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Autore: drisinil    23/11/2022    3 recensioni
[kurotsuki] [nospoiler] [canonverse] [long: 2 capitoli/settimana]
«Signor è-solo-un-club sei senza parole?» lo provoca Kuroo. «Vuoi che brindi io per te? Però poi bevi tu!»
«Okay, ma solo se il brindisi mi piace» risponde Kei con arroganza, spingendosi gli occhiali sul naso.
Kuroo storce le labbra e si riprende la bottiglia, strappandola a Kei. «E' una sfida?»
«Se vuoi...»
Kuroo distende lentamente il braccio verso Kei, con la bottiglia in mano. Si schiarisce la voce e tenta di scostarsi dalla fronte il ciuffo di capelli, che però ricade subito al suo posto. «Al muro perfetto, che ferma la palla, la devia, la smorza o la costringe. Obbliga le traiettorie, crea pressione e controlla il gioco.»
Kei sorride, gli strappa la bottiglia e beve d'impeto.
E' il vino più buono che abbia mai bevuto, forse il più buono che berrà mai.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Kei Tsukishima, Tetsurou Kuroo
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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33 - Caduta libera



15 dicembre 2012
 

Gli occhi di Kei sono fissi su un punto fuori dalla finestra. E' nella stanza del club, ha le cuffie sulle orecchie, la sua espressione è concentrata.

«Tsukishima-kun, non sapevo ti piacessero le arciere... »

Ennoshita è un po' meno idiota degli altri, ma ogni tanto se lo dimentica. Kei si volta a guardarlo rassegnato, abbassando le cuffie.

«Le arciere?»

Chikara indica, oltre il vetro, le ragazze del club di kyudo che si avviano verso la palestra, con le custodie degli archi in spalla. Ammicca e poi urla ridendo: «Scrivi, Noya: Tsukishima ama le spalle muscolose.»

«Che stronzata» commenta Kei, rassegnato. La cosa comica è che è persino vero.

Nishinoya annuisce con una specie di verso belluino. La sua idea di spasso del sabato pomeriggio, senza la supervisione di quelli di terza,  consiste nell'attaccare post-it con commenti idioti sulle tette delle ragazze del poster dietro gli armadietti. Ha già scritto che Tanaka è un pervertito (vero), che Narita è un mezzo pedofilo (forse vero), che a Daichi piacciono le tettone (sicuramente vero) e a Suga le tardone (falso: Kei si giocherebbe una mano sul fatto che a Suga-senpai piaccia tutt'altro).

Combattere contro la stupidità è fatica sprecata, Kei lascia che Nishinoya scriva il post-it e lo appiccichi al poster; più tardi lo tirerà via, tanto, fra tutti, hanno meno memoria di una covata di galline, entro mezz'ora se ne saranno dimenticati.

Kei getta uno sguardo distratto alla stanza: Tanaka, mezzo nudo, si esibisce in una serie di pose da culturista, con relativi versi gutturali; Kinoshita sfoglia il programma del torneo nazionale femminile; Hinata si sta cambiando, saltella in giro in mutande senza smettere un secondo di ridere e di parlare a Kageyama, che risponde a monosillabi e insulti mentre si fa le unghie. Impugna la limetta con una faccia truce da serial killer, paonazzo per lo sforzo di non guardare il corpo nudo di Hinata, come se ci fosse qualcosa da vedere in quel mucchietto pallido di ossa e nervi.

Neanche Yama dà il meglio di sé: ha indossato la maglietta a metà e si contorce continuando a fissare il telefono con gli occhi sgranati, come se dovesse arrivargli un nullaosta formale per infilarsi l'altra manica. Koganegawa Hayame e il suo sorriso, o meglio il suo gigantesco apparecchio per i denti, lo stanno trasformando in un'ameba.

Volendo essere onesto con se stesso, probabilmente le facce che fa lui quando guarda il telefono non sono meno idiote, però almeno si impegna a evitare che succeda in pubblico.

Kei torna a guardare fuori con un mezzo sospiro. Non riesce a togliersi dalla testa qualcosa che ha detto Hinata ieri. Gli ha risposto male a prescindere, ma il dubbio che avesse ragione è rimasto. Prova a rievocare con esattezza il ricordo di un preciso momento del ritiro: Koganegawa del Dateko sta alzando sotto rete per lui, che avanza dalla seconda linea e salta, staccando consapevolmente con la massima potenza, espirando in elevazione, contraendo gli addominali, cercando di sentire sotto la pianta del piede lo spostamento istantaneo del peso dal tallone alla punta.

Perché ha saltato così?

Perché l'alzata era troppo alta e se n'era accorto già mentre prendeva la rincorsa. Per questo, per arrivarci, è riuscito a saltare più del solito. Lo ha fatto davvero. Quindi, dopotutto, Hinata non si sbagliava. Sulla pallavolo non si sbaglia mai, ha una specie di infallibile istinto naturale, da animale selvatico.

Ogni tanto, in mezzo a questi pensieri tecnici, si insinua la voce di Kuroo, che gli spiega come, alternando allungamenti e accorciamenti muscolari, ovvero con un allenamento pliometrico, si riesca ad allenare la potenza esplosiva nel salto. Quando pronuncia esplosiva, strascica leggermente l'ultima sillaba, come per trattenerla in bocca più a lungo, per gustarne il sapore sul palato. E' una cosa che fa tutte le volte che una parola gli piace particolarmente. Kei ne va matto.

Potenza esplosiva, dice Kuroo nella sua mente, con quella cadenza involontariamente languida. E Kei la ascolta, a ripetizione, sopra la musica di sottofondo che esce dalle cuffie. Nell'ultima settimana, per via del ritiro, si sono sentiti pochissimo.

«Tsukishima! Ehi!»

A riportarlo alla realtà, più che la voce stentorea di Tanaka, è il tocco discreto di Yamaguchi, sul braccio.

«Allora? Chi di voi è Tsukishima Kei?» E' una voce acuta e impaziente, che viene dall'esterno.

Tranne Kageyama e Yamaguchi, sono tutti accalcati alla porta.

«Tsukishima-kun chiedono di te...» cinguetta Kinoshita.

Hinata ha gli occhi fuori dalle orbite. Tanaka è praticamente in ginocchio. L'impennata di testosterone nella stanza è quasi tangibile.

Kei si alza e abbassa le cuffie intorno al collo. A nascondere l'insofferenza, nemmeno ci prova.

Alla porta, si trova di fronte una ragazza. Alta, ben fatta, capelli di un rossiccio artificiale, occhi grigi decisamente particolari, orlo della gonna troppo corto per mettere in mostra due gambe lunghissime. Non è carina, è bella. E sa di esserlo.

«Allora? Sei tu Tsukishima?»

«Sono io» risponde Kei, con studiata indifferenza. «E tu saresti... ?»

«Furukawa Rika, secondo anno, terza sezione» risponde lei, senza scomporsi. E gli porge una busta di carta, bianca e spessa. «Mi hanno chiesto di darti questa.»

Kei lancia uno sguardo distratto alla busta e uno ancora meno attento al viso della ragazza. Sembra annoiato anche dall'aria che respira. Non fa neanche il gesto di allungare la mano.

Gli arriva uno schiaffo robusto sulla nuca: «Tsukishima e che cavolo! Sii più gentile con Furukawa-san!» lo rimprovera Nishinoya, senza staccare gli occhi dalla scollatura di lei. Nano com'è, ce l'ha proprio di fronte.

«No, grazie» rifiuta Kei, con forzosa gentilezza, addirittura accennando un inchino. «Contento così, Noya-senpai?»

«No cosa?» Furukawa è confusa.

«No, non m'interessa. Portati via questa lettera. Perché dovrebbe interessarmi una ragazza che non ha nemmeno il coraggio di venire di persona a... »

«Guarda che non è stata una ragazza» spiega Furukawa, spingendogli la busta sul petto.

«In che senso?» Kei si decide a prenderla in mano.

«Nell'unico senso di queste parole in giapponese. Non me l'ha data una ragazza.»

Gli allarmi interni di Kei entrano in funzione tutti insieme. Improvvisamente, avverte come un fastidio gli occhi e le orecchie di tutti gli impiccioni alle sue spalle.

Afferra la ragazza per il polso e la tira giù per le scale. Un coro di fischi, risate e ululati li segue. In mezzo secondo, sono tutti alla ringhiera a guardare di sotto. A Kei non interessa, basta siano fuori portata di udito.

«Ecco, ora puoi parlare: chi ti ha dato la lettera?» la incita, mollando la presa.

«Ahia!» protesta Furukawa. «Sei un vero cafone!»

«La lettera.»

«Me l'ha data un ragazzo. Un bel tipo. Anzi, direi uno proprio figo. Di un'altra scuola. O forse più grande.»

Kei si spinge gli occhiali sul naso, con due dita. Dietro le lenti, i suoi occhi si spalancano e diventano attenti, fissi in quelli di Furukawa. La voce con cui parla è carica di urgenza repressa: «Alto, moro, fisico da atleta, capelli come se ci fosse esploso in mezzo un petardo?»

Furukawa sorride maliziosa e annuisce. «Sì, è proprio lui. Lo conosci bene?»

La domanda è oltraggiosa. Kei deglutisce, sbatte le palpebre, sente il rimbombo del cuore nello sterno e l'eco dei pensieri che viaggiano alla massima potenza. «Sei sicura?»

«Sì che sono sicura. Mi piacciono molto, quei capelli. Fanno proprio venire voglia di...»

Kei non la sta ascoltando; una corrente lo attraversa tutto: mani, piedi, gambe, braccia, petto, fino al cervello. «Quando?» domanda, mentre strappa la carta con dita nervose e avide. «Quando è successo? Dove?»

La busta contiene tre fogli ripiegati, pieni di scritte stampate e di crocette. Kei riconosce subito le simulazioni dei test della Todai. Sopra c'è la data di sabato scorso e, con un pennarello blu è segnato il punteggio: ottantasei su cento.

«Mah, sarà stato dieci minuti fa, forse un quarto d'ora. All'entrata est. Stavo passando lì davanti, dopo l'ora di... »

Furukawa lascia cadere la frase perché il suo interlocutore è svanito. Senza cappotto, senza riflettere, Kei si è avviato con i fogli in mano.

«Ehi! Ehi, Tsukishima, aspetta!» grida Furukawa, inseguendolo.

«Che vuoi?» sbotta, girando solo la testa.

«Devi darmi il numero.»

«Di che parli? Quale numero?»

«Quello del tuo amico. Ha detto che se ti consegnavo la lettera, mi avresti dato in cambio il suo numero. Ora devi darmelo. Mi spiace, sai, ma io non faccio mai niente per niente, è la mia regola.»

«Una donna d'affari» commenta Kei, velenoso, scorrendo lo sguardo sulla figura tornita di lei. Quando rialza gli occhi, dietro il riflesso delle lenti, brilla una luce di condiscendenza malevola. «Sei del secondo anno, vero Furukawa-san? Si fa economia nella terza sezione, mi pare... »

«Sì, certo. Ma dobbiamo parlare di scuola adesso? Sei uno proprio strano. Muoviti, dai: dammi questo numero e facciamola finita.»

Kei le offre un sorriso di sufficienza. «Non te lo posso dare, il numero. Mi spiace, sai, ma io non do mai corda agli stupidi, è la mia regola.»

«Eh? Ma che dici?» Furukawa aggrotta le sopracciglia stizzita.

«Se dopo due anni di economia non hai ancora capito che è una gran cazzata fare affari con qualcuno e pretendere che a pagarti sia un altro, sei davvero molto, ma molto stupida.»

Furukawa allarga gli occhi, le sue labbra dipinte di rosa si arrotondano in una smorfia furibonda. «Stronzo!»

Kei non si scompone. Anzi, allarga il sorriso: da sprezzante diventa sarcastico solo sbilanciando un po' la simmetria. «Ah, comunque, il numero non ti serve, lui è già impegnato» dichiara, voltandole le spalle. Un attimo dopo sta attraversando di corsa il cortile.

«Stronzo!» ripete Furukawa, urlandogli dietro a pieni polmoni.

La sentono anche dalla stanza del club e, tutto sommato, nessuno si stupisce più di tanto. Fra i caratteri di merda, quello di Tsukishima si distingue. Su quanto è successo di sotto fioriscono nell'invidia le ipotesi più esotiche. Yamaguchi crede di aver capito, per questo ne azzarda un paio pure lui, particolarmente fantasiose, per confondere le acque.

L'unico abbastanza coraggioso e folle da andare a chiedere direttamente a Tsukishima sarà Hinata. Succederà domani, davanti alla macchinetta delle bibite. Tsukishima gli risponderà di andare a farsi fottere da Kageyama. 

E un giorno Hinata ci ripenserà. Sulle debolezze degli altri Tsukishima non si sbaglia mai, ha una specie di infallibile istinto naturale, da vero stronzo.

***

Kuroo sta aspettando accanto al cancello dell'entrata est. Appoggiato di schiena contro il muro, con il ginocchio piegato e il telefono in mano. Ha la sciarpa annodata male, l'inizio della giacca a vento sbottonato, le orecchie arrossate dal freddo.

Ed è lì, a pochi passi. Per un attimo Kei teme che sia un'allucinazione. Del resto, il cervello gli si è scombinato così tanto che una deriva allucinatoria delineerebbe per lo meno un quadro clinico comprensibile. E un roseo destino di psicofarmaci.

Invece Kuroo c'è davvero. Lo psicofarmaco è lui. E' venuto fin lì in un giorno di scuola, senza motivo, come solo un vero scemo farebbe.

Nel momento in cui Tetsurou alza gli occhi, incontra quelli di Kei, che lo stanno fissando oltre le sbarre del cancello.

«Ciao» lo saluta Tetsurou, come se non si vedessero da pochi minuti. Gli si scioglie nello sguardo un sorriso esplosivo, di quelli che tolgono il respiro.

«Ciao» risponde Kei, dopo una lunga pausa, che sembra studiata e invece è il tempo minimo che gli ci è voluto per riprendere fiato.

Tetsurou allunga una mano oltre il cancello, poi la ritrae e stringe una delle sbarre verticali. «Sei pallido. Ti stai congelando, Tsukki.»

La tuta da ginnastica di cotone non è esattamente un indumento invernale. E a dispetto della giornata tersa, che scolpisce i profili dei monti tutt'intorno, l'aria è gelida; cumuli di neve ghiacciata sono ammonticchiati ai bordi della strada.

Ma in questo momento Kei non sente freddo. Non sente niente. Sta solo pensando che eliminare le sbarre di ferro che li dividono sarà una pessima mossa.

«Vuoi la mia giacca?» propone Kuroo e sta già tirando giù la lampo.

Kei alza gli occhi al cielo, apre il cancello gli afferra un braccio e lo tira dentro. Gli riallaccia la giacca, dopodiché inizia a camminare con passo marziale. Kuroo gli corre dietro.

«Tu sei pazzo!» sbuffa Kei, voltandosi a guardarlo, senza rallentare. E' molto, molto più bello di come se lo ricordava. La settimana di ritiro senza neanche mezza videochiamata, è stata lunghissima.

«Credevo scemo... »

«Piantala! Non sto scherzando. Sono incazzato nero. Come ti è venuto in mente di presentarti qui? Giuro che se ti beccano e ti giochi la Todai con una sospensione ti ammazzo.» Bugia. Bugia. Sono tutte bugie, tranne l'ultima, che è vera in parte. Se lo beccassero, Kei si prenderebbe la colpa pur di non mettere a rischio la Todai, però di sicuro poi vorrebbe ammazzarlo.

«Guarda che io ero fuori dal cancello, in modo perfettamente legale. Sei tu che mi hai tirato dentro. E...a proposito, Tsukki, dove mi stai portando?»

Purtroppo, lo scemo ha ragione: avrebbe fatto meglio a uscire lui. La consapevolezza che stare vicino a Kuroo lo renda più idiota di Hinata nei giorni meno buoni non è di grande conforto.

«Quel cancello si vede da mezza scuola, non potevamo restare lì» brontola Kei, rinunciando alla logica e alla coerenza in un solo colpo. Peccato, erano vecchie amiche. «Seguimi, stai zitto e cerca di non dare nell'occhio.»

E' una raccomandazione utopistica: attirare l'attenzione fa parte della formula matematica che definisce Kuroo Tetsurou, il quale, appunto, si fa trascinare in giro con un'espressione disinvolta, occhi curiosi che si posano su ogni cosa, sorrisi seminati a caso, e una giacca a vento rossa che si vede fino a Sendai.

Davanti a un edificio anonimo, Kei spalanca con il fianco una porta tagliafuoco, lascia passare Kuroo, quindi la richiude e lo precede su per due rampe di scale; imbocca un corridoio male illuminato, in cui larghe scaffalature piene di libri si alternano a postazioni computer e aperture verso sale laterali ariose, e infine apre una porta chiusa a chiave.

L'etichetta sul portachiavi di plastica viola, Tetsurou non riesce a leggerla. Due mani sbrigative lo spingono all'interno e poi sente il rumore della chiusura a doppia mandata. La stanza è in penombra, ingombra di scaffali. Odora di polvere e di carta invecchiata.

«Dove siamo?»

«Shhh, scemo, parla piano» gli sibila Kei nell'orecchio. «Siamo nel magazzino della biblioteca.»

«Non l'ho mai fatto in una biblioteca.»

«Il che fa di te un essere umano con il minimo sindacale di decenza. Ma sul serio vai in giro scopando a scuola?»

«Beh...»

La gomitata di Kei sul fianco, accompagnata da uno sguardo feroce, arriva prima che Tetsurou possa schivarla. «Ahia!»

«Shhhh!»

«Basta infilzarmi con quelle cacchio di giunture appuntite che hai!» sussurra Tetsurou, massaggiandosi.

«Te le cerchi sempre!» bisbiglia Kei offeso.

«Come fai ad avere le chiavi di questo posto?»

«Sono il responsabile della sezione classici occidentali

«Davvero? E non è troppo faticoso?» provoca beffardo.

«Neanche te lo immagini. Chilometri di fila per accaparrarsi l'ultima copia di Henry James.»

«Chi cavolo è?»

«Appunto.»

«Comodo però» commenta Tetsurou, con la voce appena più bassa, appena più roca.

Kei sbatte gli occhi. «Cosa?»

«Avere un rifugio così a scuola, dove chiudersi dentro a doppia mandata.»

Quando il superpotere lo usa consapevolmente, è distruttivo. Nello spazio di una frase, l'immaginario di Kei si è rimodellato completamente attorno al suono della chiave che gira due volte nella toppa, marcando un dentro e un fuori traboccanti di allusioni. Il cervello gli si è ridotto a una poltiglia acquosa di pensieri lascivi, fra cui galleggia qualche patetico relitto di dignità.

Tetsurou, intanto, si sta togliendo la giacca. E lo fa continuando a fissarlo dritto negli occhi, senza sorridere, mentre trattiene tra i denti l'angolo del colletto e tira giù la zip in un unico movimento fluido, fino a sganciarla. Un gesto di seduzione consapevole e sfacciato.

Adesso Kei ha la bocca secca, le orecchie in fiamme. Addio relitti di dignità.

Deve appoggiarsi al muro per contrastare la vertigine. «Che cazzo fai?»

«Mi spoglio. Fa caldo, qui dentro.»

La biblioteca è riscaldata, come tutta la scuola, ma forse farebbe caldo anche senza termosifoni. Tetsurou appoggia la giacca a vento sulla spalliera di una sedia e si guarda intorno. «E com'è che ti hanno fatto responsabile al primo anno?»

«Quanta gente conosci che parla passabilmente due lingue straniere?»

Tetsurou ci riflette un attimo. «Solo Akaashi.»

«... che non viene a scuola qui. E comunque lui non vale.»

«No, non vale» concede Tetsurou, soffiando la risposta all'orecchio di Kei.

Sono troppo vicini. Kei sente il crepitio delle scintille e riconosce tutti i segni di un incendio imminente. Evitare il contatto, pensare a qualsiasi altra cosa che non sia mettergli le mani addosso, è già diventata un'impresa estrema.

Si fa indietro con uno sbuffo e un sorrisetto insolente. «Solo ottantasei su cento, che peccato» commenta, sprezzante, battendogli contro il petto i fogli del test. «Conosci le regole: ti devi allontanare.»

Tetsurou incassa con una tranquillità sospetta, scostandosi senza esitazioni; nei suoi occhi c'è tutto, tranne la resa. Inizia a vagare per la stanza, si accosta ai libri, sfiora gli adesivi in rilievo sulle coste sbiadite. Kei lo segue: fra quattro mura è impossibile sfuggire alla smisurata gravità che lo scemo esercita soltanto esistendo.

Su fronti opposti dello scaffale, si cercano negli spiragli fra un libro e l'altro, sbirciandosi con un'indifferenza pretestuosa e inconsistente.

«Ne hai almeno letto qualcuno?» lo provoca Tetsurou.

Kei schiocca la lingua con sdegno.

«Questo?» Tetsurou spinge il libro dalla parte di Kei, che gli getta un'occhiata distratta.

«Arrampicatrice sociale diabolicamente cretina rovina la vita a se stessa e a tutti quelli che ha intorno. Per fortuna alla fine tira le cuoia» recita compassato.

«Sembra un mattone.»

«Meno peggio di altri.»

«E questo?»

«Istitutrice frigida e in miseria vorrebbe farsi il padrone del maniero, ma è inibita dalla moglie pazza di lui nascosta in soffitta. Pur di levarseli di torno, la pazza si dà fuoco e si butta di sotto.»

Tetsurou mugola di apprezzamento. Raggiunge Kei alle spalle e gli sfila il libro dalle mani. «Promettente. E come finisce?»

«Scopano.»

«Happy Ending» commenta Tetsurou in falsetto, facendo con le dita il segno di vittoria.

A Kei scappa una mezza risata.

«Questo qui?» Tetsurou estrae un libretto azzurro dallo scaffale in alto. Sulla copertina c'è un pettirosso.

Kei prende in mano il volume, accarezza la copertina e lo rimette a posto con cura. «Questo lo lasci stare.»

Tetsurou allunga di nuovo la mano, Kei apre la propria a difesa del libro.

«Emily Dickinson lasciala stare.»

Tetsurou si fa indietro senza discussioni. Il rapporto di Kei con la poesia, a quanto pare, è viscerale e complicato in tutti i continenti.

«Questo così piccolo?»

«Giovane e perfida disadattata manda a monte i sogni di gloria della madre deficiente e del padre stronzo. Un po' disturbante, ma scritto da dio.»

«Quest'altro? Sembra bello.»

«Bah. Due ussari del cazzo continuano a sfidarsi a duello per vent'anni, quando è chiaro da pagina due che vorrebbero andare a letto insieme.»

Tetsurou ridacchia. Non ha idea di cosa sia esattamente un ussaro del cazzo e non è mai stato un gran lettore, ma gli sta venendo voglia di leggerli tutti. Anzi, ha appena deciso che lo farà.

«Questo invece? E' rovinato, lo hanno letto in tanti.»

«Quello è bello.»

«E di che parla?»

«Di un tale che risale in barca il fiume Congo per cercare un altro tale, poi lo trova mezzo pazzo e mezzo morto e...» Kei si ferma a pensarci un attimo. «In effetti, penso che parli del fatto che la vita è una merda, le persone sono una merda ed evitare di fare a pezzi le illusioni degli altri è il meglio che possiamo fare per stare al mondo.»

«Lo pensi davvero?»

«Cosa?»

«Che la vita è una merda.»

«Qualche volta.»

«E adesso?»

Kei vorrebbe mentire. O glissare. O barricarsi nella sua confortevole armatura di sarcasmo. Ma non ci riesce. «Adesso no» ammette, abbassando lo sguardo, atterrito dalla propria sincerità.

Tetsurou sorride, gli solleva il mento con le dita. «Ehi! Adesso è fantastica» sussurra. La sua voce accarezza ogni parola. Kei le sente spingere con fermezza contro i bordi delle proprie resistenze.

Sono di nuovo troppo vicini. L'odore d'estate e di colonia lo ubriaca in un attimo.

«Allora, si può sapere che cazzo sei venuto a fare?» dovrebbe essere una provocazione, ma ha il suono di un lamento.

«Non ti vedo da otto giorni, non ti tocco da un mese. Stavo uscendo di testa.»

A quella nostalgia travolgente, Kei vorrebbe solamente abbandonarsi. Chiude gli occhi, tentando di opporre resistenza.

«Kei... » Lo pronuncia con un languore che uccide.

«Sì... ?»

«Glielo hai dato poi il mio numero?»

Kei apre gli occhi di scatto. «Cosa?»

«Alla tizia che ho mandato a cercarti. Le hai dato il mio numero?»

«Ma che cazzo dici?»

«Era carina...»

«Crepa!» tuona, collerico.

Il sorriso di Tetsurou si spalanca, brillante e spavaldo più che mai. «Novantanove!» annuncia gongolando.

Kei rinuncia a restare serio, i sorrisi Kuroo glieli strappa di forza. «Sei uno scemo galattico. E sei di nuovo troppo vicino» lo spinge via con tre dita sullo sterno.

«Davvero?»

«Solo ottantasei su cento. Dovresti impegnarti di più... »

«Quello però era della settimana scorsa» lo interrompe Tetsurou, con una luce pericolosa nello sguardo. Estrae dalla tasca tre fogli ripiegati e li sventola sotto gli occhi di Kei, che si sgranano.

Novantasette su cento.

Kei non è sicuro di aver letto bene. Afferra il foglio e si spinge in su gli occhiali: c'è scritto proprio novantasette.

Da settantadue a novantasette in quattro settimane. Un violatore seriale di statistiche. 

«Ma guarda un po'! Va a finire che te la cavi bene a fingere di non essere cretino... »

L'orgoglio sul viso di Kei è così ovvio, smisurato e sincero che il cuore di Tetsurou si stringe in una morsa. Gli gira la testa per quanto si sente stupidamente innamorato. Una sbornia colossale e meravigliosa.

«Kei...?»

«No, non gliel'ho dato il tuo numero, alla stronza.»

«Tsukishima Kei... » snocciola le sillabe facendole rimbalzare una a una fra la lingua e il palato e lasciandole sfiorire in un bisbiglio.

«Che vuoi?»

«I miei tre centimetri» dice, affondando una mano fra i capelli di Kei.

Tre centimetri. Giusto la distanza che serve per riuscire a guardarsi ancora negli occhi, mentre ci si respira addosso, e poter dire di non essersi baciati.

«Quanto pensi che resisterai?» mormora sulla tempia di Kei.

«E' una sfida?»

«Con te un po' tutto è una sfida.»

Kei sfodera un sorrisetto, resiste in apnea per qualche secondo. Ma ha perso. Ha perso dal momento che l'ha visto al cancello. Anzi no, niente cancello: dal momento che l'ha visto.

«Crepa» gli appoggia l'insulto sulle labbra, e lo sta già baciando.

Si stringono convulsi, in un bacio e un abbraccio che continuano a sconfinare uno nell'altro, disegnando lo spazio umido e segreto di un contatto profondo. Di un bisogno sfrenato, di una resa totale, di una nostalgia già disperata.

Tetsurou si stacca all'improvviso, si fa indietro il poco che riesce, con il braccio di Kei avvinghiato al collo.

Kei apre gli occhi perplesso. Non sa bene come è successo, ma ha la schiena premuta contro il muro, una mano di Tetsurou che gli tiene il viso e l'altra stretta alla propria, le dita intrecciate, il pollice di lui che continua ad accarezzargli il polso e allo stesso tempo lo inchioda alla parete.

«Cento. Siamo a cento... che succedeva a cento?» domanda Tetsurou in un bisbiglio.

«Chissenefrega» biascica Kei, a corto di fiato. Con la lingua accarezza un polpastrello che ha sconfinato sulle sue labbra.

«Tsukki, rispondimi: che succede a cento?»

Kei lo guarda da dietro le lenti, arrogante e sfrontato.

Tetsurou stringe la presa sul polso, bloccandolo con tutto il peso.

L'eccitazione è una scossa elettrica nel corpo di Kei. Un sussulto potente, dalle caviglie ai polsi, nelle ossa, nei muscoli, lungo le vene, nei meandri dei nervi fino alla base del collo, nelle orecchie, sotto le palpebre,  fra le gambe. Il bacino spinto contro quello di Kuroo è un messaggio di lampante chiarezza.

«Succede che sei sfacciatamente fortunato, come tutti gli scemi» replica Kei, con falsissima noncuranza.

Tetsurou sbatte gli occhi. «Eh?»

«Sei uno scemo fortunato, dicevo. Il tuo ragazzo è mille volte meglio del mio.»

Tetsurou resta interdetto per un attimo e poi scoppia a ridere. Una risata emozionata e liberatoria, che in meno di un attimo va a scavarsi un posto fra le memorie indelebili.

Imparano insieme che ci si può baciare ridendo, con il cuore impazzito e i respiri spezzati per l'ossigeno che manca. E che non è male per niente.

Quindi ridono e si baciano e sospirano. Accarezzano tutte le forme del futuro.

Quando Tetsurou gli toglie gli occhiali, con un gesto di una tenerezza immorale, Kei si sente proiettato nel vuoto, in caduta libera, da altezze incredibili e vertiginose.

Si aggrappa all'unica certezza del momento, quella schiena ampia e magnifica, le cui corde tese si possono sentire sotto le dita anche attraverso i vestiti. E adesso è sua.

 

   
 
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