Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: innominetuo    19/11/2022    7 recensioni
Essere medico in un reparto militare composto da potenziali martiri non dev’essere di certo una passeggiata. Meti questo lo sa bene.
Ma si sa: ci sono vocazioni e vocazioni, non sono tutte uguali.
Alcune sono un po’ più folli e disperate di altre.
Ma può andar bene… anche così.
(Questa fanfiction è scritta per puro diletto e senza scopo di lucro alcuno, nel pieno rispetto del diritto d'Autore)
N.B. La presente fan fiction è pressoché ultimata, ragion per cui le pubblicazioni saranno - salvo imprevisti di varia natura - regolari e nel fine settimana.
Genere: Azione, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Erwin Smith, Levi Ackerman, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cuori in volo'
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(This image is from a google search, no copyright infringement intended)

 
Il giorno dopo…

«Non è giusto. Cazzo.»

Mike brontolava, chiaramente innervosito. Insieme a Nanaba era andato a trovare Hanji, che ora si trovava in cella.

La scienziata sorrise, suo solito: non era da lei lasciarsi abbattere dalle circostanze e dopo un iniziale momento di scoramento aveva deciso di prendere le cose con la giusta filosofia.

«No dài, non fa niente. Vorrà dire che mi riposerò e che penserò ancora a nuovi aggiustamenti del movimento tridimensionale. Grazie, Nanaba, per avermi portato i miei appunti, così sfrutterò ogni momento utile per studiare i miei ultimi accorgimenti!» allargò il sorriso da un orecchio all’altro, per poi mutar di espressione. «Lei… come sta? Avete avuto notizie?»

«Ha ancora la febbre alta. Hervert non ci ha dato il permesso di vederla, ci ha solo detto questo.» bofonchiò Mike, con aria preoccupata, grattandosi il mento.

Nanaba abbassò lo sguardo.

Non conosceva a fondo la Narses, ma si rendeva conto che quanto accaduto fosse di grande impatto per Hanji ed anche per Mike. Non era facile per lei riuscire a competere, in fatto di amicizia, con un rapporto nato tra tre persone sin dai tempi del Corpo di Addestramento: questo, sebbene ce la mettesse tutta a farsi apprezzare da Zoe come soldato, e… da Mike come donna.

Quando questi l’aveva scelta come Team Leader della sua Squadra aveva toccato il cielo con un dito, anche se le stava divenendo sempre più chiaro che l’uomo la vedesse in via esclusiva come valente combattente e compagna d’armi… e non anche come possibile compagna di vita. Si era innamorata di lui sin da subito, da quando lui le aveva annusato i capelli al loro primo incontro.

“Sai di buono”.

Queste parole l’avevano colpita profondamente anche perché accompagnate da uno sguardo gentile e da un sorriso simpatico. Poi il ragazzone se n’era andato a sovrintendere a degli esercizi di equitazione per le reclute, lasciandola di sasso.

Amore ed ammirazione per Mike si erano quindi insediati nel suo cuore, avendo avuto modo, nel corso del tempo, di apprezzarlo per il coraggio, l’ardimento e lo sprezzo del pericolo, oltre che per la bontà d’animo e la generosità. Senza contare che Mike Zacharias era pure un gran bell’uomo: con la zazzera bionda al vento, i suoi 196 centimetri di statura ed il fisico possente, non passava di certo inosservato.

Ovviamente cercava di non palesare a nessuno il suo stato d’animo e i sentimenti che provasse per Mike, ritenendo che per lei non vi fosse speranza alcuna di essere ricambiata. Le parole di Hanji la riscossero dai suoi pensieri.

«Ehi, bionda, sei sulle nuvole? Ti stavo chiedendo di farmi un altro favore…»

«Scusami, Hanji. Dimmi pure.»

Nanaba riuscì, seppur a fatica, a render ferma la voce e a non sottrarsi allo sguardo indagatore della scienziata. Mike non aveva mutato di espressione e se ne restava appoggiato alla parete di fronte alla cella d’ordinanza, a braccia conserte.

«Vorrei vedere Meti, anche se solo per pochi minuti. Tu e Mike potreste andare da Smith e chiedergli un piccolo permesso per me?»

I due amici annuirono, per poi voltarsi nell’udir dei passi giù per le scale.

«Allora, Quattrocchi, almeno qui sotto te ne stai tranquilla, o fai casini tuo solito?»

Seppur a modo suo, anche Levi ci teneva ad esprimere solidarietà alla compagna d’armi, punita sin troppo severamente da un inflessibile Smith. Hanji questo lo comprese, e lo accolse con un sorriso a trentadue denti.

«Oh sì, qui sotto me la sto spassando un mondo: mangio, dormo, leggo, penso ai miei Giganti… è una pacchia! Dovresti farlo pure tu: che ne pensi, eh? La cella qui accanto è libera: se vieni a stare qui pure tu potremmo fare un sacco di cose insieme... e magari pure di cosacce

«Tu sei tutta matta! Bisogna lasciarti qua e gettare via la chiave!»

Nanaba e Mike assistettero allibiti al siparietto dei due, per poi scoppiare a ridere: fu, quello, il primo momento di distensione dopo tante ore difficili.

****

«Complimenti, davvero… mi sa che dovrai restituirmi almeno parte del compenso! Sarebbe questa la tua devozione tanto professata a noi?»

L’uomo magro e minuto era furibondo.

Ticchettava nervosamente la punta delle dita sui braccioli della poltrona, guatando iroso di sotto in su il suo alto interlocutore. Era dell’idea che una volta presa la decisione di far piazza pulita degli Athiassy, e della loro dannata reminiscenza, anche contro il parere di Rod, non si potessero assolutamente fare passi falsi.

Per il vecchio le cose erano andate lisce come l’olio: Uri aveva saputo del suo funerale, al paesello di campagna. Ma la figlia non solo era sopravvissuta, come aveva appreso da fonti certe, ma aveva persino preso parte alla prima ricognizione di Erwin Smith, Comandante fresco fresco di carica: una missione, tra l’altro, assai ben riuscita, che si era guadagnata gli encomi ufficiali di Zackely in persona.

«Il mio è stato un errore… di valutazione. Non avrei dovuto mandare uno dei miei uomini a fare il lavoro, ma andarci io stesso. Ma intendo metterci una pezza… Non dubitare.»

Colto in fallo come uno scolaretto, Kenny si tolse il feltro, per grattarsi la testa.

Si sentiva in serio imbarazzo: quella era la prima volta che il lavoro non era stato portato a termine in modo perfetto. Si ripromise di far passare a quell’incapace del suo uomo un gran brutto quarto d’ora, una volta tornatosene alla base.

«Non ora. Non subito. O potremmo destare dei sospetti. Sicuramente alla caserma dell’Armata Ricognitiva se ne staranno all’erta, data la morte di Goram Athiassy. Tu per adesso te ne starai rintanato: per un po’ non voglio più sentir parlare di te, sono stato chiaro? Non farti più vedere, sino a nuovo ordine. Ed ora, ritornatene nei bassifondi!»

Senza dire una parola, Kenny si riscosse, sputò a terra la mistura di erbe e funghi che era solito masticare, per rimettersi il cappellaccio sgualcito in testa ed andarsene.

Sospirando, Uri si riappoggiò allo schienale della poltrona.

Si sentiva stanco, troppo stanco di portare, dentro di sé, oltre al rimorso per i delitti compiuti, anche il peso di un mostro immondo.

Era arrivato per lui il momento di passare ad altri il suo immane fardello… ed aveva anche deciso quale persona fosse la più adatta, nonostante la giovane età.

L’importante era finire.

****

Un terribile cerchio alla testa fu la prima cosa che avvertì, impiegando non poco ad aprire gli occhi e a mettere a fuoco.

Le tempie le pulsavano fortemente e, non senza fatica, riuscì, dopo qualche minuto, a sollevare le mani per premersele.

«Meti…»

Non era sola.

Battendo le palpebre vide un Erwin dall’aria stravolta alzarsi subito dalla sedia per avvicinarsi al suo capezzale e sedersi sul bordo del letto, il più possibile vicino a lei. Contrariamente a suo solito, non portava la corta chioma bionda perfettamente in ordine e con la scriminatura netta: era scarmigliato, con ciuffi più lunghi a coprirgli la fronte. Barba lunga e occhiaie profonde e violacee completavano il quadretto.

Fu allora che come una sorta di squarcio di luce le attraversò la mente.

Erwin.

«Erwin!» mormorò, sollevando una mano che prontamente fu racchiusa dalle mani di lui, e sfiorata dalle sue labbra.

L’uomo capì, dal tono di voce di Meti, che finalmente la donna si ricordava del loro rapporto.

«Sei tornata… sei tornata da me… Grazie…» mormorò.

Poco dopo, Meti venne visitata da Hervert e dichiarata fuori pericolo: la febbre era finalmente scesa ad una temperatura accettabile di poche linee. La donna era perfettamente vigile e cosciente, in grado di rispondere alle domande vaglianti il suo stato di lucidità mentale. Era però molto debole e bisognosa di tranquillità e di riposo.

Erwin stava quindi per essere congedato, per permettere alla paziente di dormire, quando, improvvisamente, Meti divenne, se possibile, ancora più pallida.

«Mio padre… hanno colpito mio padre…» riuscì, non senza fatica, ad articolare, mentre cercava di sollevarsi dal letto per alzarsi, tentativo subito vanificato da Smith, che la bloccò stringendola forte. «Devo andare da lui ha bisogno di me… è ferito! Lasciami, devo andare da lui!» si mise ad urlare.

Sia Erwin che l’anziano medico tentarono di tranquillizzarla e di farla ragionare, ma solo un ceffone di Smith la fece tornare in sé. La donna scoppiò in lacrime sulla sua spalla, vinta.

«Calmati… ora come ora non si può far molto… tra qualche giorno prenderemo informazioni sull’accaduto e vedremo cosa fare.» le sussurrò sui capelli, tenendola abbracciata.

Erwin non poté che mentirle, viste le sue condizioni di salute. Levi aveva chiaramente fatto rapporto sull’uccisione di Goram Athiassy, come testimoniatogli dai contadini conosciuti nelle tenute del conte. Ma era necessario prendere tempo ed aspettare che Meti fosse un po’ più forte, per poterle far apprendere la verità, con tutti i dettagli.

Stremata, Meti si assopì tra le braccia dell’uomo, che la cullava come se fosse una bambina.

****

Per Meti iniziò quindi la convalescenza.

Dopo un paio di giorni, una volta completamente sfebbrata, fu riaccompagnata nei suoi alloggi, ove ricevette la visita di Mike e di Levi. Mentre il primo si limitò ad annusarla, compiaciuto di sentire di nuovo il consueto profumo di lavanda, Levi, accomodatosi suo solito sul piccolo sofà dopo essersi stiracchiato languidamente, constatò filosoficamente che “neanche i Giganti ci possono fare niente quando si ha la testa dura come la sua”, con tanto di linguaccia di Meti, di rimando.

Un serio litigio, però, scoppiò di lì a poco con Erwin, ritrovatosi da solo con lei, com’essa venne a sapere dello stato di arresto di Zoe. Insistette con l’uomo per la commutazione, quantomeno, della punizione comminata all’amica in una più lieve.

«Un tempo questo favore lo facesti tu a me, e ti ricordo che la mia insubordinazione fu ben più grave di quella di Zoe, dato che aggredii fisicamente Keith Shadis: intercedesti per me, te lo ricordi? Stavolta le cose sono ben diverse, Hanji non ha nessuna colpa, ho accettato io di far parte della ricognizione, è stata una mia decisione, non sono una bambina, né una mentecatta. Se desideri tanto punire qualcuno, allora dovresti punire direttamente me!» brontolò, camminando avanti e indietro per la stanza, nonostante Hervert l’avesse raccomandata di restarsene a letto, o almeno seduta in poltrona, per poter riprendere le forze.

Erwin la bloccò nel suo nervoso andirivieni, fissandola negli occhi con cupa determinazione.

«Meti, ti ricordo che le ricognizioni sono progettate a tavolino: ogni dettaglio viene deciso dopo attente valutazioni. Non tutti i soldati in carica vengono scelti per una missione, dovresti saperlo! E tu, a parte l’episodio isolato dell’esplorazione notturna di cattura di un Titano di diversi mesi fa, meno pericolosa perché, per l’appunto, più circoscritta, sono anni che non prendi parte alle ricognizioni a causa della tua…» al che sospirò, chiaramente a disagio, «disabilità.»

Meti spalancò gli occhi, basita, ricacciando a fatica le lacrime che le stavano affiorando, dispettose.

Si stava sentendo umiliata.

Proprio da lui.

Erwin lo intuì. Le accarezzò le spalle, raddolcendo lo sguardo.

«Ti prego… smettila di pretendere da te l’impossibile. Sei un medico, un bravissimo medico e la nostra Armata ha bisogno di te in quanto tale. Molti qui ti sono sinceramente affezionati. Ma come aspirante mangime per Giganti ci sei perfettamente inutile.» dedusse, in tono asciutto.

Nell’udir ciò, Meti strinse le labbra, seccata, fissandolo negli occhi.

Erwin continuò. «Il Caposquadra Zoe si è assunta le sue responsabilità, decidendo di proporti di partecipare alla missione, senza consultarmi, stravolgendo i piani già concordati a tavolino. Non posso indulgere in simili comportamenti. Questo è un esercito, non una scolaresca. Ci sono delle regole: dure, inflessibili, detestabili, quello che vuoi. Ma tant’è. Se non intendi rispettarle, puoi sempre dimissionarti e ritirarti a vita privata. Io non ti trattengo…» al che la voce gli tremò, impercettibilmente. «Ma finché resterai qui dovrai obbedire agli ordini: e, almeno per ora, sono io che li impartisco. Come dicesti proprio tu tempo fa, fuori dal letto siamo due ufficiali ed io sono il tuo superiore. Anche se ti amo, non posso permetterti di mancarmi di rispetto, non tanto per me stesso, ma per la carica che ricopro, che costa dolore e sacrificio per tante persone… ed anche per me.» mormorò, alla fine.

Meti annuì e tacque, chinando il capo.

Stanca, si scostò dalla presa di Erwin e andò a sedersi su una poltrona.

Del discorso di Smith una cosa l’aveva colpita profondamente: l’uomo le aveva appena confessato di amarla, ma anche che, nonostante ciò, non le avrebbe fatto sconti. Il Comandante del Corpo di Ricerca non avrebbe mai ceduto il passo all’uomo innamorato.

«Va bene Erwin. Ho capito.» mormorò, sospirando.

Aveva anche ben inteso, in cuor suo, cosa fosse davvero accaduto al suo povero padre, senza che ancora nessuno si fosse deciso a dirle la verità.

Non era più necessario, ormai.

Adesso aveva bisogno di riflettere sul da farsi, di capire come muoversi, ora e per il futuro. Troppi interrogativi le si stavano affollando nella mente, anche a seguito delle rivelazioni che suo padre le aveva fatto, il giorno prima del suo assassinio. E questi interrogativi riguardavano, a questo punto, anche la prematura morte di Basil.

Si trattò davvero di un incidente sul lavoro? A questo punto, forse era il caso di investigare: cosa che, all’epoca dei fatti, troppo sconvolta ed addolorata, non era stata in grado di fare.

Un terribile sospetto aveva infatti cominciato a farsi strada nella sua mente. La guarigione dall’amnesia grazie al trauma subito alla vista dei Giganti le aveva restituito tutto il suo passato, la coscienza di sé… ed ora anche maggior conoscenza sui fatti delle Mura e dei Giganti stessi.

Doveva anche decidere cosa fare di tali scoperte: se e come renderle note ad Erwin. Voleva proteggerlo, temeva che tenerlo al corrente della verità, di tutta quanta la verità, potesse esporlo troppo, metterlo in pericolo, invece di avvantaggiarlo. Aveva quindi bisogno di riflettere bene, di capire cosa fosse meglio dirgli e cosa no, per il suo stesso bene. Se gli fosse accaduto qualcosa, non se lo sarebbe mai perdonato.

Senza quasi accorgersene, si portò le mani alle tempie, che le pulsavano dolorosamente, chiudendo gli occhi.

Erwin si allarmò, temette che le sue parole l’avessero ferita e che ora si sentisse male. Con tenera apprensione, le si accostò, posò un ginocchio a terra, per avvicinare il viso a quello di Meti, appoggiando le mani con delicata fermezza sulle spalle di lei.

«Meti… ti senti male? Vuoi che chiami Hervert?»

La donna spianò il viso e, guardandolo con dolcezza, si sforzò di sorridergli, per rassicurarlo.

«No… no, sto bene, ho un po’ di emicrania, tutto qui. Non ti preoccupare. Ho semplicemente bisogno di riposarmi. Scusami per prima. Non volevo mancarti di rispetto… sono solo dispiaciuta per Hanji.»

In tutta risposta, Erwin le prese il viso tra le mani e la baciò con tenerezza.

«Vorrebbe vederti. Ti farebbe piacere ricevere una sua visita?»

«E me lo domandi? Dopo che mi sono fatta annusare da Mike e sentirmi dire da Levi che con la testaccia dura che mi ritrovo c’è poco da preoccuparsi per me, pensi che mi possa far mancare quella svitata? Scherzo… lo sai che le voglio bene, lei è molto importante per me. Sapendola in cella per colpa mia mi fa sentire uno schifo.»

Smith la strinse a sé.

«Domani il Caposquadra Zoe verrà a vederti per un permesso premio per buona condotta. Dopodiché sarà accompagnata nei suoi alloggi, ove completerà lo stato di arresto. Va meglio, così, Milady

In tutta risposta, Meti gli baciò una mano, in segno di devozione.
  
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