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Autore: velocecalogiuri    08/11/2022    3 recensioni
[Serie Tv]
[Serie Tv]Era un collega. Solo un collega. Nient’altro che un collega. Un collega che aveva avuto una sventura, una disgrazia, un “errore fatale” —come lo aveva definito Vitali. [Imma x Calogiuri]
Genere: Angst | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: questa è una storia che abbraccia un arco temporale di un anno, quindi ci saranno dei flashback. Praticamente un continuo andirivieni, quindi spero non si crei confusione. Qualsiasi suggerimento è ben accetto!

Grazie infinite a tutt* coloro che hanno letto il primo capitolo e che stanno per leggere il secondo, spero vi piaccia!


Quando aveva saputo che Calogiuri era in grado di parlare e di ricevere visite eccetto i famigliari stretti, erano passati tre giorni. Perché non aveva chiesto di lei? Forse era il suo ego a parlare, ma non era forse un uomo innamorato? Non le aveva forse confessato i suoi sentimenti apertamente e più di una volta? Dottoressa, io credo di essermi innamorato di te. Non era un sogno, se lo ricordava benissimo, la sua era una memoria eccellente.
Sebbene la cosa le giovasse sul piano razionale —Pietro si era tranquillizzato, infondo lei non era corsa al suo capezzale non appena avesse aperto gli occhi— non poteva fare a meno di chiedersi come aveva potuto. Come aveva potuto non chiedere di lei come prima, seconda, terza cosa.
I medici le avevano assicurato che tutto sarebbe tornato alla normalità nel giro di un mese, un mese e mezzo al massimo di riabilitazione. Avrebbe perfino potuto tornare a lavorare, se lo avesse voluto. Il cervello non aveva subito danni, così come la sua memoria —e allora perché?
“Amò,” le aveva detto Pietro scivolando sotto le coperte accanto a lei. Imma teneva in mano un libro, ma non lo aveva neanche aperto. Invece, fissava il vuoto mentre quelle domande tutte insieme le rimbombavano nella testa.
Il signor De Ruggeri non era certo così stupido da pensare che l’intera storia del maresciallo le fosse scivolata addosso, ma da quando aveva ricevuto la notizia —“Dottoressa, è fuori pericolo”— la sua Imma sembrava aver ripreso a respirare. Era come se fosse ancora in un’attesa costante, ma non aveva mai chiesto spontaneamente di visitare il maresciallo. Una parte di sé sperava che lo facesse per lui, per salvaguardare il loro già così fragile matrimonio, ma lei gli aveva detto “Professionalità, Piè” come se fosse la cosa più ovvia del mondo: Calogiuri aveva bisogno di riposare, di passare quelle prime ore in compagnia dei famigliari e delle persone a lui più vicine —il che, spaventosamente, non includeva lei.
Fu al quarto giorno, intorno alle undici che la dottoressa Tataranni cedette. Il tacco della sua scarpa destra non aveva fatto altro che battere nervosamente sul pavimento sotto la scrivania da quando era arrivata in procura, e il ritmo aumentava ogni volta che qualcuno entrava nel suo ufficio e riportava notizie —fortunatamente buone e sempre accompagnate da un sorriso— riguardo al maresciallo. Era felicissima che Calogiuri stesse bene ma perché non era lei a comunicare agli altri quelle belle notizie? Avrebbe dovuto sentire che Calogiuri stava bene direttamente da lui.
Elaborò la decisione di andare in ospedale in pochissimi secondi e seguì l’onda dei suoi pensieri prima che potesse cambiare idea —sapeva che l’avrebbe fatto. Fuori cominciava a rinfrescare, erano i primi di ottobre ma lei non prese neppure la giacca. Non poteva permettersi di fermarsi e ragionare. Salì in una volante della polizia, che non guidò né Capozza, né Bartolini, né La Macchia. Non avrebbe permesso a nessuno, questa volta, di entrare con lei in quel corridoio d’ospedale.

Quando arrivò si rese conto che Calogiuri era stato tolto dalla terapia intensiva, e che adesso avrebbe dovuto bussare prima che lui potesse vedere che si trattava di lei. Non c’era nessun vetro rivelatore, sarebbe stata una sorpresa per lui e Imma non riusciva a smettere di pensare che sarebbe potuta essere non gradita.
Finalmente b
ussò —anche se la porta era aperta ma lei era dietro la parete— dopo aver esitato per una frazione di secondo —ormai si era trascinata fino a lì, non poteva rinunciare.
“Dottoressa!” La sua voce. La sua voce le fece tremare lo stomaco e un sorriso le squarciò il volto così sinceramente che Imma non poté far a meno di assecondarlo: “Calogiuri!” E per un attimo sembrò di essere tornati a due anni prima. Tutte le domande che fino a quel momento le si erano affollate nella testa sembravano come scomparse. Ora che lo aveva davanti a sé, sdraiato su quel letto, con le fasciature bianche che contrastavano l’azzurro vivo dei suoi occhi —che ora le stavano sorridendo— ne era sicura: niente di ciò che si era costretta a fare avrebbe retto.
Lei lo amava.
Lo amava come non credeva che una come lei avrebbe potuto amare. Lo amava come avrebbe dovuto essere con Pietro, nonostante avesse speso l’ultimo anno a cercare di convincere entrambi del contrario. Lo amava di un amore che l’aveva portata a spingerlo via quando aveva più bisogno di lui, a cercare di essere felice per la vita che stava progettando con Matarazzo: lui se lo meritava il matrimonio con una ragazza che avrebbe potuto presentare ai suoi genitori senza imbarazzo, la paternità, la possibilità di costruire una famiglia come quella che aveva avuto lei. Come quella che aveva lei.Valeva veramente la pena costringersi a dargli tutto questo se l’unica cosa che Calogiuri chiedeva era lei? Meno di un anno prima, la sua risposta sarebbe stata “sì”, con tanto di presunzione di sapere ciò che era meglio per tutti. Era, infatti, la cosa giusta per lei, per Calogiuri, per il suo matrimonio, per Pietro, per Valentina. “Bisogna scegliere se fare la cosa giusta o la cosa bella” “E quale sarebbe la cosa bella, Calogiuri?”. Le loro voci le risuonarono nella testa come se quel dialogo lo stessero avendo in quell’istante.
“Come stai?” Fu l’unica cosa che le uscì dalla bocca, quasi frettolosa di scacciare via quei maledetti pensieri.
“Ho un paio di buchi nel petto, ma guarirò” le sorrise e Imma notò che il maresciallo aveva immediatamente abbassato gli occhi, fissandosi le mani giunte davanti a lui. “Mi dispiace, dottoressa. Romaniello è morto perché non sono stato in grado di fare il mio lavoro correttamente. Mi sono lasciato prendere da… dai sentimenti, credo. E tutta quella storia di Jessica, sapete… Aveva solo chiesto di vedere sua figlia.”
Imma si morse l’interno della guancia, abbassò anche lei lo sguardo ma lo rialzò immediatamente: “Calogiuri, non dirlo neanche per scherzo. Niente di quello che è successo è stata colpa tua. E’ stato tutto… un errore.”
Un sorriso amaro gli si formò sulle labbra mentre tornava a guardarla negli occhi: “Ultimamente ne ho fatti parecchi di errori, vero, dottoressa?”
Quella domanda la colpì dritta dove il maresciallo aveva mirato. E Imma rimase in silenzio.
“Ci ho pensato” esordì Calogiuri dopo un tempo che le sembrò infinito “E… se voi siete d’accordo, io vorrei ricominciare daccapo.” Imma tornò a guardarlo dritto negli occhi, come se avesse pronunciato l’impronunciabile. “Avevate ragione fin dall’inizio, dottoressa: quel bacio nel vostro ufficio, alla festa della Bruna, è stato uno sbaglio. Il più grande sbaglio che abbiamo fatto insieme. E’ da lì che è partito tutto: le foto, la bugia di Jessica che ha inventato soltanto perché stavo per lasciarla…” Il maresciallo continuava a tenere gli occhi fissi sulle sue mani ma Imma poteva quasi giurare di vederli riempirsi di lacrime ad ogni parola nuova che gli sfiorava le labbra. “Vi ho causato solo problemi, a partire da quel bacio,” disse, per concludere, “però io non vi voglio perdere.” Quelle parole sembrarono causargli una sofferenza atroce nel pronunciarle, eppure Imma sentì di nuovo quel tremore allo stomaco. Non voleva perderla. Stavolta, lo giurò, gli avrebbe risposto. Non poteva permettersi di perdere altro tempo, non quando la vita le aveva appena ricordato di averne spaventosamente poco:
“Nemmeno io, Calogiuri” e lo disse col sorriso più bello che Calogiuri avesse visto. Sei tu la cosa bella, Calogiuri. e forse stava per dirglielo, ma lui non gliene diede il tempo:
Ricominciamo daccapo.” Le disse, e la guardò. Gli occhi gli brillavano come quelli di un bambino. Che cosa? “Dottoressa, io… mi capita di cercare delle spiegazioni in ogni cosa che mi succede. Lo faccio da quando sono piccolo, mi aiuta a capire. Forse è per questo che riesco a darle una mano con le sue indagini,” sorrise “e io interpreto tutta questa storia di Jessica, di Romaniello, dei proiettili, di essere qui ora come un’opportunità di una seconda possibilità. In tutto. Io voglio ricominciare, dal momento in cui ci siamo incontrati la prima volta. Voglio rifare tutto daccapo perché se ne avessi la possibilità io…” ti prego non dirlo, quel pensiero le sembrò così forte che credette di averlo pronunciato “io cancellerei tutto.”
Imma si ritrovò a fissare un punto fermo sul pavimento per cercare di non lasciarsi sfuggire una singola emozione. Si concentrò sulle macchie delle sue scarpe leopardate, cercò di individuarne uno schema: dopo quella grande ce ne era una con una forma strana, poi una più piccola e poi di nuovo una più grande. Ok, ce l’aveva fatta. Stava respirando.
 

E così 463 giorni dopo aveva mantenuto ancora fede alla sua promessa. Ippazio Calogiuri era sicuramente una persona umile, semplice, ma era un uomo di parola. Certo, ogni volta che la dottoressa Tataranni gli riempiva gli occhi aveva sempre quel tonfo al cuore —non paragonabile a qualsiasi tipo di proiettile, ora lo sapeva— che provava dal primo momento che l’aveva vista e che, era sicuro, avrebbe provato fino all’ultimo respiro. Eppure si era sforzato davvero di mantenere le cose su un livello estremamente serio e professionale. Poi, pian piano, quasi spontaneamente, le cose avevano preso una piega che mai si sarebbe immaginato.


vi aspetto qui o su twitter! (velocecalogiuri)

   
 
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