopo quel che aveva passato stava divenendo uno sforzo. Si sentì stanco.
 “Un Whiskey?” capitolò.
 “Sarebbe gradito”

Lo fece entrare, versò il liquido ambrato nei bicchieri e sedettero in silenzio sulle poltrone, un velo di imbarazzo a inquinare i loro pensieri. Lupin lo guardava con circospezione, tracciando distrattamente con la punta delle dita i bordi sfatti di una vecchia cucitura sul bracciolo della seduta. Severus lo evitava con tutto sé stesso e fissava ostinatamente il fuoco ormai ridotto a brace, facendo roteare leggermente il bicchiere, gli occhi brucianti per la crisi superata da poco.

“Ho sempre pensato che avremmo potuto essere amici se ci fossimo incontrati io, te e Lily in quello scompartimento” iniziò il mannaro, ma Severus tacque e il mannaro riprese così lentamente a parlare. 
 “Lily è stata anche la mia prima amica. A lei non importava che io fossi goffo, dinoccolato e arrabbiato. Non importava che fossi solo. Mi parlò di te dal primo istante. Ha sempre avuto buone parole per te, Severus. Si è sempre chiesta se non fosse stata troppo dura, se perdonarti avrebbe potuto cambiare qualcosa”
 La mandibola di Piton si tese pericolosamente. Non staccò lo sguardo dal fuoco. Sembrò cessare di esistere. 
 “Non hai mai parlato con nessuno da quando è morta?” tentò ancora il mannaro e l'aria si fece gelida.
 “Ti consiglio di tacere, Lupin” rispose rauco il Serpeverde, le ombre delle fiamme basse che riempivano di angoscia i suoi lineamenti aspri. Tacquero entrambi. Per un po'. 


“L'amavi?”
 Piton contrasse l'espressione in un'esasperazione evidente, gli occhi come onice che sembravano ardere nella luce calda del salotto, i solchi delle sottili rughe della pelle che lo facevano sembrare più vecchio. Remus lo guardava, in attesa.
 “Andiamo, Lupin! Puoi fare di meglio. Voi Grifondoro siete tutti convinti che ci si possa muovere solo per amore. Lily era qualcosa di diverso per me: lei era tutto. E non c'entra nemmeno Potter. Lo so che quel cane di un Black pensa che io odiassi il vostro stupido amico perché Lily ha scelto lui,  invece io Potter l'ho semplicemente odiato dal primo istante perché era uno stolto, borioso e privilegiato. Lily poteva avere di meglio? Certo. Il mio odio per Potter era causato da un grande amore per lei? No. Siete così schifosamente prevedibili e bidimensionali.”


Lupin sbatté le palpebre perplesso, forse preso in contropiede. Cadde un silenzio scomodo. Piton rimase teso, sentendosi scoperto e fragile. Aveva perso le staffe perché non aveva ancora le barriere occlumantiche alzate. Aveva detto la verità. Molti tipi di amore possono unire le persone. Lily era stata unica. Non aveva mai desiderato altro che essere nella sua vita, Severus, che essere riconosciuto e apprezzato da lei. Perdonato forse. Non voleva solo essere il motivo per cui era morta. Erano stati molto di più lui e Lily, tra i biscotti allo zenzero mangiati insieme, i sogni sussurrati, le dita intrecciate. Tutte quelle parole a unire i loro pensieri e i suoi ricordi. 
 Lupin tese verso di lui un pezzo di cioccolato e Severus trasalì. Il silenzio divenne insopportabile.


 “Cosa non va con Black?” chiese Piton “Incubi?” 
Cercava di tornare su un terreno solido per lui. Impervio per l'altro. 
 I due uomini, Lupin e Black, non avevano mai nascosto il loro legame, sembravano però evitare il pettegolezzo. Erano intimi e discreti, profondamente legati. Severus non aveva mai evitato di mordersi con Black, sibilando tra loro insulti pieni di disgusto e irritazione, ma non aveva mai usato quella relazione per ferire Remus. 
 C'era troppo dolore, rimpianto e solitudine tra quei due adulti che ancora si immaginavano ragazzi. Cerca qualcosa di troppo personale nella sofferenza di Lupin quando osservava il corpo friabile di Black, instabile e senza direzione ogni qual volta che il figlioccio si allontanava troppo da lui, togliendogli qualunque scopo. C'era qualcosa di troppo vero e doloroso in quei due spezzati perché persino il freddo Severus Piton potesse provare soddisfazioni nella disfatta di quelli che erano stati i suoi aguzzini, quando lui era solo un ragazzo in cerca di approvazione, di fiducia, di riscatto. 
 Black era come polvere che Lupin si ostinava a tenere insieme tra le punta delle dita.


“Sirius è perso dentro di sé e non so che fare” mormorò lento Remus “Quella notte di Halloween abbiamo tutti perso qualcosa, Severus, sai. Tu forse hai perso la speranza e Lily. Io ho perso la persona che amavo e i miei migliori amici. Sirius ha perso sé stesso. Lo cerco in ogni sua espressione e respiro, ma sembra di nuovo vivo solo per la vendetta, o per amore e dovere nei confronti di Harry. Se il ragazzo è lontano Sirius la notte urla, si graffia, non si da pace. È convinto spesso che qualcosa lo mangi dall'interno. È paranoico e indolente e non riesco a raggiungerlo. Era James a sollevare lui il morale, io arrivavo dopo, solo ad asciugare lacrime già versate. Non so come aggiustarlo. Ci provo, ma mi scivola tra le dita e fatico a riconoscerlo. Ho l'impressione che possa sbriciolarsi per un respiro troppo profondo. A volte guarda il vuoto e non risponde nemmeno se lo chiamo. Devo impedirgli di farsi male. Devo ricordare che è un uomo, che è cresciuto, che il tempo non si è fermato. Sembra non comprenderlo”


Severus ascoltò il mannaro senza fare una piega. Ora terrorizzato che l'altro si stesse aprendo con lui. Non voleva vicinanza. Non voleva amicizia. Non di nuovo. Aveva già Narcissa da proteggere, forse persino Minerva e prima o poi avrebbe dovuto proteggere anche Draco Malfoy che si complicava da solo la vita.
Non poteva vivere un altro Regulus, non un'altra Lily.


 “Parli un sacco Lupin.” disse con sprezzo nel tentativo di fermare quanto prima quello sproloquio, l'alcool che gli bruciava le labbra sottili, l'Occlumanzia che faceva presa sulla sua mente e sul suo respiro. 
 “Hai ragione, Severus. Scusami.” rise amaro Lupin, esausto, vecchio e fragile “Ero venuto a chiederti se volevi una spalla su cui piangere e per parlare di Lily e finisco invece per raccontarti i miei drammi”
Piton contrasse la sua espressione in un  chiaro disgusto, ma tacque e notò le occhiaie e la stanchezza dell'altro uomo, gli sembrò ti poter contare le sue cicatrici e tutte quelle crepe che forse li accomunavano. Si sentì in pena per il mannaro. Incapace com'era di aiutarlo.

“Stai sragionando, Lupin”

“Non mi chiamerai mai per nome, vero Severus?” 
 “Non è mi intenzione, no.”
 “Ti ho sempre sentito chiamare per nome solo Lily e una volta Regulus Black. Solo loro possono essere considerati amici? Bisogna morire per poter far parte del tuo dolore?”
Piton trasalì, senza aggiungere nulla e Lupin scosse il capo.
“Scusami. Hai di nuovo ragione: sto sragionando. Sono solo stanco. Torno al quartier generale.”
Si alzò, consumato e magro. Severus lo guardò senza espressione, sentendosi stranamente a disagio per quell'incontro senza senso alcuno. Si sentì quasi in debito con quell'uomo solitario e quasi senza più scopo. Di cosa viveva Remus Lupin?


 “Credo che Draco Malfoy si sia innamorato di Hermione Granger” 
Le parole gli erano sfuggite dalle labbra senza ragione, prima che potesse fermarle. Forse a Lupin non sarebbe importato: era una rivelazione stupida, frivola. Severus si sentì seccare la gola, con l'improvvisa sensazione di stupidità che lo pervadeva sempre da ragazzo, quando non riusciva a trovare il suo posto nel mondo, vestito di abiti sformati e logori e di un'audacia e voglia di sapere non apprezzata dai suoi coetanei. Lo strambo Severus. 
 Lupin però lo osservò per un istante ridicolmente lungo e poi scoppiò a ridere. Rise forte e di gusto. La testa indietro. Il petto che si abbassava e si alzava a ritmo con il suo buon umore. Rise a lungo davanti a uno stupefatto Severus. Rise fino a quando l'aria di quella vecchia casa non divenne forse quasi più leggera.

“Draco Malfoy ed Hermione Granger, eh.” gracchiò il mannaro, il ghigno sul volto  che quasi brillava.
 “Pare” rispose arido Piton, ancora incredulo di aver causato una tale risata in una persona. 
“Merlino quel ragazzo farà bene a dare il meglio di sé, Hermione è ferocemente intelligente e credimi, Severus, sa essere spietata in modo quasi spaventoso.”
 Piton arricciò l'angolo di un labbro e concesse un “Concordo” a mezza voce, mentre ancora l'altro ridacchiava tra sé. 
 “La storia si ripete alla fine” disse Lupin solo velato di amarezza.
 “Già” disse di nuovo Piton. 


“Non è colpa tua Severus, lo sai? Per come è andata. Non sarà colpa nemmeno di Draco Malfoy se sbaglierà ogni possibile mossa. È una guerra già scritta. Servono cicatrici per imparare.”
 Il Serpeverde non si mosse a quelle parole. Sembrava essersi fatto di sale, le labbra serrate, lo sguardo tagliente. Lupin appoggiò una mano sulla spalla di lui, lo osservò per un istante, come a valutarlo, ma poi, con un leggero sospiro, fece un passo indietro e si avviò lentamente verso l'uscita con le spalle piegate da pensieri.
 Stava superando l'ingresso quando Severus parlò. 
“Non è colpa tua nemmeno se Black è in frantumi. Stai facendo del tuo meglio, Remus


Il mannaro si voltò. Si osservarono per un istante in silenzio e si scambiarono un sorriso amaro. Sapevano entrambi che non avrebbero avuto altri momenti per bere Whiskey e mangiare cioccolato. Che quella era solo la notte di Halloween. In un giorno dove entrambi erano troppo fragili e le persone da loro amate lontane. Non c'era spazio per un'amicizia per loro e il loro ingombrante passato. Ma si compresero. Per un istante. Annuirono appena.
Severus rigido e arido, di nuovo in controllo dietro spietati muri di perfetta occlumanzia. Remus mite e arreso, di nuovo pronto a tornare al quartier generale a tessere fili di una guerra che non gli apparteneva più, mentre cercava di ricomporre la persona che lo aveva salvato. Tra loro la solitudine, il rimpianto, la memoria di ciò che era stato. 


 “Ci vediamo, Severus.”
“Lupin.”


Sopra di loro il cielo stellato lasciava spazio al rosa dell'alba, portandosi via gli ultimi resti della notte di Halloween.


*Angolo autrice*

Ciao lettori.
è passato un po' dall'ultima storia, ma ho avuto molto da fare e un mezzo blocco dello scrittore. 
Sto anche lavorando a una nuova long e a qualche progetto personale, ma ci tenevo a lasciarvi qualcosa per Halloween. Da questo motivo nasce questa One Shot dolorosa.
Che ho scritto sfruttando il prompt hurt/comfort della bellissima "To be writing challenge" indetta da Bellaluna sul forum "Ferisce più la penna".
Son tornata dal mio confort character, passando attraverso tre personaggi che in modo diverso posso immaginare accanto a lui: Minerva, Narcissa e Remus. 
Ho ripercorso alcuni dei concetti e momenti che vedo tra loro, il rapporto che si può creare durante una guerra tra degli esseri così spezzati e solitari.
C'è un po' di Dramione a dare il ritmo, che porta il sorriso, una spolverata di Wolfstar che porta un po' di dolore e la velata presenza di Regulus, che mi piace sempre citare. 
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Buon Halloween
vi

  
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