Film > Matrix
Segui la storia  |       
Autore: Fragolina84    04/11/2022    0 recensioni
Delusa da Matrix Resurrections, già mentre ero al cinema mi è nata l'idea di un finale diverso per una Trilogia che ho amato in ogni suo aspetto. Quindi, preso spunto dall'idea alla base del film, ho creato questa storia che parla della Resistenza sorta dopo il sacrificio di Neo e Trinity e la ripresa delle ostilità da parte delle macchine. Due nuovi personaggi, Raelynn e Calbet, saranno i protagonisti di questa storia che li vedrà lottare contro il sistema per l'agognata libertà.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Neo, Nuovo Personaggio, Trinity
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Dunque, le macchine non hanno rispettato il patto con Neo
e sono tornate ad attaccare gli umani.
Zion è caduta da secoli, ma la Resistenza vive.
E in questo capitolo conosceremo meglio
uno dei personaggi di questa storia.
Buona lettura!


«Megan! La cena è pronta. Non te lo dirò una seconda volta.»
La ragazza arrovesciò gli occhi, ma non aveva voglia di mettersi a discutere perciò chiuse il portatile e uscì dalla propria stanza.
Megan era orfana dall’età di tre anni. I suoi genitori erano morti entrambi in un incidente stradale: anche lei era in auto con loro ma ne era uscita miracolosamente illesa.Da allora, Megan era passata da una famiglia affidataria all’altra. Gli ultimi due anni li aveva passati con i Miller. Lui era un affermato chirurgo vascolare e lei una ex modella e vivevano in un enorme appartamento in una delle zone più Chic di Manhattan. Per ragioni a lei incomprensibili, dato che a volte aveva l’impressione di essere solo un fastidio per loro, avevano deciso di diventare i suoi tutori.
A dodici anni, Megan era un piccolo genio dell’informatica. Computer e smartphone non avevano segreti per lei e leggere il codice binario non era più complicato che sfogliare il New York Times. Meno di un anno prima aveva superato il firewall della Casa Bianca solo per dimostrare a se stessa che poteva farlo: la sua incursione era stata talmente ben congeniata che l’FBI non si era ancora presentato a casa loro per chiedere spiegazioni, segno che nessuno si era accorto della sua scorreria informatica.
Non c’era codice che lei non potesse violare, né password che potesse resisterle. I computer e l’informatica erano il suo mondo. Eppure…Eppure, sentiva che c’era qualcos’altro sotto. Era come se vivesse la propria vita con un velo steso davanti agli occhi. Era una sensazione che l’accompagnava da che aveva memoria, come quando vedi qualcosacon la coda dell’occhio, un movimento, uno sfarfallio, ma quando ti volti in quella direzione non c’è assolutamente nulla. Era questa la sensazione che sentiva addosso tutti i giorni come una seconda pelle.
Scese l’asettica scala in vetro e acciaio e raggiunse i Miller in sala da pranzo. John non alzò nemmeno gli occhi dal suo cellulare quando entrò mentre Allison si limitò a squadrare con una vaga espressione di disgusto la felpa e i jeans strappatiche indossava.
Megan sedette al proprio posto senza una parola, mentre i domestici – ma chi diavolo aveva ancora i domestici nel ventunesimo secolo? – servivano la cena. Mangiò senza appetito, lo sguardo concentrato sul piatto. Sentiva Allison ciarlare con il marito di non sapeva nemmeno cosa e lui rispondere con monosillabici grugniti. Chissà perché era così importante che cenassero insieme? Avrebbe preferito cenare in camera sua, ma Allison sosteneva che quei momenti “cementavano la famiglia”. Già, proprio una splendida famiglia, pensò Megan, piluccando svogliatamente la cena.
Quando finalmente quella farsa terminò e lei poté tornare in camera sua, trasse un sospiro di sollievo, appoggiata alla porta della sua stanza illuminata solo dai led colorati dietro i monitor dei suoi computer. L’unica cosa positiva dei Miller era che erano pieni di soldi e decisi a non farle mancare nulla. Infatti, aveva sempre l’ultimo modello di smartphone e qualsiasi diavoleria elettronica chiedesse poteva essere sua, oltre a poter frequentare le migliori scuole private del paese.
Sedette alla scrivania e riavviò il portatile, mentre infilava gli auricolari nelle orecchie e alzava al massimo il volume della musica, alla ricerca di un ottundimento dei sensi che le facesse scordare la sua situazione.
Non appena il computer fu avviato, una piccola icona a forma di stella attirò la sua attenzione dalla barra delle applicazioni. Non era un’icona conosciuta, non l’aveva mai vista. Mentre la osservava, indecisa se cliccarci su o meno, l’icona lampeggiò due volte, una volta in rosso e una in blu.
Un brivido le corse lungo la schiena: aveva letto di quell’icona nel dark web, ma era avvolta da strati di mistero talmente impenetrabili che aveva finito per credere che fosse nient’altro che una chimera.
Con il fiato sospeso, mosse il mouse e cliccò due volte sulla stellina che ora, dopo quei due lampeggi, era tornata ad essere di un anonimo colore bianco. Una schermata totalmente nera sostituì l’esplosione di colori astratta che era il suo desktop. Un cursore verde lampeggiava in alto a sinistra.
Le mani di Megan, sospese sulla tastiera, attesero. Poi, d’improvviso, il cursore si mosse.
Ciao, Raelynn.
Oh, cavolo! Chiunque fosse al di là di quella schermata nera, conosceva il suo pseudonimo hacker. Qualcuno si era infilato nel suo computer, il che era impossibile. Sfiorò con le dita i tasti, ma non sapeva come rispondere a quel messaggio.
Non devi avere paura di me.
Oh, l’ultima cosa che aveva era paura. Eccitazione, sì. Curiosità, sì. Paura, assolutamente no.
Non ho paura, si decise finalmente a rispondere. Chi sei?
La risposta arrivò immediata: Il mio nome è Bree. Domani, davanti alla tua scuola sarà parcheggiato un SUV blu scuro con i vetri oscurati. Sali a bordo, ti spiegherò tutto.
Non fece in tempo a rispondere che la schermata nera si chiuse. L’icona con la stella era scomparsa, quasi non fosse mai esistita. Batté freneticamente le dita sulla tastiera, cercando tracce di quello strano scambio di messaggi, ma Bree, chiunque fosse, era tornata ad essere invisibile.
Quella notte, Megan non riuscì a chiudere occhio e il mattino seguente, stupendo i suoi tutori, fu la prima ad arrivare a colazione. Trangugiò in fretta i suoi cereali, agguantò una mela per merenda e uscì, infilandosi in auto. L’autista la salutò con uno sguardo allo specchietto retrovisore e la portò a scuola.
Non appena la scaricò davanti all’istituto, Megan si guardò intorno. C’erano una quantità di auto di lusso parcheggiate di fronte alla sua scuola, ma un solo SUV blu scuro con i vetri oscurati. Si guardò intorno e attraversò la strada correndo. Senza alcuna esitazione afferrò la maniglia dalla parte del passeggero e salì. Non era la prima volta che marinava la scuola, ma mai per questioni eccitanti come quella di quel giorno.
C’era una donna al volante. Era giovane, forse sui venticinque anni, con i capelli cortissimi di un biondo quasi bianco e gli occhi verdi.
«Io sono Bree» disse a mo’ di presentazione. Poi mise in moto e si immise nel traffico.
«Come hai fatto a entrare nel mio computer?» chiese Megan, ma Bree non rispose, limitandosi ad un sorriso.Guidò in silenzio per una decina di minuti, finché non si infilò in un parcheggio sotterraneo. Si fermò in un posto vuoto.
«Seguimi. Ti spiegherò tutto» disse e scese.
Di nuovo, Megan non esitò e seguì Bree dentro un ascensore. Si aspettava che Bree selezionasse il piano, ma la donna digitò una specie di codice e la cabina si mosse verso il basso, sebbene sulla tastiera non fossero segnati piani più bassi rispetto a quello in cui si trovavano.
Quando le porte di aprirono, Megan si trovò in una specie di bunker. In quel luogo c’erano più attrezzature tecnologiche di quante ne avesse mai viste e si trattenne a stento dal correre a mettere le mani su quei congegni.C’erano altre due persone in quel luogo. Uno era un ragazzo a cui Megan non avrebbe dato più di quindici anni. Era seduto ad una consolle grande quanto la plancia di comando dell’Enterprise: le rivolse un sorriso incoraggiante e le fece l’occhiolino, scuotendo i rasta.L’altro era un adulto e, a giudicare dallo sguardo che posò su Bree, doveva essere il suo compagno.
«Benvenuta, Raelynn» disse rivolto a lei. «Non vedevo l’ora di conoscerti. Io sono Amos» aggiunse, tenendole la mano.Era un uomo piuttosto attraente, con i capelli scuri appena spruzzati d’argento alle tempie e profondi occhi castani. Al pari di Bree, le risultò subito simpatico.
«Non vedevi l’ora di conoscere me?» chiese in tono incredulo. «Io sono solo una ragazzina dodicenne.»
Amos sogghignò: «Sei molto di più, credimi.»
Girò lo sguardo su Bree e le fece un cenno. La donna le posò delicatamente una mano sulla spalla, spingendola verso una sedia. Megan sedette e Bree trascinò una seconda sedia davanti a lei, prendendo posto.
«Quello che ti dirò, ti sembrerà assurdo. Ma è importante che mi ascolti con attenzione. Poi potrai scegliere di non credermi e tornerai alla tua vita.»
Qualunque cosa Bree avesse da dirle sarebbe stata meglio della sua insulsa vita; quindi aprì le orecchie e si dispose ad ascoltarla con attenzione.
Bree le disse che il mondo in cui viveva non era altro che un’illusione, una simulazione virtuale creata dalle macchine per tenere soggiogato il genere umano, sfruttato come fonte d’energia. La donna le spiegò che in un passato talmente remoto da essere quasi perduto, le macchine avevano preso il controllo del mondo. Gli umani avevano oscurato il sole, sperando che bastasse a fermarle, ma l’unico risultato era stato rendere la superficie della Terra inabitabile. Decimati e braccati dalle macchine, gli umani rimasti si erano rifugiati in profondità. Narrò di città costruite vicino al nucleo del pianeta, di navi di acciaio che combattevano una guerra contro le Sentinelle, di battaglie sanguinose che avevano portato quasi all’estinzione il genere umano.
Su una cosa Bree aveva ragione: tutto era assurdo. Ma, cosa altrettanto vera, a Megan non sembrava tale. Tutto quello che la donna le stava raccontando collimava perfettamente con le sensazioni che lei si era sempre sentita addosso. Non ricordava nemmeno quando fosse cominciata quella sensazione, ma a memoria ce l’aveva sempre avuta. E quando lo disse a Bree, la donna annuì.
«Sì, a volte succede. Alcuni di noi nascono, come dire, refrattari al sistema. Queste persone di solito vengono intercettate e resettate. Ma a volte, come nel tuo caso, arriviamo prima noi.»
Amos si avvicinò alla donna e le sussurrò qualcosa all’orecchio.
«Raelynn, noi siamo pronti. Ora la decisione sta a te» le disse. Le allungò una scatoletta argentata, invitandola ad aprirla.Dentro Megan vide due pillole traslucide, una rossa e una blu.
«Con la pillola azzurra, ci salutiamo qui. Dimenticherai questo incontro e tutte le cose che ti ho detto, tornando alla tua vita di prima» spiegò Bree. «Con la rossa… beh, con la rossa ti sveglierai nel mondo vero.»
Megan non ebbe alcuna indecisione e afferrò la pillola rossa, pronta a metterla in bocca.
«Aspetta!» la bloccò Bree. «Devi essere sicura, Raelynn. La vita non è facile, nel mondo da cui veniamo.»
«La mia non lo è stata mai» borbottò la ragazza, trangugiando la pillola rossa.
Non appena ebbe compiuto quel gesto, un certo sollievo si dipinse sul volto di Bree e Amos. La donna si alzò e raggiunse il ragazzo alla consolle, mentre Amos si accosciava accanto alla sua sedia.
«Ora rilassati, ok? La pillola che hai preso ci permette di localizzarti per venirti a prendere quando ti sveglierai. Ti sembrerà un incubo, ma durerà poco, te lo assicuro. Saremo lì, Raelynn.»
La ragazza annuì. Dietro di lei sentiva Bree parlare con l’altro ragazzo, ma non riusciva a concentrarsi sulle loro voci. Poi sentì le mani di Bree su di sé: le applicò un piccolo elettrodo sul collo che restituì nella stanza il battito cardiaco. Trasse un sospiro, cercando di normalizzare la corsa forsennata del cuore che sentiva galoppare nel petto come un mustang lanciato sulla prateria.
«È normale che il cuore corra così?» chiese, ansimando leggermente.
Si rese conto che la vista si stava restringendo, divenendo nera ai bordi. Scosse la testa, come a volerla schiarire, ma la situazione non migliorò.
«Tranquilla, Raelynn. Va tutto bene» cercò di rassicurarla Amos, sfiorandole il dorso della mano.
La vista si oscurò del tutto, il battito del cuore accelerò ad un livello esagerato.
«Non ci vedo più!» gridò la ragazza, che percepì le mani di qualcuno racchiuderle il viso.
«Va tutto bene, Raelynn». La voce rassicurante di Bree le arrivò come da una grande distanza. «Starai bene, tesoro. Lasciati andare, ti prenderemo noi.»
Megan avvertì una forte fitta al petto e qualcosa si spezzò dentro di lei. Ebbe la sensazione di cadere in un buco oscuro, nero come la pece. In un angolo della sua testa era consapevole di stare morendo ma non era preoccupata: era come se percepisse che quel passaggio era necessario e vi si abbandonò.
Quando riaprì gli occhi, non capì subito dove si trovava. Era distesa sul dorso e galleggiava in una specie di gelatina rosa. Si rese conto che aveva un tubo in gola ed era quello a permetterle di respirare e, quando allungò lo sguardo verso il proprio corpo, vide che aveva tubi infilati nelle braccia, nelle gambe, sul petto.
Un oscuro terrore si impadronì di lei e, d’istinto, tese le mani verso l’alto, come a volersi liberare da quel bozzolo. La parete traslucida si spaccò e Megan riuscì ad uscire. Cercava freneticamente aria, ma il tubo che aveva in gola le impediva di respirare, così lo afferrò e tirò per liberare la trachea.
Ci riuscì, tossendo mentre i polmoni si riempivano di aria. Non fece in tempo a guardarsi intorno che i tubi che aveva conficcati sul corpo si staccarono con un sibilo e, quando fu libera, una botola sul retro della capsula si aprì e la risucchiò dentro.
Ancora intontita da quella situazione spaventosa e del tutto nuova, scivolò in un condotto scuro finché piombò in un bacino di acqua gelida. Sorpresa, riuscì in qualche modo a tenersi a galla, ma era come se i muscoli non rispondessero agli stimoli inviati dal cervello. Mentre l’acqua si chiudeva sulla sua testa vide delle luci sopra di sé, ma era troppo stanca per curarsene e perse conoscenza.
Quando si risvegliò, si accorse di essere distesa su quello che le parve un tavolo operatorio di acciaio. Sopra di sé, nonostante la vista annebbiata, scorse tubi e condotti, finché il viso conosciuto di Bree non entrò nel suo campo visivo.
«Ben tornata, Raelynn» la salutò. «Come ti senti?»
«Stanca» mormorò con un filo di voce.
Bree sorrise, posandole una mano sulla fronte con delicatezza: «Lo so. Riposa, presto starai meglio.»
E lei chiuse gli occhi, cedendo a quella immane stanchezza.
  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Matrix / Vai alla pagina dell'autore: Fragolina84