Questa
storia appartiene alla serie Someone
you loved.
Credo che per capirla sia necessario leggere le os precedenti.
Ho
dato per scontato una cosa e non avrei dovuto, vi chiedo scusa. Qua siamo due
anni dopo gli avvenimenti che accadono in Battlefield
ma
è un universo a parte. Non è che succede una cosa qua, allora è
automatico che sia così anche là.
Vi
prego, vi supplico, se leggete anche Condannati,
prima passate da quella minilong, onde evitare spoiler.
Non
riesce a fare a meno di sbattere le palpebre, sconcertata, prima che
un sorriso spontaneo le nasca sulle labbra nel momento in cui lo vede
avvicinarsi.
E
poco importa se si trovano in un corridoio affollato del Castello,
dove gli studenti sciamano per recarsi alle lezioni successive,
perché attualmente dell'opinione altrui le importa meno di nulla.
«Ehi»
la saluta Lance, spiccio, il viso indecifrabile, anche se gli occhi
azzurri sono baluginanti di divertimento. «Possiamo parlare?»
chiede distaccato, puntando le iridi con eloquenza alla sua destra.
«Perché?»
pretende di sapere Scarlett, indispettita per aver compreso, senza
troppe difficoltà, di essere ritenuta di troppo. «Domi non ha nulla
da dire a uno come te» sostiene denigratoria, alzando il mento con
spavalderia.
Lei
non fa nemmeno in tempo ad aprire bocca che l’altro rotea gli occhi
con palese insofferenza.
«Sei
talmente insignificante che non mi ricordo neppure il tuo nome»
afferma spietato, fissandola dall’alto in basso – e, vista la sua
altezza, se lo può permettere – con compatimento. «Se hai finito
di starnazzare, vai a farti un giro» le consiglia brutale, con un
tono che pare quasi un comando.
L’amica
boccheggia, sconvolta da tanta villania.
«Ti
raggiungo dopo» si inserisce Dominique, svelta, approfittando di
quella pausa. «Ci vediamo a Erbologia» taglia corto, ignorando lo
sguardo allucinato e tradito dell’amica e facendo cenno al
Serpeverde di seguirla.
Solo
dopo che ha chiuso la porta dell’aula in disuso nella quale hanno
trovato rifugio e lanciato un Muffliato
per
evitare che qualche studente impiccione –
e
a giudicare dalle occhiate che si è sentita addosso, deve essere più
di uno –
origli
la loro conversazione, si volta a fronteggiarlo in faccia con le
braccia incrociate al petto e un’espressione di pura sufficienza
sul viso.
«Sai
che sei uno stronzo?» si premura di fargli notare, spassionata,
senza provare nemmeno un briciolo di rabbia.
Ormai
si è abituata a quei modi da buzzurro.
Lance,
che ha appoggiato la tracolla e il fondoschiena alla cattedra,
incarna le sopracciglia con scetticismo.
«Se
la tua amica non sa incassare le pugnalate, che eviti di cercarsele»
stabilisce implacabile, per nulla pentito, e forse –
e
sottolinea forse
–
un
po’ ha anche ragione.
«Beh,
perché mi hai cercata?» chiede lei, incuriosita.
Un
sorriso beffardo piega le labbra dell’altro.
«Paura
che la tua reputazione venga rovinata?» provoca sarcastico.
«Idiota»
lo apostrofa bonaria, soffocando una risata in uno sbuffo. «Me lo
dici o no cosa vuoi?» insiste cocciuta, senza però alcuna traccia
di veleno nella voce.
«Sai,
dovresti smetterla con questa recita» consiglia lui, sereno,
fissandola dritta in faccia e con ancora con quel sorriso sul viso.
«Perché si vede lontano un miglio che non sei infastidita» osserva
deliziato.
Dominique
scrolla le spalle, placida.
«E
chi vuole nasconderlo?» butta fuori con naturalezza, anche se il
cuore ha iniziato ad accelerare i battiti.
Lance
rimane per un momento in silenzio, preso in contropiede, prima di
inclinare con fare meditabondo il capo.
«Perché
ieri mattina sei scappata dal mio letto?» domanda a bruciapelo, gli
occhi appena socchiusi e l’espressione seria.
Lei
sussulta, colta alla sprovvista e avvampando per la vergogna al
ricordo di quello che è successo.
«Avevo
lezione» farfuglia agitata, incespicando con le parole.
Lui
indica un sopracciglio.
«Alle
sei del mattino?» sottolinea scettico.
Strofina
il viso contro il cuscino, la luce che delle fiaccole della stanza –
ne hanno lasciata accesa qualcuna? –
che inizia lentamente a farsi strada attraverso le palpebre.
Dominique
si porta una mano sugli occhi, stropicciandosi prima di sollevare le
ciglia. Rimane un attimo perplessa di trovarsi in una camera così
diversa dal Dormitorio di Grifondoro e da quella che occupa a Villa
Conchiglia, ma quando si accorge del braccio che le circonda la vita,
stringendola in una morsa confortante, un sorriso spontaneo le piega
le labbra.
Sentire
il suo respiro regolare tra i capelli e saperlo lì, proprio accanto
a lei, le provocano un moto di selvaggia gioia, che scaccia via
immediatamente ogni rimasuglio del torpore del sonno.
Ben
decisa ad aspettare il suono della sveglia, così da gustarsi quel
momento fino alla fine, si raggomitola meglio sul fianco. Vorrebbe
rimanere immobile ma non riesce a reprimere la tentazione di
abbassare la mano destra fino alla sua anca, sfiorando quella
dell’altro in una carezza lenta e delicata.
Lance
mugugna infastidito, muovendosi appena a causa di quel contatto che
sembra quasi svegliarlo. Forse lo fa per riflesso, senza nessuna
ragione in particolare, ma quando quella stretta diventa più salda,
quando la stringe ancor di più sé, facendola aderire meglio al suo
petto, lei non riesce proprio a trattenere un sorriso delizioso.
È
solo quando sente qualcosa contro i suoi glutei, una pressione
significativa, che si ritrova la gola secca, assetata di una strana
voglia, il respiro che diventa irregolare e un desiderio, che credeva
aver dimenticato, scivolare sottopelle, rendendo elettrico e smanioso
ogni suo singolo nervo.
«Allora?»
riprende lui, testardo, spezzando quel ricordo e ricatapultandola al
presente. «Me lo dici o no perché te ne sei andata?» continua
paziente, imitando la domanda che gli è stata rivolta poco prima.
Dominique
deglutisce, nervosa, prima di ripararsi dietro a un’espressione
algida.
«Sei
troppo curioso, Rosier» decreta velenosa, in difficoltà.
Lance
si lascia sfuggire un sorriso svagato.
«Per
niente, altrimenti avrei insistito per sapere che cosa dovevi dirmi a
Hogsmeade» ribatte concreto, chiudendo un attimo le palpebre con
eloquenza e facendola arrossire di nuovo se ripensa al disastro che è
stata l’ultima gita. Che poi, ad essere oneste, non è che volesse
dirgli questo granché. Voleva solo supplicarlo
di
tornare, nulla di troppo compromettente. Sì, come no. «Non si dica
che non sappia essere misericordioso» termina quasi commosso da
tanta generosità.
«Tu
e misericordioso proprio non potete stare nella stessa frase»
sottolinea lei, aspra, storcendo il viso in una smorfia infastidita.
Lui
ridacchia – chissà che cosa ci trova di così divertente nel
sentirsi dire che è un infame –, prima di voltare il busto per
cercare qualcosa nella sua borsa. Con la mano destra le fa cenno di
avvicinarsi e Dominique, spinta da una curiosità morbosa e
potenzialmente letale, lo asseconda, fermandosi solo quando è un
passo dall’altro.
Si
ritrova a strabuzzare gli occhi, sbalordita, quando lo vede chiuderle
un braccialetto d’argento al polso.
«Che
cos’è?» chiede smarrita.
«La
soluzione provvisoria alle tue visioni» spiega Lance, spiccio,
portandosi le mani in tasca e tornando ad appoggiarsi alla cattedra.
«Non le blocca tutte ma almeno limiterà gli attacchi di panico» la
mette in guardia, secco.
Lei
guarda meravigliata quel ciondolo a forma di rosa che pende da quel
freddo cerchio di metallo, dove sono incise delle piccole rune che
non conosce.
«È
di famiglia?» ipotizza interessata.
«È
in prestito» precisa lui, scoccandole una lunga occhiata eloquente.
«E torna indietro» stabilisce irremovibile.
Dominique
aggrotta la fronte, confusa.
«E
perché me lo stai dando?» domanda piano, tornando a studiare il
gioiello.
Lance
sbuffa, seccato.
«Detesto
essere in debito» si costringe a dire, scocciato.
«Guarda
che non l’ho fatto per ricevere qualcosa in cambio» mette in
chiaro lei, precipitosa, facendogli spalancare gli occhi azzurri. «E
non ero sicura che ti calmasse, anche se di solito aiuta avere
qualcuno vicino» blatera un po’ a casaccio, imbarazzata dal
ricordo di averlo avuto così vicino.
È
sciocco, se ne rende conto, ma le è piaciuto un sacco sentirlo
rilassarsi in quel abbraccio, anche se questo ha comportato venire a
patti con se stessa e ammettere che prova qualcosa di più che
semplice attrazione fisica.
E
dopo la sera dell’attacco di panico, è certa di essere andata
oltre i limiti di quella che credeva una semplice cotta.
Il
livello di Etienne non lo ha ancora raggiunto,
le
fa notare la sua ragione, rassicurandola. Stai
calma, per ora sei in salvo. Evita solo di fartelo piacere di più e
ci arrivi viva a Natale!
«Parlavo
della bugia che hai rifilato agli Auror, non di quello che è
successo quella notte» puntualizza quello,
la
sua cotta non cotta,
distaccato, studiandola con quello che pare sincera preoccupazione,
come se si trovasse di fronte a una pazza. Il che, fatto intendere da
lui, è il colmo! «Per quanto riguarda il mio incubo, credo di aver
già compensato con quello che è successo l’altra sera. Quindi ero
sotto di un favore» conviene pratico, assolutamente convinto di
quello che dice. «Ma te ne concedo un altro, se proprio lo desideri»
offre generoso.
A
Dominique sembrano le farneticazioni di un folle.
«Allora
posso chiederti tutto quello che voglio?» domanda speranzosa, nel
momento in cui si riprende, sfoderando un ghigno che non promette
nulla di buono.
«Ora
non esageriamo» replica Lance, sereno, azzardando persino un sorriso
di divertimento. «A meno che tu non mi supplichi di scopare – e,
credimi, sarei ben felice di accontentarti –, il numero dei tuoi
desideri è alquanto limitato» provoca amabile, quasi fosse un
sforzo.
Lei
sorride dolce, come se fosse davvero dispiaciuta per quell’illusione
al quale l’altro crede ciecamente.
«Scopare
con te sarebbe un mio desiderio?» ripete beffarda, giusto per fargli
capire quanto sia ridicola quella convinzione.
Lui
la fissa con eloquenza, inarcando le sopracciglia.
«Devo
proprio ricordarti cosa stava succedendo nella capanna di
quell’idiota?» chiede morbido, alludendo alla volta in cui hanno
passato il pomeriggio nella casa di Hagrid, ricambiando il sorriso.
«Ti
prego, sì» implora melliflua. «Così potrò farti notare che ti ho
fermato» sottolinea sferzante, con chiaro compiacimento.
«E
sei rimasta incazzata per tutto il tempo» ritorce Lance, realistico,
riempendosi i polmoni in seguito a un sospiro di indulgenza. «A
volte ti saboti da sola. Che hai?» indaga accorto, nel momento in
cui la vede cambiare espressione.
Dominique,
i lineamenti del volto divenuti rigidi, si inumidisce la bocca.
«Puoi
insegnarmelo?» pigola ansiosa. «Quello che hai fatto nell’aula
del club» precisa davanti allo smarrimento del Serpeverde,
riferendosi all'episodio relativo all'attacco di panico. «Potrebbe
aiutarmi nel caso avessi un’altra visione» sostiene risoluta.
Lui
rimane immobile, serio.
«Così
smetteresti di avere paura di te stessa?» deduce acuto.
Non
è facile quando gli altri ti sbattono in faccia una verità che hai
sempre voluto negare. Specie se lo fanno senza un minimo di tatto,
anche se non con cattive intenzioni.
Lei
si ritrova ad annuire con il capo.
«È
Occlumanzia?» ipotizza esitante.
«Nah,
è molto più facile» assicura Lance, lieve. «Anche se richiede
autocontrollo e tanto esercizio per ottenere un risultato concreto»
decreta ferreo, lanciandole uno sguardo significativo. «E io non
sono per niente morbido come maestro» aggiunge, poi, tornando a
sorridere beffardo.
Non
puoi essere peggio di Teddy…
«Non
avevo dubbi» sbuffa Dominique, fingendosi contrariata. «Allora, ci
stai?» domanda seria, con un velo di apprensione nella voce.
Lui
esita una manciata di istanti, riparandosi dietro a una maschera
indecifrabile che le fa seriamente temere un secco rifiuto.
«Questo
weekend» risponde, infine, magnanimo. «Vedi di riposarti: non avrò
pietà nemmeno se dovessi presentarti moribonda» avverte chiaro,
arricciando le labbra in un sorriso deliziato nel pregustare la
tortura alla quale, già lo sa, la sottoporrà.
«Devo
trovare il modo per inibirle la Vista»
dichiara suo cugino, deciso, le mani appoggiate ai lati del lavandino
e la testa china a fissare ossessivamente la ceramica linda, dopo
essere tornato in Dormitorio in seguito alla notte che ha passato
chissà dove. Con chi, non ha nemmeno bisogno di chiederlo. «Se
vede qualcosa, va tutto a puttane»
continua in un sibilo, talmente basso e gelido, che gli fa
accapponare la pelle per la paura. «Come
faccio? Come cazzo
faccio?»
espelle con forza, la rabbia che gli fa tremare la voce.
Jude,
la schiena appoggiata al muro e le braccia conserte, si passa la
lingua sulle labbra, cercando di prendere tempo e ragionare su una
possibile soluzione. Di riflesso, una constatazione futile gli viene
in mente: è un po’ stufo di pianificare piani malvagi nel bagno
del Dormitorio del Settimo Anno di Serpeverde.
Ma
è anche vero che pure Salazar aveva una predilezione per questi
ambienti. Okay cercare posti discreti ma… che tristezza!
Lance,
nel frattempo, si è trincerato dietro un mutismo ostile e
sanguinario, e non ha dubbi che nella sua testa siano partite una
sfilza di maledizioni in tedesco da far inorridire addirittura zia
Joanne.
Che
non è esattamente una che si scompone per poco.
È
proprio vero che ha lo stesso caratteraccio dello zio,
pensa
quasi con rassegnazione, alludendo al capofamiglia dei Rosier.
Ci
credo che si scontrino ogni due per tre: sono entrambi delle teste di
cazzo!
«I
diari di Evan non dicono nulla a riguardo?» si informa efficiente.
L’altro
scuote il capo, alzando lo sguardo quanto basta per incrociare le sue
iridi azzurre e furiose nel riflesso dello specchio.
«Né
Evan né Julian erano Veggenti» risponde meccanicamente, senza
nemmeno pensarci. Poi aggrotta appena la fronte, drizzando ancor di
più la schiena e assumendo un’espressione allucinata. «Ma lo era
Vinda» ragiona svelto, facendo scattare le rotelle del cervello
Gli
sembra quasi di vederle roteare furiose alla ricerca di una
soluzione.
«E
questa è una buona notizia, perché?» indaga Jude, lentamente,
cercando di raccapezzarsi da quel ragionamento apparentemente senza
senso.
«Chi
credi abbia reso Julian tanto spietato?» replica Lance, sarcastico,
voltando la testa nella sua direzione e sfoderando un sorriso
gongolante.
«Madre
natura?» tenta lui, genuino.
Suo
cugino, una volta aver drizzato la postura, lo fissa quasi con
compassione.
«Anche»
concede indulgente, con un tono studiato apposta per irritare a
morte. «Ma lei ha fatto in modo di enfatizzare questo aspetto. E
sicuramente lui la conosceva abbastanza per sapere ciò che ci
occorre sulle visioni» deduce sicuro, con una luce di puro trionfo
nelle iridi azzurre.
«Non
faccia un altro passo, Madama, o mi metto a urlare» promette
Galahad, con enfasi e piglio convinto, la mano aperta di fronte a sé,
per sottolineare meglio quell’ordine.
La
donna sbuffa, innervosita, prima di notarlo e graziarlo con
un’occhiata di sollievo.
«Davvero
virile» commenta lui, derisorio.
Suo
fratello di volta di colpo, lasciandosi sfuggire un sorriso grato nel
saperlo lì in quel posto infernale che è l’Infermeria della
scuola.
«Lance!»
esclama giulivo, contento oltre ogni dire. «Di' a questa arpia di
tenere le sue zanne lontane dal sottoscritto. Ti autorizzo a usare la
forza, se necessario» concede veemente.
Inarca
le sopracciglia, scettico.
«Tu
mi
autorizzi?» ripete sarcastico, fissandolo con compatimento.
Galahad
scrolla le spalle ma si guarda bene dall’abbassare la bacchetta che
ha sfoderato.
«Beh,
sembrava molto figo» sostiene lieve ed è quasi strabiliante che
quando è terrorizzato a morte, abbia il coraggio di tenergli testa.
Anche se il miracolo dura solo una manciata di minuti, prima di
tornare a esibire i soliti modi da coniglio. «Posso farlo anche da
solo, nel caso. Occhio, che non ho pietà per gli anziani» la mette
in guardia bellicoso, scoccando uno sguardo malevolo all’infermiera.
«Signor
Rosier sto perdendo la pazienza!»
«Lo
dice a me? Sono costretto a sopportarlo da quasi tredici anni»
replica Lance, scornato, roteando gli occhi. «Può concederci due
minuti?» tenta cordiale. Solo dopo che si è allontanata,
rintanandosi nel suo gabbiotto, l’altro abbassa la bacchetta,
facendo però attenzione a non mostrare la schiena a quella che
considera un nemico. «Allora, qual è il motivo di questo dramma?»
chiede tollerante, sforzandosi di non sembrare scocciato per essere
stato chiamato lì dal Patronus di Madama Chips durante la pausa
pranzo.
«La
vecchia malefica
vuole
pugnalarmi con una diavoleria Babbana!» illustra Galahad,
contrariato e intenzionato a vendere cara la pelle.
Lui
aggrotta la fronte, perplesso.
«Credevo
che quello fosse il soprannome di zia Joanne» riflette meditabondo.
«Lo
è» conferma l’altro, gongolando divertito. «Ma tanto lei non lo
sa» assicura certo, credendosi tanto furbo.
«Lo
sa, ecco perché storce il naso ogni volta che ci vede» lo
contraddice implacabile, scuotendo il capo per il livello di idiozia
che è costretto a sentire. Sì, lo ha inventato lui. Una vita fa,
quando c’era ancora Bohort. Scaccia via quella riflessione penosa –
pensare all’altro gli suscita una serie di emozioni che lo mettono
sempre in difficoltà – e socchiude appena le palpebre, le iridi
azzurre che si fanno improvvisamente gelide. «È il controllo di
routine? Perchè se è così, lo fai e basta» stabilisce
inflessibile.
«Col
cavolo!» strepita suo fratello, determinato, ed è la paura che
parla. «L’altra volta mi ha prelevato anche del sangue. Se lo
scorda che le permetto di rifarlo» afferma combattivo, serrando la
mascella.
«Gal,
non farmi incazzare» lo apostrofa Lance, tagliente. «Non è un
gioco. Evan ci ha rimesso la vita per questa malattia».
Lo
vede sbatacchiare le palpebre, smarrito.
«Credevo
che fosse stata colpa di Malocchio» azzarda il ragazzino, confuso.
«Ma
figurati!» replica insofferente, seccato da quell’ipotesi idiota.
«Ha solo avuto la fortuna di trovarsi al posto giusto al momento
giusto. Se Evan fosse stato in forma, non si sarebbe limitato a
mutilarlo» sostiene crudele, prima di sfoderare la bacchetta dalla
tasca del mantello.
Galahad
sbarra gli occhi, terrorizzato a morte.
«Nessuno
mi ha chiesto se voglio farlo» starnazza concitato, mosso dalla
disperazione per la consapevolezza che in uno scontro magico avrà
sicuramente la peggio.
Lance
chiude per un momento gli occhi, teatrale, al limite della
sopportazione.
«Lo
vuoi fare?»
«No!»
«Fa
niente, lo fai lo stesso» dichiara secco, troncando sul nascere
qualsiasi replica e stufo di quelle scenate inutili che rischiano di
provocargli un malditesta. Salazar, che deficiente! «Ingenuo di
merda» infierisce brutale, quasi nauseato da quella mancanza di
riflessi pronti, dopo avergli lanciato un Incarceramus
non
verbale, legandolo in strette corde e rendendolo completamente
innocuo.
Gli
evita di sfracellarsi al suolo, facendolo fluttuare fino a un letto
libero.
«No,
Lance, ti prego» supplica Galahad, stridulo, dando prova dei suoi
ottimi polmoni e raggiungendo quasi il livello degli ultrasuoni. «Ti
giuro che sto bene! Non permetterle di uccidermi!» squittisce con
foga, agitato, cercando di liberarsi dalla prigionia.
Con
il senno di poi, era meglio utilizzare un Petrificus
totalus.
Almeno
stava zitto.
«Proceda»
concede lui, insensibile, rivolgendosi all’infermiera che, dopo
aver assistito a quella patetica tragedia, li ha raggiunti ed
esibisce una vaga espressione soddisfatta.
«QUESTA
NON È GIUSTIZIA!» strilla suo fratello, spaventato a morte, prima
di impallidire e svenire nel vedere l’ago della siringa, la testa
che stramazza sul cuscino dopo aver emesso un gemito strozzato.
Lance
si porta una mano davanti agli occhi, scuotendo il capo con
rassegnazione nel rendersi conto, ancora una volta, di condividere
parte del patrimonio genetico con uno smidollato.
Manco
Parsifal fa tutte quelle scene quando si sottopone alle visite per
accertarsi di non aver lo stesso problema alle ossa che ha colpito
sia Evan che vati.
Galahad
è imbarazzante. Il nonno si starà rivoltando nella tomba…
«Non
dirai a nessuno quello che c’è qui dentro» ordina vati,
autoritario, mentre gli stringe la mano in una morsa confortante,
prima di aprire la porta della soffitta.
Immediatamente
le fiaccole alle pareti si accendono, scacciando via l’oscurità
dalla stanza nella quale sono appena entrati.
Lance
sbatte più volte le palpebre, confuso, nel trovarsi in un ambiente
rettangolare, dal pavimento di legno scuro, e sprovvisto di quadri
alle pareti. Sembra uno dei tanti locali di Rosier Castle, come la
Biblioteca, tanto è abituato a quel mobilio scuro.
Lasciata
la presa del genitore, si avvicina curioso ad osservare meglio uno
dei tanti mobili che ingombrano la stanza, un tavolo nel quale una
lastra di vetro impedisce di toccare ciò che è deposto sotto.
Alzandosi sulle punte dei piedi e allungando il collo, si ritrova a
fissare una serie di bacchette.
Hanno
lunghezze e caratteristiche diverse
– alcune sono totalmente sprovviste dei nodi nel legno – ma sono
tutte scure.
«Quella
era di Julian» esordisce l’uomo, pacato, alle sue spalle,
indicandone una. Poi probabilmente si accorge che il suo sguardo è
preso a contemplarne un’altra, affusolata e tendente al nero. «E
quella di Evan» afferma asciutto.
Lui
schiude le labbra, sorpreso, prima di voltarsi a guardare l’altro
in faccia.
«Credevo
che quella di Evan fosse andata perduta durante lo scontro con
Malocchio» sostiene dubbioso, corrugando la fronte nel ricordare le
informazioni che ha letto sui libri di storia.
«Infatti»
assicura vati,
spassionato, prima di incurvare le labbra in un sorriso complice. «Lo
credono tutti. Quello che la gente ignora è che è sempre rimasta
nelle mani di tua nonna» spiega morbido, a bassa voce, abbassando
per un momento le iridi scure e irrigidendo i lineamenti del volto.
«Mama
ha creato questa stanza dopo il termine della Prima Guerra Magica,
quando anche le perquisizioni sono cessate. Qua dentro ci sono i
cimeli e gli oggetti di tutti i Rosier che ci hanno preceduto»
racconta tenue, accarezzando l’intero luogo con lo sguardo. «E un
giorno ci saranno anche i miei» termina sibillino, alludendo a
qualcosa che non lui capisce, prima di tornare a sorridere. «Quello
che c’è qui dentro, è tuo quanto mio» decreta genuino.
Lance
sgrana gli occhi azzurri.
«Davvero?»
domanda emozionato, fremente d’entusiasmo.
Vati
annuisce.
«Se
rispetterai le regole» lo mette in guardia, intransigente. «Nessuno
dei tuoi fratelli sa di questo posto e non lo sapranno mai. Nemmeno
mause»
chiarisce inflessibile, lanciandogli un’occhiata significativa e
facendogli capire di tenere la bocca chiusa con il fratello.
«Eredità
tra primogeniti?» spia lui, intrigato.
«Se
vuoi definirlo così» concede l'altro, spassionato, scrollando le
spalle. «La verità è questo segreto devo rimanere sepolto tra le
mura di Rosier Castle. A nessuno piace ricordare la guerra o quello
che ha fatto la nostra famiglia,
häschen»
chiarisce duro, fissandolo dritto negli occhi. «Joanne ti ha parlato
di Evan» aggiunge incerto.
Lance
annuisce con il capo.
«So
quello che ha fatto» afferma compito.
«Ne
dubito» lo contraddice vati,
amaro. «Ma va bene così: sei ancora troppo piccolo per queste cose»
taglia corto, scostando lo sguardo.
Lui
aggrotta le sopracciglia, confuso, prima di essere attratto dalla
libreria che occupa gran parte delle tre pareti.
Si
avvicina incuriosito – superando un tavolo dove sono deposti una
serie di oggetti, tra cui un bracciale con un ciondolo a forma di
rosa –, osservando quei tomi rilegati in pelle e cuoio e affollano
gli scaffali. Allunga la mano destra, facendo scivolare i
polpastrelli sulle copertine dei libri.
«Sono
di Evan?» domanda interessato, voltandosi all'indietro.
«Alcuni»
conferma l'altro, neutro, fermo accanto a quei tavolo. «Altri sono
di mama,
Vinda, Julian… anche se i suoi sarebbe corretto definirli più dei
grimori» puntualizza accorto, storcendo il viso in una smorfia
pensierosa.
Lance
si illumina, le iridi azzurre baluginanti di entusiasmo.
«Tu
li hai letti?» indaga allegro.
«Non
tutti».
«Perché?»
Vati
scuote la testa.
«Ci
sono cose che preferisco non sapere» rivela criptico.
«Posso
prenderlo?» domanda lui, prendendo un diario. Lo apre, facendo
attenzione a non stropicciare i fogli. 17 novembre 1969, recita la
data riportata sulla prima pagina in una calligrafia ordinata.
«Vorrei leggerlo» confessa intrigato.
Suo
padre si avvicina, leggendo da sopra il suo capo quello che c'è
scritto sul diario.
«Quello
sì» concede benevolo. «Gli altri li avrai quando sarai più
grande» dichiara fermo.
Lui
socchiude appena le palpebre, perplesso, chiedendosi il perché di
quella restrizione.
Di
riflesso gli viene in mente un frammento di conversazione che ha
udito tra il genitore e la zia Joanne.
Chiude
il diario, portandoselo al petto, per poi assumere un'espressione
circospetta.
«Lo
hai perdonato?» chiede con tutta la naturalezza di un bambino di
nove anni.
Vati
strabuzza
gli occhi scuri, dischiudendo anche la bocca per la sorpresa.
Tentenna qualche istante, prima di piegare le labbra in una linea che
esprime solo tristezza.
«Non
c’è mai stato nulla da perdonare, häschen»
mormora basso, accarezzandogli i capelli corvini con affetto.
«Da
quanto lo vedi?»
«Si
può sapere che ti importa?»
«Mi
importa» afferma Scarlett, risentita a morte, una volta che sono da
sole nel Dormitorio di Grifondoro, dopo il pranzo. Durante il pasto
le ha fatto cenno di essere rapida a mangiare, perché non aveva
nessuna intenzione di rimandare ulteriormente quella guerra che
scoppierà da un momento all’altro. «Perché noi non frequentiamo
quelli come lui!» sentenzia inesorabile.
Dominique
inarca le sopracciglia, quasi incredula.
«Noi?»
ripete velenosa, socchiudendo appena le palpebre. «Da quando
pensiamo come un’unica persona?» indaga sgarbata, inclinando il
capo di lato così da studiarla meglio.
«Lo
sai cosa intendo» ribatte l’amica, con foga, a un passo da lei.
«Sai quello che la sua famiglia ha fatto alla mia» continua
nauseata, raccapricciata da quella mancanza di sensibilità.
Lei
scuote il capo, lasciandosi sfuggire un sorriso incredulo.
«Quindi
dovrei odiarlo perché quasi cinquantanni fa suo nonno ha ammazzato
il tuo?» replica secca, giusto per assicurarsi di aver capito bene.
Scarlett
scuote con veemenza il capo, sconvolta per quello che ha appena
sentito.
«No,
perché dovrebbe farti schifo
aver
accanto uno che crede ancora in tutte quelle sciocchezze legate al
sangue» precisa piccata, sgranando appena gli occhi per l’enfasi.
«Avanti, dimmi che non è vero! Che non è un Purosangue snob e
fiero di esserlo!» la sfida belligerante.
«Nemmeno
lo conosci» ringhia Dominique, astiosa, sulla difensiva.
«Perché,
tu sì?» rilancia l’altra, acida. «Domi, posso pure capire che tu
abbia ceduto alla tentazione di divertirti con uno della sua razza
ma…» si blocca, scombussolata, boccheggiando. «Proprio Rosier?
Andiamo, potevi scegliere di meglio!» sostiene impietosa,
scoccandole un’occhiata delusa.
Lei
serra la mandibola, furiosa.
«Sai,
Scarlett, non so se essere inorridita o disgustata da questi
discorsi» afferma caustica.
«Il
che mi sorprende» ritorce l'altra, beffarda e tagliente. «Perché,
poco tempo fa, erano anche i tuoi,
di discorsi» rinfaccia indelicata. «Si può sapere cosa ti prende?
Perché lo difendi?» indaga aggrottando la fronte con il chiaro
intento di capire.
Dominique
rotea gli occhi al cielo, cercando di racimolare pazienza.
«Perché
Lance non è Evan» spiega come se fosse qualcosa di ovvio. «Non
puoi incolparlo per quello che ha fatto un suo familiare» continua
razionale.
Scarlett
si lascia sfuggire una risata che di divertita non ha nulla.
«No,
ma a quanto pare basta a te per scagionarlo» sottolinea delusa.
«Scagionarlo?»
ripete lei, sbigottita, iniziando seriamente ad alterarsi. «Da
quando sarei il Wizengamot?» pretende di sapere brutale.
«Ora
non fare la finta tonta!» esclama l'amica, altrettanto agguerrita,
alzando il tono della voce. «Sappiamo entrambe che non ti sei mai
risparmiata dal pronunciare giudizi. Lo hai fatto anche con Mason»
ritorce inesorabile, per nulla intenzionata a cercare la tregua. «Mi
chiedo perché Rosier sia tanto diverso» pensa ad alta voce,
incapace di capire qualcosa di estremamente semplice.
Dominique
stringe le labbra, giusto per soffocare la replica al vetriolo che
preme per uscire. Si limita ad assumere un'espressione di pura
alterigia, intenzionata a imboccare la porta del Dormitorio e
troncare lì la discussione.
«Senti»
la blocca Scarlett, insistente, afferrandola per un braccio così da
impedirle la fuga. «Posso capire che il cliché del cattivo ragazzo
sia intrigante ma…» si ferma un momento, così da pensare
accuratamente alle parole da pronunciare. «Rosier è solo il figlio
di una società orribile e sbagliata. Non c'è nulla di buono in lui,
nulla che valga la pena di conoscere» termina certa.
Lei
si libera con uno strattone brusco, il volto livido e le iridi
azzurre dardeggianti di collera.
Non
è vero,
vorrebbe
urlare a gran voce, rievocando nella mente l'immagine del viso di
Lance quella notte, la sua pelle pallida e sudata, lo sguardo
allucinato e il respiro spezzato.
Io
l'ho visto, quello che nasconde dietro il gelo e il sarcasmo.
«Non
sono un esperto» ammette Julian, lapidario, al termine del racconto.
Storce le labbra in una smorfia pensosa, distogliendo per un momento
lo sguardo da loro. «Oltretutto so che esistono diversi tipi di
Veggente» riflette ad alta voce, meditabondo.
«Lei
ha delle visioni» rivela Lance, distaccato, seduto sul baule di
fronte e riattirando l’attenzione dell’altro. «Non ho idea di
quanto siano precise ma non formula delle profezie» sostiene
scornato, infastidito da quelle poche e vaghe informazioni che hanno
a loro disposizione.
Vede
entrambi accigliarsi, ugualmente seccati.
«Non
esiste un modo per bloccarle?» domanda Jude, incuriosito, le braccia
incrociate e appoggiato contro la colonna del letto a baldacchino
accanto al cugino.
Lo
zio scuote la testa, contrariato.
«È
un potere strano, apparentemente senza logica» commenta inesorabile,
piegando le labbra verso il basso. «Molto spesso nemmeno il
possessore ha il pieno controllo. Tuttavia» riprende laconico,
notando lo sconforto che è calato nel Dormitorio di Serpeverde.
Lance, nella sua testa, probabilmente ha ripreso a imprecare in
tedesco, vista l’espressione sanguinaria che sfoggia. «Esiste un
oggetto conservato in soffitta» continua enigmatico, puntando gli
occhi sul nipote e dicendo qualcosa che probabilmente solo loro
possono capire. «Un bracciale rigido d’argento, con una serie di
rune sulla superficie del metallo e un ciondolo piatto a forma di
rosa con cinque petali. Tuo padre te lo avrà mostrato» osserva
noncurante.
Suo
cugino annuisce, socchiudendo appena gli occhi azzurri.
«È
così» conferma distaccato, senza mascherare il disorientamento.
«Vinda
diceva che quel manufatto è in grado di assecondare le intenzioni di
chi lo indossa» riprende Julian, monocorde. «Permette di vedere
meglio,
se si vuole vedere,
così come…»
«Impedire
le visioni se non le si vuole avere» conclude Lance, sveglio, prima
di lasciarsi sfuggire un sorriso vittorioso.
«Aspetta
a festeggiare» lo fredda l’uomo, duro. «Non è detto che la
ragazza non userà a suo vantaggio quel potere» lo mette in guardia
eloquente.
L’altro
scrolla le spalle, per niente preoccupato.
«Non
succederà» assicura convinto. «Odia quello che è».
«Lo
spero» sospira lo zio, monocorde, puntandogli addosso quelle iridi
verdi e gelide. E meno male che non sta guardando lui, perché quello
sguardo lo inquieta da morire. Sarà solo un ritratto ma a Jude
sembra comunque feroce e temibili come quando era in vita. Meno male
che non se l'è trovato contro quando era in vita. Poi realizza che
difficilmente uno dell'Ordine lo avrà visto più di una volta.
«Perché altrimenti dovresti prendere in considerazioni scelte
drastiche
per portare a termine il tuo piano» afferma risoluto, facendo
intuire a entrambi che cosa intende quelle parole.
«Il
concetto di base è molto semplice: ci si rifugia in un’immagine
mentale per mantenere il controllo».
«E
sarebbe diverso dall’Occlumanzia, perché?»
«Perché
nessuno tenterà di penetrare nella tua testa» spiega Lance,
sintetico, rivolgendole un’occhiata a metà tra la commiserazione e
l’arroganza. Scusami
tanto se queste cose non le so, Voldemort,
vorrebbe
rispondergli, stizzita. «Ti rifugi dietro a quello che è a tutti
gli effetti uno scudo per mantenere il controllo sulle tue emozioni,
non per difenderti da attacchi esterni» continua serio, rientrando
nel ruolo da insegnante e perdendo quella spocchia irritante. «Forse
può sembrarti simile ma se io entrassi nella tua test-»
«Sai
farlo?» lo blocca Dominique, impressionata, strabuzzando gli occhi,
seduta accanto a lui su quel divano di pelle nera.
Si
sente un po’ inquieta, sia per l’argomento che stanno
affrontando, sia per essere di nuovo in quella replica della stanza
che l’altro ha a Rosier Castle.
Insomma
è sempre la sua camera da letto!
Lui
serra la mandibola, seccato da quell’interruzione inutile.
«Sì»
liquida rapido, quasi infastidito dal suo stupore. «Dicevo… sono
due cose diverse. Se un Legilimens volesse rovistarti nei ricordi,
uno scudo di questo genere non sarebbe sufficiente per proteggerti.
Ci vogliono mesi di pratica, se ti va bene, per diventare una
Occlumante mediocre» illustra compassato. «Non sono le visione in
sé a mandarti in crisi, altrimenti avresti avuto un attacco di
panico anche a Hogsmeade» le fa notare sveglio, facendole seriamente
paura per quanto ha
capito.
«Il
problema sono i sentimenti che ti suscitano, devi prenderne la
distanza. Lo scudo funge da filtro: ti permette di farteli scivolare
via» conclude certo.
Lei
annuisce, anche se prova una fitta di inquietudine davanti a una tale
prospettiva. Sembra quasi imparare
a
non provare niente.
«Come
creo questo scudo?» si informa diligente, prestando la massima
attenzione.
«Con
qualcosa che ti tranquillizzi» risponde Lance, serio. «Non deve
essere per forza felice, non è quello lo scopo, basta che sia
abbastanza nitido. Ti faccio un esempio» continua pratico. Sposta le
iridi azzurre nella sua direzione, prima di sedersi meglio su quel
divano e allungare un braccio per prenderle la mano. Dominique rimane
senza fiato quando la vista le si inibisce e le appare davanti agli
occhi l’immagine nitida di un bosco. Osserva quel posto pieno di
alberi secolari, dalla corteccia ruvida e marrone, le fronde dalle
quali filtra la luce l’erba verde e soffice che le pare quasi
di sentire sotto i piedi. Quello scorcio è talmente bello che non
può fare a meno di guardarsi intorno, rendendosi conto di essere in
mezzo a una natura sconfinata. «Chiaro, no?» riprende l’altro,
interrompendo di colpo quella visione.
Sbatte
le ciglia, frastornata di essere stata catapultata di nuovo in quella
stanza.
«Che
cos’era?» domanda incuriosita, tremendamente affascinata.
«The
Dales»
svela lui, distaccato. «Le Yorkshire Dales» precisa davanti alla
sua palese confusione.
«Sei
cresciuto lì?»
«È
parte del parco di Rosier Castle».
«È
bellissimo».
«Lo
so» assicura Lance, presuntuoso, distogliendo le iridi e incupendosi
mentre riflette. «È più semplice se scegli un’ambientazione che
conosci bene» consiglia realista.
Dominique
storce la bocca in una smorfia apprensiva, prima di abbassare le
palpebre.
Cerca
di focalizzare nella sua mente la spiaggia di Villa Conchiglia, il
luogo nel quale è cresciuta. Nella sua testa, però, appare come
un’immagine confusa e sfuocata, ben lontana da quella che ha visto
qualche istante prima.
A
un certo punto percepisce una sensazione totalizzante di serenità
che la investe in pieno, premendo appena sui confini della sua mente.
«Che
fai?» sbotta sbigottita, aprendo gli occhi e frantumando quello
scudo debole e traballante.
«Ti
aiuto» si offre lui, disponibile, per nulla infastidito da quella
perdita di concentrazione. «Domi, non posso farlo se cerchi di
respingermi» sottolinea appena snervato, quando la sente cercare,
per istinto, di buttarlo fuori.
«Mi
viene naturale» confessa lei, genuina, abbassando il capo con un
velo di imbarazzo. «Non mi va che accedi ai miei ricordi» biascica
in un borbottio a malapena udibile.
«Non
lo farò. Resto dove puoi sentirmi» assicura Lance, stranamente
morbido, attirandosi immediatamente il suo sguardo. Godric, quando fa
così è davvero bellissimo! No,
no,
si
impone nella sua testa. Non
divagare con questi pensieri!
«Questo
esercizio funziona solo se c’è fiducia, altrimenti è tutto
inutile» riprende eloquente, inarcando le sopracciglia.
«Mi
fido di te» replica Dominique, sincera, all’istante e senza
dubbio. «Ma è comunque strano sapere che c’è qualcuno nella mia
testa» ammette controvoglia, sentendosi incredibilmente vulnerabile.
Non
gli dà il tempo di replicare o di farsi assalire da altre ansie.
Prende un bel respiro, prima di chiudere di nuovo le palpebre. Cerca
di rilassarsi, così da aiutarsi a evocare un ricordo che possa
sembrare solido e concreto. Si immerge totalmente nel costruirlo
pezzo dopo pezzo, prestando attenzione ai particolari.
Poco
alla volta, le sembra di vedere meglio quella sabbia chiara, quel
mare limpido e azzurro della Cornovaglia e quei sassolini sul
bagnasciuga. Le pare quasi di essere lì, su quella lingua di terra a
pochi passi da casa.
«Ce
l'ho fatta» sussulta entusiasta, sollevando le ciglia e tornando a
guardarlo con un sorriso radioso.
Lui
annuisce, anche se non pare particolarmente colpito.
«Sì,
per oggi può andare» concede distaccato, prima di togliere quella
mano che lei aveva stretto tra le sue quasi senza accorgersene. «Ma
tieni conto che eri in una situazione priva di stress, senza
considerare che quell’immagine è abbastanza instabile» constata
analitico, scoccandole un’occhiata significativa.
Dominique
fa una smorfia indispettita.
«Mai
una soddisfazione con te, eh?» ribatte velenosa.
«Non
è questo» replica Lance, spassionato, spostando gli occhi verso la
finestra e contemplando il cielo plumbeo e la bufera che si sta
abbattendo su Hogwarts da tutto il pomeriggio. «È fragile,
basterebbe una piccola pressione per distruggerla» continua
distratto.
«Ah
sì?» lo sfida lei, sferzante.
Quando
lui torna a concentrarsi sul suo viso, inarca un sopracciglio.
«Puoi
anche prendertela ma è la verità» le fa notare compassato.
Dominique
lo fulmina con due iridi dardeggianti di stizza, prima di incrociare
le braccia al petto e rannicchiarsi sul fianco sopra il divano.
«Sei
un Legilimens?» chiede socchiudendo le palpebre con sospetto.
Lance,
che è tornato a voltare il viso a sinistra e a fissare oltre la
finestra, nemmeno la guarda.
«No,
sono meglio come…» si interrompe di colpo, irrigidendo la
mandibola e perdendo quell’aria assente.
Le
scocca anche un'occhiata malevola, come se gli avesse fatto chissà
quale torto.
Lei
aggrotta la fronte, basita da quella reazione assurda.
«Occlumante?»
tenta dubbiosa.
«Duellante»
precisa lui, con una chiara punta di fastidio nella voce, alzando gli
occhi al soffitto con quella che pare grande pazienza.
«Secondo
me saresti bravo anche come Occlumante» insiste Dominique, cocciuta,
il volto storto in un’espressione pensierosa. Solo in seguito a
quel silenzio quasi scomodo, la sua concentrazione si punta sulla
quella cornice posta sul tavolino rotondo accanto al divano, oltre il
ragazzo. «È Bohort?» si informa con cautela, tornando a guardarlo.
Lance
annuisce, impassibile, voltando il viso a sinistra per osservare
quello scatto.
«Ha
dieci anni, lì» risponde piatto, quando torna a raddrizzare il capo
e fissare le fiamme che ardono nel camino davanti a loro. Nota che
sembrava non riuscire a contemplarla per più di qualche istante.
«Avrà sempre dieci anni» considera sovrappensiero, lugubre.
Dominique
assume un’espressione inquieta.
«Ti
dà fastidio parlarne?» sussurra fioca, appena timorosa.
«Non
è certo il mio argomento preferito» si schernisce lui, distaccato,
storcendo le labbra in una smorfia.
E
forse sarà il modo in cui non
la
guarda, che la fa sentire terribilmente in colpa. Perché lei non si
è mai trovata a fare i conti con le conseguenze di una scomparsa
improvvisa, specie di qualcuno che amava così tanto da non averlo
dimenticato in tutti quegli anni, e non sa come affrontarla.
Non
ha subito nessun lutto fino a quel momento, tranne che quello di
qualche conoscente di cui ricorda a malapena il nome e non ha idea di
come comportarsi.
Si
limita a scrutare quella fotografia magica racchiusa in quella
cornice, dove due bambini dai capelli scuri ridono e si scambiano
occhiate complici sullo sfondo di quello che deve essere il parco
della tenuta. A guardarli così, chi avrebbe potuto prevedere quello
che sarebbe successo?
«Com’era?»
pigola goffa, desiderosa di saperne di più ma consapevole di
rischiare di apparire inopportuna.
«Petulante»
risponde Lance, spassionato. «Indiscreto, ficcanaso, vivace, solare,
premuroso» elenca e forse sta facendo del suo meglio per fingersi
imperturbabile e controllare i lineamenti del volto, anche se il tono
si è inevitabilmente addolcito.
Lei
piega le labbra in un sorriso, intenerita da quella confessione che
deve costargli un certo sforzo.
«Anche
tu eri molto carino» commenta amabile, continuando a fissare quella
foto e sorridendo deliziata. Lo
era davvero,
pensa, sentendo il cuore sciogliersi nel petto per l'opportunità di
averlo visto com'era da bambino.
«Cosa è andato storto?» chiede svagata, allungando la mano per
accarezzargli la nuca in un gesto del tutto istintivo.
Lui
scrolla le spalle, noncurante.
«Non
ne ho idea» ammette distaccato, gli occhi azzurri che si sono
puntati nei suoi nel momento in cui lo ha toccato. «Dici che la
morte di mio fratello e la depressione con tanto di tentativi di
suicidio da parte di mutti,
mi abbiano fatto andare fuori di testa?» domanda sarcastico,
accennando anche un sorriso che non è per nulla divertito. «Scusa,
umorismo di merda» mormora piano, nel momento in cui nota la sua
reazione sconvolta.
Dominique
si immobilizza, prima di riportare il braccio contro il petto e
inumidirsi la bocca, abbassando lo sguardo per l’amarezza.
«Siamo
bravi, eh?» bofonchia angosciata.
«In
cosa?»
«Sentirci
in colpa».
Lance
le rivolge un’occhiata dubbiosa, serrando appena le palpebre.
«Tu
perché lo saresti?» indaga attento.
«Avevi
ragione: li avevo visti» ammette lei, con fatica, continuando a
torcersi le mani e alludendo a quanto successo a Hogsmeade, quando lo
aveva messo in guardia sulla presenza dei Purificatori nelle
vicinanze. «Non so come funzionino le visioni, in realtà è anche
strano che ne abbia avuta una visto che non c’era Louis. Di solito
questo potere scatta quando siamo insieme» rivela flebile,
contemplando con grande interesse lo smalto rosso sulle unghie.
Sull’indice della mano destra è sbeccato. Lo sistemerà una volta
tornata in Dormitorio. «Ma è anche vero che è successo, molto
sporadicamente, che ne avessi qualcuna anche se lui non era al mio
fianco. Però erano immagini confuse, quella invece era nitida.
Riuscivo persino a sentire quello che dicevano» rammenta
terrorizzata, ricordando che erano sulle tracce dell’altro.
E
se lo avessero trovato…
«Perché
non ti piace questo potere?» chiede lui, interessato, strappandola
da quella paura e tornando a incrociare i loro sguardi. «Prevedere
il futuro è un gran vantaggio» sostiene sicuro, come se fosse
qualcosa di ovvio.
«Non
sempre» precisa Dominique, asciutta, le iridi azzurre offuscate dal
tormento. Deglutisce, sforzandosi di spiegare. «Sapere cosa
succederà in anticipo, non significa poterlo impedire» chiarisce
avvilita, cercando di trovare la forza per rievocare quell’episodio
che brucia ancora per la sua mancanza. «Durante un’estate, io e
Louis siamo usciti di nascosto per vedere le lucciole. Avevo avuto
una visione qualche giorno prima – una di quelle sbiadite e
criptiche –
ma
non ci avevo dato peso. Quella notte Louis si è rotto una gamba
cadendo da una scogliera. Abbiamo passato tutta la notte lì finché
père
non
ci ha trovato» racconta flebile, gli occhi offuscato dal ricordo. Le
sembra quasi di essere ancora lì, su quella spiaggia, di sentire il
freddo pungente contro la pelle, e di non aver fatto progressi
rispetto a quella bambina incapace e tremante. «Louis ha avuto per
settimane il terrore di uscire di casa, certo che gli sarebbe
successo qualcosa e io mi sono sentita in colpa perché lo
sapevo
ma
non lo avevo capito. Se lo avessi fatto, mio fratello…» si blocca,
incapace di proseguire, il capo chino, il rimorso che le divora lo
stomaco.
Nel
silenzio cupo che calato nella stanza, l’unico rumore proviene
dallo scoppiettare dei cocci di legno che vengono divorati dal fuoco.
«Eri
solo una bambina» commenta Lance, inaspettatamente morbido.
Quando
alza lo sguardo e nota il suo, stranamente meno gelido del solito,
non riesce davvero a trattenere l’accenno di un sorriso amaro.
«Come
tu quando hai perso Bohort» rilancia desolata.
Lui
abbassa le iridi, fissando un punto sulla pelle nera del divano.
«Questo
non mi fa stare meglio» confessa frustrato.
«Dovrebbe»
rassicura lei, in un sussurro dolce.
Lance
risolleva gli occhi, inchiodandola con uno sguardo di un azzurro
impressionante.
«Mi
piacciono i tuoi capelli» svela inaspettatamente, allungando una
mano per intrecciare una ciocca ramata intorno al dito indice. «Alla
luce delle fiaccole sembrano quasi rosso sangue» afferma intrigato.
Lei
sbatte le ciglia, presa in contropiede, mentre un fiotto di calore
bruciante si dirama nel petto, sostituendo immediatamente quel
malessere.
«È
il complimento più macabro che mi abbiano mai fatto» sostiene con
sufficienza, cercando di dissimulare la gioia raggiante che sente
sottopelle.
E
a me piaci tu,
ribatte
con naturalezza, nella sua mente.
«Vuoi
un consiglio?» domanda Etienne, gentile, durante quella colazione in
cui hanno parlato dei segni violacei che aveva intorno al collo.
«Prima di perdere completamente la testa per lui, gratta la
superficie. Guarda quello che c'è davvero sotto»
Uno
sguardo l’ho già dato,
avrebbe
voluto replicare Dominique, sincera, serrando le labbra per evitare
di farsi sfuggire quelle parole.
E
quello che ho visto mi piace davvero.
Jude,
seduto mollemente su un masso e infagottato nel mantello della
divisa, osserva scornato il cielo plumbeo scozzese che minaccia di
scatenare una bufera di ghiaccio e neve da un momento all’altro.
Ovviamente
proprio nel momento in cui quell’invasato ha pensato bene di
iniziare ad allenarsi,
brontola
tra sé, gettando un’occhiata malevola prima ai nuvoloni e poi al
cugino.
Se
non mi guadagno così la gloria eterna, Salazar sentirà le mie
lamentele in eterno!
«Cazzo»
ringhia Lance, tra i denti, il corpo teso per il nervosismo e seccato
da morire per quell’incantesimo che non riesce a lanciare. «Perché
cazzo
non
funziona?» strepita furioso.
«Perché
sei stressato. Manco per gli esami ti riduci in questo stato»
sottolinea lui, impietoso, affondando il mento nella sciarpa
Serpeverde che gli circonda il collo. «La calma è la virtù dei
forti» afferma saggio, citando un detto Babbano.
L’altro
di immobilizza proprio nel mentre sta per quel sortilegio che proprio
non gli riesce. Chiude le palpebre, enfatizzando il gesto di
racimolare pazienza, prima di voltarsi a inchiodarlo con un’occhiata
gelida e tagliente.
«Vuoi
che faccia pratica su di te?» domanda feroce.
«Non
oseresti mai».
«Mettimi
alla prova».
Jude
sbuffa e gli indirizza un’occhiata di avvertimento, conscio di
quanto non ci sia da scherzare quando lo vede di pessimo umore.
«Com’è
che l’hai riottenuta?» indaga curioso, cambiando argomento e
sperando di spostarsi su terreno più neutro e meno pericoloso.
Lance,
che si è avvicinato fino a lasciarsi crollare sul sasso al suo
fianco, scrolla le spalle con noncuranza.
«Regulus»
dice sintetico.
Lui
trattiene il respiro, sentendo i coglioni girare prepotentemente.
«Oh,
perdonami, credo di non essere stato abbastanza chiaro con la mia
domanda» ribatte indispettito, non riuscendo a tenere a freno il
sarcasmo. «Puoi spiegare, passo per passo, a un povero imbecille
come hai fatto a rientrare in possesso della bacchetta di tuo nonno?
Usando parole semplici, così capisco, grazie» precisa risentito.
Suo
cugino rotea le iridi con quella che pare grande pazienza.
«Ho
fatto esattamente quello che Regulus ha fatto con Kreacher» illustra
spiccio. «Sapevo che vati
l’avrebbe
deposta in una stanza inaccessibile a chiunque, tranne a un Elfo che
si occupa della sua pulizia. Quest’estate gli ho ordinato di
apparire se l’avessi chiamato, anche a Hogwarts» continua
distaccato, sfruttando l’abilità di quelle creature di superare le
difese magiche. Anche quelle secolari della scuola. «Ed ecco come me
l’ha portata» conclude sbrigativo, come se fosse stata un’idea
che sarebbe venuta a chiunque. Non a lui, di sicuro. «Sarebbe stato
da idioti usare la posta, visto che avranno intensificato i controlli
dopo quello che è successo a Hogsmeade» osserva arguto.
Jude
sbarra gli occhi, allarmato.
«Hai
fregato la bacchetta di Evan sotto il naso dello zio» constata
atterrito, vedendo nella sua mente presagi di sangue e morte non
appena il capofamiglia dei Rosier scoprirà del furto.
E
lo farà,
riflette
agitato, percependo già l’agonia della punzione.
Zio
Dickon scopre sempre tutto, cazzo!
Lance
sospira, per nulla preoccupato.
«Non
si aspetta che contravvenga due volte ai suoi ordini» ragiona
ponderato, sicuro di non correre alcun pericolo. «Immagino che non
avesse manco preso in considerazione che potessi portarla qui una
volta, figurati due» insinua arrogante, distendendo le labbra in un
sorriso divertito.
«Quello
ti ammazza!» strepita lui, con foga, alzando il tono della voce per
il panico che risuona in quella radura dove si ritrovano sempre per
allenarsi. «Ascolta il mio consiglio: fatti beccare. Azkaban non è
così male, almeno sei ancora tra noi. Perché, se ti prende lo zio,
puoi dire addio alla vit-»
«Figurati»
lo sbeffeggia l’altro, derisorio, lanciandogli un’occhiata che
non cela l’ironia. «Tu lo vedi peggio di quello che è che»
sostiene risoluto, alzandosi da quella roccia.
È
completamente uscito di testa!
«Come
no» borbotta contrariato, per nulla convinto mentre lo osserva
disattivare quelle barriere che attivano ogni volta, così da evitare
di essere divorati da qualche creatura o che la loro conversazione
venga origliata. «È il degno erede di Evan» sottolinea eloquente.
«È
suo figlio» commenta Lance, lieve.
Rimane
in silenzio per qualche passo, prima di fermarsi nel bel mezzo della
foresta, attirando l’attenzione e la confusione dell’altro.
«Lo
faresti davvero, se necessario?» chiede apprensivo, il timore che
gli incupisce il viso.
Suo
cugino inarca un sopracciglio, smarrito.
«Cosa?»
replica impassibile.
«Uccideresti
la Weasley se dovesse sapere troppo?» precisa Jude, ansioso.
Lance
si scioglie in un sorriso leggero.
«Sei
troppo impressionabile, Jude» gli fa notare quasi con dolcezza.
«Julian può dare tutti i suggerimenti che vuole ma è un quadro,
non rischia nulla. E io amo troppo la libertà per perderla a causa
un errore simile» chiarisce sincero.
Lui
aggrotta la fronte, non del tutto tranquillo.
«Quindi
è un no?» conviene piano.
«Ho
intenzione di prendermi solo una vita» assicura l’altro, fermo,
sostenendo il suo sguardo indagatore. «Domi non è una minaccia»
decreta intransigente.
Jude
annuisce, inumidendosi le labbra, prima di tornare a fissarlo.
«Ma
se lo fosse» insinua dubbioso, giusto per capire quanto
in
là è disposto a spingersi.
«Allora
un Oblivio
basterà
a risolvere la situazione» taglia corto Lance, stufo di quella
conversazione, facendogli cenno con il capo di riprendere la marcia
verso il Castello. «Sbrighiamoci, ho da fare».
Nel
tornare al suo fianco, Jude non riesce proprio a trattenere un
sorrisetto deliziato.
«Devi
rientrare nei panni del fidanzatino premuroso?» domanda amabile.
«Del
babysitter apprensivo, vorrai dire» ribatte l’altro, secco,
storcendo le labbra in una smorfia infastidita. Poi gli scocca
un’occhiata gelida. «Credi che mi diverta a scodinzolarle appresso
tutto il tempo?» indaga brutale.
«Se
non è così, ti stai impegnando davvero tanto perché lo sembri»
rincara sereno, d’istinto. Nel notare la sua esasperazione,
riprende a ghignare. «Dico solo che, a furia di fingerti interessato
a lei, non vorrei che, alla fine, iniziasse davvero a piacerti»
spiega acuto.
Lance
inarca le sopracciglia con compatimento.
«Sei
un illuso, Jude» sospira con spregio, scuotendo il capo.
Le
Maledizioni Senza Perdono richiedono pazienza.
Julian
sostiene che la più difficile sia l’Avada, perché togliere la
vita necessità fegato. Tuttavia ritengo che quella davvero utile sia
la Cruciatus.
Rimango
sempre ammirato dal modo crudele in cui annienta la vittima.
Sono
ben lontano dall’ottenere un risultato soddisfacente. Credo che
esistano diversi gradi di dolore e che la sola volontà non sia
sufficiente per attivare l’incantesimo.
Certo,
voler far soffrire la vittima aiuta ma non è tutto.
Approfondirò
meglio la questione durante le vacanze estive. A Hogwarts non ho la
possibilità di esercitarmi. Troppi restrizioni. Mi sembra di essere
costantemente sotto osservazione e probabilmente è così.
«Rosier».
Lance
solleva le iridi dalle pagine del diario che sta leggendo per
ingannare l’attesa prima dell’inizio della riunione dei
Caposcuola.
Incrocia
due iridi altrettanto azzurre, anche se più chiare delle sue, nelle
quali balugina una pericolosa luce di cautela.
«Delacour»
ricambia distaccato, chiudendo il tomo e appoggiandosi allo schienale
in legno della sedia che occupa. Poi si accorge di un’altra
presenza, un ragazzo che ha visto qualche volta alla tavola dei
Grifondoro. «Bowel?» tenta smemorato, giusto per mostrarsi un
minimo cortese.
Quello
stringe le labbra in una smorfia di stizza.
«Boots»
precisa piccata, lanciandogli un’occhiata di traverso mentre
prendono posto dall’altra parte del tavolo rotondo.
«Molly?»
si informa quieto, sorpreso per l’assenza della cugina.
«È
rimasta indietro con i compiti» lo informa Delacour, leggero, prima
di rivolgere un mezzo sorriso al ragazzo che si è seduto al suo
fianco. «Ha chiesto a Cam se può sostituirla» termina con un
pizzico di gratitudine.
Quello
annuisce e si vede lontano un miglio che muore dalla voglia di
tagliarlo fuori dalla conversazione. Infatti, non appena cala il
silenzio nella stanza, si schiarisce la gola per attirare
l’attenzione del compagno di Casa.
«Quindi
puoi darmi un consiglio?» riprende ansioso, riallacciandosi a un
discorso che doveva già iniziato in precedenza.
Delacour
indica le sopracciglia, voltando il viso nella sua direzione mentre
lui torna a concentrarsi sulle pagine del diario di Evan.
«Su?»
«Dominique»
precisa Boots, compunto, facendogli sollevare per istinto le iridi
azzurre da quei pensieri fissati su carta e aggrottare la fronte per
la perplessità. «Mi piace davvero ma credo di non interessarle»
afferma svilito.
E
questo è comprensibile,
vorrebbe
dirgli Lance, brutale, assumendo un'espressione di puro
compatimento.
«Ultimamente
ha la testa altrove» concorda Delacour, posato, stiracchiando la
schiena e con un’espressione rilassata sul volto. Poi si acciglia
appena. «Tu l’aggrediresti?» domanda a bruciapelo.
L’altro
sbarra gli occhi, sconvolto.
«Come?»
pigola in un balbettio.
«Se
dovesse farti arrabbiare» chiarisce il Caposcuola, sfoderando un
sorriso amabile e abbassando la voce. «Le metteresti le mani
addosso?» riprova accattivante.
Boots
fa una smorfia oltraggiata.
«Ovviamente
no» risponde indignato per una simile idea, scuotendo il capo con
convinzione. «Solo i figli di puttana fanno queste cose» sentenzia
infine.
Delacour
continua a sorridere, prima di spostare le iridi chiare su di lui
quasi con casualità.
«Siamo
d’accordo» afferma eloquente.
Lui
rotea gli occhi, esasperato, trattenendosi a stento dallo sbuffare
con scherno.
«Chiariamo
una cosa» esordisce gelido, irritato per quel teatrino che si è
dovuto sorbire, al termine della riunione, quando sono rimasti da
soli nella stanza. «Non l’ho picchiata, né mi sognerei di farlo»
decreta asciutto.
«È
quello che ha detto anche lei» conferma l’altro, posato, dalla
parte opposta del tavolo rotondo. «Intanto però aveva la gola
livida» sottolinea impietoso, inclinando il capo di traverso. «E
sai cosa ha aggiunto? Che non l'avevi fatto apposta»
Inarca
entrambe le sopracciglia con scherno.
«E
quindi?» domanda tagliente, rimanendo fermo dov’è. «Quale
sarebbe il problema?» continua con spregio.
Delacour
si lascia sfuggire un sorriso quasi divertito dalla sua ottusità.
«Il
problema, Rosier, è che è proprio quello che direbbe una persona
abusata» gli fa notare paziente, con quel guizzo di superiorità che
non gli va proprio a genio. «È
colpa mia, sono io che l'ho portato a reagire così
e
altre cazzate simili. Quindi credo che sia necessario mettere un paio
di punti in chiaro» conviene quasi amabile.
Lance
si lascia sfuggire un sorriso di derisione, scuotendo appena la
testa.
«Fammi
indovinare» inizia provocatorio, scegliendo un tono studiato per far
saltare i nervi. Eppure l'altro non si scompone. «Devo starle alla
larga» deduce sarcastico.
«No»
lo contraddice quello, spassionato, continuando a sorridere. «Se
Domi vuole frequentarti, può farlo. Non sono suo padre, non posso
darle degli ordini» conviene concreto, prima di irrigidire i
lineamenti del volto. «Do solo a te degli avvertimenti» riprende
altero.
Questa
volta è lui che sorride.
«Quale
onore» commenta beffardo.
Delacour
scrolla il capo, prima di storcere le labbra in una smorfia
meditabonda.
«Le
piaci e anche lei sembra piacerti, quindi proprio non capisco».
«Che
cosa?»
«Perché
la stai prendendo in giro» svela sottile, un guizzo di perspicacia
che balugina negli occhi azzurri. «Tra bastardi ci si riconosce»
puntualizza sagace, riprendendo a sfoggiare quel sorriso di irritante
calma. «Non posso impedirle di vederti, è vero, ma siccome sarò io
quello che dovrò rimettere insieme i pezzi, voglio che siano chiari
i limiti oltre i quali non puoi spingerti» afferma fermo, tornando
serio. «Lividi o altri segni sul suo corpo non li voglio più
vedere» lo avverte irremovibile.
Suo
malgrado, Lance annuisce.
«Siamo
in due» concorda distaccato.
«E
tieni a mente che è minorenne e che Ron non è convinto della tua
innocenza» riprende l’altro, sveglio, inarcando le sopracciglia
con aria significativa. «Fossi in te non fare altre cazzate per
aggravare la tua posizione» consiglia quasi preoccupato.
Lui
socchiude appena le palpebre, infastidito.
«Allora
perché non le dici di lasciarmi perdere?» replica guardingo.
«Così
da mettermela contro?» ribatto Delacour, acuto. «Bel tentativo»
concede magnanimo. «Pensa bene alle tue future mosse, perché non
aspetto altro che un tuo errore per scavarti la fossa» sospira
mentre si avvicina alla porta dell’aula. Si ferma quando ha la mano
sulla maniglia, voltando appena il capo e all’indietro e
intercettando il suo sguardo gelido. «Ah, e quando arriverà il
momento in cui le spezzerai il cuore» riprende distratto,
lanciandogli un’occhiata estremamente sferzante. «Non aspettarti
il gioco pulito da parte mia» lo avvisa sinistro.
«La
dinastia» farfuglia Julian, in un mormorio appena udibile, gli occhi
chiusi e il volto bianco e umido di un sudore a causa di quella
ferita contro cui sta ferocemente combattendo per restare aggrappato
alla vita. «Deve proseguire» si sforza di dire concitato,
stringendo la sua mano in una morsa debole e tremante.
Evan
annuisce, al suo capezzale, il volto teso e le iridi verdi incupite
dalla consapevolezza di quello che succederà da lì a poco.
«Non
ti preoccupare» lo rassicura morbido, accarezzandogli il palmo della
mano in una carezza leggera, con la speranza di calmarlo. «Da qui
proseguo io, papà» promette convinto. «Sarà la mia bacchetta a
punire i nostri nemici» sostiene implacabile, pronunciando quelle
parole che sanno di sangue e dolore con una calma allucinante. «E
quelli che ti hanno ridotto in questo stato, sono i primi della
lista» dichiara crudele.
«Come
stai?»
«Distrutto»
esala Louis, stremato, lasciandosi cadere sul divano della Sala
Comune posizionato proprio di fronte al grande camino.
Lei
sorride, infilandogli le dita della mano tra i riccioli biondi, così
da massaggiargli la nuca e farlo mugugnare per il piacere.
«Che
casino» borbotta imbronciato, le palpebre chiuse, abbandonandosi
completamente a quelle coccole. «Odio l'anno dei G.U.F.O., odio
essere un Prefetto e, fra un po' odierò anche il Quidditch» si
sfoga snervato, storcendo le labbra in una smorfia quasi isterica.
«Non vedo l'ora che arrivi luglio! Esami finiti, il mare, solo
divertimento e nient'altro» sogna speranzoso, ad alta voce, i
lineamenti del viso che già si addolciscono nell’immaginare quella
prospettiva.
Dominique
piega le labbra in un sorriso radioso.
«Sarebbe
bello» conferma benevola, prima che un pensiero faccia capolino
nella sua mente, rischiando di farle perdere il buon umore. «Anche
se vorrei che l'anno non finisse mai. Non mi piacciono i cambiamenti»
biascica in un sussurro mesto, sforzandosi, senza riuscirci, di
suonare indifferente.
Suo
fratello apre di scatto gli occhi, messo in guardia da quel pizzico
di malessere nel suo tono.
«Anche
a me non piace immaginare Hogwarts senza Etienne» concorda placido.
«Era qui quando siamo arrivati» riflette con semplicità,
rievocando a entrambi il loro primo ricordo della Sala Grande,
durante lo Smistamento.
Ancora
ricorda il sorriso incoraggiante di Etienne quando ha preso posto
alla tavola di Grifondoro.
«Mi
sembra che il tempo sia volato» aggiunge lei, malinconica, prima di
scuotere il capo e riacquistare il controllo.
Non
le piace mostare i suoi sentimenti, specie in pubblico. E la Sala
Comune non è il luogo adatto per lasciarsi andare, specie con tanti
occhi indiscreti presenti
«Beh,
siamo a novembre, possiamo godercelo ancora per mesi» riprende
Louis, logico, cercando di essere positivo e spezzando quel silenzio
pesante che è sceso tra loro. «A proposito, va tutto bene?»
domanda a bruciapelo, serrando le palpebre.
Sbatte
lei, confusa.
«Perché?»
chiede genuina, continuando ad accarezzargli la nuca con movimento
circolari e lenti delle dita.
Lui
la fissa a lungo, prima di scrollare le spalle.
«Ultimamente
ho delle strane sensazioni» esordisce cauto, fissando con attenzione
i suo viso. «E sei sembrata nervosa» ammette schietto.
Dominique
si blocca, inquieta, togliendo quella mano dai riccioli biondi
dell’altro e serrando con fastidio le labbra.
«Crisi
con le visioni ma non ti devi preoccuparti» mette in chiaro,
all’istante, cercando di mostrarsi perfettamente a suo agio. Nulla
di cui preoccuparsi,
dice a se stessa per risultare ancor più sicura. «Le sto superando»
dichiara con convinzione.
Suo
fratello sorride, scoccandole un’occhiata di puro affetto.
«Lo
sai che puoi parlarmene» mormora amabile, le iridi azzurre
cristalline. «Non ti devi sentire inferiore solo perché io riesco a
controllarmi» le fa notare con delicatezza.
Lei
annuisce, tesa, anche se sa bene che non smetterà mai di sentirsi in
difetto per quello.
«Lo
so» risponde, invece, incolore. Prende un profondo respiro, puntando
lo sguardo verso le fiamme che ardono nel camino. «Non lo faccio per
questo. Preferisco evitare di pensarci, perché è un argomento che
mi fa andare fuori di testa» confessa, restia ad ammettere quella
verità persino con lui. «Ma sto lavorando a un modo per non star
più male» taglia corto. brusca.
«E
questo coinvolge anche Rosier?» indaga Louis, perspicace, sorridendo
divertito dello spaesamento che le è affiorato sul suo volto. «Domi,
io lo sento quello che provi» rivela perspicace, inarcando le
sopracciglia con eloquenza. «Fra un po' inizierò a sospirare alla
sua vista, pensando tra me e me quanto
è bello»
spasima sognante, esagerataente teatrale, sorridendo come un idiota.
«Che
scemo!»
«Però
è vero che ti piace».
«Non
come Etienne» si schernisce Dominique, a disagio, irritata per quel
rossore traditore che le sta imporporando le guance.
Lui
scoppia a ridere, attirando l’attenzione di qualche studente lì
vicino.
«Continua
a ripetertelo» la prende in giro, gongolando per quella ridicola
farsa di non ammettere quello che gli pare ovvio. «Per me, tra il
Serpeverde e il cugino sessualmente desiderabile, fra un po' vincerà
il primo» dichiara sicuro, allargando il sorriso con una sfumatura
di superiorità. «Ah, mi ha scritto maman»
tergiversa all’improvviso, facendosi serio, ignorando il suo
sbigottimento per quel cambio repentino di rotta. «Riguarda la festa
organizzata dai Brown. Parto con la buona o la cattiva notizia?»
domanda conciliante.
Dominique
si siede meglio sul divano, sentendo già il fastidio montare.
«Buona»
decide secca, serrando le labbra.
«A
quanto pare sarà blindata, quindi niente giornalisti o fotografi»
svela Louis, distratto, scrollando il capo con noncuranza.
«Strano»
commenta acida. «Credevo che nessun buon politico si lasciasse
sfuggire l'opportunità di farsi pubblicità» sottolinea acuta,
pensando scornata che quella serata sarà uno strazio.
«Se
la faranno lo stesso» replica suo fratello, certo, scuotendo il capo
con aria saputa. «C'è gente di un certo spicco tra gli ospiti. Sarà
l'occasione per scambiarsi qualche favore» insinua concreto,
simulando un espressione disgustata.
Anche
a lui fa schifo la politica ma, quando metà della tua famiglia,
lavora al Ministero, non puoi evitare di averci a che fare.
«E
allora perché mamam
vuole
andarci?» domanda lei smarrita, aggrottando la fronte.
Louis
le scocca un’occhiata che non cela l’ironica.
«Zia
Hermione è un po' preoccupata per le sue alleanze»
afferma come se fosse qualcosa di ovvio.
E
forse lo è anche ma non le importa.
Dominique
sbuffa, seccata.
«E
maman
vuole
capire chi siano i possibili nemici» intuisce rapida, storcendo la
bocca in una smorfia di fastidio. «Beh, una serata con buon cibo e
musica non mi sembra tanto male» commenta asciutta, cercando di
vedere il lato positivo.
Lui
si schiarisce la gola, sfoderando un sorriso nervoso e impacciato.
«Aspetta
a dirlo» inizia esitante mentre le inarca le sopracciglia,
interdetta. «Sono usciti i biglietti per andare ad assistere agli
allenamenti dei Ballycastle Bats» butta lì, quasi con causalità,
avendo però il coraggio di guardarla in faccia. «Sono stati
organizzati per il ventotto dicembre» rivela dispiaciuto.
«No!»
sbotta lei, fomentata, sbarrando gli occhi e infischiandosene di aver
attirato qualche occhiata in curiosità. «Non puoi lasciarmi andare
da sola» afferma imperiosa.
«Ma
non sarai sola» tenta suo fratello, sensato. «Vic-»
«Vic
si inventerà una scusa per non partecipare e papà
le
darà man forte» lo interrompe velenosa, avvampando per la collera e
scoccandogli uno sguardo assassino. «Non puoi lasciar andare me e
maman
a
una festa: ci ammazzeremo!» decreta impietosa, sul piede di guerra.
Non
puoi davvero mollarmi per un dannato allenamento!
Lui
le fa cenno di calmarsi con il palmo della mano, come se avesse
calcolato quel problema e avesse una soluzione pronta.
«Beh,
l'invito comprende degli accompagnatori».
«E
quindi?»
«Perché
non chiedi a Rosier?»
Dominique
rimane immobile, raggelata.
«Stai
farneticando?» pigola sconcertata, la determinazione improvvisamente
evaporata.
«Perché?»
ribatte Louis, posato. «È Purosangue. Scommetto che prende parte a
questi eventi da quando ha imparato a stare in piedi» sottolinea
razionale, incurante della sua faccia attonita. «Non ti farebbe
sfigurare» termina sicuro, assolutamente convinto delle sue parole.
Lei
continua a fissarlo, la bocca socchiusa, prima di ridestarsi dallo
shock e corrugare la fronte con un cipiglio terribile.
«Dimentichi
un piccolo dettaglio» gli fa notare sferzante, alludendo alla loro
genitrice.
«Per
niente, farebbe il terzo grado a chiunque. Lo ha fatto anche con
Teddy» ricorda suo fratello, gongolante, il sorriso che si allarga
per la soddisfazione che ha provato nel vedere l’altro subire
l’interrogatorio a Villa Conchiglia, una volta che la relazione con
Victoire era stata svelata alla famiglia. Perché è bello prendersi
la rivincita su certi traumi. «Il punto è un altro, a mio parere.
Ti piace abbastanza da voler uscire allo scoperto?» domanda oculato,
sondandole il viso con attenzione.
Dominique
boccheggia, presa alla sprovvista. Poi serra le labbra, deglutendo
nervosa.
La
verità è che non lo sa nemmeno lei. Certo, ha affrontato Scarlett e
ha difeso Lance a spada tratta ma un conto è farlo con un’amica,
un altro con una marea di sconosciuti.
Non
è nemmeno sicura di voler che si sappia in giro che si frequentano.
Non che le importa delle voci – a quelle è abituata – ma…
Ho
paura,
confessa
a se stessa, desolata.
Ho
paura di lasciarmi andare e di perdere il controllo. E posso
tollerare che accada quando sono da sola con lui ma non davanti alla
scuola. Perché non voglio che gli altri scoprano che posso essere
ferita.
Alza
gli occhi verso il fratello quando le afferra la mano,
stringendogliela in una morsa confortante. Non cerca nemmeno di
dissimulare il panico che l’attanaglia, perché è perfettamente
inutile.
La
conosce meglio di se stessa.
«Louis».
Entrambi
voltano indietro il capo, attirati da quel richiamo.
Nel
vedere McLaggen procedere nella loro direzione, Dominique si affretta
a nascondere la propria fragilità dietro una maschera di
sufficienza.
Lo
osserva circumnavigare il divano con le sopracciglia inarcate, giusto
per marcare ancor di più la sua insofferenza, prima che quello si
fermi di fronte a loro con un sorriso tronfio e insopportabile.
«Dobbiamo
parlare della prossima partita contro Tassorosso» stabilisce
spiccio, senza preoccuparsi di aver interrotto la conversazione.
Anzi, probabilmente non ci ha nemmeno pensato di essere sgradito.
«Credo che ci siano dei problemi» continua sicuro.
Suo
fratello sfoggia un’educata espressione di perplessità.
«A
proposito di?» indaga lieve, senza lasciarle andare la mano.
«Il
nuovo Cacciatore» precisa quell’idiota, secco. «Fa pena»
proclama asciutto, senza sforzarsi di nascondere l’avversione. «Non
sarebbe capace di intercettare un passaggio di Pluffa nemmeno se gli
passasse sotto il naso» riprende arrogante.
«Strano,
mi risulta che contro Serpeverde non sia andata così» ribatte
Louis, oculato.
«Fortuna»
liquida McLaggen, borioso, alzando il mento per darsi un tono.
Patetico,
commenta
lei nella sua mente. «E lo sappiamo entrambi che probabilmente tuo
cugino ha scelto lei e non me perché se la vuole fare» insinua
odioso.
Dominique
si morde la lingua per evitare di ribattere, certa che le scapperebbe
una risposta al vetriolo.
«Ti
assicuro che questo è l'ultimo pensiero di Etienne» dice suo
fratello, fermo, cercando di cedere alla provocazione di iniziare una
lite. «Anche perché sa cosa rischia con Molly» sottolinea
ragionevole, alzando per un momento le sopracciglia con eloquenza.
L’altro
sbuffa seccato.
«Bah,
non so cosa ci trovi in lei» esclama denigratorio.
Questo
me lo sono chiesta pure io, vorrebbe
ribattere Dominique, asciutta, sforzandosi di rimanere in silenzio.
Avrebbe
potuto avere me.
Certo,
ribatte
una vocina nella sua mente.
Ma,
se fosse successo, probabilmente non avresti mai conosciuto Lance.
«Il
brivido del pericolo, suppongo» sospira Louis, distratto,
appoggiando meglio il capo al divano. «Se hai delle lamentele,
dille a Etienne. È lui il Capitano, non io» fa notare coinciso,
lanciandogli un’occhiata che fa facilmente intuire che la
conversazione è finita lì.
Peccato
che l’idiota non sia così sveglio.
«Ma
ti ascolta» insiste testardo, accalorandosi per la stizza.
«Parliamoci chiaro: Serpeverde ha stracciato Corvonero e dubito che
avrà problemi con Tassoross-»
«Insomma»
lo interrompe lui, risoluto. «Lucy ha messo in piedi una squadra
niente male» conviene pensieroso, aggrottando la fronte e incupendo
il viso nel riflettere su quella partita.
McLaggen
pesta un piede sul pavimento, furioso, attirando di nuovo la loro
attenzione e, molto probabilmente, anche quella di qualche Grifondoro
seduto lì vicino.
«Come
ti pare» sbotta aggressivo. «Voglio giocare» pretende
inflessibile, serrando la mandibola.
Louis
rotea gli occhi azzurri, al limite della pazienza.
«Ti
ripeto che non sono il Capitano» afferma gelido, il viso che si
irrigidisce e perde ogni sfumatura di gentilezza.
«E
io sto cercando di farti capire che non accetto un no!»
«Strano»
si inserisce lei, sarcastica, inclinando il capo e storcendo i
lineamenti in una smorfia nauseata. «Credevo che non ricevessi
altro» commenta velenosa.
McLaggen
stringe i denti, irritato per quell’intervento e puntandole addosso
le iridi scure.
«Fai
poco la spiritosa» la fredda sgarbato, cercando di intimidirla con
la sua statura. Che illuso! «Non ti piaccio solo perché hai dei
gusti orribili. Si dice che ti vedi con un Serpeverde» afferma
sprezzante, arricciando le labbra e mostrando i denti. «Se è così,
capisco tante cose» sostiene con un tono che sottolinea tutta la
bile che prova.
Dominique
sorride con dolcezza.
«Del
tipo?» chiede melliflua.
«Perché
Mason si sia stancato di te» risponde quell’idiota, sprezzante.
Lei
ridacchia divertita, incapace di contenersi nonostante Louis le abbia
stretto la mano in una morsa significativa per dirle che non è il
caso di iniziare una guerra con un imbecille di quel calibro.
«Trovo
davvero straordinario il modo in cui voi ragazzi, una volta
scaricati, riusciate a modificare la realtà solo per non sentirvi
dei perdenti» afferma spietata, liberandosi di quella stretta e
alzandosi in piedi, così da fronteggiarlo e fargli capire che non ha
paura di lui solo perché è più alto e grosso.
«E
io trovo disgustoso chi frequenta gente che non è degna nemmeno di
respirare la mia aria» ribatte McLaggen, offensivo, ringhiandole
contro. «Spero almeno che non sia della merda come Rosier» dichiara
schifato. «Perché se è così l'ho detto pure a lui: è un peccato
che i Purificatori non l'abbiano fatto fuori a Hogsmeade come fecero
con quello sterminio di Purosangue a Diagon Alle-»
Non
riesce a finire la frase perché lo schiaffo che risuona per la Sala
Comune, attirando l’attenzione di tutti presenti e facendo calare
un silenzio pesante e improvviso, lo zittisce di colpo.
“Se mi lascio andare, sento solo dolore.”
The
Vampire Diaries
Fatemi
dire una cosa prima di procedere con le note.
Lance
lo avrebbe parato, quello schiaffo.
Sarà
che ormai si è abituato al fare manesco di Domi.
Il
15 ottobre del 2021 – sì, mi sono segnata la data – più persone
mi hanno chiesto della parentela tra Evan e Lance. E io, con una
faccia di bronzo pazzesca, avevo liquidato la cosa con un non
è come pensate.
Non
era vero. Era come pensavano.
È
da Lasciarsi
andare
che
avevo deciso che Lance sarebbe stato suo nipote, solo che odio gli
spoiler e non me lo sarei lasciata scappare manco sotto tortura.
Quindi
se Lance discende direttamente da Evan, discende pure da Julian.
Tornando
alla storia, purtroppo ho dovuto dividere la os in due parti. Questo capitolo sono quasi trenta pagine e il prossimo ha già superato le venti. Quasi cinquantacinque pagine in una botta sola, sono decisamente troppe. Mi avreste odiata e non vi avrei biasimato.
Una
cosa che mi fa ridere è che anche nella storia siamo a novembre.
Guarda il caso.
Domi
sta procedendo più lentamente rispetto a Lance perché non è facile
dare un senso a quel casino di sentimenti che prova. Lance, invece, è
più avanti con il suo piano malefico.
Per quanto riguarda le Maledizioni, secondo me non è credibile
che ti escano al primo colpo alla Harry Potter. Sono dell'idea che
richiedano tanta pratica.
E
non so se avete notato l’accenno alla festa dei Brown ;)
Un
abbraccio e al prossimo capitolo,
Blue
So che con Joanne hai parlato di Evan riferimento alla os Qualcuno che rimanga