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Autore: Dorabella27    03/11/2022    19 recensioni
Qualche tempo fa vi avevo accennato a una breve long - perdonate l'ossimoro - in cui sarebbe ricomparso un personaggio romanzesco e filmico che ha già fatto capolino un paio di volte nei miei racconti, inserito in un contesto diverso da quello di Versailles e di Parigi. Ecco qui: una ff un po' gotica, e scoprirete presto perché, un po' rosa, con qualche tocco di mistero, e qualche brivido: e noi sappiamo bene che si può rabbrividire per tanti motivi, vero?
Immaginate un risveglio imbarazzato, in una locanda, poco lontana da una città del Nord della Francia: come sono finiti lì Oscar e André, e perché si sono messi in viaggio?
La premessa è piuttosto breve, ma i capitoli successivi saranno più corposi.
Ciao a tutti e buona lettura!
Genere: Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, André Grandier, Marie Antoinette, Oscar François de Jarjayes
Note: Cross-over, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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14 – Capitolo 13- Notte agitata, notti tranquille
1 -  La cena fu silenziosa, non meno noiosa del pranzo, ma, almeno, non costellata, come lo era stato il pasto precedente, dal fitto ciarlare di Girodelle col suo nuovo amico: quella sera, invece, ogni debole tentativo del Maggiore de Girodelle di intavolare un qualsiasi scambio di battute sugli argomenti più disparati – pittura, letteratura, novità e indiscrezioni nelle nomine agli alti gradi dell’Esercito francese – era stato gelato sul nascere, accolto da Oscar con un disattento, “Ah, sì”, che non lasciava spazio a ulteriori approfondimenti – men che meno quando Girodelle tentò di spostare la conversazione sui nuovi modelli di camicie con lo jabot bordato di pizzo macramé e non più di pizzo Valencienne.
Nemmeno quel villano ripulito di Grandier mi ha aiutato – annotò mentalmente, con stizza sconfinante nella rabbia, Girodelle – a intavolare una conversazione che rendesse meno gelido il clima a tavola: si è limitato  a rimpinzarsi senza decoro, e senza cercare di agevolare un gentiluomo che, in fondo, voleva solo rallegrare il pasto del suo comandante, nonché della padrona di Grandier, costretta a vegetare in questa città di provincia così noiosa, in compagnia soltanto del suo servitore!
 
 
 
 
2 - Giacché la conversazione con era decollata affatto, i tre si ritirarono presto.
Oscar,  nella sua stanza, non poteva trattenersi dal fissare con insistenza la gabbia, e non solo perché era proprio di fronte al suo letto; anche dopo che ebbe spento la candela, la sua sagoma minacciosa continuava a entrare nel suo campo visivo, e persino quando chiudeva gli occhi, da sotto le palpebre le sembrava che quell’immagine infausta la seguisse e non la lasciasse mai. Se poi si concentrava sul piacevole tepore che le coperte pesanti, di lana e casimiro, trasmettevano alle sue membra, immediatamente veniva punta dal pensiero, quasi vergognoso, del freddo che doveva aver patito l’Orfanello, esposto al gelo notturno in quella gabbia.
      “Sempre che sia mai esistito, l’Orfanello”: le sembrava di sentirsi rimbombare nelle orecchie le parole di André, il suo tono irritantemente saputo, morbido e ironico, il suo sorriso complice e gli occhi brillanti.
“Quante sciocchezze!”, sbuffò, rigirandosi nel letto: e non era chiaro se “sciocchezze” era l’epiteto con cui qualificare la storia dell’Orfanello, e il panico che creava soltanto l’evocarla, o tutte le elucubrazioni di André. Senza che la questione fosse risolta, nemmeno di fronte al tribunale della sua coscienza, Oscar venne così raggiunta dal sonno.
Ne venne svegliata da una serie di grida, urla disumane, che provenivano da sopra la sua testa.
 
 
“NO! NO! VATTENE! VATTENE! VIAAAAA!”.
3 - La voce femminile che le proferiva, deformata dal panico, era chiaramente di una donna fuori di sé. Oscar scattò a sedere sul letto e si infilò alla bell’e meglio sotto la camicia da notte calze, pantaloni e stivali, rimborsando la lunga veste di lino bianco dentro la cintura dei pantaloni, e coprendosi con la vestaglia pesante. Non aveva impiegato più di tre minuti per questa operazione, quando, mentre le urla continuavano a ripetersi sopra la sua testa, sentì bussare alla porta.
“Oscar! Oscar! Sono io, apri!”: la voce di André era allarmata come raramente Oscar l’aveva sentita. Lei attraversò la camera, al buio, di volata, orientandorsi con il lucore lunare che entrava dalla finestra, dalle tende aperte e di cui non aveva accostato né fatto accostare gli scuri, non senza aver lanciato un’occhiata veloce al comodino (sgombro, per fortuna, annotò mentalmente, senza la sagoma minacciosa di nessun pupazzo a turbare il suo risveglio!), e, una volta aperta la porta, si trovò di fronte ad André, che doveva essersi rivestito ugualmente di fretta, con la camicia da notte bianca semislacciata sul petto e rimboccata nei calzoni, i capelli sciolti sulle spalle[1] e gli stivali, che reggeva un doppiere e le indicava la scala che, dal fondo del corridoio, saliva verso il piano superiore, dove era alloggiata la servitù: “Vieni Oscar: le grida venivano dal piano di sopra”.
Una volta arrivati allo stretto corridoio che collegava le camere del personale di servizio, non fu davvero difficile capire da dove fossero venute quelle urla terrorizzate: la porta di una delle stanze era aperta, e sulla soglia si accalcavano le cameriere, lo stalliere, la governante. Dentro, una Madame Blondette tremante – proprio lei, che aveva ostentato con André una pragmatica superiorità rispetto alle superstizioni degli abitanti di Lille – tremava, piangendo, fra le braccia del guardaportone, che la stringeva, affettuoso e protettivo.
“Su, su ... è passato tutto, è tutto passato!”, non smetteva di mormorare quello.
“L’ho visto, l’ho visto!”, ripeteva Madame Blondette, senza riuscire a fermare il suo balbettio.


Oscar si fece strada tra la piccola folla, seguita da André, e si chinò leggermente sulla povera cuoca, sconvolta e tremebonda.
Madame Blondette, vi prego, cercate di rispondermi: che cosa avete visto?”
“Io l’ho visto! L’ho visto!”, ripeté ancora, mentre il guardaportone, che era poi il marito della povera donna, in camicia da notte, la teneva abbracciata, seduto sul letto, dal lato opposto a quello dove era Oscar.
“Chi?!”, la sollecitò Oscar.
“L’Orfanello! Io ne ridevo tanto, ero incredula ... e lui, o il Signore, mi ha punita!”, concluse la donna, affondando il viso nell’abbraccio del consorte.
        André, nel frattempo, con il suo fare più suadente e tranquillizzante, aveva chiesto al personale di servizio accalcato fuori dalla porta di tornare ciascuno nella propria stanza e poi si era spinto, senza mai lasciare il doppiere, accanto a Oscar, restando in piedi a fianco a lei, che aveva invece preso posto sulla semplice sedia impagliata posta accanto a letto della donna terrorizzata, e che si disponeva a interrogare la povera cuoca.
 
        4 - “Ora, Madame Blondette, è molto importante che voi facciate ordine nei vostri pensieri e che raccontiate nel dettaglio tutto quel che avete visto e che vi ha dato timore”, disse Oscar, tesa, ma cercando di assumere un tono tranquillizzante.
“Oh, Colonnello de Jarjayes, quanto sono stata sciocca a farmi beffe dell’Orfanello con Monsieur Grandier e con gli altri membri della servitù! Sciocca e malvagia!”. La voce della povera donna aveva assunto una sfumatura gravida di pianto e Oscar non poté trattenersi dallo sfiorare con una carezza leggera i capelli ingrigiti dall’età che le ricadevano sulla fronte.
Madame, non dite queste cose: pensiamo piuttosto a vedere chiaro in questi eventi: che cosa è accaduto di preciso? Anche vostro marito ha visto qualcosa?”.
“No, Colonnello de Jarjayes, purtroppo non posso esservi utile”, scosse la testa il guardaportone: “Di solito io e mia moglie dormiamo in stanze separate giacché i nostri orari sono troppo diversi, e anche in questa dimora abbiamo fatto la stessa cosa. Sono solo potuto accorrere dalla stanza accanto quando ho udito le sue grida disperate”.
“E che cosa avete visto? Madame, concentratevi: è molto importante! Ogni singolo particolare ha la sua rilevanza”, ripeté Oscar.
“Allora, una volta pulita la cucina e serrata la dispensa”, ricapitolò Madame Blondette, “Mi sono ritirata”,
“E che ora era?”, domandò André.
“Erano le dieci in punto”, rispose risoluta la cuoca.
“Ne siete sicura?”, intervenne André.
“Certissima”, rispose Madame Blondette, torcendosi le mani. “Perché la cena del Colonnello de Jarjayes insieme a voi e al Visconte di Girodelle era finita presto, e quindi, dopo che vi eravate ritirati, io e le ragazze abbiamo rigovernato velocemente, e, salendo le scale, ho sentito distintamente i dieci colpi della pendola nel corridoio al primo piano”.
“Sta bene: continuate”, la incoraggiò Oscar.
“C’è molto poco da dire, Colonnello de Jarjayes: mi sono preparata velocemente per andare a letto – credo di non avere impiegato più di qualche minuto, e, messami sotto le coperte, ho come sempre recitato le mie orazioni, quindi ho spento la candela. Non so dirvi quanto ci abbia messo ad addormentarmi, ma di solito non sono il tipo che soffre di insonnia. Poi, all’improvviso, mi sono sentita tirare per la manica della camicia da notte, sulla spalla, e ho aperto gli occhi, ancora intontita. E allora, l’ho visto”. E qui, la buona signora deglutì, mentre sul volto le si disegnava nuovamente quell’espressione sgomenta che aveva avuto poco prima, e che aveva perso solo per qualche minuto, quando l’aver potuto raccontare con ordine le esperienze della nottata le aveva infuso, da persona pratica quale era, una certa dose, ancorché provvisoria, di calma.
“Ho aperto gli occhi”, ripeté Madame Blondette, “E me lo sono trovato davanti! Bianco come la neve, quasi opalescente nel buio della stanza – dall’abbaino entrava il chiarore della luna e lo illuminava tutto – bianco bianco nella camiciola leggera che lo copriva, e bianco anche in viso, ed erano bianche persino le labbra ... e poi, e poi, due occhi azzurrissimi, come i vostri, Colonnello del Jarjayes e ... oh! Non me lo dimenticherò mai! Era sorridente, e mi diceva con quella sua vocina terribilmente sottile, che mi sembra ancora di sentire: “Vieni a giocare con me? Per sempre! Per sempre!”. Allora mi sono tappata le orecchie con le mani, ho chiuso gli occhi e ho cominciato a urlare! Poi mi sono sentita abbracciare, e, quando ho riaperto gli occhi, quel ... quel ... quell’essere era sparito, ma c’era accanto a me mio marito, che mi teneva stretta e cercava di rassicurarmi. E poi siete arrivati voi”. E qui, Madame Blondette chinò la testa, mortificata per il contrasto fra la se stessa così sicura e sprezzante di ogni ubbìa superstiziosa, quale aveva dichiarato di essere solo poco tempo prima, e la donna tremante e impaurita che ora si stringeva al marito.
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        5 - “André, non posso tollerare questo!”
Si erano allontanati dalle stanze della servitù e avevano riguadagnato il piano nobile, e ora sedevano, così, ancora ricomposti come quando si erano alzati in fretta e furia, in biblioteca. André aveva acceso i due candelieri posati sul grande tavolo da lettura, e, mentre si affaccendava con l’acciarino e gli stoppini, cercava di tranquillizzare Oscar, la quale, invece, seduta al piccolo sécrétaire sotto la finestra, si teneva la testa fra le mani, scoraggiata e innervosita.
“Che cosa non puoi tollerare, Oscar?”.
“Questo! Se noi ... già da oggi pomeriggio... quella povera donna non si sarebbe presa uno spavento che ricorderà per lungo tempo!”
“Hai ragione, ma non potevamo. Eravamo d’accordo, ricordi?”.
“Sì, è vero, André. Ma con lui per casa, poi...”.
"Oscar, senza prove torneremmo al punto di partenza, lo sai!", la ammonì André.
"E lui? Che cosa fa, lui? Perché non c'era, poco fa?".
"Ah, lui? Ecco, credo che sia immerso nel sonno più piombigno[2] che si possa immaginare. Ho sentito poco prima di cena che chiedeva dei tappi di cera alla governante ..."
"Tappi di cera?!". Oscar sgranò gli occhi, togliendo le mani dal volto, e poggiando gli avambracci sul rigiano del sécrétaire, i pugni stretti.
"Sì, Oscar. Credo che abbia molto a cuore un sonno continuativo e tranquillo, dopo lo spavento che ha preso la notte scorsa", concluse André, conciliante, una volta finita quella esasperante cerimonia di accensione delle candele.
"Ma ti rendi conto, André?!", sibilò quella, di rincalzo. "Noi stiamo cercando di risolvere un compito che ci è stato affidato (Ah, Oscar, Oscar, pensò André in un lampo, se sapessi che carezza è per il mio cuore sentirti parlare alla prima persona plurale!), e Girodelle, lui, per salvaguardare il suo sonno e la sua tranquillità, si mette i tappi di cera nelle orecchie!". E non disse, Oscar, che rimpiangeva, in fondo, la complicità con cui, nei primi tempi del suo incarico alla guida della Guardia Reale, Girodelle partecipava alle indagini sulle cospirazioni e le congiure che minacciavano la Delfina e il Delfino; mentre ora, al contrario, c'era come una spessa lastra di vetro trasparente fra lei e lui: non lo leggeva più come prima - come credeva di poterlo fare prima -, anzi, ogni tanto lo soprendeva a guardarla fisso, quando lei era assorta in riflessioni o impegnata a leggere e a scrivere dispacci, e  si sentiva osservata, e, alzando gli occhi all'improvviso dai documenti e dalle scartoffie, coglieva fuggevolmente lo sguardo di Girodelle, che quest’ultimo aveva la prontezza di distogliere subito.
“Non prendertela a male, Oscar”, la ammonì bonariamente André:
“André, adesso stai parlando troppo!”, scattò quella.
“Oscar, sei troppo nervosa. Posso fare qualcosa per te?”
“No! Non voglio nulla!”, rispose lei, brusca e ostinata come suo solito.
“Io ti consiglierei di bere qualcosa. Un brandy?", insisté, gentile come sempre, André, mentre, passato davanti allo stipo dei liquori, riempiva due bicchieri con abbondante liquore, e poi si dirigeva verso Oscar, con un bicchiere in ogni mano, e porgendogliene uno.
"Non ho voglia di bere, André; te l'ho già detto!".
“E fattelo, questo bicchiere di brandy"[3], disse quello, ponendole il bicchiere accanto, sul tavolino davanti al camino,
Vinta dal nervosismo, Oscar bevve, spazientita.
 
6 - André si sedette a fianco a lei, sorseggiando, a sua volta, il liquore ambrato, che scivolava in gola trasmettendogli una piacevole sensazione di calore.
Non c'era più molto da dire: restarono seduti, silenziosamente, l'uno accanto all'altra, fissando il fuoco. Poi, dopo mezz'ora, André si sgranchì le braccia, e, dopo un sonoro e quasi teatrale sbadiglio, annunciò: "Credo che tornerò a letto, Oscar. Domani sarà una giornata campale e dobbiamo essere pieni di energie".
E si avviò verso la sua stanza, questa volta seguito da Oscar, che aveva aggiunto soltanto: "Hai ragione, André: è meglio davvero se torniamo a dormire anche noi".
        La mattina successiva Madame Blondette, com'era prevedibile, si presentò a Oscar nella biblioteca per rassegnare le sue dimissioni immediate, seguita dal marito. Oscar e André convennero che non valeva la pena cercare altro personale di servizio, per i giorni successivi, comunque limitati, che avrebbero trascorso in quella dimora: per i pasti, e per il servizio di guardaportone, avrebbero supplito altri membri della servitù. In particolare, una delle cameriere aveva avuto pratica di cucina nei suoi precedenti incarichi e si rese disponibile a preparare i pasti, non senza un certo timore, visto che l'ospite arrivato a sorpresa, Monsieur le Vicomte de Girodelle, sembrava molto esigente per quanto riguardava il servizio di cucina.
"Non vi preoccupate, Martine", la rassicurò Oscar, sbrigativa, ma gentile, e come sempre molto corretta quando si parlava dei suoi collaboroatori e sottoposti, "Monsieur le Vicomte è anche un uomo d'arme, e gli uomini d'arme sanno adattarsi. E poi", aggiunse con un sorriso, "sono certa che sarete una cuoca abilissima".
Subito dopo, André si presentò davanti a Oscar e le chiese di firmare una lettera: poche righe, che quella scorse velocemente, e che contenevano una richiesta molto specifica.
"Tornerai dunque da Monsieur de Vergeron?", chiese Oscar.
"Sì", assentì André, "credo proprio che tornerò dal nostro vecchio amico. E sai", aggiunse, infilando con un sorriso malandrino nella tasca interna della marsina la richiesta scritta da lui, ma sottoscritta da Oscar, "credo che Monsieur de Vergeron accoglierà con un certo riguardo una richiesta avanzata nientemeno che dal Comandante delle Guardie Reali".
"Potrei esserti d'aiuto ...", ipotizzò lei, dubitabonda.
"Oh no, no": André aveva levato la mano, il palmo rivolto verso di lei. "Non sarà necessario, Oscar. Tu potrai dedicarti al nostro ospite con tutte le attenzioni al suo rango".
"Ma che ...": l'obiezione le morì in gola, appena guardò dritto in faccia André e vide la sua espressione ridente.
"Buona giornata, Oscar", la salutò André, uscendo di buona lena. "Oh, e qualora non dovessi tornare per pranzo" - aggiunse sporgendosi con il viso oltre il vano della porta, come se avesse improvvisamente ricordato un particolare importante, - "credo che mi scuserai, se non potrò apprezzare la tua scoppiettante conversazione". E subito dopo si dileguò, ricevendo come commiato uno: "STUPIDO!", correlato dal lancio di un pesante volume di Virgilio che colpì lo stipite.
 
7 - Il malumore del Colonnello Jarjayes durante quella mattinata rischiò di toccare l'acme, quando Girodelle si offrì di sorbire un the con "Madamigella Oscar".
"Mi dispiace molto, Girodelle, ma oggi avevo pensato di sbrigare un certo lavoro che mi sono portata da  Versailles", mentì spudoratamente lei, nel tentativo di scrollarsi di dosso quella presenza ingombrante e sgradita.
"Ma potrei aiutarvi sicuramente in questo, Madamigella", intervenne, volonteroso e molesto,  Girodelle. "Di che incombenza si tratta?".
"Ecco, no ... Girodelle, io ... io non voglio incomodarvi, dopo tutto quello che già avete fatto e tutto il disturbo che vi siete sobbarcato per causa mia", accampò Oscar, imbarazzata: mentire non era mai stato nelle sue corde, nemmeno diplomaticamente. E per prevenire nuove obiezioni del suo secondo, si ritirò nella propria stanza, nonostante la poco rassicurante presenza della gabbia.
Distesa sul letto, gli occhi socchiusi, le mani sotto la nuca, la gamba sinistra distesa, la destra piegata, con il piede calzato dallo stivale incurantemente posato sul copriletto, Oscar rifletteva, sulla richiesta, cortese eppure imperiosa, che aveva firmato per André, e sulla rivelazione del giorno prima. Caro André!, si soprese a pensare, se non ci fosse lui ...
Arrivò l'ora del pranzo, deliziosamente preparato da Martine - la quale, evidentemente, si era sforzata di dare prova di tutte le sue capacità -, pranzo che Oscar e Girodelle consumarono senza André, evidentemente trattenuto altrove, in un assordante rumore di posate. 
Durante il caffé, servito nel salottino, in verità, Girodelle, rammaricato con se stesso per le poco edificanti prove del suo valore date sino a quel momento, cercò di ravvivare la conversazione, portandola sull'argomento del trambusto notturno, che egli non aveva udito. "E di ciò vi chiedo perdono, Madamigella, ma spero che comprenderete le mie ragioni e la mia peculiare situazione".  Era rossore quello che affiorava timidamente sotto lo spesso strato di cipria di cui, come sempre, Girodelle si era abbondantemente cosparso il viso?
Oscar sorrise, e cercò una formula altrettanto diplomatica ed eufemisticamente elusiva per rispondere, oltre che per tagliare corto la faccenda, una volta per tutte. Ma in quel momento il valletto portò un biglietto da visita al Girodelle, che, leggendolo, si illuminò.
"Il Visconte di Valmont è qui", annunciò quasi trillando.
"E voi lo ricevete?", chiese lei, arcuando le sopracciglia.
"Sì. E anche voi", rispose, con un sorrisino beffardo Girodelle, quasi a vendicarsi dell'ostinato silenzio del suo Comandante durante il pranzo.
Valmont entrò: la sua eleganza era sempre raffinatissima, ai limiti dell'eccentricità: una marsina di velluto di seta blu notte con fittissimi ricami dorati e pantaloni grigi di seta, corredati da scarpe blu notte con fibbie dorate, e infine, a legare il codino della parrucca, un nastro sempre di velluto bu con ricami dorati.
I due gentiluomini si salutarono e complimentarono con reciproca simpatia, dati tutti i gusti, le preferenze e le conoscenze comuni che avevano rilevato nel corso della precedente conversazione. Da parte sua, Oscar si congedò da loro poco dopo, lasciandoli alla loro partita di faraone.  Riparò in biblioteca, lesse per un po', concentratissima, un volume di Montesquieu, "Le lettere persiane", che aveva visto fuggevolmente, settimane prima, fra le mani di André, e che, chissà come, faceva parte della ricca, ma sconclusionata e disorganizzata biblioteca della casa di Place du Lion D'Or, evidentemente cresciuta su se stessa per le iniziative e le dimenticanze degli inquilini che si erano succeduti negli anni. Il libro la conquistò, soprattutto nelle pagine in cui induceva a riflettere sulla libertà delle donne parigine a confronto con le donne persiane, e sulle conclusioni, assolutamente paradossali, cui arrivava l'autore. Così non sentì subito bussare alla porta, quattro colpi intervallati secondo il codice che da sempre aveva stabilito con André, tre ravvicinati e uno distanziato. André ripeté dunque la sequenza, picchiando con maggior forza.
"Ci sei, Oscar?".
"Sono qui, André".
André entrò con un'espressione soddisfatta e sorniona, e si dispose, in piedi davanti alla vetrata che dava sul via vai della piazza, riecheggiante di voci negli ultimi momenti di luce di quel pomeriggio invernale, a raccontare, accalorandosi via via, mentre riferiva a Oscar quel che aveva scoperto.
"Lo sapevo!", balzò in piedi lei, entusiasta. "E ora che lo sappiamo, André, noi ... "
"E ora che lo sappiamo con certezza, Oscar, noi non faremo proprio nulla, ma aspetteremo pazientemente che il nostro amico faccia la sua prossima mossa", la corresse André, per sedarne il bollente entusiasmo.
"Ma ... ".
"Credimi, Oscar: ci sarà da divertirsi!", sorrise lui.
"André, io... e va bene, ti credo", concluse lei, finalmente arresa ai suggerimenti di André.
"Ottimo. E ora pensiamo a come dovremo comportarci quando sarà il momento", concluse lui. E si immerse in un fitto conciliabolo con Oscar.
 
        8 - Durante la cena, consumata con Girodelle, il clima fu disteso, financo allegro: il Maggiore Girodelle, in particolare, era molto soddisfatto di come avesse saputo, finalmente, suscitare il buonumore di Madamigella Oscar con una serie di aneddoti, talvolta assai spiritosi, a proposito dei comandanti della Guardia Reale che l'avevano preceduta, circa la loro perizia con la spada o con la sciabola, a proposito dei loro sistemi e convinzioni in merito all'addestramento delle reclute; Girodelle non mancò nemmeno di soffermarsi sulla loro leggendaria severità, sulle loro idiosincrasie e piccole manie, e così via, non senza dimenticare  il lungo elenco delle onoreficenze di cui essi erano stati nei decenni gratificati da sua Maestà Luigi XIV, il Re Sole e dal suo successore, Re Luigi XV il Beneamato. Ma, quella sera, Oscar era troppo di buonumore, e pertanto avrebbe ascoltato con il sorriso sulle labbra Girodelle anche se le avesse narrato comportamenti e abitudini degli squamosi ospiti del reale rettilario.
Anche quella sera il terzetto si ritirò presto, ma la notte trascorse tranquilla, senza intoppi di sorta.
I due giorni successivi si svolsero all'insegna di quella che era ormai diventata la routine della casa: colazione, letture, pranzo, questa volta in compagnia di André, visita pomeridiana del Visconte di Valmont, partita a faraone,  corredata da abbondanti ciarle, con Girodelle.
E mentre André ostentava sempre una calma olimpica, Oscar iniziava non soltanto a essere snervata, ma a darlo anche a vedere.
Sino a che la terza notte, finalmente...
 
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Si ringrazia per la fan art Alessandra DF3, che ha voluto omaggiarmi e omaggiare tutti i lettori di questa storia con una immagine di Oscar e del nostro Visconte preferito (suvvia, Girodelle, Vi prego, non Vi alterate).
Aggiornamento abbastanza corposo, come avete visto, e che prelude a una bella scoperta. Quale? Un poco di pazienza.
Grazie a tutti voi per le letture e le recensioni, e per aver accettato di rabbrividire insieme a me con questa storia ambientata nel profondo Nord della Francia. A presto!
 
 
[1] Contente???!!!!

 
[2] L’aggettivo piaceva tanto a Camilleri per indicare il sonno di Montalbano ...
[3] Non so perché, ma me lo immagino detto con il tono con cui Jack Nicholson, nelle "Streghe di Eastwich", consiglia, sornione: "E mangiatela, quest'altra ciliegia...".
   
 
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