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Autore: PerseoeAndromeda    13/11/2022    0 recensioni
Un sacrificio.
Una perdita che lascia un vuoto incolmabile.
Qualcuno vorrebbe colmare quel vuoto.
Genere: Angst, Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Fic original scritta per l'Inktober indetto da Fanwriter.it.
Lista: Pumpnight
Prompt: Brina
Titolo: Il ghiaccio nel cuore
Fandom: La fiamma nera (mia originale)
Personaggi e ship: Brysel e Kalin
Rating: giallo
Genere: angst, drammatico, introspettivo, hurt/comfort
Warning: Riferimenti alla morte e alla perdita
 
 
IL GHIACCIO NEL CUORE


 
Il freddo era intenso quando i suoi occhi si aprirono su un mondo che per lui era tutto nuovo.
Un mondo devastato, un mondo in cui qualcuno che aveva amato profondamente non c'era più.
E che senso avrebbe avuto, ancora, il mondo senza quella persona?
Un solo ricordo, una sola immagine si presentò alla sua mente: il corpo di Shalon dilaniato da quel potere spaventoso, il suo andare incontro alla morte con un sorriso, con la consapevolezza e il coraggio che solo il suo animo puro avrebbe potuto concepire.
Ciò che era accaduto dopo era avvolto in una nebbia confusa, vaghi lampi di memoria di un castello, di una lotta che forse aveva combattuto, ma della quale era stato, al contempo, un passivo spettatore esterno.
Con il corpo si era trovato lì, forse la mente e un residuo di ragione lo avevano condotto in fondo, ma anima e cuore no… quelli non c’erano stati in battaglia e anche adesso, che i suoi occhi si stavano aprendo nella grotta gelida che avevano trovato come riparo, non li sentiva.
L'animo era vuoto, il cuore una pietra pesante che batteva nel petto, ma non percepiva vita in questa pietra, nessuna emozione.
Non ricordava neanche il momento in cui si era addormentato: era lì, sulla nuda roccia e qualcuno, probabilmente, gli aveva drappeggiato addosso una coperta.
Lily?
Kalin?
Importava davvero?
Non avrebbero dovuto disturbarsi per lui, perché non li meritava, non meritava persone che tanto tenessero a lui, che ormai pensava solo a chi non c’era più.
La dea?
La sua dea contava ancora qualcosa?
Il corpo ebbe uno scatto verso l’alto, dovuto ad una rabbia improvvisa, verso se stesso soprattutto, che si era trasformato in un guscio vuoto, che in pochi istanti aveva visto crollare punti fermi e certezze.
Quel brusco movimento fece urlare ogni muscolo e osso, il gelo lo attanagliava e lo faceva sentire alla stregua di un blocco di ghiaccio.
Gelo dentro di lui, gelo intorno a lui, gelo era l’unica condizione, l’unica sensazione, tutto ciò che esisteva.
Nonostante tutto si alzò, una mossa dopo l’altra, si sforzò di sentire ogni parte del corpo, di riconoscerle una a una.
Fermo non poteva stare, ma non era neanche in grado di capire se alzarsi e mettersi a camminare avrebbe portato a qualcosa, a qualunque luogo.
Forse, se avesse camminato fino alla morte, avrebbe ritrovato quella parte di cuore persa insieme a Shalon, la parte che più contava del suo cuore…
L'unica che contava davvero.
Si chiese come, fino a quel momento, si fosse illuso che qualcos’altro fosse importante per lui, illuso di aver dedicato spirito e anima alla Dea fino ad annullarsi in lei.
Non contava nulla, persino la Dea era secondaria.
Ogni angolo di quell’universo era secondario, perché era Shalon a illuminare ogni cosa, fosse anche la devozione che condividevano.
Solo lui dava senso a tutto.
“Sono indegno… non valgo come sacerdote… non valgo come uomo, né come guerriero”.
Le parole uscirono in uno sbuffo di nebbia dalle sue labbra, udì la propria stessa voce come fosse un sogno lontano.
Il terreno erboso ricoperto di brina scricchiolava sotto i suoi stivali e ad ogni passo, ad ogni scricchiolio, rispondeva anche il manto di ghiaccio intorno al suo cuore.
Faceva male, perché forse una parte voleva liberarsi da quella trappola di gelo. L’altra, invece, desiderava solo smettere di agonizzare e spegnersi una volta per tutte.
Ogni passo era più pesante del precedente, ogni movimento sempre più stentato, la gabbia di ghiaccio si stringeva intorno a lui, era una morsa che lo faceva annaspare, irrigidiva gli arti, irrigidiva anche i pensieri, se ancora ce n’era qualcuno.
Non si accorse del momento in cui era caduto in ginocchio, si ritrovò così, con le mani prive di guanti affondate nella brina fitta, in un mattino dal clima ancora troppo rigido perché essa potesse sciogliersi.
Poi il suo corpo andò ancora più giù, anche una guancia toccò il suolo, ogni parte del volto era indolenzita.
Percepì alcune gocce leggermente più calde che scivolavano lungo le guance.
Lacrime, forse?
Cosa aveva ancora da piangere?
Quale parte di lui era ancora in grado di farlo?
“Shal…”.
L’ultimo sussurro da labbra che faticavano a muoversi poi, a tutto quel gelo si aggiunse il buio, di nuovo, una nuova notte che inghiottiva il mattino.
E Brysel sognava che quella notte fosse eterna per lui.
 

 
 
“Aiutalo…”.
Le mani di Shalon erano tese verso di lui, in gesto di supplica.
Kalin era certo di trovarsi nel bel mezzo di un sogno, perché Shalon era morto, non poteva essere lì, a parlare con lui.
Eppure, sembrava così reale che Kalin si illuse, per un istante.
Poi quella figura delicata si fece evanescente, ma fino all’ultimo momento gli parve di potergli afferrare le mani.
Prima di scomparire del tutto, il ragazzino supplicò ancora, con gli occhi pieni di lacrime:
“Vai da lui… aiutalo. Io non posso più farlo”.
Gli occhi dell’arciere si aprirono e il freddo di quella mattina invernale lo aggredì in tutta la sua ferocia.
Si avvolse con maggior cura nel mantello, mentre ogni particolare del sogno tornava alla memoria, un frammento dopo l’altro e il cuore era stretto, angosciato.
Il ricordo di quel ragazzino innocente che aveva sacrificato la propria vita per permettere alla loro missione di proseguire… ma non solo.
Nel sogno, Shalon gli aveva chiesto aiuto.
Si sollevò, senza abbandonare il mantello e si guardò intorno, allo scopo di accertarsi che i suoi compagni stessero bene.
Notò subito la mancanza di uno di loro e il cuore già provato ebbe un sussulto.
“Brysel…” mormorò.
Non aveva mai smesso di preoccuparsi per lui, dal momento in cui avevano perso Shalon: il piccolo sacerdote aveva conquistato tutti loro fin dal primo istante, ma con Brysel aveva un legame profondo, che affondava nella loro infanzia.
Brysel, così risoluto in apparenza, così focoso nel difendere i propri ideali, aveva una fragilità e un’insicurezza nell’animo che la perdita di Shalon avrebbe potuto far precipitare a livelli allarmanti.
Scivolò in silenzio fuori dalla grotta, passando accanto ai corpi addormentati di Adel e di Lily, lasciò una carezza sul muso dei cavalli e si guardò intorno.
Furono sufficienti pochi istanti per scorgere la sagoma immobile di Brysel, poco distante, in balia del freddo.
Un sussulto di paura precedette la sua corsa e il suo chinarsi sul compagno, sdraiato in posizione prona, i lunghissimi capelli corvini che si allungavano e si mischiavano con la brina: nero e bianco, in un contrasto che attirò l’attenzione di Kalin, strappandogli un singhiozzo.
C’era qualcosa di incantevole in quelle ciocche color tenebra, punteggiate di cristalli lucenti, come incantevole era il profilo elegante del giovane: la paura che Kalin provò, nel vederlo così immobile, si mischiò ad una sorta di estatico rapimento…
Spaventoso…
Si portò una mano alla bocca, ma si impose di riprendersi, di ritrovare il solito autocontrollo, lui che era la componente razionale del gruppo, i suoi compagni facevano affidamento su questo.
In quel momento si sentiva impotente, perché Brysel era l’immagine della sofferenza, perché quel che avevano passato fino a quel momento era troppo, ancora difficile da credere ed accettare.
Allungò le mani su di lui, con delicatezza lo fece girare, chiamando il suo nome con voce rotta dall’inquietudine.
Gli carezzò il volto, così gelato che i polpastrelli gli fecero male, non sembrava pelle umana, ma ghiaccio puro. Gli mise un braccio intorno alle spalle e lo sollevò, facendogli posare la testa contro il proprio petto.
“Brysel… ti prego…”.
Sapeva che era urgente portarlo al caldo, ma voleva accertarsi che un soffio vitale fosse presente nel suo corpo.
Lo trovò nel cuore che pulsava, nel leggero fiato che sfuggiva alle labbra.
Poi nelle ciglia lunghe, che vibrarono e si schiusero, lasciando intravvedere la patina di confusione degli occhi neri.
“Sia ringraziata la dea” mormorò l’arciere.
“Kal…”.
La voce del sacerdote uscì a stento, ma si spense subito, incrinata dalla debolezza e dal pianto.
Le lacrime risplendevano insieme al ghiaccio lungo le guance.
Kalin trovò, in qualche modo, la forza di sorridergli:
“Cosa combini?”.
Brysel scosse il capo, sembrò voler dire qualcos’altro, ma le labbra si mossero un poco senza poter emettere un suono.
“Buono” sospirò Kalin e si alzò, prendendolo tra le proprie braccia.
Brysel ebbe un tremito, poi l’arciere percepì il suo completo abbandono, mentre nelle sue orecchie risuonarono parole che gli provocarono un brivido lungo la schiena:
“È finita… non posso farcela…”.
“Oh sì che ce la farai, ce la faremo tutti…”.
O si sarebbero persi tutti…
Ma quest’ultimo pensiero, Kalin lo tenne per sé.
   
 
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