Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: Fede_e    24/11/2022    0 recensioni
Durò pochi secondi o molte ore? nessuno dei due avrebbe saputo dirlo. Il primo bacio forse pochi secondi, il secondo di più, poi ce ne furono un terzo e un quarto, forse erano tanti baci brevi, così tanti da perdere il conto, che messi insieme arrivavano all’infinito. Infinito di tempo, di spazio, di durata, di tutto. Ogni bacio era più lungo e più profondo di quello precedente. Si baciarono fino a perdere la logica.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Scorpius Malfoy | Coppie: Lily/Scorpius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

Faceva caldo lì dentro, non se ne era accorto fino a quel momento. Appena un attimo prima, mentre si avvicinava barcollando al tavolo avrebbe giurato di aver sentito persino freddo. Forse lo sbalzo di temperatura era dovuto alla porta del locale che veniva aperta e chiusa in continuazione o forse era lui che non stava mai fermo: passava dallo spazio più affollato della sala a quello più esterno senza riuscire a connettere i suoi spostamenti. I suoi pensieri erano caos, pensava – e agiva- in modo sconclusionato. Fece l’ennesimo ultimo sorso dal bicchiere, che aveva poggiato sul tavolo, seguito da una smorfia di disappunto quando si accorse che, invece del sapore agrodolce del cocktail che si aspettava, aveva sentito sulla lingua solo qualche goccia del ghiaccio ormai sciolto che giaceva sul fondo.

Che si fotta anche il ghiaccio. Avrebbe preso qualcos’altro da bere, ci si poteva giurare sopra. Prima però si sarebbe fumato una sigaretta, questo era poco ma sicuro.

L’unico ostacolo era il pacchetto di sigarette leggermente incastrato nella tasca, ma l’avrebbe estratto, magari con la bacchetta, era improbabile che qualcuno lo notasse con tutte quelle luci stroboscopiche. Sì questo era sicuramente un buon piano: bacchetta, sigarette, aria fresca così si sarebbe potuto allontanare anche da tutto quel calore, cocktail.  Iniziò ad armeggiare con la tasca dei jeans leggermente modificata all’interno, per recuperare quello che cercava. Nel tentativo di prendere la bacchetta fece cadere un paio di cose; portafogli, scontrini, sigarette.

Se gli avessero detto che quello sarebbe stato un momento decisivo per lui, che da quell’esatto momento in poi la sua vita non sarebbe stata mai più la stessa lui non ci avrebbe mai creduto, insomma era solo uno stupido pacchetto di sigarette caduto sul pavimento di un locale. Come poteva quell’indifeso oggetto cambiargli la vita fino a sconvolgerla? Lui era famoso per non cambiare mai, per la sua stoicità soprattutto.

Non era stato forse esemplare il suo comportamento quando la sua fidanzata lo aveva lasciato poche settimane prima, perché sentiva che il matrimonio che stavano programmando non era ciò che faceva per lui, per loro? E non era il ritratto dell’indifferenza ogni volta in cui qualcuno accennava alla cosa? Doveva ammettere che in parte era indifferente. Certo le aveva chiesto di sposarla, e l’avrebbe anche sposata…probabilmente, ma più perché avrebbe fato felice sua madre vederlo ‘sistemato’, e poi lei non era male: una bella ragazza, bionda, relativamente simatica. Sarebbe andata d’accordo anche con le future mogli dei sui amici, cosa vuoi di più dalla vita?
  Indifferenza. Ecco la parola che cerva da settimane. L’avrebbe sposata perché per lui era indifferente stare con lei o no.

Ogni volta che pensava queste cose sentiva la voce di suo cugino sussurrargli nell’orecchio “non è ora di fare qualcosa per questa apatia, carissimo?”. Scacciò il pensiero con uno scatto della testa. Suo cugino era lontano e lui aveva altre cose a cui pensare. Alla sua presunta apatia ci avrebbe pensato domani.
Si abbassò per raccogliere quelle maledette sigarette dal pavimento con un movimento lento e calcolato, fu quello il momento fatidico in cui il suo sguardo distratto cadde su una scena che prendeva atto poco più in là, sulla pista da ballo.

La prima cosa che vide di lei furono le gambe affusolate, le calze, poi il vestito, i capelli, le braccia alzate sopra la testa. Mentre risaliva dal basso, ancora con le sigarette strette in mano, si soffermò ad osservare ogni particolare di quella ragazza. Sembrava che fosse sola, ballava e si divertiva come se non avesse pensieri. Appena allargò il suo campo visivo vide qualcosa che non aveva considerato: non era stato l’unico a notarla. In molti si avvicinavano cercando di ballare con lei. Ed ogni volta lei li allontanava.

Se fosse stato più sobrio forse ci avrebbe pensato due volte prima di avvicinarsi ad una ragazza che scacciava, ora con gentilezza, ora no, tutti i suoi pretendenti. Ma quella sera i pensieri complessi erano stati messi in una parte della sua testa che aveva deciso di staccare il collegamento con il resto del corpo. Così prima di rendersene conto si era ritrovato sulla pista da ballo. Era quasi vicino a lei mentre vide l’ennesima mano allungarsi per spingerla a ballare verso il – ancora per poco- proprietario della stessa, un uomo di cui si poteva pensar male già solo per la camicia arancione acetato che indossava. Lei lo allontanò gentilmente la prima volta che la strinse e un po’ meno la seconda.

 Non le aveva tolto gli occhi di dosso dal momento in cui l’aveva vista. Si era avvicinato, attratto come un marinaio che vede un faro nella notte: l’unica speranza di salvezza. Aveva sperato di riuscire a scorgerle il viso ma fino a quel momento non era stato fortunato, andava avanti perché era incantato dalle movenze di quella ragazza. Senza riflettere (ancora una volta), usò quei pochi riflessi che ancora reggevano sotto il peso di stanchezza, gin e sigarette e bloccò la mano del tizio in camicia arancione che stava per strattonarle il braccio per la terza volta.

“Ehy ti ha detto di no” tentai di usare un tono autoritario, ma quello che uscì fu un urlo sguaiato per sovrastare il rumore della musica.

“Che ti importa? Sta con te per caso?” sbiascicò al punto che era difficile essere sicuri al cento per cento di quello che stava dicendo, quell’uomo aveva sicuramente bevuto troppo.

“Sì” il tono non ammetteva repliche, o almeno era quello che sperava, e forse così fu perché sorprendentemente il suo rivale fu trascinato via da un suo amico che a quanto diceva “non cercava rogne”

 “ti dispiace se sto un po’ qui con te? Non vorrei mai che camicia arancione torni indietro e ti trovi sola e indifesa” provò a sussurrarle all’orecchio
Ancora non era riuscito a guardarla bene in faccia, vuoi le luci, vuoi lo sguardo appannato…be’ poco importava. Se era bella la metà di quello che riusciva ad intravedere dalla sua prospettiva poteva ritenersi molto fortunato.

Sempre se lei gli avesse permesso di rimanere, non sembrava troppo in cerca di compagnia.

“E chi ti dice che non so difendermi da sola?”  come immaginava. Se fosse stato più lucido non avrebbe fatto quella scelta di parole.

“Nessuno” non riusciva a formulare una frase più accattivante eppure non era così tanto ubriaco “Stavo solo cercando una scusa per invitarti a ballare”. Era molto fiero di come si era salvato sul finale.

“Ma io sto già ballando” una risatina arrivò alle sue orecchie come se fosse musica, ma musica di quella vera non quel rumore metallico che gli stava trapanando le orecchie.
Lui valutò per un attimo se fosse un sì o un no. Alla fine lei non sembrava troppo infastidita dalla sua presenza, e diciamo che gli bastava.

“Balli o te ne vai?” lo stava prendendo in giro?  Il tono era divertito in risposta alla sua espressione imbambolata. Senza farselo ripetere due volte iniziò a ballare con lei. Ebbe un approccio più delicato di come aveva visto fare ad almeno 3 ragazzi nell’ultimo quarto d’ora. Iniziò prendendole le mani per poi passare a sfiorarle i fianchi. Ogni volta che sbloccava una nuova carezza, una nuova movenza e non veniva respinto, un sospiro di sollievo usciva dalle sue labbra.

Non ricordava di aver voluto mai niente come voleva lei in quel momento. Neanche l’ultimo modello di scopa giocattolo quando aveva 8 anni, neanche il suo lavoro, neanche il Natale. La cosa che lo stava rendendo sempre più sfacciato in quella situazione era la consapevolezza che non avrebbe rivisto mai più quella babbana in vita sua. Dal giorno dopo ovviamente.

Chissà come avrebbe reagito la sua famiglia se avesse saputo che recentemente aveva preso l’abitudine a frequentare locali babbani e quindi ragazze babbane. Sarebbero stati contrari? Contenti? Avrebbero detto che era solo una fase? Perché in effetti era una fase, ne era convinto. Ma non sopportava più le streghe che la mattina dopo pensavano di aver trovato il loro scopo nella vita “aggiustandolo”. Le ragazze erano convinte che avrebbero cambiato il suo atteggiamento, che avrebbero cambiato lui, semplicemente chiedendogli “com’è essere il figlio di tuo padre?”. Lo mandava in bestia

Ma questa non era l’occasione. A lei non sarebbe interessato niente della sua infanzia. Mentre la sua testa vagava tra presente, passato e futuro si rese conto all’improvviso che la musica era cambiata e il ballo si era fatto più intenso. Ormai lui e la sua bella sconosciuta erano appiccicati l’uno all’altro, lei gli dava ancora la schiena, si era girata poche volte come a voler controllare che fosse sempre lui lì dietro, e chi la mollava? le carezze erano sempre più intense e i movimenti decisi. Decise che era un buon momento per provare a baciarla. Lentamente ma con sicurezza, approfittò di un passo di danza stano per bloccarla con il viso davanti al suo e appoggiare le sue labbra a quelle di lei.

Durò pochi secondi o molte ore? nessuno dei due avrebbe saputo dirlo. Il primo bacio forse pochi secondi, il secondo di più, poi ce ne furono un terzo e un quarto, forse erano tanti baci brevi, così tanti da perdere il conto, che messi insieme arrivavano all’infinito. Infinito di tempo, di spazio, di durata, di tutto. Ogni bacio era più lungo e più profondo di quello precedente. Si baciarono fino a perdere la logica.

Maledisse il bisogno di aria che sentiva nei polmoni nel momento in cui si staccarono. Perché quello fu il momento in cui, per la prima volta si guardarono bene in faccia, bene negli occhi. Se avesse potuto prevedere quel momento e quella reazione soprattutto, l’avrebbe bendata e portata via prima che tutte le certezze su cui si era retto il loro idillio quella sera si sgretolassero.

Nel momento in cui i loro occhi si incatenarono per la prima volta, quella sera, lei lo riconobbe. Lui la vide irrigidirsi, le pupille dilatate, le bocca rilassata in una piccola “o” di stupore.  Entrambi si chiesero che strano scherzo fosse. C’erano i suoi amici dietro? Be’ sicuramente avevano di meglio da fare nel weekend che seguirlo per locali, e poi forse era troppo strano come scherzo per i loro standard. Loro erano più tipi da Snaso sotto al letto.

La vide corrugare la fronte e abbassare le braccia, che ancora teneva sulle sue spalle, fino a farle cadere lungo i fianchi.
Dovevano fare i conti con la verità, entrambi stavano facendo mentalmente i conti con vari aspetti della realtà. Primo: nessuno dei due era un babbano. Secondo: si conoscevano, quindi addio anonimato. Terzo: si erano baciati ed era stato un baciarsi che sottintendeva sicuramente altro. Quarto…

 si riprese da questi pensieri per primo e realizzò che aveva pochi secondi per fare la sua mossa, prima che lei decidesse che no, non era il caso di proseguire la serata insieme.
“ Beviamo qualcosa?” non era la domanda giusta, avrebbe dovuto dirle ‘andiamo a bere’ così non avrebbe obiettato. In ogni caso qualcosa di forte faceva al caso suo.
Lei non parve capire e lo guardò ancora più accigliata, con una ruga formata tra le sopracciglia rossastre. “Mh?”

Insomma era un errore in buona fede, non poteva associare ogni ragazza con i capelli rossi del continente a quella famiglia, no?

“Beviamo” un tono deciso ti apre un milione di strade, diceva sua madre. Per questa volta però si dovette accontentare di uno leggermente incerto. Lei parve non farci troppo caso perché lo seguì senza dire niente, l’espressione un po’ persa.  

 Provò attirare l’attenzione del barman “Cosa ti ordino..?” non terminò la frase, voleva evitare di dire il suo nome ad alta voce.
“Che ci fai TU qui?” il tono di lei era sorpreso e un po’ isterico, aveva ritrovato la parola almeno.

Cercò di non concentrarsi troppo sulle guance di lei arrossate. Si limitò a guardarla con sguardo eloquente, sguardo che mantenne finché capì che non le bastava, aspettava una risposta vera.
L’unico problema era che non sapeva cosa dirle. Era meglio una mezza verità tipo: Volevo ballare? Oppure Volevo bere? O peggio Volevo rimorchiare?
Optò per la prima opzione: disse che era lì per ballare.

“Mmh non mi sembri un ottimo ballerino”
“No, infatti ti sbagli, sono un ballerino eccellente, non ottimo”
“Non mi sembrava in pista”
“Perché sei un po’ ubriaca, o sbaglio?”
“Senti chi parla” lo stava prendendo in giro, di nuovo.
Pensò che fosse il caso di salutarla e andarsene, tanto non avrebbe cavato un ragno dal buco. Ma per qualche motivo rimase lì, aspettando di scoprire se quella conversazione continuasse o no. Fu lei a riprendere parola poco dopo.
“Allora non mi rispondi?” Non seppe resistere a quegli occhi pieni di curiosità, quella sera tutto si sarebbe aspettato tranne di dover usare i suoi soliti atteggiamenti  scaccia-persone, il suo scudo contro il mondo. E infatti si chiese dove lo avesse lasciato nel momento in cui aprì la bocca per rispondere e senza pensare fu più sincero di quanto avrebbe voluto.
“Volevo ballare” e aggiunse velocemente prima che lei lo interrompesse “volevo svuotarmi la testa e non pensare più”.
“E lo fai nei locali babbani?”
“Sì” sembrava pensierosa, non voleva che lei avesse la possibilità di chiedergli il perché, sospettava che incantato da quegli occhi, che risultavano profondi anche nella penombra del locale, le avrebbe detto tutto quello che voleva sapere. “Cosa ci fai tu, invece?”
“Non lo so” ribatté subito alzando le spalle come se non fosse importante. Continuò: “Sai non mi va più di bere, per stasera ho dato abbastanza”
 
Mentre parlava già si era alzata, pronta ad oltrepassare il ragazzo per andare via; sentì, però, una stretta gentile fare presa sul suo braccio “Allora non mi rispondi?” la imitò. Lei guardò con attenzione la sua mano che le teneva l’arto e l’attirava a sé. Era almeno la terza volta quella sera che veniva afferrata da qualcuno più forte e possente di lei, fu più di ogni altra cosa il contrasto tra la delicatezza con cui la reggeva il suo interlocutore in quel momento e la prepotenza di quelli che lo avevano fatto prima di lui a darle il coraggio di alzare il viso e a dire quello di più sincero che riusciva a pensare. La bocca era un po’ asciutta quando parlò di nuovo “ Non lo so, davvero. Non ci ho pensato molto, diciamo che mi andava. Ma suppongo che siamo tutti qui per gli stessi motivi, no?” non aveva detto niente di particolare, niente di nuovo, eppure Lui pendeva dalle sue labbra. Avrebbe voluto sentirla ancora, farle altre domande, ascoltare altre risposte. Ma si limitò ad annuire.
 
Dieci minuti dopo stava uscendo dal locale, da solo. Sarebbe tornato a casa da solo dove si sarebbe lasciato cadere in un sonno ristoratore da solo e la sera successiva ci avrebbe riprovato. Magari cambiando zona.
Avrebbe dovuto capire ore prima, quando la sua ultima conquista gli aveva dato buca all’ultimo momento, che ogni piano anche solo lontanamente pensato da lui in quella serata non si sarebbe avverato. Appena girato l’angolo vide Lei nel vicolo, stava cercando qualcosa nella borsetta. Non riuscì a trattenere uno sbuffo divertito mentre la sentiva imprecare sottovoce. Voleva andarsene, ma non riuscì a trattenersi dal dire  “Ancora qui? Non è un bel posto dove stare a quest’ora”.
Nell’istante in cui i loro occhi si incrociarono Lui sperò di non trovarsi mai in una situazione tale da averla come nemica. Se pochi istanti prima era sembrata buffa, e perfino goffa, indifesa, mentre cercava qualcosa di non ben identificato tra una tasca bucata e una borsetta colorata, adesso nessuno avrebbe pensato le stesse cose guardandola. Era attenta e vigile; il braccio piegato, le gambe divaricate e la bacchetta in mano, pronta a difendersi da qualsiasi interferenza. Non era spaventata, ma non si poteva definire neanche tranquilla. Alzò le mani in segno di resa “Sono io” un po’ incerto... non l’avrebbe schiantato vero?
“Ah sei tu” disse contemporaneamente, poi abbassò la bacchetta: non l’avrebbe schiantato, non in quel momento almeno.
“Aspetti qualcuno?” ecco perché gli aveva dato un due di picche, non c’era altra spiegazione.
“Ehm” sembrava imbarazzata, e a ragione! Non può ballare e baciare uno e poi andare a casa con un altro! Che sono il babysitter? “Aspetto il Nottetempo, a dir la verità.”
“Oh” c’era un lieve imbarazzo nell’aria.
“Sai non mi piace smaterializzarmi quando non sono al pieno delle mie facoltà”
“be’ però ti piace aggredire sconosciuti nei vicoli quando non sei nel pieno... come hai detto tu”
“Mi hai spaventata” disse a mo’ di giustificazione, con tono sincero
“Scusami ancora” si erano seduti su una panchina poco distante dalla strada. Il bus sarebbe arrivato tra poco, questione i secondi, forse.
“È la prima volta che ti scusi”
“Mph”
“E tu come torni a casa?”
“Con la materializzazione”
“Ma se sei uno straccio”
“Sto benissimo”
“E se ti spezzi?”
“Non mi spezzerò”
“Non hai una bella cera”
“Chi disprezza compra, te l’hanno mai detto?”
La replica le morì in gola quando sentì una voce urlare “Hey! Avete chiamato voi? Piccioncini? Dico a voi!” in quel momento lei si accorse che durante lo scambio di battute si erano avvicinati incredibilmente, un altro po’ e i nasi s sarebbero sfiorati e i respiri mischiati.
Lui sembrò riprendersi un attimo prima, come era accaduto spesso quella sera.
Rifletté un attimo sul dà farsi. Ancora una volta corpo e bocca agivano per conto proprio, senza ricevere comandi dal cervello.
Si alzò e le tese la mano “Andiamo, oppure ci lasciano qui”.
Come se fosse il gesto più naturale del mondo, prese la mano che gli veniva offerta e andò dietro al ragazzo.
Una folata di vento la colpì mentre saliva sul Bus. I capelli rossi scompigliati furono paragonati da un passeggiero, da uno qualsiasi sia chiaro, al rosso della lava di un vulcano attivo, mentre saliva il primo gradino, ad un tramonto estivo, secondo gradino, al sangue, terzo gradino, alle amarene, quarto gradino, ad altre 10 cose rosse. Nessuna di queste cose era del colore esatto di quei capelli.
“Hai sentito Ernie?! Hanno paura che li lasciamo qua, i Piccioncini, AHAHAHA”  

  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Fede_e