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Autore: Kameyo    09/11/2022    1 recensioni
Nei sotterranei del museo Avalon, protetto da una bara di vetro, un giovane dai capelli corvini giaceva da secoli su un letto di Agapanto. Nessuno sapeva chi fosse o come il suo corpo avesse fatto a rimanere intatto, ma tutti lo chiamavano Il Principe. Arthur l'aveva visto per la prima volta a dieci anni, e da quel giorno era andato a trovarlo ogni volta che poteva, sperando di riuscire a svelare il mistero della sua morte. Nel profondo del suo cuore però, Arthur sognava di riuscire a svegliarlo, come in una favola.
"Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it"
[FavolaModerna] [Ispirata alla Bella Addormentata]
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Merlino, Principe Artù, Sir Leon | Coppie: Merlino/Artù
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
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Un giorno il lago si prosciugò
E il mago con un incantesimo si addormentò.
 
 

Arthur poggiò il piccolo bouquet di Agapanto sulla bara. «Buongiorno, Merlin» disse. «Ricordi che giorno è oggi? Sono passati 20 anni dal nostro primo incontro, buon anniversario.»
Merlin non rispose. Come sempre, i suoi occhi rimasero chiusi e la sua bocca non si mosse, ma l’aria della cripta si fece meno fredda, la temperatura si alzò di qualche grado.
Arthur mise una mano sul vetro, mentre si passava l’altra sul viso, scompigliandosi anche i capelli. Era esausto. Gli ultimi dieci anni erano stati difficili, pesanti, e il fatto che si sentisse davvero bene soltanto in quel luogo non aiutava, soprattutto per ciò che stava per fare.
«La mia analista è convinta che dovrei smetterla di venire qui. Devi costruirti una vita vera, mi ha detto.» Rise senza allegria. «A quanto pare lavorare per l’università e uscire con i colleghi non basta. Non riuscirai mai a guarire, se non lo lascerai andare. Così ha detto.»
Arthur tirò su con il naso e percepì un dolce tepore scaldargli il cuore, sapeva cos’era, sapeva che cosa stava succedendo, ma ormai non era più abbastanza. Le prove – supposizioni e sensazioni – che aveva fornito all’università negli anni non erano più sufficienti a mandare avanti i suoi studi sul mistero del Principe Dormiente, come ormai avevano preso a chiamarlo da qualche anno. Il mese successivo gli avrebbero tagliato i fondi e lo avrebbero trasferito in un'altra equipe a Londra. Lontano da Merlin e dalle favole fantastiche di Leon.
E non poteva fare niente per cambiare le cose.
Nessuno aveva mai capito quanto significasse Merlin per lui. Agli occhi di chiunque era soltanto lavoro, un’ossessione da cui si era lasciato consumare negli anni e che aveva condizionato tutta la sua vita.
Arthur aveva preferito la facoltà di storia a quella di legge.
Aveva scelto di restare al villaggio, invece che viaggiare con i migliori archeologi inglesi.
E ancora prima, aveva preferito passare i fine settimana in quella cripta, anziché partecipare alle feste del college.
Arthur aveva passato gli ultimi 20 anni al fianco di Merlin.
All’inizio era stato un gioco, una curiosità; Leon conosceva tante storie interessanti, e il fatto che dicesse di essere stato lui stesso un cavaliere non gli aveva dato pensiero. Ai suoi occhi di bambino, Leon appariva come un essere magico, il guardiano del grande mago, di cui nessuno a parte loro conosceva la vera storia. Si era sentito speciale, diverso. Il prescelto. Con il passare del tempo e l’arrivo dell’adolescenza, Leon aveva iniziato a perdere credibilità, ma non la sua attenzione. Le storie non avevano smesso di affascinarlo, ma avevano perso quel velo di magia che le aveva rese tanto accattivanti.
Arthur aveva scoperto che Leon altri non era che il proprietario del museo e che quindi era ovvio che sapesse un mucchio di cose sul Medioevo e su Merlin, anche se crescendo aveva capito che non si trattava affatto di un mago o di un principe. Era stato un percorso graduale il suo, più cresceva, più si rendeva conto di quanto fossero assurde certe storie, solo che, invece di perdere interesse, la sua voglia di sapere, di scoprire chi fosse quel ragazzo dai capelli scuri era aumentata.
Le sue visite, da sporadiche, erano diventate fisse: due volte la settimana, poi tre, poi quattro, fino a passare ogni ora libera sottoterra.
Arthur, oltre ad ascoltare le storie di Leon per saperne di più, aveva preso l’abitudine di parlare con Merlin, di raccontargli la sua giornata. Era andato da lui la prima volta che si era innamorato, ed era stato Merlin il primo a sapere dell’ammissione al college. A lui aveva confidato ogni dubbio, anche quando si era scoperto attratto pure dagli uomini.
Merlin non gli aveva mai risposto, ma Arthur aveva notato piccole stranezze: la temperatura che aumentava, il calore nel petto, la sensazione di una mano sulla spalla, ed era arrivato alla conclusione che la sua anima si trovasse ancora lì. E poi c’erano stati i sogni. Notti e notti di sogni spettacolari su avventure e castelli e mostri mitologici. La dottoressa Mithian li aveva definiti suggestioni. Arthur, per tantissimo tempo, aveva creduto che fossero il modo che Merlin usava per comunicare con lui, perché in ogni sogno, Merlin era là, al suo fianco. Neanche a dirlo, Leon gli aveva dato ragione, ma secondo Mithian, il proprietario del museo soffriva di un disturbo dissociativo che aveva bisogno di essere curato. Così, per mitigare in parte il problema, la dottoressa gli aveva prescritto una lunga lista di pillole, quelle per dormire, quelle per l’ansia, e non lo aveva perso di vista un attimo. Ormai era suo paziente da cinque anni.
Il taglio dei fondi però aveva creato un’enorme crepa nel suo animo, e Arthur non aveva idea di come guarire. Aveva costruito la sua vita e la sua carriera attorno al mistero di Merlin e adesso gli stavano portando via tutto. Trasferendosi a Londra non a sarebbe più stato in grado di andarlo a trovare, di parlargli, e questo era anche peggio che perdere il lavoro.
Non voleva abbandonarlo alla solitudine di quella cripta. Non voleva separarsi da lui. Ed era stato a causa di quella disperazione che la consapevolezza si era fatta nitida: Arthur, per quanto assurdo potesse sembrare, si era innamorato di Merlin. Si era innamorato della sua pelle lattea in contrasto con i capelli scuri, dei suoi zigomi taglienti e delle sue labbra che dovevano essere morbidissime; si era innamorato dell’idea dei suoi occhi azzurri, dell’illusione della sua risata. Si era innamorato del desiderio di poterlo svegliare con un bacio, di poter trasformare quel mistero in una favola a lieto fine.
Quando ne aveva discusso con la sua analista, lei gli aveva dato un solo consiglio: lasciarlo andare una volta per tutte, prima di perdere la ragione. Merlin era morto, non era altro che un cadavere.
Arthur ci aveva riflettuto per settimane, rimettendo insieme i pezzi dei suoi studi e del suo cuore infranto, e quella mattina, a vent’anni di distanza dal loro primo incontro, aveva preso la dolorosa decisione di dirgli addio. Quindi, aveva indossato la sua camicia migliore, aveva comprato un bouquet di Agapanto e si era incamminato verso il museo con l’animo pesante.
Era necessario mettere un punto a quel sentimento a senso unico, prima che la situazione peggiorasse. Da diverse notti, infatti, continuava a sognare di morire tra le braccia di Merlin, mentre lui lo pregava invano di riaprire gli occhi, e la sensazione che provava al risveglio era di totale, inconsolabile disperazione.
«Mi trasferisco a Londra il mese prossimo» disse Arthur, sforzandosi di sorridere. «Mi hanno assicurato che il nuovo lavoro mi piacerà, studierò i resti di una antica cattedrale in campagna. Non sarà come te, ma… Cercherò di farmela andare bene.» Poggiò entrambe le mani sul vetro, sapendo che comunque non sarebbe rimasta alcuna impronta. Nessuna traccia del suo passaggio nella vita – morte – di Merlin. «Anche se... Niente e nessuno sarà mai come te.»
La temperatura nella cripta salì ancora, l’aria divenne tiepida e il profumo dell’Agapanto si disperse impregnando la stanza. Arthur inspirò a pieni polmoni e sbatté piano la fronte contro il vetro, proprio all’altezza del viso di Merlin. Fu come se si stessero abbracciando, e la sensazione fu terribile e meravigliosa allo stesso tempo. Poteva sentire la tristezza di Merlin, la sua richiesta silenziosa.
«Ti prego» sussurrò Arthur, sentendo il cuore stringersi. «Ti prego, non fare così. Non posso... continuare in questo modo. Tu sei morto e io... impazzirò del tutto se ti vedrò ancora.»
La pressione aumentò. Arthur chiuse gli occhi e lasciò che la pelle facesse il resto. Aveva i brividi ogni qualvolta che lo spirito di Merlin lo sfiorava, splendidi brividi che lo facevano sentire desiderato, amato, ma che non poteva trasformarsi in nient’altro. Il principe dei suoi sogni sarebbe rimasto addormentato per sempre, e lui non poteva farci nulla. Non aveva idea di come liberare il suo spirito irrequieto da quella cripta.
Sollevò le palpebre e lo guardò. «Mi dispiace, Merlin. Mi dispiace tanto. Non so come e aiutarti e non posso restare qui per sempre, devo andare avanti, io... Non tornerò mai più.» Gli si riempirono gli occhi di lacrime. «Non tornerò mai più e ricomincerò da capo, perché tu sei... Sei l’unica persona che io abbia mai amato davvero e non va bene. Sei morto. Sei morto da un migliaio di anni e... Cristo. Io continuo a parlarti come se fossi vivo, ma non lo sei. Non lo sei e devo farmene una ragione. Fanculo Leon e le sue stronzate!» Si staccò dal vetro.
La temperatura calò drasticamente, un freddo invernale s’impossessò della cripta e gelò il sangue nelle vene. Arthur comprese di averlo ferito, di avergli spezzato il cuore ancora una volta, ma non riuscì a spiegarsi come aveva fatto, com’era possibile, come potesse essere successo un’altra volta. Erano anni ormai che percepiva lo spirito di Merlin e i suoi sentimenti, ma mai lo aveva sentito così chiaramente. Se chiudeva gli occhi riusciva a vedere il suo viso in lacrime.
No. Arthur. No. Non di nuovo.
Non avrebbe mai voluto abbandonarlo, ma non aveva altra scelta. Non c’era mai stata un’altra scelta.
«Non ti dimenticherò, te lo prometto» disse. «Probabilmente non riuscirò nemmeno a smettere di amarti ma... devo lasciarti andare.» Si asciugò le guance e camminò all’indietro verso le scale. Non riusciva a smettere di guardarlo. «Per questi anni, Merlin, ti ringrazio
Si voltò per dargli le spalle, e la voragine nel suo petto si allargò a dismisura inghiottendo tutto il resto. Una parte del suo spirito parve staccarsi per restare ancorata a quel luogo, a Merlin, e non fece nulla per impedire che accadesse, era giusto che qualcosa di lui rimanesse fra quelle mura.
Resta con me.
Salì i gradini per tornare in superficie e non si voltò indietro nemmeno una volta. Se solo fosse tornato sui suoi passi, avrebbe visto una lacrima bagnare il viso di Merlin.
 
Una volta tornato al museo ed essersi calmato, Arthur si aggirò per le sale alla ricerca di Leon, prima di partire voleva salutare anche lui, dirgli addio e chiudere quel capitolo della sua vita una volta per tutte. Lo cercò ovunque, dalla sala delle armi a quella degli scudi, ma non lo trovò. Pensò di tornare un altro giorno, ma il solo pensiero di dover rimettere piede lì dentro lo fece desistere. Non poteva rischiare di cedere in tentazione e andare da Merlin, sarebbe stato devastante e non aveva abbastanza forza per dirgli addio di nuovo, doveva finire tutto quella mattina.
Decise di provare nel suo appartamento, Leon viveva al primo piano del museo. Salì le scale a due a due, preso da un improvviso bisogno di sbrigarsi e uscire di lì il più velocemente possibile. C’era qualcosa che non andava, l’aria sembrava elettrica e ogni fibra del suo corpo stava urlando.
Torna indietro! Torna indietro!
Arthur dovette aggrapparsi al corrimano per percorrere gli ultimi tratti della scalinata, le sue gambe volevano scendere, ripercorrere ogni passo e correre verso la cripta.
«Leon!» chiamò, quando arrivò al piano.
Trovò la porta dell’appartamento stranamente aperta, e pensò di star vivendo un déjà-vu. Leon non lasciava mai le porte aperte e quelle volte che lo faceva succedevano sempre cose che a lungo andare avevano conseguenze spiacevoli.
«Leon!» chiamò di nuovo.
Voleva andarsene. Doveva andarsene.
Arthur sapeva che se fosse rimasto più del necessario sarebbe successo qualcosa, provava la stessa sensazione di vent’anni prima, quando aveva deciso di uscire in giardino e poi aveva conosciuto Merlin. Un peso gli opprimeva il petto e provava uno strano e intenso dolore al fianco.
Bussò alla porta e sbirciò oltre la soglia. «Leon, ci sei? Sono Arthur, posso entrare?»
Nessuno gli rispose.
Arthur sospirò e fece un passo avanti, i cardini cigolarono, entrò. L’appartamento era esattamente come l’aveva visto sei o sette anni prima, arredamento indispensabile e nulla di più, il tutto rigorosamente in legno scuro. Nessuna foto o quadro alle pareti.
«Leon?»
Niente. Non era nemmeno lì.
Eppure...
Arthur non riuscì più a muoversi. Il desiderio di fuggire che aveva provato fino al minuto prima era scomparso. Adesso voleva restare. Voleva cercare tra quelle stanze. Ma cercare cosa?
Leon gli aveva raccontato un mucchio di storie, aveva condizionato la sua vita, ma cosa c’era di vero nei suoi racconti? Dove aveva letto tutte quelle favole sul re e il suo mago? Perché era convinto che Merlin fosse proprio quel Merlin? E se la risposta fosse stata proprio nel suo appartamento?
Che sto facendo? Si chiese, quando si richiuse la porta alle spalle e andò dritto verso la camera da letto. Era cosciente di star commettendo un errore, non poteva entrare in casa d’altri e frugare tra i cassetti come un ladro, ma sapeva di doverlo fare. Sapeva che le risposte erano vicine.
Come faceva a esserne certo? Non ne aveva idea.
Perché lo stava facendo? Non sapeva nemmeno quello. Era un’urgenza istintiva.
Entrò nella camera da letto e la trovò ancor più minimal della cucina, c’erano solo un letto e una libreria su cui erano state poggiate delle cornici d’argento. Curioso, andò dritto a guardare le foto, scoprendo che per la maggior parte erano in bianco e nero e raffiguravano paesaggi. Vide le rovine di un vecchio castello, una torre su una collina, un albero dalla folta chioma, e poi... il cuore si fermò.
Un campo di grano sullo sfondo.
Merlin.
Merlin in abiti vittoriani.
Arthur afferrò la cornice e fissò a bocca aperta l’uomo in foto. Gli abiti potevano anche essere diversi, ma avrebbe riconosciuto quel viso ovunque. Era Merlin. Ma Merlin apparteneva a un’epoca molto più lontana, gli studi fatti su di lui lo avevano confermato: la fattura dei vestiti, l’antichità della cripta... Ma in nessuno dei fascicoli che aveva studiato aveva letto di un test del DNA, lui stesso non aveva potuto effettuarlo, perché la bara era inaccessibile.
«Mio Dio» mormorò sconvolto.
Si era chiesto un milione di volte se Merlin fosse davvero così vecchio, se davvero provenisse dal Medioevo, ma seguendo la scia dei suoi predecessori aveva messo quell’ipotesi da parte perché... Perché? Chiunque si sarebbe fatto molte più domande. Chiunque avrebbe cercato delle risposte più soddisfacenti. Chiunque avrebbe tentato di fracassare quel vetro pur di scoprire la verità.
Invece, nessuno lo aveva fatto, mai. Perché? Perché nessuno si era spinto più avanti? Perché il solo pensare che Merlin non appartenesse a quel mondo così lontano era blasfemia? Perché lui stesso si era sentito ridicolo a ipotizzarlo?
Era stata una certezza assoluta la sua, una sicurezza radicata nella sua coscienza: Merlin veniva da lì, da quel mondo fatto di cavalieri e draghi e magia, non avrebbe mai potuto essere altrimenti.
Ma adesso aveva fra le mani la prova dei suoi errori. La sua intera carriera era stata basata su una bugia, e Leon, che lo aveva sempre saputo, lo aveva lasciato fare, gli aveva lasciato sprecare i suoi giorni; aveva permesso che s’innamorasse di quel giovane che... Adesso non aveva più alcuna identità.
«Chi diavolo sei allora?»
La porta si aprì con un cigolio e Leon apparve sulla soglia. Arthur lo guardò e sentì il cuore iniziare a battere più veloce, desiderò scagliarsi su di lui, colpirlo, punirlo. Era stato lui a parlargli di Merlin. Era stato lui a raccontargli tutte quelle storie. Era stato lui a riempirgli la testa di ricordi di un uomo che non c’era più. Ma tutto quello che riuscì a fare, fu solo chiedergli: «Perché?»
Leon abbassò la mano che teneva il pomello e guardò la foto che Arthur teneva fra le mani. Non sembrava sorpreso o dispiaciuto, solo tanto, tanto stanco.
«Mi chiedevo quando sarebbe successo.»
«Cosa? Che qualcuno scoprisse il tuo grande imbroglio? Cos’è, un segreto di famiglia?»
Leon scosse la testa e gli si avvicinò di un solo, misurato, passo. Indicò la foto con un cenno del capo.
«La scattai io quella foto» disse con un sorriso nostalgico. «La fotografia è stata una delle invenzioni più belle dell’uomo. Anche Merlin ne era affascinato, diceva che gli sarebbe piaciuto portare con sé una foto di ognuno di noi.» Le sue labbra si stirarono in una piega amara. «Si addormentò due giorni dopo. Lo supplicai di non farlo, ma non volle ascoltarmi. Era stanco.»
Arthur si portò la cornice al petto e indietreggiò, schifato e oltraggiato da quelle ulteriori bugie. Come poteva mentire ancora? Come poteva parlare di Merlin dopo averlo usato per tutto quel tempo?
«Smettila» disse. «Smettila!» urlò. «Merlin non era tuo amico! Non era nemmeno un mago! Merlin era solo un ragazzo e tu lo hai usato per attirare più gente nel tuo stupido museo!»
«Ti sbagli» gli rispose Leon con calma. «Ho creato il museo perché non sapevo in che altro modo farlo arrivare a te, quando sarebbe stato il momento.»
«Farlo arrivare a me? Di che cazzo stai parlando?! Merlin è qui da almeno cent’anni, non sei stato tu a creare questo posto! Quanti anni credi di avere?!»
«Ho qualche anno in più di Merlin, ormai saranno milleseicento. Ho perso il conto in realtà. Non badi molto ai compleanni quando non hai nessuno con chi festeggiarli.»
Arthur lo fissò senza parole. Aveva davvero ascoltato i vaneggiamenti di un pazzo per vent’anni? Forse non era così sano di mente come pensava, forse anche lui era fuori di testa. Essere innamorato di un morto ne era la prova lampante.
«Tu sei pazzo» mormorò. «Cosa credi di essere? Un vampiro? Un immortale? Cosa?!»
Leon non si scompose. «Ti ho raccontato della coppa» gli rispose con calma. «Ricordi? Non sono immortale, ma sono davvero poche le cose che possono uccidermi, e una tra queste è andata perduta.»
«Excalibur!» esclamò Arthur sarcastico. «La spada forgiata per Re Arthur dal fuoco di un drago. Sì, certo. E ti aspetti che ci creda? Tu hai bisogno di un medico, Leon, non stai bene. E questa» sollevò la foto. «Farà a pezzi le tue stronzate. Daranno il museo a qualcun altro e-»
«E cosa credi che faranno a Merlin? Pensi che lo lasceranno dov’è? No. Lo metteranno sottoterra e il mondo si dimenticherà di lui. È questo quello che vuoi?»
«Voglio che sia in pace!»
«Allora sveglialo!» urlò Leon perdendo la calma. «Sveglialo. Non aspetta che te da più di millecinquecento anni. Perché credi che si sia indotto il Sonno dei Morti? Aspettarti lo stava logorando. La tua morte gli ha spezzato il cuore!»
Fu come ricevere un pugno in pieno viso. Arthur barcollò all’indietro e sbatté la schiena contro il muro, strinse la cornice al petto come se fosse il suo unico appiglio. Di cosa stava parlando? Perché Merlin avrebbe dovuto aspettare proprio lui? E di quale morte parlava? Non era lì? Non era vivo?
 Leon è un bugiardo, pensò sconvolto e confuso, Non devo ascoltarlo. Ma allora perché sapeva che stava dicendo la verità? Perché le sue parole gli stavano facendo tanto male? Perché non riusciva ad andare via? Chiuse gli occhi per riprendere fiato e sotto le palpebre apparve il viso di Merlin.
«Arthur! Restate con me! Restate con me!»
Leon non gli diede il tempo di riflettere. «Sei passato davanti ai suoi abiti un mucchio di volte» gli disse. «Li ho sistemati accanto ai tuoi, prima teca sulla sinistra, insieme alla tua spada da allenamento e alla sua borsa per le erbe, quella che usava quando se ne andava in giro da solo per conto di Gaius. Ho disseminato indizi ovunque, ti ho raccontato tutto quello che avete fatto insieme. Quante volte ti ha svegliato in ritardo? Quante volte lo hai trovato con le foglie tra i capelli? Quante volte lo hai rincorso per i corridoi del castello?» gli tramava la voce. «Aspetto questo momento da tutta la vita, Arthur. So che l’hai sognato. So che ricordi. E sai che è tutto vero.»
Arthur abbassò lo sguardo al pavimento, non riusciva più a guardarlo. Aveva sognato quei momenti, li aveva ricordati. E poi li aveva messi da parte perché pensarci era uno strazio, perché credere di starsi suggestionando da solo era stato più facile che ammettere la verità. Si era creduto pazzo per tanto di quel tempo, che alla fine aveva preferito girarsi dall’altra parte.
Guardò la foto e passò il polpastrello sul suo viso.
Quando era bambino, Leon gli aveva chiesto di che colore credeva fossero gli occhi di Merlin, aveva risposto blu prima ancora di rifletterci.
Sapeva che Merlin aveva gli occhi chiari perché erano stati l’ultima cosa che aveva guardato prima di morire, perché si era perso in quel blu rassicurante per più di dieci anni. E conosceva il suono della sua risata perché lui stesso adorava provocarla, Merlin rideva sempre alle sue battute assurde.
E riusciva a capire i suoi sentimenti non perché il suo spirito fosse bloccato nella cripta, ma perché la sua magia lo aveva riconosciuto e lo aveva richiamato a sé.
«Devo raccontarti un’ultima storia, prima che tu decida cosa fare» gli disse Leon più tranquillo. «La storia che mi hai chiesto la prima volta che hai rivisto Merlin.»
Arthur alzò lo sguardo sul suo cavaliere più fidato e si sedette sul pavimento, non c’era più ragione di fingere di non capire. «Che cosa si è fatto?» chiese, e con il cuore in gola aggiunse: «È ancora vivo?»
Leon andò a sedersi sul letto, le spalle curve sotto il peso dei secoli. «È vivo» mormorò. «Si è indotto il Sonno dei Morti, una pozione magica che porta il corpo sul confine tra vivi e morti. Il battito del cuore e quasi inesistente, ma c’è. È la magia a prendersi cura di lui, o qualcosa del genere. Non me l’ha spiegato nei dettagli, ero già abbastanza spaventato quando mi ha detto cosa voleva fare.»
«Perché gliel’hai permesso?»
«Credi davvero che avessi la forza necessaria per fermarlo? Mi avrebbe mandato a gambe all’aria soltanto guardandomi, e poi... Sapevo che era la cosa giusta. Era diventato il fantasma di se stesso, e quando il lago si è prosciugato... Merlin...»
Arthur strinse i bordi della cornice, sentì l’argento graffiargli i palmi. «Che cos’ha fatto?»
«Ha perso ogni speranza quando Avalon è cambiata» continuò il cavaliere. «Ti ha cercato nella torre, ha chiamato quelle creature che avrebbero dovuto curarti, e quando ha capito che non c’era più nessuno si è... spezzato. Ha perso se stesso. Sapevo che era solo questione di tempo prima che facesse qualcosa. Credo... Credo che se avesse avuto Excalibur si sarebbe ucciso.»
«Ucciso?» Arthur non riusciva neanche a immaginare una cosa del genere. Merlin che si piantava Excalibur nello stomaco era... impossibile. Lui, che era sempre stato così pieno di energia, che percepiva la vita stando in mezzo al bosco in silenzio e ne gioiva. Non riusciva a pensarlo così miserabile e vuoto.
Leon annuì. «Perderti lo ha cambiato. Noi tutti, in un modo o nell’altro, siamo andati avanti, ma lui non c’è riuscito. Eri tutto il suo mondo, Arthur.»
Arthur si passò una mano sul viso e si asciugò le guance. Non conosceva abbastanza parole per descrive come si sentisse. Provava un dolore che non aveva mai sperimentato prima, neanche in passato, perché Merlin era sempre stato al suo fianco e lo aveva protetto in più di un modo. Mentre lui non aveva fatto altro che ferirlo.
«Come lo sveglio?» chiese. «Perché un modo deve esserci. Ti avrà spiegato come fare.»
«Un modo c’è» gli assicurò Leon. «Solo che non me l’ha spiegato.»
«Che significa che non te l’ha spiegato?»
«Ha detto soltanto che, se fossi tornato in vita, avresti capito da solo cosa fare.»
Arthur si arrabbiò e si rimise in piedi. «Merlin s’induce un sonno che lo porta un passo dalla morte, e tu non ti fai spiegare come svegliarlo?»
Leon si alzò a sua volta e portò le mani avanti. «Ci ho provato, te lo giuro, ma ha detto che mi sarei dovuto fidare di te e... tu sei il mio re, quindi...»
«E tu gli hai creduto? Forse non te ne sei accorto, ma ci ho messo vent’anni per recuperare i ricordi e non sono più un re! A stento mi hanno messo a capo di gruppo di ricercatori e vedi un po’ com’è andata!»
«Non ho mai pensato che sarebbe stato facile, ma so che puoi farcela. Anzi, credo che tu sappia già cosa fare, solo che...»
«Che cosa?»
Leon tentennò solo qualche secondo. «Hai paura.»
Arthur emise un verso di sdegno. «Paura di cosa? Di fallire? Certo che ho paura di fallire! Tutto questo è...» allargò le braccia. «È troppo!»
«Non penso tu abbia paura di fallire. Se Merlin ha detto che solo tu puoi svegliarlo, allora ci riuscirai. Il vero problema è cosa devi fare per rompere l’incantesimo.»
«Non so di cosa tu stia parlando!» strillò Arthur arrossendo. Non aveva affatto pensato al più potente spezza incantesimi della storia delle favole, non ci aveva pensato neanche negli ultimi vent’anni.
«Certo» gli rispose Leon annuendo. «È come per la storia della poesia, non è vero?»
Arthur arrossì ancora di più. «Il fantasma di mio padre infestava il castello, lo stavamo cercando. Quell’idiota ti ha raccontato la prima balla che gli è venuta in mente!»
Leon lo fissò a lungo, prima di ricadere esausto sul letto e iniziare a ridere a singhiozzi mettendosi le mani sul viso. Arthur lo guardò e non riuscì a immaginare come potesse sentirsi in quel momento, come si fosse sentito per tutti quei secoli e durante quel periodo di totale solitudine. Il suo cavaliere era stato forte e leale fino alla fine, e non solo perché si era preso cura di Gwen e Camelot, ma perché era rimasto al fianco di Merlin, nonostante non toccasse anche a lui aspettarlo. Adesso che aveva riconosciuto i suoi strani sogni per quello che erano, riusciva a comprendere tutti gli sforzi di Leon, e la sua instancabile speranza nel rivedere Merlin sveglio.
Gli si avvicinò con calma e gli mise una mano sulla spalla. «Mi dispiace per averci messo tanto.»
Leon si asciugò il viso e gli sorrise. «Merlin ti chiamava zuccone, no?»
«Non dirgli che aveva ragione, ti prego.»
«Non glielo dirò, ma pretendo che lo svegli.»
Arthur ritirò la mano e guardò la foto in bianco in nero, lo sguardo di Merlin era serio e duro, completamente diverso da quello dei tempi di Camelot. E c’era tristezza nei suoi occhi, qualcosa di immenso e incolmabile.
«Non merito tutto questo. Perché si è spinto a tal punto? Perché non è andato avanti?»
Leon lo guardò con quel sorriso mite che da sempre lo caratterizzava. «Ti ha sempre amato, non è ovvio?»
Arthur strinse la cornice. «Andiamo a svegliare quell’idiota.»
  
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