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Autore: PerseoeAndromeda    14/11/2022    0 recensioni
“Vieni qui in ospedale, Eren. Armin è stato ricoverato d’urgenza con numerosi traumi”. Non aveva neanche lasciato che il padre finisse l’ultima frase, non volle sapere perché, chi fosse stato, non subito: l’urgenza era raggiungere Armin, vederlo.
Al resto avrebbe pensato dopo.
Reincarnation AU
Genere: Drammatico, Hurt/Comfort, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Armin Arlart, Eren Jaeger, Grisha Jaeger
Note: Soulmate!AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Fanfic scritta per l'Inktober indetto da Fanwriter.it.
Lista: Pumpau
Prompt: Hospital
Titolo: La colpa di amarmi
Fandom: Attack on titan
Personaggi e ship: Eren e Armin
Rating: arancione
Genere: Reincarnation AU, angst, drammatico

 
LA COLPA DI AMARMI


 
Lo sapeva che non avrebbe dovuto correre per i corridoi dell’ospedale, suo padre e le infermiere glielo avevano detto tante volte quando, fin da piccolo, gli capitava di trovarsi sul posto di lavoro del genitore, ma non poteva farne a meno.
Dal momento in cui aveva ricevuto quella telefonata non si era più fermato.
“Vieni qui in ospedale, Eren. Armin è stato ricoverato d’urgenza con numerosi traumi”. Non aveva neanche lasciato che il padre finisse l’ultima frase, non volle sapere perché, chi fosse stato, non subito: l’urgenza era raggiungere Armin, vederlo.
Al resto avrebbe pensato dopo.
Aveva cominciato a correre e si fermò solo quando, con il naso, si trovò quasi a sbattere contro il petto del dottor Yeager che, per una volta, non lo rimproverò.
“Papà!” esclamò, la voce che tremava per l’ansia. “Come sta? Dov’è?!”.
L’uomo scosse il capo, la sua aria preoccupata non sfuggì al ragazzino e un’ondata di panico risalì dallo stomaco, finché il genitore non riprese a parlare:
“Parla a stento, è traumatizzato, ma non ha fatto che invocare il tuo nome, per questo ti ho chiamato. Altrimenti non l’avrei fatto, so che non sarà una vista piacevole e non vorrei ti facesse male”.
“Ma non dirlo neanche!”.
Eren non tollerava quando il padre lo trattava da bimbo da proteggere, non l’aveva mai tollerato neanche quando era davvero piccolo, meno che mai adesso che stava entrando nell’adolescenza e non si considerava affatto indifeso.
Armin era da proteggere e nessuno doveva provare a tenerlo lontano da lui… perché doveva essere lui a proteggerlo, da chiunque e da qualunque cosa.
Grisha Yeager emise un sospiro di rassegnazione: conosceva bene il proprio figlio e si era pentito quasi subito del modo in cui si era espresso.
“Vai da lui allora, ma preparati, perché lo troverai abbastanza malconcio. Respira da solo, ma ha molti segni di violenza in tutto il corpo”.
Eren rabbrividì, strinse i pugni lungo i fianchi, il moto di rabbia fu immediato: i bulli… ancora quei maledetti bulli.
Si fece strada in lui, come uno tsunami, il pensiero che tanto spesso annebbiava la sua mente quando una furia cieca, una rabbia incontrollata, si impossessava della sua emotività:
“Li ucciderò. Li ucciderò tutti!”.
Ogni volta che quella frase risuonava in lui, il suo cuore prendeva a battere con una furia tale che sembrava volergli uscire dal petto e una serie di immagini confuse, che pensava fossero frutto di follia data dall’ira, si materializzavano davanti ai suoi occhi, immagini di distruzione, di morte, che lo portavano a chiedersi:
“Sono così assetato di sangue?”.
Oh, sì, lo era…
Per proteggere chi amava avrebbe distrutto il mondo intero se fosse stato necessario e per quanto destabilizzante fosse una tale idea.
Quasi sapesse cosa si provasse a distruggere il mondo…
Quasi gli bastasse pensarlo per immaginare un mondo completamente raso al suolo da lui…
Con solo lui ed Armin, allacciati in un disperato abbraccio, dispersi in mezzo al nulla che lui stesso aveva creato.
Loro due…
E una conchiglia solitaria.
Strinse gli occhi, per cacciare quella nebbia e quelle immagini che tanto spesso lo estraniavano da ciò che lo circondava.
“Devo vederlo” mormorò con voce rotta. “Fammi andare da lui, ti prego, papà”.
Non riusciva a guardare in volto il padre, ma udì il suo sospiro, seguito dalla risposta: “Va bene. Vieni con me”.
Gli mise il braccio intorno alle spalle e lo guidò fino ad una stanza in cui c’era un solo letto che accoglieva un corpo minuto, il cui pallore si confondeva con il candore delle lenzuola. Era attaccato a diversi macchinari che emettevano suoni meccanici e regolari e, nel braccio scoperto, era inserita una flebo che rilasciava lentamente la soluzione medicinale.
Non era intubato e questo rassicurò Eren che, a passi incerti, si avvicinò, non senza timore per quel che avrebbe visto.
Armin era immobile, gli occhi chiusi e sulla pelle bianca del viso spiccavano ematomi e sangue raggrumato, sulla fronte e sugli angoli delle labbra. Un occhio era gonfio e lo zigomo al di sotto di un colore misto tra il nero e il viola.
Lo avevano spogliato per poter curare tutte le ferite e il lenzuolo era tirato su fino all’addome, non nascondeva del tutto i bendaggi che gli ricoprivano il petto e, probabilmente, anche altre zone del corpo.
“Ma cosa ti hanno fatto?” pensò Eren.
Fin dove si erano spinti, questa volta?
Era stato picchiato, preso in giro, bullizzato così tanto spesso che aveva perso il conto, ma mai ne era uscito in quello stato.
La mano del padre che si riposò sulla sua spalla fece sussultare Eren, perché in quel momento, per lui, non esisteva nient’altro, nessun altro se non quella figurina immobile e dilaniata da una crudeltà che non riusciva ad immaginare.
Anzi…
Ci riusciva…
L’aveva vissuta…
La conosceva…
Armin l’aveva vissuta, lui l’aveva vissuta, avevano vissuto tutto l’orrore dell’universo… “Vissuto e perpetrato” risuonò dentro di lui quel messaggio incomprensibile.
Eren si morse il labbro inferiore.
“Cosa abbiamo fatto di male?” si chiese.
La risposta dentro di lui venne immediata, così chiara da farlo tremare:
“Sei stato la distruzione, sei un mostro… lo sarai sempre. Lo sarete sempre”.
Sgranò gli occhi, cercò il volto inerme di Armin, scosse il capo, si divincolò dal tocco del padre e corse deciso verso il letto. Cadde in ginocchio e pose le mani sul braccio scoperto di Armin, controllando a stento l’istinto di afferrarlo e stringerlo forte.
Riuscì, invece, a fare attenzione anche alla flebo.
Le sue labbra si schiusero, uscirono parole in un soffio leggero, alle quali non trovava un senso ma che, lo sentiva nel profondo, di senso ne avevano eccome:
“Lui no… lui non ha colpa di niente… lui ha avuto sempre solo la colpa di amarmi…”.
 
   
 
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