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Autore: Nike90Wyatt    11/11/2022    0 recensioni
Milano, 2016. Marinette Dupain-Cheng vive la nuova realtà di studentessa dell’Accademia di Moda Bellerofonte per coronare il suo sogno di diventare un giorno una stilista di livello internazionale. Quella borsa studio ottenuta grazie al suo immenso talento è stata una vera benedizione del cielo. Ma la strada verso la gloria è frastagliata e irta di imprevisti e le certezze di Marinette, lontana dal sostegno dei suoi amici, iniziano a vacillare fino a crollare del tutto quando una minaccia tanto pericolosa quanto imprevedibile inizia a incombere su Milano. I poteri di Ladybug potrebbero non essere sufficienti per affrontarla; pertanto, Marinette dovrà ricorrere a tutto il suo coraggio e fare delle scelte che cambieranno per sempre la sua vita.
[Cover Credits: https://www.instagram.com/my_bagaboo_/]
Genere: Azione, Sovrannaturale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Nonna Gina, Tikki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un formicolio mi sale lungo la schiena, mi attraversa gli arti. È come se il potere del Miraculous si sia manifestato in tante piccole coccinelle luminose che zampettano sul mio corpo.
L’energia mi scorre forte nei muscoli. Non ho mai avuto una sensazione così quando mi trasformavo in Ladybug.
La luce si attenua.
Sulle mani sono spuntati dei guanti neri che lasciano scoperte le dita ricoperte dal costume rosso.
Un cappuccio mi ricopre la testa; mi sfioro il viso con i polpastrelli, anche la maschera ha una forma diversa. Ai piedi porto un paio di stivaletti con un tacco a punta.
Ha funzionato!
Sono riuscita a far emergere un altro lato della mia personalità e ciò si è riflesso nella trasformazione.
Ora, però, devo pensare all’allarme.
Mi affaccio alla ringhiera del terrazzo. Dall’ingresso principale e da quello che conduce al cortile interno, i gruppi di studenti sciamano all’esterno guidati dai rispettivi insegnanti. Nessuno sembra preoccupato, solo un po’ spaesati per questo fuori programma.
Al centro del cortile, c’è la mia classe con la Adamanti che continua a dare indicazioni ad ogni studente. Non vedo tra loro Letizia. Forse, ha approfittato della situazione per pensare ai suoi affari.
Spero che nessuno si accorga della mia momentanea assenza.
Un odore di nafta mi aggredisce le narici. È come se mi trovassi accanto ad un aereo in procinto di partire, è fortissimo.
Il nuovo potere deve aver incrementato anche la potenza del mio olfatto.
Vado alla porta e scendo le scale. Seguo l’odore attraverso i corridoi, si fa man mano più forte.
Mi fermo ad un angolo e sbircio. Dall’aula di chimica dove stavo seguendo la lezione della Adamanti proviene una nuvola di fumo grigiastro.
Di sicuro è quella la causa dell’allarme.
Ma cosa stanno combinando lì dentro?
Mi avvicino rasentando il muro, giungo all’uscio; l’aria è irrespirabile, mi copro bocca e naso con un braccio. Recupero dalla cinta lo yo-yo – almeno questo non è cambiato dalla classica trasformazione – attivo la funzione “Ossigeno” e lo fisso sul muso. Posso respirare.
Lancio un’occhiata all’interno dell’aula.
Due tizi muniti di maschera antigas e berretto bianco riempiono le ampolle con una sostanza nera e viscosa. La reazione del composto chimico provoca questo odore nauseabondo e genera la nube di fumo.
Uno dei due si spolvera i pantaloni, ha le mani avvolte in guanti da lavoro color ocra. «Credo che possa bastare. Non dobbiamo esagerare o i vigili del fuoco non crederanno ad un incidente.»
L’altro solleva i pollici.
Entrambi si spostano verso la cattedra, si avvicinano a due borsoni che giacciono ai piedi della sedia del docente. Li raccolgono e si avviano all’uscita.
Mi allontano di corsa e vado a nascondermi dietro al distributore di bibite al mezzano di corridoio.
I due tizi si incamminano verso il lato opposto al mio, verso la presidenza. Sulla loro schiena è disegnato un simbolo: un cerchio nero da cui si dipanano delle piume, con al centro la testa di un pavone rovesciato.
Satiri.
Cosa avranno in mente? Di sicuro nulla di buono.
Li seguo.
Giunti davanti alla porta della presidenza, il tipo con i guanti ocra sfila dalla tasca un mazzo di chiavi e lo fa tintinnare. «Il nostro ragazzino ha fatto un ottimo lavoro.»
L’altro mugugna qualcosa di incomprensibile.
«Ora è in mezzo a tutti gli altri.» Guanti Ocra infila una chiave nella toppa, ma è quella sbagliata. «È bravo a confondersi tra gli studenti. E chissà che con i suoi volantini di propaganda non sia riuscito a conquistare l’attenzione di qualcuno, magari che si possa unire a noi.»
Trova la chiave giusta e insieme penetrano nell’ufficio del preside.
Digrigno i denti. È partito tutto da quel ragazzo che distribuiva volantini nell’aula studio. Se non avessi taciuto riguardo il contenuto, magari…
Scuoto la testa. Non è il momento per i rimpianti.  
I due uomini ficcano le braccia nei borsoni e ne estraggono delle piastre da cui pendono fili elettrici; su ognuna di esse campeggia un display digitale circondato da piccole lampadine rosse.
Li posano sulla scrivania e tornano a estrarre roba dai borsoni. Stavolta tirano fuori delle lastre, simili ai lingotti d’oro che si vedono nei telefilm di rapine ai caveaux. Dubito, però, che quelli siano lingotti.
E se quelle piastre hanno dei display e dei fili…
Oh, mio Dio! Sono esplosivi!
Mi piazzo davanti alla porta. «Ehi, voi due!»
 I tizi si voltano a guardarmi, quello dal mugugno facile lascia cadere un lingotto nel borsone.
«Attento, idiota.» Guanti Ocra gli tira uno scappellotto sulla nuca facendogli volare il berretto. «Un errore e saltiamo tutti in aria.»
Avevo visto giusto allora.
Nella mano di Guanti Ocra compare un coltellino a scatto. «Chi accidenti sei? Una modella per cosplay?»
«Sono Lad—» Mi mordo la lingua. «Sono quella che vi darà tante sculacciate se non ve ne andate immediatamente.»
Ecco: mi sono trasformata nella versione femminile di Chat Noir…
Guanti Ocra affonda il colpo per primo. Mi sposto di lato e gli stringo un braccio al collo, facendogli piegare in avanti la colonna vertebrale. Punto un piede a terra, lo proietto oltre la mia schiena e lo schianto a terra.
Mugugno carica un colpo nella speranza di cogliermi di sorpresa. Respingo il pugno con il polso e piazzo il tacco destro sul suo petto. Scatto in avanti, le spalle cozzano contro la maschera antigas spaccandola in due. Lo spingo a terra.
Alle mie spalle, Guanti Ocra grugnisce di rabbia. Si alza e mi salta addosso. Ruoto le gambe, affondo un gomito nello stomaco dell’avversario. Artiglio la maschera antigas e gliela strappo, rivelando un volto glabro deturpato da una grossa escoriazione da bruciatura.
L’altro tizio mi placca da un lato e finiamo entrambi a terra.
«Tienila!» urla Guanti Ocra.
Il tizio mi avvolge con le sue braccia, ma io gli scaravento un diretto sul naso. Approfittando del suo stordimento, contraggo l’addome e ruoto il busto per liberarmi.
Guanti Ocra cala un fendente dall’alto con il coltello. Gli blocco il polso serrandogli intorno le dita, il ginocchio incontra il suo mento. Guanti Ocra si accascia sulle ginocchia. Gli appoggio il tacco sulla fronte e con un’unica spinta lo faccio cadere di schianto sul pavimento.
«A voi penserà la polizia.» Io devo pensare a quell’altro.
 
***
 
Mi calo con lo yo-yo lungo la parete dell’edificio che affaccia sul parcheggio. Da questa posizione, nessuno può vedermi dall’ingresso.
Atterro sull’asfalto, lungo la discesa che conduce al sottopassaggio. «Ritrasformami.»
Il fascio di luce mi riporta alla forma civile. Tengo la pochette aperta e Tikki vi si infila dentro. Avremo modo di parlare del nuovo look più tardi.
Raggiungo lo spiazzo all’ingresso, camminando radente al muretto, e mi mescolo ai gruppi di studenti: sono le classi dell’ultimo anno e quelli del primo. Gli altri, compresi i miei compagni, si trovano nel cortile interno.
Stando qui, ho un alibi sulla mia assenza nel gruppo classe. Posso dire che, sentendo l’allarme e trovandomi lontana dall’aula, ho preferito adottare le norme di sicurezza e accodarmi ad un'altra classe. Durante le esercitazioni, ci hanno ripetuto questa regola un milione di volte, la Adamanti non avrà nulla da obiettare.
I due ragazzi che ho incrociato sulle scale mi rivolgono un cenno, uno dei due si cala gli occhiali da sole sulla punta del naso e mi strizza l’occhio. L’altro dà di gomito agli altri amici della combriccola e alcuni di loro mi inchiodano gli occhi addosso.
Mi ero dimenticata del mio outfit “molto estivo”. Mi avvolgo le braccia al torace e cammino tra la folla.
Non devo farmi notare mentre scruto ognuno di loro in viso nella speranza di trovare il tizio dei volantini.
La camionetta dei vigili del fuoco arriva a sirene spiegate. Il cancello si apre, la camionetta lo attraversa e parcheggia davanti all’ingresso. Tre pompieri scendono dal veicolo e si accostano al preside e alla vicepreside che sono andati loro incontro.
Parlottano per qualche secondo, il preside indica un punto in alto, verso il secondo piano, dove una finestra vomita il fumo grigiastro dell’aula di chimica.
Mi strofino le mani l’una contro l’altra. È snervante sapere cosa ha provocato l’allarme, ma non poter dire nulla. Prima di lasciare quei due, legati, nella presidenza, ho effettuato una chiamata anonima alla polizia segnalando la presenza di due Satiri dell’Anarchia all’Accademia Bellerofonte.
La centralinista ha detto di essersi appuntata la segnalazione, ma l’istinto mi suggerisce che, se mai ha scritto un appunto, questo è finito dritto nel cestino dei rifiuti. Di segnalazioni così ne arriveranno a frotte, conoscendo la tendenza di molti mentecatti a fare scherzi o di quelli paranoici che si spaventano al minimo movimento strano.
I tre pompieri si armano di estintori e penetrano nell’edificio.
Mi dirigo verso il gruppo di studenti del primo anno, tra di loro riconosco la cugina di Letizia. Ha lo sguardo basso, i capelli biondi raccolti sulla testa grazie a una matita.
Potrei andarle vicino e chiederle come sta, ma sono pressoché certa che mi ignorerà del tutto, pur di far contenta quella strega del male che si ritrova come cugina. Spero che crescendo non diventi come lei.
Scocco un’ultima occhiata in giro. Del ragazzo dei volantini nemmeno l’ombra. Se quanto detto dal Satiro corrisponde alla verità, allora deve trovarsi in mezzo ai ragazzi del cortile interno. 
Una mano si posa sulla mia spalla. «Ehi, scusami.»
Mi volto di scatto.
È il ragazzo che prima mi ha fatto l’occhiolino. Ha i capelli castani a spazzola, tenuti su dalla gelatina, e un naso all’insù. Porta una maglietta bianca di cotone e dei jeans a vita bassa.
Gli sorrido. «Sì?»
Il ragazzo si porta una mano dietro alla nuca. Per un attimo mi ricorda lo stesso atteggiamento che assume Adrien quando è in imbarazzo. «Perdonami, ti ho vista che vagavi tra di noi e volevo sapere se potevo esserti d’aiuto in qualcosa.»
Elaboro in un baleno una scusa plausibile. «Cercavo una mia compagna di classe, Letizia Iorio.»
Il ragazzo stende le labbra in un mezzo sorriso. «L’ho vista poco fa sbraitare con un professore. Sei per caso una sua amica?»
«Me ne tengo volentieri alla larga.»
«Oh, ne sono lieto. Sai, non è il massimo della simpatia.»
«Non dirlo a me.» Del tizio dei volantini, non ve n’è traccia. Qualcosa mi dice che si è dileguato sfruttando la confusione. Il suo compito era solo far scattare l’allarme e lasciare strada spianata a quei due.
Il ragazzo fa un passo nella mia direzione. «Sei libe—»
Alzo una mano. «Perdonami, ma ora devo raggiungere la mia classe.»
Mi spiace dover essere scortese, ma non sono dell’umore adatto per intavolare una conversazione.
 
***
 
Chiudo la mano a pugno sulla pallina da tennis. La lancio contro il muro; rimbalza e torna indietro.
Non riesco ancora a concepire il fatto di essermi fatta sfuggire il ragazzo dei volantini. La sua presenza è un potenziale pericolo all’interno dell’Accademia e il tentativo di quei due Satiri ne è la dimostrazione.
Lascio cadere la pallina e mi stendo sul letto.
Forse avrei dovuto torchiare uno dei due e farmi dire quali sono i loro piani, cosa stanno architettando. L’organizzazione dei loro attacchi è studiata nei minimi dettagli e, per farlo, serve tempo. Dunque, è palese che abbiano preparato ogni singolo movimento da giorni e che abbiano già in mente qual è il prossimo obiettivo da colpire per fare male, molto male.
Intreccio le dita e le faccio scrocchiare. Qualsiasi siano le loro intenzioni, mi farò trovare pronta.
Tikki atterra sul mio petto. «Come intendi muoverti, Marinette?»
«Escluderei eventuali ronde come facevo a Parigi. Nonostante il successo di oggi, preferisco che si mantenga ancora un certo silenzio intorno alla figura incappucciata che combatte i Satiri.» Sollevo il pollice. «In primo luogo, i cittadini sono ancora inviperiti per quanto successo alla stazione e al municipio e il questore ha trovato in me – o Ladybug se preferisci – il capro espiatorio per il loro fallimento. Farmi vedere in giro, alzerebbe solo altri polveroni e distrarrebbe tutti dall’obiettivo principale» Sollevo l’indice. «Secondo: per ora i Satiri si sentono al sicuro dalla minaccia di un avversario che può combatterli. L’effetto sorpresa è fondamentale in questo frangente.»
Mi levo sui gomiti. «Se non ti dispiace, vorrei ammirare meglio il mio nuovo look.»
Tikki si libra in volo. «Sono pronta.»
«Tikki, trasformami.»
Il fascio di luce rossa mi investe in pieno e ricopre il mio corpo. Ai piedi compaiono gli stivaletti neri con il tacco, un cappuccio mi copre la testa.
Apro l’anta dell’armadio e mi specchio. Come avevo immaginato, la maschera ha una forma diversa rispetto al solito: anziché essere una striscia rossa a pois, adesso vi sono due mezzelune nere che si uniscono al centro degli occhi, e altre due mezzelune color magenta che scendono lungo gli zigomi e terminano appena sopra la mascella.
Il busto è avvolto in un top rosso che mi lascia la pancia scoperta; sopra indosso una giacchetta nera a collo alto tenuta stretta in vita da un cinturone, a cui è apposto lo yo-yo. Le gambe sono strette in un paio di leggings neri e terminano con i due stivaletti con il tacco a punta.
Ho un aspetto completamente diverso rispetto a quando mi trasformo in Ladybug. E mi piace da morire.
Qualcosa gratta al di là della porta della stanza. Dev’essere Leon che chiede di entrare. Con tutte le mie elucubrazioni, l’ho lasciato fuori.
Mi liscio il colletto della giacca e annuisco alla mia immagine riflessa.
Vado alla porta e la apro.
Nonna Gina si staglia di fronte a me, con la bocca spalancata. «Marinetta? Come ti sei combinata?»
Deglutisco. E ora cosa le racconto?
Leon zampetta tra le mie gambe, annusa le punte degli stivali e scodinzola.
«I-Io…» Mi mordo il labbro inferiore. «I-io stavo provando…»
«Stavi provando una tua creazione?» Nonna Gina inarca un sopracciglio. «E come mai indossi anche una maschera?»
«F-fa parte del look.» Sospiro e mi mordo l’interno della guancia. «Va bene, è una bugia.» Mi scosto di lato. «Entra, ti spiegherò tutto.»
Nonna Gina esita per un istante, la sua espressione è un misto di stupore, confusione e curiosità. Entra in camera e va a sedersi sul letto.
Chino la testa, lascio le braccia penzoloni lungo il corpo. «Promettimi che non dirai a nessuno quanto sto per dirti.»
«Marinetta, io non capi—»
«Promettimelo, nonna. Ti prego.»
Nonna Gina abbozza un timido sorriso. «Lo prometto.»
Prendo un lungo respiro. È una decisione che potrebbe cambiare per sempre la mia vita e quella della nonna. Ma se davvero voglio cambiare, se davvero voglio invertire la rotta, devo anche cambiare il mio modo di pensare, agire secondo schemi che prima non avrei mai preso in considerazione e prendermi la responsabilità delle mie nuove scelte.
«Marinetta, mi stai spaventando. Stai bene?»
«Nonna… io sono Ladybug.»
 
***
 
Guardando l’espressione vacua della nonna, pensavo stesse per avere un infarto alla mia rivelazione. Diamine, le ho appena detto di essere una tizia che veste una tutina rossa a pois, che gira sui tetti di Parigi affrontando strambi individui aventi poteri magici. Una ragazza che affronta un terrorista che si nasconde chissà dove, con una maschera grigia e amante delle farfalle.
Non è certo qualcosa che una nonna sente dire dalla nipote di consueto.
Invece, nonna Gina si è alzata e mi ha abbracciata talmente forte da stritolarmi.
«Sono così fiera di te, Marinetta.»
Deglutisco. «Quindi, non sei arrabbiata? O spaventata per quello che faccio?»
«Perché dovrei essere arrabbiata? Salvi ogni giorno migliaia di vite, sei un esempio per tutti, un simbolo di giustizia.»
Le parole della nonna mi scaldano il cuore e fanno riecheggiare anche tutte le volte che Tikki mi ha ripetuto queste stesse frasi.
Io sono un simbolo di giustizia. Non devo dar conto alle voci che circolano in questo momento su di me, sul fatto che il mio intervento può aver in qualche modo ostacolato il normale decorso della legge. Sono loro a non saper affrontare una minaccia così grave, al punto da costringermi ad intervenire.
Nonna Gina mi stringe le spalle e mi osserva con occhi scrutatori. «Però… quando ti ho vista a Parigi avevi un aspetto diverso.»
«Ho cercato di cambiare il mio modo di approcciarmi alle difficoltà e ciò ha influito anche sul mio costume.» Faccio spallucce. «È positivo anche per tenere la mia identità nascosta; difficilmente qualcuno collegherebbe Ladybug a… beh, tutto questo.» Faccio scorrere le mani lungo la giacca e i leggings.
«Saggia scelta, nipotina.» Nonna Gina mi strizza l’occhio e va a riaccomodarsi sul letto. «Non posso negare che un leggero timore ce l’ho al pensiero che tu vada in giro a combattere il crimine. Ma so anche che se c’è una persona in grado di prendersi questa responsabilità, sei tu.»
«Ci ho messo un po’ per capire questa verità, nonna. Per fortuna, ho avuto un valido aiuto.» Sorrido. «Ritrasformami.»
Tikki si manifesta dagli orecchini e svolazza accanto alla nonna.
«Lei è Tikki, il kwami che mi dona i poteri della Creazione attraverso questi», pinzo il lobo per mostrare uno dei due orecchini, «gli orecchini della Coccinella.»
Tikki si esibisce in un inchino. «Piacere di conoscerla signora Gina.»
Sul viso di Nonna Gina affiora un’espressione di manifesta gioia. Accarezza il capo di Tikki e le tira una guancia. «Piacere mio, piccolina.» Torna a guardare me. «Quindi, quello sarebbe un Miraculous.»
Annuisco. «Proprio così. Mi è stato affidato circa due anni fa da un uomo di nome Wang Fu. Vedi, nonna, lui era il custode di tutti i Miraculous e, non appena a Parigi comparve Papillon, decise di donare i due più potenti a due ragazzi che fossero in grado di brandirne il potere. Una fui io e l’altro…»
«È quel bel ragazzo biondo con la maschera nera. Chat Noir.»
«Già. È forse il mio più caro amico, al pari di Alya. Senza di lui, molte delle battaglie vinte avrebbero avuto un esito diverso.» Mi umetto le labbra con la lingua. «Spesso lo do quasi per scontato e mi dispiace, perché lui è importante almeno quanto me, forse anche di più. Da quando sono qui a Milano, ho messo in dubbio tante cose di me, ma ho potuto constatare che lui è fondamentale quando mi trasformo in Ladybug. È la mia colonna portante.»
«Comincio a capire.» Nonna Gina picchietta il palmo sulla coscia invitando Tikki a planare lì. «Il motivo per cui nei giorni scorsi eri così abbattuta, sempre stanca, poco energica è dovuto alla presenza dei Satiri dell’Anarchia, dico bene?»
Prima che possa confermare, la nonna mi anticipa. «Senza il supporto del tuo partner, hai dovuto prendere delle decisioni completamente da sola e, non avendo ottenuto subito quello che speravi, hai pensato di non essere in grado, che forse non eri degna di portare un Miraculous.»
Non l’avrei saputo spiegare meglio. Annuisco in silenzio.
Tikki interviene. «Anche io ho parte della colpa, signora Gina. Ho tentato in tutti i modi di persuaderla a restarsene in disparte. E, invece, avrei dovuto incoraggiarla e spingerla a superare questo castello di incertezze in cui si era rifugiata.»
Tiro su col naso. «È successo anche durante la mia prima battaglia come Ladybug. Solo la paura per Alya, che era stata catturata, mi spinse ad agire.»
Nonna Gina si alza e mi stringe di nuovo a sé. «Bambina mia.» Scosta una ciocca di capelli e mi schiocca un bacio sulla fronte. «Ricorda che in te scorre anche il mio sangue, forte e temerario. Ed è quella la forza a cui dovrai fare affidamento la prossima volta che affronterai i Satiri, e sarà la volta buona che li toglierai dalla circolazione una volta per tutte.»
«Grazie, nonna.» La stringo un’ultima volta e sciolgo l’abbraccio.
«Mi piace il tuo look, comunque. È molto simile a quel disegno che mi facesti vedere tempo fa.»
Schiocco le dita. «Ecco perché mi sembrava così familiare. Lo rivedrei volentieri se Letizia non mi avesse rubato il quadernetto.»
La nonna aggrotta la fronte. «Letizia ha… e non hai detto niente?»
«Cosa avrei dovuto fare? È solo la dimostrazione che lei è solo un bel faccino che sfrutta il conto bancario del padre. A questo punto, credo sia palese che l’ammissione all’Accademia è stata frutto di un cospicuo versamento e non un merito.»
Nonna Gina batte un pugno contro l’altro palmo. «Meriterebbe un discorsetto da parte della Marinetta incappucciata.»
Rido. «Purtroppo, non posso usare i poteri per motivi personali, altrimenti ne pagherei le conseguenze. Però, il solo pensiero mi fa stare meglio.»
Vado al computer, lo accendo e lo schermo si anima. «Tornando ai Satiri, ignoro del tutto quali possano essere le loro intenzioni. I media tacciono riguardo quanto successo all’Accademia e anche le forze dell’ordine non hanno diramato notizie.»
«All’Accademia? Non era un semplice incendio?»
«No. Erano in due: hanno utilizzato uno stratagemma per attirare professori e studenti fuori dall’istituto.»
«E cosa avevano intenzione di fare?»
«Stavano piazzando un ordigno esplosivo nell’ufficio del preside. Volevano far saltare in aria l’Accademia.»
«Oh santo cielo!» Nonna Gina si strofina la fronte. «E tu li hai fermati?»
«Ero sul terrazzo quando è scattato l’allarme. Ho capito subito che qualcosa non andava quindi ho fatto ricorso al potere del Miraculous e ho avuto ragione. Sono riuscita a catturarli ma, quando i vigili del fuoco sono riemersi dall’interno dell’edificio per segnalare al preside che la situazione era sotto controllo, non ne hanno fatto cenno. Nulla.» Tiro un pugno sulla mia anca. «Eppure, ero sicura di averli impacchettati a dovere, non possono essere fuggiti!»
«Non crucciarti, Marinetta. Hai comunque evitato che facessero del male a qualcuno.»
«È snervante il fatto di dover lottare su due fronti: da un lato i Satiri e i loro piani per mettere la città sottosopra; dall’altro le forze dell’ordine, tra polizia, carabinieri e vigili del fuoco, sembrano che remino a favore dei…» Un dubbio mi sale dallo stomaco fino alla testa e mi esplode nella mente. E se…
Sulla parete bianca alle spalle della scrivania compare l’immagine sfocata della conferenza del sindaco, di fianco a lui il questore. Era la prima volta che i Satiri prendevano sotto assedio un punto nevralgico della città, in quel caso era la stazione metropolitana del Duomo. Il sindaco aveva minimizzato la cosa e il questore aveva dichiarato che non si sarebbero piegati alle loro richieste.
Poi, quello scontro alla stazione centrale, dove il questore, con al seguito una grossa fetta delle unità speciali, sembrava più interessato a fermare me, piuttosto che cercare di catturare gli anarchici, che, nel frattempo, assaltavano il municipio uccidendo il sindaco. Nella testa mi risuona il suo disappunto quando un agente ha sparato e ha ucciso il Satiro che mi ha sparato addosso.
Nelle dichiarazioni successive, il questore ha continuato a glissare circa le contromisure da adottare contro i terroristi e ha posto l’attenzione sul fatto che ci fosse un individuo che ostacolava le forze dell’ordine.
Ed ora, silenzio assoluto sul potenziale agguato terroristico all’Accademia e quei due sembrano scomparsi nel nulla nonostante io li avessi rinchiusi nell’ufficio del preside.
La nonna mi posa una mano sulla spalla. «Marinetta, stai bene?»
Tikki svolazza sulla scrivania. «Fa sempre così quando le viene un’idea.»
 Sbatto le palpebre. Mi sembra così assurdo. Perché il questore, la polizia o i vigili del fuoco dovrebbero sostenere la causa dei Satiri dell’Anarchia? Cosa c’è sotto?
Sollevo la testa.
Gli occhi cerulei di Nonna Gina mi fissano colmi di curiosità mista ad apprensione. «A cosa pensi, Marinetta?»
«Che qualcuno ci sta prendendo in giro, nonna. Questa faccenda… qualcosa non torna. I Satiri hanno iniziato ad alzare il tiro da un giorno all’altro, come se qualcosa fosse cambiato all’improvviso. Come se qualcuno avesse suggerito loro di passare al livello successivo. E i loro attacchi sono troppo precisi, troppo studiati. Sono frutto di un’accurata pianificazione e di uno studio approfondito. Ma queste informazioni, qualcuno dovrà avergliele pur date.»
«E pensi che si tratti proprio del questore?»
Mi afferro la testa. «Forse… non lo so. Perché dovrebbe farlo?»
«Non credo di avere la risposta, mia cara. Ma so per certo che il tuo ragionamento ha un fondamento e, se ci hai azzeccato dovrai fare più attenzione che mai. Se hanno preso di mira l’Accademia, forse ci riproveranno e forse lo faranno proprio domani in vista della—»
«Oh, mio Dio! La gara dei modelli! L’avevo completamente dimenticata.»
La nonna scambia un’occhiata divertita con Tikki e mi indica col pollice. «Come fa a salvare il mondo e allo stesso tempo essere così sbadata?»
Tikki si stringe nelle spalle. «È una qualità innata che ha.»
Pongo i pugni sui fianchi. «Ehi! Non è facile dover gestire tante cose tutte insieme.»
Nonna Gina agita l’indice davanti al mio naso, ridendo. «Dovresti trovare un nome per il tuo nuovo alter ego. Non puoi certo continuare a chiamarti Ladybug.»
Metto su il broncio. «E dove lo trovo il tempo per pensarci?»
«Beh, visti i tuoi bellissimi stivaletti nero fiammante, che ne pensi di Stiletto
   
 
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