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Autore: berettha    22/11/2022    1 recensioni
Peter Minus x James Potter.
"Dieci anni prima dello scoppio della casa dei Potter, una trentina di ragazzini, infreddoliti dal viaggio in barca, stavano in piedi sotto il soffitto della Sala Grande, la punta dei cappelli che mirava alle stelle magiche che danzavano sopra di loro e i mantelli, lunghi e neri, che sfioravano loro le caviglie.
Tra di loro, Peter Minus."
Genere: Angst, Generale, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Slash | Personaggi: I Malandrini, James Potter, Peter Minus, Remus Lupin, Sirius Black
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Weep for yourself, my man, you’ll never be what’s in your heart 
weep little lion man, you are not as brave as you were at the start 
rate yourself and rake yourself, take all the courage you have left  
wasted on fixing all the problems that you made in your own head  

But it was not your fault but mine, and it was your heart on the line 
I really fucked it up this time, didn’t I my dear? 
 
Little Lion Man, Mumford and Sons. 

 
Dieci anni prima dello scoppio della casa dei Potter, una trentina di ragazzini, infreddoliti dal viaggio in barca, stavano in piedi sotto il soffitto della Sala Grande, la punta dei cappelli che mirava alle stelle magiche che danzavano sopra di loro e i mantelli, lunghi e neri, che sfioravano loro le caviglie.  
Aspettavano che la professoressa di Trasfigurazione chiamasse il loro nome, come aveva comunicato loro pochi minuti prima all’entrata della scuola, circondati dalle faccette pallide di altri molto più numerosi ragazzi e ragazzini, più impazienti di consumare la cena che sarebbe da lì a poco apparsa sui loro tavoli che di conoscere i loro nuovi compagni di Casa.  
Il Preside di Hogwarts, Silente, li osservava con occhi gentili da dietro i suoi occhiali a mezza luna e la lunga tunica lillà, su cui si muovevano impazienti figure di animali, saltando dal bordo dell’altrettanto lunga manica fino a perdersi tra le pieghe della cintura: conigli bianchi e candidi erano rincorsi da giocosi cervi dalle lunghe corna, assieme a volpi e furetti che si aggiravano tra le asole dei grandi bottoni dorati. 
Peter, nonostante la sua bontà ed intelligenza fosse nota in tutto il mondo magico, un po’ ne era intimidito: i suoi chiari occhi azzurri sembravano scrutarlo più a fondo di quanto mai era riuscito a farlo nessun altro, addirittura –pensava- più di quando sua mamma lo scrutava in cerca di macchie di marmellata dopo che una fetta della torta era “misteriosamente” scomparsa. 
“Benvenuti e benvenute ad Hogwarts, per i nuovi arrivati; bentornati per tutti gli altri” proclamò, ergendosi sullo scranno “un nuovo anno sta per cominciare...”  
Peter, ovviamente, si perse poco dopo l’inizio del discorso nonostante volesse costringersi ad ascoltare. Era ansioso, le mani gli tremavano e la pancia gli doleva. Doveva andare in bagno? Probabilmente, in treno non era riuscito a trovarlo. I pantaloni erano troppo larghi e aveva paura che camminando gli scivolassero (Ah! Se solo avesse ascoltato sua mamma prima di uscire! Glielo aveva detto di mettersi la cintura!), aveva paura di sembrare uno sciocco, di non avere i capelli abbastanza alla moda, che i ragazzi intorno a lui notassero la pancetta che cercava di tenere indentro respirando quasi a fatica. Si muoveva agitato sul posto, portando il peso da una gamba all’altra, prima in equilibrio su un piede e poi sull’altro; qualche volta si accorgeva del rumore delle sue scarpe nuove di zecca sul pavimento e si costringeva a fermarsi, per ricominciare poco dopo più agitato di prima. 
Accanto a lui, un ragazzo dai capelli spettinati e il naso lungo nascosto dagli occhiali di vista gli diede un colpetto tra le costole col gomito “Se continui così rischi di pisciarti sotto” gli disse ridacchiando, e rosso di vergogna Peter si immobilizzò come una statua.  
Si destò dall’autoinflitto congelamento solo quando udì la voce della professoressa McGranitt chiamare il suo cognome “Minus, Peter!”, e con i muscoli doloranti si costrinse a percorre quei pochi fino al Cappello Parlante, cercando di non tremare troppo e di non farsi notare mentre si teneva i pantaloni con una mano. 
“Allora, allora, cosa abbiamo qui...” La voce del Capello gli tuonò nella testa, cogliendolo di sorpresa. Un verso di sorpresa gli sfuggì dalla bocca e l’intera sala ridacchiò. Se prima aveva resistito alla tentazione di scappare fuori dalla porta urlando, adesso era solo la paura di scatenare ulteriori risate che lo bloccava sullo sgabello. 
“Ragazzo, una persona così agitata era da anni che non la sentivo... forza adesso, su col morale! C’è tanto da analizzare in questa testa... tanti pensieri... tante qualità... Tassorosso, forse? No... no... Oserei dire che non ci siamo per nulla... senza offesa ragazzo... Oh! Ho trovato!” 
Con enorme sorpresa di Peter, che fino a quel momento aveva chiuso la bocca tanto forte dal trasformare le labbra in una sottile linea bianca la voce del Cappello uscì dalla sua testa per sprigionarsi nella Sala, “GRIFONDORO!” risuonò tra le pareti adorne di stendardi e i ragazzi dal tavolo centrale si alzarono applaudendo. 
Più rilassato, ma non abbastanza da non rischiare di inciampare nel mantello della McGranitt scendendo dallo sgabello, si sbrigò a raggiungere il suo tavolo, prima che il Capello decidesse di cambiare idea e di rispedirlo a casa o cos’altro, e prese posto accanto a un altro Grifondoro del primo anno dai capelli biondo sporco, mentre il ragazzino di poco fa (“Potter, James!”) si affrettava a raggiungere a sua volta il podio. 
“Piacere, Remus. Lui invece è Sirius,” disse, indicando un ragazzo dai capelli neri, lunghi e spettinati, dal sorriso brillante e gli occhi vispi. “ma adesso è occupato a parlare con Paciock del terzo anno. Tu ti chiami Peter, giusto?”  
“G-giusto...sì, insomma, piacere.”  
Il ragazzino sedeva mollo sulla panca, la schiena curva e i gomiti appoggiati sul tavolo per tenersi la testa fra le mani; finissime cicatrici pallide quasi quanto lui gli adornavano il viso, che potevano passare quasi inosservate se non facevano talmente tanto contrasto con le occhiaie e il piccolo livido ingiallito sul mento. Forse aveva preso il vaiolo di drago pure lui? Il suo vicino di casa lo aveva avuto qualche mese prima, e nonostante avesse superato la malattia ancora oggi se ne portava appresso il ricordo con il suo aspetto stanco e malato. 
Potter, James, alla fine fu smistato anch’esso in Grifondoro, e corse verso il tavolo in trionfo, lasciandosi scivolare sulla panca, spingendo così però Peter contro Remus e di conseguenza Remus verso una ragazzina rossa di capelli che si alzò inviperita per dirne quattro a quel Potter. 
Mentre la ragazzina, arrossata in viso e spettinata, riprendeva il suo posto, davanti a loro – oseremmo dire come per magia- il tavolo si riempì di leccornie di ogni tipo, e Silente annunciò l’inizio del banchetto di inizio anno: Peter osserva in silenzio, mentre James e Sirius -che era seduto esattamente davanti a lui- iniziavano già a parlare di Quidditch, di quanto sfigati fossero i tornei di Gobbiglie, piani su come sgraffignare Whiskey Incendiario dalle cucine, e tra un morso a una coscia di pollo e lungo sorso di dolcissima Burrobirra riuscivano anche a pensare a come evadere il coprifuoco per farsi un giretto notturno; più volte Sirius allungò le mani verso il suo lato del tavolo, gesticolando animatamente per ottenere l’attenzione di Remus, che invece non aveva assolutamente intenzione né di irrompere nelle cucine la loro prima notte ad Hogwarts per rubare dell’alcol, né di andarsene in giro senza meta per il gusto di farla ai professori. 
Ma cos’era quella sensazione che sentiva dentro? Mentre tutti mangiavano e chiacchieravano e facevano amicizia, e ancora: sbadigliavano, si muovevano, sorridevano gli uni agli altri, lui era semplicemente... lontano. Un fastidio allo stomaco si irradiava per tutto il suo corpo, e lo portava a chiudere la bocca e a sudare copiosamente. Due volte si obbligò ad aprirla per rispondere a James che, sebbene non con l’insistenza che aveva Sirius nel voler ottenere l’attenzione di Remus, cercava di integrarlo nella loro conversazione, finché anche Potter perse le speranze e con una pacca sulla spalla lo lasciò alla contemplazione della sua cena, mentre mentalmente si dava dello stupido per non riuscire mai a superare quel dannato Fastidio. 
Non sapeva dove era spuntato fuori la prima volta, poteva essere quella volta che era andavo al lago con il padre e lui gli aveva dato dello stupido per aver fatto cadere la sua bacchetta dalla barca, o forse quella volta a Natale dove la zia ridendo aveva fatto notare ai suoi cugini quanto tondeggiante fosse, e loro per tutto il periodo di vacanze non avevano fatto altro che prenderlo in giro, l’unica cosa di cui era a conoscenza Peter era quanto difficile fosse mandarlo via una volta che si era annidato tra le costole e lo stomaco, spingendo con le zampe, mordendo, facendosi spazio al suo interno con unghie e denti. 

Il Fastidio non lo abbandonò fino alla sera, quando tutti si coricarono e si sdraiò a letto ascoltando i sussurri di James e Sirius, che sembravano considerare ogni momento di silenzio un momento sprecato. 
“Minus, dormi?” si sentì chiamare proprio da quest’ultimo, il faccetto di lui sbucava dalle tende del baldacchino rosso attorno al letto, gli occhi stanchi ed arrossati per la tarda ora ma non privi della luce caratteristica che aveva notato anche prima a cena.  
“Dimmi.” 
“Domani a pranzo vogliamo andare a mangiare sulle sponde del Lago, vieni?” 
“Ma non ha detto Silente di non avvicinarsi troppo? È vero che c’è una piovra?”  
“Viene anche Rem.” 
Peter strofina le gambe sotto le coperte come un grillo, nel farlo un calzino gli scivola via. Accidenti.  
“Va bene.” 
... 
 

James era il ragazzo più buono che avesse mai conosciuto.  
Non che Sirius o Remus non lo fossero, ma mentre Sirius era troppo agitato, incline non solo al farsi del male ma a ferire le persone attorno a lui senza rendersene conto e quindi dava in Peter una leggera apprensione, e Remus al contrario era quello che cercava di frenarlo tirandolo per il colletto della camicia, così era sempre troppo occupato con il giovane Black per considerarlo, James possedeva un’innata natura gentile, un mite leader che si faceva in quattro per includere tutti nelle sue –bonarie- malefatte, che controllava ed osservava le persone che gli gravitavano attorno, come un pianeta e le sue lune.  
Quando Sirius iniziava a correre per il corridoio, e Remus gli si fiondava dietro, era James a girarsi per l’ultima volta per incontrare il suo sguardo, invitandolo a seguirli.  
Era sempre James a mandargli l’ultimo bigliettino in classe, con il riassunto di quello che si erano scritti lui e Sirius, e ancora era sempre James a chiamarlo fuori dal letto in piena notte perché Remus non si sentiva molto bene e dovevano andare nelle cucine a sgraffignare un po’ di cioccolata. 
E Peter lo seguiva, sempre, trotterellandogli dietro cercando di mantenere il passo, il fiato corto e le mani eternamente sudate. 
Nonostante però le premure di Potter, c’era sempre qualcosa che lo faceva sentire isolato: le volte in cui faceva finta di dormire, ma sentiva le risate soffocate provenire dalle tende chiuse dal baldacchino di Sirius, dove i tre si scambiavano caramelle e pronostici sul Quidditch, quando a lezione di Pozioni si mettevano in gruppo, e a lui toccava far squadra con altri due ragazzini che finivano per prenderlo in giro perché aveva fatto cadere un’ampolla o gli era scappata la lumaca.  
O quando mandavano avanti lui in avanscoperta “Perché Peter”, gli spiegava Black mettendogli un braccio attorno alle spalle “tu riesci a farti piccolo, sei invisibile. Quirrell non ti scoprirà mai, avanti” e li osservava con la cosa dell’occhio stringersi dietro una colonna ridacchiando mentre lui entrava in Aula Professori con le tasche piene di Caccabombe. 
Sapeva che se si sarebbe alzato e si sarebbe intrufolato anche lui nel letto di Sirius, non lo avrebbero cacciato. Riusciva chiaramente a vedere James spostarsi per fargli posto vicino a lui, battendo il materasso con una mano e offrendogli un’Ape Frizzola con l’altra.  
E allora perché rimaneva lì, fissando il soffitto, con il Fastidio che si faceva le unghie contro la sua cassa toracica?  
 

... 
Al Fastidio, si unirono i sogni.  
Cominciarono la prima luna piena di ottobre, quando per la prima volta dormì con la foglia di Mandragola incastrata tra la guancia e i denti.  
Aveva un sapore orribile, aveva paura di vomitarla, non sapeva come avrebbe fatto a tenerla un mese intero senza ingoiarla per sbaglio, come avrebbe bevuto dell’acqua? E a lavarsi i denti? E prima di addormentarsi si girò e rigirò nel letto cercando di scacciare quei pensieri.  
Fuori, sentiva lontano i lamenti di Lunastorta, Remus, e una leggera pioggia autunnale batteva sui vetri del Dormitorio: la prima notte, terribile, pensò fosse per questo che aveva sognato così male. 
Ma poi Remus tornò, le mani fasciate e un nuovo taglio sul viso che si sarebbe trasformato nell’ennesima cicatrice, la pioggia smise e poterono sputare la foglia –che con grande sollievo di Peter, non finì ingoiata assieme a un sorso di succo- ma gli incubi continuarono. Incubi dove era a casa sua, in cucina precisamente, ed era circondato da topi neri, uscivano dalle ombre e gli sfioravano i piedi, si arrampicavano su per i fornelli, dentro le pentole, in mezzo alla frutta lasciata marcire vicino alla finestra. Lo guardavano minacciosi da ogni angolo della casa, gli occhi rossi rilucevano al buio e sembravano essere l’unica fonte di luce; qualche volta mordevano pure i piedi nudi di Peter, e il risveglio era sempre angosciante, come se davvero durante la notte si fosse teletrasportato a casa, più stanco di quando si era a messo a letto. 
Perse anche peso, e nonostante Sirius si congratulasse con lui “Chissà quante ragazze ti porterai ora in dormitorio!” non riusciva a capire come potesse essere una cosa positiva, lo stomaco eternamente chiuso e una costante sensazione di esser sul punto di vomitare. Camminava, e sentiva il pavimento ondeggiare, come fosse in barca o come se il pavimento avesse deciso di trasformarsi in sabbie mobili e di mangiarsi la sua scarpa. 
Le cose, ovviamente, non migliorarono quando raggiunse la sua forma Animagus, e si trasformò lui stesso in uno dei topi che invadevano i suoi sogni.  
Si arrampicava con le piccole zampette rosee su per il palco di corna di James, osservando Felpato e Lunastorta correre per la foresta, mordersi a vicenda le zampe, spingersi a terra e rotolare sporchi di fango e saliva.  
 

Peter era appoggiato al muro della Sala Comune, in mano un drink con Whiskey Incendiario e l’altra affondata nella tasca dei jeans.  
Era caldo, gli faceva male la testa, la musica era troppo forte e domani dovevano svegliarsi presto per prendere il treno ma a nessuno sembrava importargliene, impegnati come erano a festeggiare la fine dell’ultimo anno. 
Doveva essere felice, lo sapeva, aveva completato gli studi. Sì, c’era la Guerra, ma presto avrebbe iniziato a lavorare al Ministero come stagista, avrebbe continuato a combattere al fianco dell’Ordine, la stanza a Diagon Alley che aveva affittato qualche mese prima con Sirius e Remus lo stava aspettando.  
E allora perché si sentiva così?  
Ramoso ballava con Lily Evans, i capelli di lei risplendevano sotto le luci come una cascata di fuoco, Felpato e Lunastorta parlottavano con i nasi che si sfioravano vicino al camino, le mani che si sfioravano come due ragazzini. E lui era lì, da solo. 
Si lasciò cadere a terra, scivolando lungo la parete, fino a sedersi con le gambe incrociate sul pavimento freddo. Un sorso di Whiskey, un’occhiata in giro.  
“Deprimente, eh?” 
Una voce lo colse di sorpresa, si girò per trovare un ragazzo di Corvonero che aveva preso posto accanto a lui, anche lui seduto sul pavimento. 
Strano, non si era accorto fossero venuti anche ragazzi di altre Case alla festa.  
“Non particolarmente, si stanno tutti divertendo.” risponde.  
“Io no. Tu neanche, no?”  
No, avrebbe voluto rispondere. No, non mi diverto, perché i miei amici hanno tutti qualcosa di meglio da fare e nonostante gli sforzi che ho fatto in sette anni io non sono con loro, a ancora a differenza dei miei amici, solo non sono con loro ma non ho neanche nulla da fare che non riguardi loro. Sono rimasto indietro, in qualche modo, sono rimasto indietro dal giorno che sono sceso dal treno a Hogsmeade e non riesco a sbloccarmi.  
Ma non lo disse. 
“In realtà mi sono divertito. Ora sono solo stanco.”  
“Sì sì, come dici te, ci credo, eh.”  
Iniziava a dargli sui nervi. In tutta risposta tracannò in un solo sorso il drink rimasto nel bicchiere. Ma chi era? E come si permetteva di venirgli a dire come avrebbe dovuto sentirsi, mettendo in dubbio le sue parole? 
Lo sentiva accanto a lui grattarsi nervoso l’avambraccio sinistro, dandogli dei leggeri colpetti al fianco che iniziavano a dargli sui nervi.  
“Senti, perché non mi segui di là? Ti parlo di una cosa. Devi solo ascoltare. Poi, oh, se non ti va bene, te ne vai.” 
I suoi occhi brillavano, e Peter si sentiva scrutare l’anima: a differenza della luce in quelli di Sirius, i suoi avevano una sfumatura di scelleratezza, brutali e crudi come il sorriso che gli porgeva. Il Fastidio annidato nel suo petto iniziò a fare le fusa causandogli un’ondata di nausea. 
Mancavano soli tre anni allo scoppio della casa dei Potter quando si alzò da terra, seguendo il ragazzo di Corvonero fuori dalla Sala Comune.  
L’unica cosa che notò Remus, distogliendo lo sguardo da quello di Sirius, fu solo il bicchiere lasciato incustodito sul pavimento.  

 

Con loro, non si sentiva molto meglio.  
Lo trattavano con riguardo, ma non con rispetto, e sicuramente erano tutti parecchio lontani dal provare affetto verso la sua persona. Il maniero dei Malfoy gli dava i brividi, era sempre freddo e si sentiva in continuazione gli occhi del fratello di Black, Regulus, addosso, sebbene ogni volta che si girava per affrontarlo lui lo ignorava o al massimo gli rivolgeva occhiate tali, piene di disgusto, da farlo vergognare ed arrossire in volto. 
Si rigirava tra le mani nervoso la lettera ricevuta da James qualche giorno prima, per informarlo della piccola festa a casa sua che si sarebbe tenuta la sera stessa.  
I Potter erano nascosti da mesi ormai, e Peter era l’unica persona con cui avevano contatti. Era Peter infatti, che si occupava di portar loro la spesa ogni settimana, che si curava di consegnare la loro corrispondenza a Felpato e Lunastorta, che si fermava a giocare con il piccolo Harry per qualche ora, almeno fino ad una settimana prima quando aveva smesso di presentarsi alla loro porta per questioni dell’Ordine. Con l’Ordine non ci parlava da mesi, ma cosa potevano saperne Ramoso e Lily, dalla loro piccola reclusione? 
Se la rigirava, nervoso, ormai era quasi tutta stracciata e le parole impresse su essa quasi illeggibili, ma l’aveva letta così tante volte da saperla recitare a memoria: “31 ottobre, Codaliscia! Primo Halloween di Harry. Vieni travestito!”. 
Non riusciva a sopportarlo più, Codaliscia, come nome, e cercava di legarsi a tale irritazione per trovare il coraggio di alzarsi in piedi e comunicare che quella era la sera ideale. 
Non poteva più fingere, con nessuna delle due fazioni.  
“Godric’s Hollow, mio signore. È il cottage con le finestre dipinte di verde. La riconoscerà, mio Signore.” 

 

Si teneva il moncherino insanguinato premuto contro l’addome, mentre con l’altra mano rovistava in quello che rimaneva della cucina dei Potter in cerca di uno strofinaccio per fermare l’emorragia. 
Solo qualche momento prima James gli aveva aperto la porta, sorridendo: una goccia di sangue finto disegnato malamente con un pennarello gli “colava” dal lato destro della bocca, e indossava uno stupido cappellino a forma di zucca che gli schiacciava i capelli sugli occhi dipinti di nero. 
Il sorriso che gli sfumò sul volto i pochi secondi che precedettero la tragedia, Peter pensava che non lo avrebbe scordato più; come si era voltato per urlare a Lily di scappare, prima che il cappellino gli scivolasse via dal capo e una luce verde lo investisse. 
Non aveva neanche la bacchetta per difendersi, e perché avrebbe dovuto prenderla? Era il suo amico, quello che aspettava alla porta.  
Una luce verde e un paio di secondi, prima che James, che era stato tanto gentile da invitarlo a passare l’estate più di una volta a casa sua assieme a Rem e Sirius, James che lo aveva aiutato durante Pozioni, James, che si assumeva sempre la colpa di quello che combinavano i Malandrini,  e di nuovo James, che lo aveva abbracciato il giorno del suo matrimonio ringraziandolo di essere suo amico, James che aveva chiesto aiuto per prendersi cura di suo figlio le prime settimane cui era nato, James che fidava tanto dai suoi amici da affidargli non la sua vita, ma quella delle persone che amava, cadesse a terra, gli occhi nocciola spalancati ma senza che potessero più vedere niente.  
Il Signore Oscuro passò oltre, scavalcando il suo corpo come se tutta la vita di Ramoso non fosse stata più lunga o più importante di quella di una mosca, mentre Peter sentiva le ginocchia cedere e la cena risalire.  
Si lasciò cadere a terra e lasciò che il suo corpo, scosso dai brividi, si liberasse da quello che lo faceva star male. Cosa aveva fatto? Era stata la decisione giusta? 
Si era unito ai Mangiamorte non per affinità di idee, ma perché per la prima volta in vita sua, aveva pensato di poter mettere a tacere il Fastidio che non aveva mai spesso di dilaniarlo da dentro: aveva pensato fosse il potere, il modo per zittirlo, il ricoprire una carica importante, il poter decidere sulla vita altrui. 
Ma non aveva fatto altro che nutrirlo ancora, e ancora, e ancora, finché non fu così grande da lasciarlo appesantito e senza fiato.  
Non aveva avuto ancora il tempo per ripulirsi la bocca, quando un’esplosione al piano di sopra lo colse di sorpresa. 
Dopo, il pianto di un bambino. Harry. Qualcosa era andato storto.  
Si costrinse ad alzarsi, ad arrancare verso la bacchetta che gli era scivolata di mano durante il suo crollo e che adesso giaceva pericolosamente vicina al corpo di James, che assolutamente voleva evitare di guardare più del dovuto. 
Harry, continuava a piangere. 
Non poteva andare al piano di sopra. Non sapeva cosa avrebbe visto o trovato, ma non poteva e basta. Egoisticamente, pensava che non sarebbe riuscito a sopportarlo.  
In quel momento, accecato dal panico e dal rimorso, non sapeva cosa lo spaventasse di più: il pensiero della rabbia del Signore Oscuro, a trovarlo ripiegato su sé stesso e sporco di muco, lacrime e vomito anziché al suo fianco, oppure quello di Lily e del figlioletto, cui aveva appena strappato via la casa, la famiglia, forse la vita, il futuro.  
Afferrò la bacchetta, e fece la prima cosa che gli saltò in mente: un’altra esplosione scoppiò attorno a lui, non lo sapeva ancora ma sarebbe costata la vita di svariati babbani che vivevano nelle vicinanze.  
Successivamente, pensò alla sua mano.  
Forse, se non avesse avuto così paura, se non si fosse sentito così in colpa, se il pianto di Harry non gli pulsasse nelle orecchie in modo così continuo ed accusatorio, sarebbe svenuto dal dolore. Invece, in quel momento, non riuscì neanche ad urlare.  
Ferma l’emorragia e poi scappa.  
Ferma l’emorragia e scappa. 
Scappa. 
 

   
 
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