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Autore: A_Typing_Heart    12/11/2022    0 recensioni
Due morti accidentali identiche. Dubbi, sospetti e insabbiamenti. Una chiesa che cela gelosamente i suoi segreti e i suoi tesori. E una richiesta silenziosa che Mikaela, sopravvissuto a una pericolosa setta, non può lasciare inascoltata.
* segue Il Vampiro di West End *
Genere: Mistero, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Crowley Eusford, Ferid Bathory, Krul Tepes, Mikaela Hyakuya, Yūichirō Hyakuya
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Non-con, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La spada di Dio'
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Ferid salutò con la mano mentre l’auto del tenente Eusford si allontanava lungo Ashland street e la guardò finché non scomparve dietro la curva. Ancora non era riuscito a capire come mai il suo compagno sembrasse così allegro – non si riteneva dopotutto un amante così spettacolare da fare quell’effetto agli uomini – e come mai si fosse sbilanciato con tanto romanticismo a colazione.

Forse gli sono mancato davvero tanto… in effetti era stravolto quando sono andato via. Non è il tipo che piange facilmente, ma io gliel’ho fatto fare…

Solo il pensiero del sorriso allegro che aveva tenuto sul viso tutta la mattina evitò a Ferid il gravido senso di colpa che l’aveva pungolato ogni volta che aveva rivisto nella mente la loro discussione prima del Ringraziamento.

È bello essere finalmente a casa!

Indugiando in sensazioni che avevano poco a che vedere con l’appartamento e molto con l’uomo che ci aveva ospitato fece un lungo sospiro, con lo sguardo trasognato sull’orizzonte. Quasi sperò che avesse dimenticato qualcosa sul tavolo e tornasse a prenderla, ma dopo lunghi minuti si convinse di dover aspettare la fine del turno.

Sospirò ancora – più rassegnato questa volta – e controllò l’orologio d’oro di Claude, scoprendo che non era tardi quanto credeva.

Ci vorrà ancora un po’ prima che arrivi… in questo caso, allora…

Invece di rientrare in casa marciò lungo la strada, facendo finta di non accorgersi che Cyrus lo aspettava in piedi davanti al negozio. Era più facile sfuggirgli così che dirgli qualcosa e rischiare che avesse in canna una nuova tirata su quanto non si fidasse di poliziotti, irlandesi e gente residente fuori dal West End; figurarsi che cosa poteva avere da ridire su un poliziotto irlandese di Satbury che aveva l’arroganza di portarsi a letto il suo padrone di casa.

Raggiunse poco dopo il posto che più gli era mancato nei suoi quasi due anni di lontananza. Sorrise felice come un bambino al luna park quando vide l’insegna viola, le vetrate serigrafate e gli scaffali altissimi carichi di libri e dovette sforzarsi per non precipitarsi dentro di corsa.

La porta del Magick si aprì con uno scampanellio nostalgico e Ferid si fermò un passo all’interno, chiudendo gli occhi e respirando a fondo per sentire il profumo magico di libri cartacei, incensi e resina mescolati. Tuttavia c’era qualcosa di storto nell’odore che sentiva e ciò rovinò in parte il momento.

Sento odore di borotalco… sarà entrato un cliente con un deodorante forte…

Clienti però non ne vedeva e neanche notò qualcuno dietro il bancone, che non era più nero e lucido ma era stato sostituito da uno più basso in legno di noce. Qualcosa di inatteso l’attirò verso la cassa.

«Dora~ che fai qui, stupida gattona pigra?» fece con la consueta vocina che le aveva sempre riservato. «Ha messo a lavorare anche te? Tipico di quella strega~»

«Ora vengo lì fuori e ti prendo a sberle, Ferid!»

Ferid sussultò nel sentire la voce di Krul dal bugigattolo dietro il bancone e anche la gatta ebbe uno scatto; lei però si calmò subito e si appollaiò sullo spigolo del banco di noce facendo fusa con gli occhi semichiusi. Di certo si era abituata a Krul e ai suoi sbalzi d’umore più velocemente di quanto fece lui agli albori della sua carriera di libraio.

La proprietaria del negozio spostò la tenda divisoria – anche quella nuova, di un delicato color ambra – e apparve, ma Ferid la riconobbe con meno immediatezza della sua gatta.

Aveva ancora i capelli rosa ma li portava legati in una voluminosa treccia, aveva un vestito nero a motivo ripetuto di piccole rose rosse ma nessun accessorio gotico; non aveva collane, né orecchini, né anelli. Non aveva spille nei capelli, né le solite unghie finte ad artiglio e neanche un po’ di trucco, se non una linea di eyeliner nero.

Si rese conto di fissarla in modo poco lusinghiero ma non lo poteva evitare; era troppo stranito per far finta di niente. Senza una parola Krul si fermò accanto al computer guardandolo, lui si sporse in avanti appoggiandosi al banco per guardarla da capo a piedi come se credesse che le mancasse un pezzo. Era più bassa di come la ricordava, perché anche i suoi tacchi erano un po’ ridimensionati e non più a spillo: portava degli stivaletti aperti con una spessa zeppa di gomma.

Tornando verso il viso Ferid trovò la cosa più strana in assoluto e il suo sopracciglio si sollevò. Senza rifletterci allungò le mani e palpò un seno che non ricordava assolutamente così all’epoca della sua partenza.

«Oh, wow, ragazza, queste non c’erano l’ultima volta!»

Krul sospirò alzando gli occhi al cielo.

«Togli le mani di lì o devo staccartele dai polsi?»

«Sono vere? Sembrano vere…»

«Ferid, togli le mani o ti tiro la spillatrice in faccia.»

«La tua magia fa progressi… enormi progressi.»

Krul prese la massiccia spillatrice – la stessa di sempre – e Ferid si decise a ritirare la mani al di là del bancone.

«Guarda te che pessime maniere… non avvisi del tuo ritorno, compari qui all’improvviso e la prima cosa che fai è mettermi le mani addosso. Neanche un “ciao”, un “grazie per aver badato a Dora”, o un “come va”. Nemmeno un abbraccio.»

«Un abbraccio? Non ci penso neanche. L’ultima volta che l’ho fatto sei rimasta incinta, non voglio saperne niente!»

«Questa volta non siamo brilli, riusciremo a evitare di arrivare a quello che ha fatto il danno» ribatté Krul in un tono decisamente più calmo di quello a cui era abituato con lei. «Vieni qui dietro e dammi un abbraccio, cretino.»

Ferid era quasi certo che quella donna non fosse davvero Krul, o che fosse lei addomesticata da dosi massicce di qualche droga. Arrivò a chiedersi se il borotalco non si usasse per coprire l’odore della marijuana o qualcosa del genere.

«Sei sicura di stare bene, Principessa?»

Lei accennò un vago sorriso che scomparve quasi subito e sospirò.

«Non ti vedo da quasi due anni, ho accumulato pazienza sufficiente per sopportarti cinque minuti, più o meno» fece, con un tono leggermente più simile al suo vecchio sarcasmo. «Quindi sbrigati e abbracciami prima che scada il tempo.»

Aveva immaginato diversi scenari quando aveva deciso di tornare al negozio a trovare Krul, ma neanche la sua più positiva fantasia andava vicino a quella reazione così inattesa. Fece il giro del banco restando un po’ diffidente, ma quando le sue braccia gli strinsero la schiena con forza e Krul affondò la testa nel suo torace comprese che non era il solo a essere molto cambiato in quel lasso di tempo.

Lei non diceva una parola ma non accennava a lasciarlo, quindi a Ferid venne spontaneo sollevare la mano e accarezzarle la testa senza cercare di sottrarsi.

«Che ti è successo, Principessa? Neanche da ubriaca sei mai stata così… neanche da bambina, mi sa.»

Seguì un silenzio lungo disturbato solo dalle fusa della gatta, poi si levò una vocina, un sussurro di fata.

«Sono andata in terapia.»

«Tu?»

Istintivamente Ferid l’afferrò per le spalle e la spinse indietro per riuscire a guardarla in faccia.

«Tu, in terapia? Cioè, tipo da uno psicologo? Quel genere di terapia?»

Lei annuì con sguardo sfuggente e prese a giocherellare con l’unico ninnolo che aveva addosso: un braccialetto che Ferid riconobbe come uno dei loro articoli in vendita, un intreccio di fili con una perla di legno naturale che fungeva da amuleto protettivo.

«Pazzesco! E che cosa ti ha convinto a farlo? Perché, insomma, per convincere me c’è voluta una storia orrenda di un serial killer, reiterati tentativi di assassinarmi e la rottura con Crowley, non so che cosa possa aver–»

Un lamento proveniente da dietro la tenda del retrobottega l’interruppe ed entrambi guardarono verso la stanzetta.

«Cos’è?»

In realtà non era esattamente quello che intendeva chiedere, perché aveva un’idea piuttosto chiara di che cosa fosse stato a produrre quel suono. Krul non rispose e si infilò tra i fili della tenda divisoria. Ferid lanciò un’occhiata nervosa nel negozio, sebbene fosse deserto, ma cercava invano un modo per arginare l’enorme flusso di pensieri che gli si erano riversati nel cervello e che peggioravano a ogni altro flebile lamento che sentiva.

Alla fine tornò alla porta e quando Krul ne uscì teneva il fagotto di una copertina di cotone molto sottile e al suo interno una neonata con una tutina bianca con piccole api gialle. La manina che muoveva era in assoluto la più piccola che Ferid avesse mai visto e reagì come se non gli fosse mai successo di vedere un bambino in vita sua.

«Krul, per l’amor del cielo.»

«Mi dispiace.»

Ferid scosse la testa confuso. Non capiva che cosa ci facesse una neonata nel retrobottega del Magick e ancora meno capiva perché Krul si stesse scusando.

«Che stai… che significa “mi dispiace”?»

Krul si sedette sullo sgabello, con gli occhi fissi sulla bimba.

«Mi dispiace che sono riuscita a far nascere lei, ma non tuo figlio. L’avresti voluto, no? Tu volevi fare il padre.»

«Ma… tu devi essere pazza! Con tutte le cose sensate delle quali potresti scusarti scegli sempre e solo quelle che non sono dipese da te?» la rimproverò brusco. «Non è stata una scelta tua che non andasse bene… ha scelto Dio, io e te non c’entriamo per niente.»

Krul lo guardò con sorpresa, ma lui non se ne accorse perché era preso a studiare da vicino la bambina. Aveva capelli castano scuro con dei riflessi dorati quasi solo in un ciuffo sulla fronte, guance rotonde e una bocca rossa come un papavero. Ferid la trovava incantevole ogni secondo di più e si chiese come avrebbe reagito Crowley nel vederla.

«È proprio un gioiellino, Principessa… oh, ora le principesse sono due~»

«Da quando sei un credente, Ferid?»

«Mi dici come si chiama?»

Krul scambiò un’occhiata silenziosa con Ferid, ma lui sostenne il suo sguardo cercando di dirle, senza parole, che non voleva affrontare quell’argomento con lei. Alla fine cedette e decise di esporsi per prima.

«Naisha. Si chiama Naisha.»

«Naisha… è un nome carino per una ragazza carina~ da dove l’hai preso? È celtico?»

«È un nome indiano… dell’India» puntualizzò lei, con gli occhi fissi sul volto di Ferid. «Significa “unica e speciale”.»

Ferid distolse lo sguardo dalla bimba per guardarne la madre con una certa dose di stupore. Non sapeva come interpretare il fatto che Krul avesse dato a sua figlia un nome equivalente al suo; ci rimuginò su qualche secondo mentre la manina di Naisha si stringeva intorno al suo dito.

«Sai che “Ferid” in arabo significa la stessa cosa, vero?»

«Certo che lo so. Me l’hai raccontato tu, cinque… no, seimila volte.»

«E il papà di questa creaturina sa del tuo… omaggio, per così dire?»

Krul disse appena una sillaba, ma la voce maschile che arrivò dalla porta coprì completamente la sua.

«RID! Ma che fai qui… sei tornato senza dire niente, sei il peggiore amico di sempre!»

Gli occhi celesti di Ferid si posarono con gran sorpresa sul volto ovale sorridente, con gli stessi capelli ricci che ricordava e meno barba di quanta gliene avesse vista l’ultima volta. La maglietta con il logo del bar gli diceva che lavorava ancora alla sua solita caffetteria.

«Liam~ che ci fai tu qui, questa è la mia seconda casa~»

«Consegna speciale!»

Infatti si avvicinò al bancone con due bicchieri di caffè da asporto e li appoggiò accanto al piatto con i braccialetti di corda ammucchiati. Scambiò un saluto lampo con Krul e tornò a dedicare la sua allegra sorpresa al vecchio amico.

«Ormai pensavo che non ti saresti più fatto vedere, ma dove sei stato? Mi sembri in forma, comunque! Come stai?»

«Ah, lascia perdere come sto io! Vi siete annoiati senza di me da queste parti, sto via un anno e mezzo e qui avete fatto tutti dei figli, pure lei!»

Krul nascose un sorrisetto dietro il bicchiere del caffè e Ferid era troppo concentrato su Liam per farci caso.

«È maschio o femmina? Quando me lo fai vedere?»

«Oh, presto… anzi, prestissimo, lo prometto!» fece William battendosi il palmo della mano sul petto. «Scusa, mi dai la bambina?»

Krul passò la piccola Naisha nelle braccia tese di Liam e si riaccomodò seduta a bere il caffè, poi l’uomo si girò verso Ferid.

«Ah, Rid, ti presento Naisha, mia figlia!»

Il cervello di Ferid si scollegò lasciandogli sul volto un mezzo sorriso congelato e uno sguardo vacuo che fece scoppiare a ridere Krul e Liam. Passò un bella manciata di secondi prima che smettessero di ridere e Ferid riuscisse davvero a capire che cosa gli era appena stato detto.

«Aspetta, aspetta… aspetta, che cosa?!»

«Te l’avevo detto che reagiva così!» gongolò Krul, girando a destra e a sinistra sullo sgabello.

«Tu e lei avete un figlio insieme?!»

«Eh, sì. Mi sa proprio di sì.»

Sembrava ancora incredibilmente assurdo, quasi inconcepibile, eppure Liam non era granché come bugiardo, anzi. Era talmente pessimo come bugiardo che non era mai riuscito a tenere nascosti i suoi interessi – seppur platonici – verso donne che non erano la sua fidanzata Maricela. A essere onesto quando l’aveva sentito – in una sola occasione – e gli aveva detto frettolosamente di stare per diventare papà aveva dato per scontato che fosse Maricela quella in dolce attesa.

«Okay, voglio sapere com’è successo. Non mi muovo da qui finché non ho la cronaca completa.»

«Ora non posso, scusami» rispose Liam, con un rinnovato sorriso. «Devo proprio andare, ho altre due consegne… ma te lo racconta Krul, se vuoi. Ehi, vieni a cena da noi, così possiamo parlare di tutto quanto!»

«Ah, veramente…»

«No, niente scuse, vieni e basta. Gli altri possono aspettare! Krul, non accettare un no come risposta!»

«L’ho mai fatto?» replicò lei con un sorrisetto decisamente malizioso.

«Convincilo a venire a cena, faccio un salto da Augusta e mangiamo le empanadas!»

«Non so se mangia le empanadas» osservò Krul, accigliata.

«Certo che le mangia! Non è mica successo una sola volta che ci curassimo la sbornia con un’abbuffata di empanadas!»

Krul si accigliò di più, ma sorrideva con aria divertita.

«Vi ubriacavate insieme, voi due?»

Beh, anche noi, Krul.

Ferid scelse di evitare l’argomento, per rispetto a Liam.

«Avevo una vita prima di conoscerti, tesoro, ti basti sapere questo» tagliò corto lui, e depositò il fagotto giallo della sua bambina tra le braccia di Ferid, ignorando il suo disagio. «Sei ancora intollerante al lattosio, vero?»

«Eh? Uh… m-meno di prima, ma sì…»

«Allora sei a posto, Augusta non usa il burro o il formaggio per fare le empanadas! Tu quali vuoi, Krul?»

«Quelle con il manzo e con il pesce.»

Ferid cercò invano di protestare, ma bastò che Naisha muovesse appena le gambe perché le dedicasse ogni attenzione, neanche avesse rischiato di lasciarsela sfuggire dalle mani. Per quanto gli piacessero i bambini non ne aveva mai tenuto in braccio uno ed era terrorizzato all’idea che gli cadesse. Gli piaceva guardarla da così vicino, ma allo stesso tempo non vedeva l’ora che qualcuno gli togliesse quella responsabilità.

Liam si raccomandò altre due volte con Krul di fare in modo che Ferid si presentasse a cena e salutò prima di sparire fuori dal negozio dove l’aspettava il suo motorino delle consegne. Quando lui e Krul si guardarono – di nuovo soli nel negozio, non contando gli esseri viventi al di sotto dei sei chili – Ferid si dimenticò dell’urgenza di liberarsi le braccia.

«Ma tu che stai facendo? Non bere quella roba, stai allattando!»

«Oh, non rompere, è caffè d’orzo» ribatté lei seccata. «Sei tornato da dieci minuti e già mi rimproveri per qualcosa!»

Cadde un silenzio teso, rotto solo dai versetti soffocati della bambina.

«Scusami. Sono un po’ nervoso.»

Krul si spostò la treccia sulla spalla, scorrendovi le dita sopra.

«Ti turba tanto che io stia con Liam?»

«Eh? N-no, veramente è che… puoi tenerla tu?» le fece supplichevole. «Ho una paura dannata che mi cada…»

«Per questo devi tenerla: più la tieni più ti ci abitui… ne so qualcosa» insistette lei, e si alzò dallo sgabello. «Ti preparo un caffè, abbiamo una macchinetta nuova che lo fa molto buono…»

Krul scomparve dietro la tenda e Ferid, rassegnandosi al suo destino di culla umana per i prossimi – chissà quanti – minuti, tornò dietro il bancone di legno di noce mentre Pandora ne saltava giù, oscillando altrove in cerca di un posto più silenzioso.

Dopo un minuto Krul tornò con un caffè per lui, la sedia della sua scrivania della contabilità e un sorriso confortante quanto insolito. Non riconosceva in quella piccola donna quella che aveva lasciato e questo lo rallegrava e turbava al tempo stesso, ma non riuscì a rifugiarsi nel caffè per alleviare i suoi pensieri.

Come prendo quel bicchiere se devo tenere su la bambina?

«Così.»

Krul gli staccò il braccio dalla schiena della piccola e gli mise la tazza in mano, poi gli aggiustò l’angolo del gomito perché con un un braccio riuscisse a tenere su sia la testa che il sederino di Naisha.

«Oh. Ingegnoso.»

«È una questione di abitudine… comunque, io e Liam non la teniamo sempre in braccio. Se si abituano così non vogliono più stare giù e diventa un tormento…»

«Beh… mossa saggia… anche io ho fatto il guaio con Baudelaire, il mio gatto: lo tenevo sempre in braccio e da adulto mi saltava sempre addosso, infatti…»

Ferid bevve un goccio di caffè, che era davvero buono. Era molto migliore di quello della vecchia macchinetta e si domandò con una velata tristezza quante cose fossero completamente cambiate dopo la sua partenza. In particolare si chiese se Krul avesse ancora bisogno di lui o se quella parte della sua vita potesse considerarsi conclusa.

«Allora… esattamente, come siete diventati una coppia, tu e Liam?»

«Beh… per caso, come succede sempre» commentò Krul con una scrollata di spalle. «Quando sei partito e io sono tornata a lavorare lui passava a portare il caffè… la macchina vecchia l’ha rotta Ash, ovvio. Parlavamo un po’ di com’era andato il giorno prima… e parlavamo di te. Insomma, del rapporto che avevamo con te… e poi si finiva a parlare di qualche altra cosa…»

«E poi?»

«Niente… una mattina eravamo qui a parlare, non ricordo di che cosa, e gli ho chiesto se gli andava di uscire. Lui ha detto che gli andava bene.»

«E Maricela?» domandò Ferid, cercando di azzerare ogni tono accusatorio.

«Non siamo usciti in quel senso… siamo stati al cinema, e basta. Siamo usciti un bel po’ di volte come semplici amici… anche dopo che ha rotto con Maricela ci sono voluti due mesi prima che arrivassimo a quel punto. Era agosto.»

«Agosto…»

Ferid guardò la bimba, accigliato.

«Quanto tempo ha lei?»

«Un mese» rispose lei, come a stroncare una silenziosa insinuazione. «È nata il sei giugno e per tua informazione è nata prima del tempo prestabilito. Se vuoi davvero saperlo, sono rimasta incinta con molta probabilità–»

«No, non mi interessa, davvero!»

«… Quando abbiamo fatto un weekend a Cuba a metà ottobre» proseguì lei imperterrita.

«Oh, avanti, non voglio saperlo! Ormai siamo come fratelli, è imbarazzante sentirlo!»

Seguì un lungo silenzio durante il quale Ferid guardò la bimba – ora addormentata – pur di non incrociare lo sguardo con sua madre.

Non era affatto così che avevo immaginato questo incontro… non era così che mi aspettavo di ritrovarla… ma che cosa mi aspettavo, esattamente?

«Non vuoi parlare di nient’altro?»

A fatica girò gli occhi su Krul, che si stava sporgendo per prendere la seconda tazza di caffè portata da Liam.

«Dove sei stato in tutto questo tempo? Che cosa hai fatto, chi hai visto? Avrai qualcosa da raccontare» l’incalzò lei, con un sorrisetto. «Hai trovato un altro poliziotto sexy? A me puoi dirlo, non dirò niente a nessuno.»

«Ma se una volta che ti ho raccontato qualcosa il primo a saperlo è stato proprio Crowley!»

«Oh, ma quando mai?»

Chiarire quale fosse la circostanza – cioè le indagini della polizia all’epoca del primo tentativo di Robert di assassinarlo con il veleno – richiese uno scambio serrato, ma alla fine Krul abbozzò chiamandola “eccezione” e continuò a fare domande, quindi Ferid decise di rispondere. Le raccontò del suo viaggio in Inghilterra, della purificazione di casa Cosworth – e qui lei consigliò qualche erba da bruciare in casa e altri metodi esoterici – e infine del suo viaggio verso nord per trovare il Marigold Cottage di sua nonna.

«L’hai trovata?» chiese Krul sorpresa, abbassando bruscamente il bicchiere.

«Sì, mia nonna Nancy… è la madre di mio padre. Non somiglio affatto a mio padre e credevo di aver preso da mia madre, ma quando l’ho vista… di sicuro è la parente a cui assomiglio di più, tra quelli che ho conosciuto.»

La notizia strappò un sorriso a Krul.

«Che tipo è?»

«Uhm… è una signora elegante, ma non è appariscente. Le piacciono i giardini in fiore, le poesie, il teatro… da buona inglese, berrebbe soltanto tè se potesse e le piace molto zuccherato.»

«Oh, una cosa in comune almeno l’abbiamo.»

«Ne avete un’altra» aggiunse Ferid divertito. «Ha una collezione smisurata di orecchini. Decine su decine… forse centinaia.»

Krul brontolò e richiuse la tazza ormai vuota con un gesto stizzito.

«Lo sapevo che avrei guadagnato di più a fidanzarmi con te, lo sapevo

«Audace da parte tua dare per scontato che io volessi questo, e anche presumere che farlo ti avrebbe dato il diritto di impossessarti degli orecchini della nonna~»

«Sei l’unico Cosworth in vita, non vedo che altra fine avrebbero mai fatto i gioielli di tua nonna!»

«Per vantare dei diritti devi sposare un nobile, e ancora meglio generare altri piccoli Cosworth~»

Krul sospirò, lanciando la tazza nel cestino nell’angolo.

«Beh, non sarebbe stato troppo brutto. In fondo tu sei malaccio come amante.»

Ferid alzò la mano e guardò altrove.

«Questo discorso sta tornando a essere imbarazzante, Principessa.»

«Avanti, si scherzava… da quando sei diventato così pudico? Da quando hai cominciato a credere che Dio scegliesse per nostro conto quello che ci succede?»

«Io ho sempre creduto in Dio. Solo che Dio è un gran bastardo egoista.»

Dopo un attimo di smarrimento Krul scoppiò in una gran risata.

«E il tuo fidanzato chiesarolo lo sa che la pensi così?»

«Sospetto che lo sospetti… e poi non è chiesarolo come sembra quando va a messa» osservò Ferid, leggermente infastidito che qualcun altro lo chiamasse in quel modo. «Non è che ha la casa tappezzata di gingilli cristiani, di Bibbie o cose del genere. Ha un crocefisso sopra il letto e ne porta uno al collo, ma niente altro.»

«E prima di mangiare prega?»

«No, non l’ha mai fatto quando c’ero io…» mentì lui, muovendosi sullo sgabello.

«Ah, no? E prima di dormire?»

Ferid maledisse silenziosamente l’insistenza di Krul: era tale e quale a un cane da caccia che fiuta il sangue.

«Okay, prega per cinque minuti al giorno, non mi pare tanto grave!»

«Mh, mi pareva~»

«Ah, piantala. Non c’è mica niente di male, se lo fa sentire sicuro credere che Dio lo protegga.»

«Ma tu non lo credi, no?»

«Non so che cosa credo.»

Anche se stava studiando le guance rosee di Naisha e la sua piccola bocca rossa si sentiva gli occhi di Krul addosso. A quanto ne sapeva lei non si era mai bevuta la storia del dio amorevole e onnipotente e fin da piccola aveva sempre seguito personali convinzioni riguardo a spiriti del vento e la Madre Terra, quindi non lo stupì che trovasse strane le crisi di fede o ipocrita l’intera risma dei monoteisti.

«Davvero non lo sai o ti vergogni a dirlo a una figlia della Madre?»

«Non capisco a cosa vuoi alludere» replicò Ferid, ed era sincero.

«Allo scudo di San Michele, per essere precisi» fece lei, rivangando memorie lontane. «Quando lo hai sentito in pericolo gli hai dato un amuleto protettivo… tra i tanti sei andato dritto allo scudo di San Michele, e nemmeno glielo hai mostrato. Non l’hai scelto perché lui è cattolico, lo hai scelto perché tu sei cattolico.»

«Oh, piantala» ribatté Ferid, secco.

«Allora avrai una ragione per spiegarlo.»

«È San Michele, che cavolo, è il patrono delle forze dell’ordine!»

«Ed è un argomento rilevante soltanto se credi ai santi patroni, giusto?»

Se Ferid non sbatté il pugno sul bancone fu soltanto per non svegliare di soprassalto la piccola, ma fu difficile trattenersi. Non capiva perché Krul ci tenesse tanto a pungolarlo su un argomento simile.

«Si può sapere che cosa accidenti vuoi da me? Cos’è, la vendetta dei pagani contro la Santa Inquisizione? Adesso ci volete estorcere confessioni di fede in Dio per poi bruciarci in piazza?»

Krul fece un sorriso trionfante, ma Ferid era troppo alterato per capire come mai sentisse di aver vinto lo scontro.

«Hai detto “ci”. Ti sei appena incluso nei credenti monoteisti.»

Ferid scattò in piedi e le voltò le spalle, infilandosi nello stanzino del retro. Con il massimo della premura che riuscì a racimolare in quel momento adagiò la bimba nella carrozzina che era stata infilata lì tra la scrivania e il tavolo per il caffè, e riuscì a depositarla senza che si svegliasse.

«Ti detesto. Giuro che non capisco perché ti stai accanendo in questo modo contro di me.»

«Non c’è una ragione perché non sono contro di te. Io non disprezzo i cristiani, ma sappiamo entrambi che è una regola di vita costrittiva, volta a far sentire i suoi credenti perennemente in torto.»

Quell’osservazione placò il fiotto di furia di Ferid, che rimase sulla porta girato di spalle. Appoggiò il braccio contro lo stipite, trovando un sostegno fisico in luogo di quello mentale di cui avrebbe avuto più bisogno.

«Lo sai che cosa pensano i cristiani di quelli come te… e come il tuo innamorato. Per loro siete sbagliati… siete un abominio, è questo il termine che usa il vostro libro sacro. Unirti a una fede che perdona tutto quello che potresti fare ma non quello che sei per natura ti farà soltanto soffrire.»

Ferid serrò i pugni, ma non riuscì a scollare le labbra per fare un singolo suono.

«Non voglio dirti come vivere la tua vita, ma… non lasciarti trascinare da lui in una comunità che non vi accetterà mai. Per voi non è diverso che per me, che sono una strega: ci sarà sempre qualcuno che lo riterrà stupido e sbagliato, che ci additerà dicendo ai suoi figli che gente come noi non dovrebbe esistere… ma viverci dentro è da pazzi, Ferid. So che lo ami, ma non farti tirare dentro al suo sistema o sarete infelici qualsiasi cosa facciate. Se puoi, tiralo fuori tu da lì.»

«Starai scherzando» rispose Ferid a mezza voce. «Crowley riesce ad affrontare la sua vita solo con la fede che ha… rinunciarci renderebbe i suoi amici morti veramente morti, inutili crudeltà tutti i crimini violenti che vede al lavoro e lui stesso fragile e vulnerabile… se non credesse nel suo Dio non potrebbe mai accettare tutto il male che vede, tutta la sofferenza che viene dal vivere una vita lunga… senza la sua fede lui perderebbe se stesso.»

«Si può accettare e convivere con la sofferenza anche senza imputarle al volere superiore di un padre dispotico.»

«Certo che si può, ma…»

Ferid sospirò e si girò lentamente, appoggiandosi contro lo stipite.

«Credere in Dio è così… confortante… nessun karma che ti resta addosso da una vita all’altra, tutto ti può essere perdonato… quando sei spaventato, quando sei disperato puoi credere che qualcuno sia lì per provvedere… operando miracoli… rendendo possibile l’impossibile… non lo troveresti confortante? Persino la morte non è la fine…»

«Ti sentirai confortato anche quando i tuoi fratelli in Cristo ti guarderanno disgustati? Perché lo sai…»

Krul girò un po’ sulla sedia per guardarlo negli occhi.

«Non ti vedranno per la persona che sei. Non gli importerà di quanto sia forte la tua fede, di quanto bene fai al prossimo o di quanto attivo sarai per la tua comunità. Sarai sempre quello che sta con un altro uomo. I peggiori ti aggrediranno e ti ostracizzeranno, i migliori ti compatiranno soltanto. Chiederanno al tuo Dio di farti tornare retto

Ferid emise un lungo sospiro e deglutì. Avrebbe avuto bisogno di un goccio d’acqua, se non di qualcosa di più forte..

«Ti diverte torturarmi in questo modo?»

«Neanche un po’» rispose lei in un sussurro. «Ma io ti conosco. So che hai passato la tua vita a sentirti sbagliato, e non voglio che continui a farlo per un dio in cui, mi auguro, non credi davvero.»

Ferid restò in silenzio, con la sensazione di avere le corde vocali annodate da un esperto marinaio. Krul restò in silenzio a guardarlo, anche se lui non aveva abbastanza forza da ricambiarle lo sguardo. Non disse nulla neanche quando lo vide scivolare lentamente lungo lo stipite fino a sedersi per terra; d’altronde Ferid non le avrebbe risposto, immerso com’era nell’immaginare le conseguenze di quella scelta.

«Ferid» fece Krul, diversi minuti dopo. «Stai bene?»

Ferid annuì senza aprir bocca e si asciugò gli occhi.

«Sei sicuro?»

«No» replicò con un filo di voce.

«Già…»

Krul abbandonò la sedia e si sedette per terra vicino a lui, avendo cura che la gonna del vestito non le lasciasse le gambe scoperte.

«Non ti volevo far sentire male.»

«Lo so.»

«Eusford mi piace. Davvero, è un tontolone, ma mi piace. State bene insieme.»

«Lo so.»

«Penso solo che voi due non stiate bene in un triangolo con il cattolicesimo, capisci che intendo? Non voglio che tu stia male. Sei stato male già abbastanza in questi trent’anni.»

«So perché mi stai dicendo questo» la rassicurò lui, e sospirò. «So che cosa succederà, perché Crowley me lo disse già due anni fa… che se fosse stato certo che io lo rendevo felice lui avrebbe scelto me. Che lui avrebbe sempre scelto la felicità prima della religione, se le due cose fossero state incompatibili… lui crede che rinunciare alla felicità per Dio finirebbe per fartelo odiare.»

«L’avevo detto che Eusford mi piace!» rincarò Krul, con un sorrisetto. «Ma allora perché sei così abbattuto?»

«Perché Crowley è sereno nella sua fede. Sta bene nella sua parrocchia, sono tutti suoi amici ed è molto amato… se loro gli si rivoltassero contro per causa mia… lui se ne andrebbe, ma so che gli si spezzerebbe il cuore. Non è giusto che sia costretto a scegliere.»

«La vita non è giusta per nessuno. Tu lo sai meglio di chiunque altro, l’Universo… o Dio, se vuoi, si è accanito contro di te fin da quando eri piccolo, ti ha tolto un sacco di persone a cui tenevi e ti ha anche tolto la migliore occasione di avere un figlio tuo. Francamente non so come fai a pensare che questa sia opera di un Dio e non odiarlo.»

«L’ho odiato per un sacco di tempo.»

Krul inclinò leggermente la testa, incuriosita.

«E ora?»

Ferid scrollò le spalle.

«Odiarlo non farà tornare le persone che se ne sono andate, né il tempo che ho già vissuto. Odiare Dio non cambierà niente.»

«Sì, questo è vero.»

«Tuttavia… è stato sleale prendere seriamente la preghiera di un bambino disperato che non sapeva che cosa diceva.»

Ferid era immerso nella memoria di quel giorno di pioggia furiosa nella cappella privata dei Cosworth, ma Krul non era stata messa al corrente di quell’episodio e lo guardava accigliata. La lunga risposta che avrebbe richiesto la domanda gli fu risparmiata dallo scampanellio della porta che costrinse Krul a rialzarsi in piedi.

«Buongiorno!»

«Buongiorno» le rispose una voce che a Ferid suonò molto familiare. «Ecco… per caso, Ferid è qui?»

Krul si girò a guardarlo con un sorrisetto e, al di là della sua testa, poté vedere l’espressione sorpresa di Mikaela.

«Che dici, Ferid, ci sei?»

«Che fai nascosto lì dietro?» fece Mikaela, sporgendosi un po’. «Ti senti male? Sembri appena sparato fuori da un parabrezza.»

«In un certo senso» borbottò Ferid, rimettendosi in piedi. «Sei in anticipo, no?»

«Un po’, ma ho staccato prima e sono passato a casa tua per vedere se c’eri. Il tuo lacchè della ferramenta mi ha detto che forse eri al negozio, perché ti ha visto venire da questa parte a piedi.»

Per la prima volta Ferid pensò che doveva fare due chiacchiere molto serie con Cyrus Brown: che andasse a dire a sconosciuti dov’era andato, se era in casa o no dopo quello che gli era successo con il Vampiro di West End andava ben oltre l’ingenuità.

Beh, visto che è già qui, meglio passare alle questioni serie.

Ferid si spolverò i pantaloni, notando solo marginalmente il sorriso di Krul.

«Il tuo buono è ancora valido, sai?»

«Il mio… oh» fece Mikaela, e si grattò la testa di capelli biondi. «A essere sincero l’avevo dimenticato…»

«Io no.»

Krul aprì il cassetto sotto la cassa e ne prese un cartoncino con il logo del negozio, impugnò la stilografica e scrisse qualcosa sul retro del biglietto. Con una punta di sospetto Ferid si sporse per cercare di leggerlo, senza riuscirci prima che la sua ex datrice di lavoro lo porgesse al giovane.

«Ecco, così te lo ricorderai anche tu.»

«Ah… ti ringrazio molto. Verrò presto a dare un’occhiata al reparto nuovi culti.»

«Ci sono novità interessanti, quindi passa quando hai tempo.»

Ferid finse di non aver sentito una parola di quel dialogo e uscì da dietro il bancone.

«Andiamo?»

«Ah, sì… dove andiamo?»

«A casa mia, c’è qualcosa di cui dovrei parlarti… e che vorrei mostrarti, a proposito di libri» aggiunse, sapendo di incuriosirlo. «Ci vediamo, Principessa.»

«Stasera» scandì lei con tono minaccioso. «Sei invitato a cena e se non sei lì per le sette vengo a prenderti per le orecchie, mi hai capito?»

Ferid e Mikaela si scambiarono un’occhiata fugace e silenziosa, poi Ferid riprese la strada verso la porta.

«Sarò lì, lo prometto.»

«Auguratelo

«Sì, sì, non ringhiare, tesoro. Ci vediamo più tardi, ho promesso, no?»

«A-arrivederci.»

Ferid tenne gli occhi fissi davanti a sé, il passo sostenuto e il collo rigido finché non fu sicuro oltre ogni ragionevole dubbio che lei non potesse più vederlo e solo allora sospirò. Mikaela si voltò indietro prima di guardarlo.

«Fa sempre così con te?»

«Ha sempre fatto peggio di così, è migliorata durante la mia assenza» l’informò Ferid, rallentando il passo. «E con te, fa sempre così?»

«Non saprei, l’ho incontrata solo due volte dopo quella faccenda… sono stato all’ospedale a vedere come stava, e una volta sono andato a trovarla a casa, quando mi hai chiesto di dirti se stava bene. È stato allora che mi ha detto del buono per il negozio… è ancora convinta che io le abbia salvato la vita chiamando l’ambulanza quando è stata ferita.»

«Beh, l’hai fatto, e tutti noi ti siamo molto riconoscenti.»

«Non ci sarebbe stato alcun bisogno di salvarla se avessi gestito meglio quella situazione» lo contraddisse Mikaela, rabbuiato. «Avrei potuto trovare un modo per attirare quel pazzo fuori senza che facesse del male a te o a lei. Non so come abbia fatto Crowley a perdonarmi una simile leggerezza…»

«L’ha fatto perché sa che è molto difficile sapere cos’è giusto fare quando la situazione è delicata, si è personalmente coinvolti e non c’è tempo per pensare. Lui non è diverso: quando si trova alle strette prende pessime decisioni.»

Mikaela accennò un sorriso imbarazzato tipico di chi pensa di ricevere consolazioni immeritate, ma Ferid aveva in mente qualcosa di molto più urgente. Erano al piazzale davanti alla sua casa di West End e si sentiva stranamente agitato, come se stesse per finire sotto esame.

«Ascolta, Mikaela… la cosa di cui ti parlerò è strana, e particolare…»

«Trattandosi di te non mi aspetto niente di normale.»

«E ti chiedo scusa in anticipo se mettertene a parte ti turberà, ma ho bisogno di un alleato.»

La sua espressione cambiò in un istante e si fece attenta come avesse fiutato un predatore. Ferid lo scortò dentro fino alla cucina, prese il libro che aveva appoggiato sul ripiano e glielo porse, mentre prendeva il bollitore. Si sforzava di sembrare tranquillo come se si accingessero a discutere solo ricette di cucina.

Mikaela non parlò mentre scorreva il titolo e apriva le pagine per sfogliare l’introduzione, ma arrivato all’indice dei capitoli gli lanciò uno sguardo. Era difficile dire se sembrasse più spaventato o più eccitato.

«Perché vuoi parlare della Chiesa dell’Acqua? Ti sei unito a loro?»

«Conosci la Chiesa?»

«Mi aggiorno sui nuovi culti cristiani, e tu lo sai bene. Quindi, cos’è che vuoi sapere?»

«Stimola il tuo sesto senso?»

L’agente di pattuglia coi capelli biondi chiuse il libro e passò l’indice sulla scritta Dio come acqua, avviluppato in una nube di pensieri che Ferid poteva quasi vedere.

«Il mio istinto mi dice che questo culto è pericoloso.»

«Era quello che speravo di sentirti dire.»

«Tuttavia, non c’è nulla di realmente pericoloso descritto in questo libro… insomma… si sa. La divulgazione è diversa da quello che sembra quando vivi il culto dall’interno… e… non so dire perché, ma qualcosa non torna in questa chiesa. Naturalmente è un culto chiuso, con riti segreti e una catechesi che viene illustrata solo ai membri.»

«Sì, il libro fa riferimento allo studio e ad alcuni sacramenti a dir poco misteriosi… e io sono anche stato cattolico praticante, sai com’è.»

Mikaela, tuttavia, studiava lui con molto più interesse e sospetto del libro.

«Ma il tuo interesse per questa chiesa qual è?»

«Faccio del tè, prima, vuoi? Sarà una lunga conversazione…»

Il ragazzo si issò sullo sgabello.

«Non ho fretta.»

Se da una parte l’istinto di Mikaela dava consistenza alla sua tesi dall’altra Ferid non sapeva con quali argomenti chiedere alla polizia americana di indagare sulla morte di un adepto del culto. Per non parlare del fatto che avrebbe dovuto dire all’amico chi gli aveva chiesto quel favore.

   
 
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