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Autore: DrkRaven    24/11/2022    6 recensioni
BOKUAKA(+KUROKEN) | (dal testo) ...piegò le braccia dietro la sua chioma improbabile e, con un gesto rapido e deciso, sfilò anche la t-shirt nera che indossava, del tutto ignaro degli urletti e dei sospiri che il suo gesto aveva scatenato all’ingresso. Se la portò al viso, l’annusò per un istante, quindi la appallottolò e la gettò nella lavasciuga.
| 🔞 QUESTA STORIA CONTIENE SCENE E LINGUAGGIO ESPLICITI 🔞 ADATTA A UN PUBBLICO ADULTO 🔞 BOY X BOY 🔞 | Parole: 4.988 |
Questa storia è frutto della mia fantasia, può essere ispirata ad altre opere famose come film, libri o serie TV.
Qualunque riferimento a trama, personaggi o eventi narrati in altre fan fiction di altri autori è assolutamente e del tutto casuale, ma vi prego di segnalarmelo se doveste riscontrare tale similitudine.
È assolutamente vietato copiare e riprodurre quanto riportato in questa storia.
Genere: Comico, Demenziale, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Keiji Akaashi, Koutaro Bokuto, Kozune Kenma, Tetsurou Kuroo
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
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Tutto sommato aspettare il bucato non era poi così male. Certo, la sedia di plastica su cui era seduto non era comoda come il divano del suo salotto, ma l’aria condizionata conferiva al locale una piacevole frescura  e il rumore delle lavasciuga di fronte a lui era rilassante, così ripetitivo e ipnotico che il naso di Akaashi era già crollato un paio di volte tra le pagine del suo libro.

Tolse gli occhiali e si massaggiò lentamente il ponte del naso.

Il display della sua macchina indicava una decina di minuti rimanenti, doveva assolutamente trovare il modo di restare sveglio e il destino sembrò sentire la sua preghiera interiore perché gli fornì una distrazione che di certo non si sarebbe mai aspettato.

Un fastidioso cicaleccio lo fece voltare verso l’ingresso dove un gruppo di ragazze appena entrato in lavanderia ridacchiava con insistenza mentre si distribuivano sulle sedie accanto alla porta. La tranquillità del luogo era stata del tutto profanata da quell’invasione di estrogeni e risatine, e Akaashi fece una smorfia infastidita fino a che, qualche attimo più tardi, lui non entrò dalla porta.

La prima cosa che notò del ragazzo furono le spalle. Erano davvero massicce, larghe e robuste, perfettamente proporzionate con il corpo alto e muscoloso che il ragazzo vestiva senza un’ombra di insicurezza. Attraversò la stanza con passo sicuro, ignorando completamente le ragazze che continuavano imperterrite a ridacchiare lanciandogli occhiate inequivocabili. Anche Akaashi non riusciva a staccare gli occhi da lui, non passava certo inosservato, con una serie di ciocche bianche e nere sparate in ogni direzione che ondeggiavano leggermente mentre si avvicinava alla sedia dove Keiji era seduto.

La seconda cosa che notò furono i suoi occhi. Erano gialli. Davvero gialli. Non nocciola, non beige, non verde chiaro. Erano di un giallo brillante, caldo e denso, e per un istante Akaashi ebbe la sensazione che il ragazzo avesse rallentato passando davanti a lui mentre il giallo di quegli occhi si scontrava con il turchese dei suoi.

Si fermò un paio di sedili dopo il suo e vi poggiò sopra un enorme borsone da palestra, lo aprì e, a grandi manciate, trasferì tutto il suo contenuto in una delle macchine da 15 chili.

Quindi piegò le braccia dietro la sua chioma improbabile e, con un gesto rapido e deciso, sfilò anche la t-shirt nera che indossava, del tutto ignaro degli urletti e dei sospiri che il suo gesto aveva scatenato all’ingresso. Se la portò al viso, l’annusò per un istante, quindi la appallottolò e la gettò nella lavasciuga.

Ora, se Akaashi era rimasto colpito dalle spalle fasciate nella t-shirt, la vista di quella schiena muscolosa e soda gli diede una scarica di adrenalina che lo svegliò completamente. La sua pelle era abbronzata e resa lucida da una leggera patina di sudore (in fondo fuori c’erano ben più di trenta gradi); era chiaramente un atleta, i suoi muscoli erano definiti e guizzanti, e Akaashi dovette trattenere l’istinto di allungare una mano per tacciarne la consistenza sotto ai polpastrelli.

Cazzo, si stava comportando esattamente come quelle ragazze all’ingresso! Si morse il labbro inferiore con insistenza e si costrinse a riportare l’attenzione al display della sua lavasciuga.

Ma, dopo un istante, la sua attenzione fu nuovamente catturata dal movimento a pochi metri da lui; il ragazzo stava armeggiando col bottone dei suoi bermuda, abbassò la cerniera e poi calò anche quelli giù sino alle caviglie, li scavalcò senza sfilare le infradito nere, e li gettò insieme al resto della biancheria nella lavasciuga.

Akaashi deglutì alla vista di quei glutei sodi fasciati da un paio di boxer neri aderenti.

Quello era un fisico che toglieva il fiato, e aveva visto solo la parte posteriore.

Per la seconda volta in pochi minuti il destino sembrò realizzare i suoi desideri e, con buona probabilità, anche quelli delle ragazze accanto alla porta; il ragazzo si voltò mostrando ad Akaashi anche il suo spettacolare “lato A” mentre si chinava a rovistare nella tasca laterale della sua borsa.

I bicipiti guizzavano sotto la pelle completamente liscia e glabra, i pettorali erano definiti e spiccavano sopra a una tartaruga di addominali da fare invidia a una statua greca.

Akaashi si costrinse a distogliere lo sguardo e, soprattutto, a ricominciare a respirare.

Il ragazzo trovò finalmente il gettone che stava cercando, lo inserì nella macchina e impostò il programma con gesti rapidi e sicuri a indicare che non fosse la prima volta che usava la lavanderia.

Quindi si mise a sedere proprio nella sedia vuota tra Akaashi e la sua borsa.

Akaashi deglutì nervoso.

Oltre alle ragazze vicino alla porta c’era solo un ragazzo che non aveva alzato gli occhi dal suo cellulare sin da quando Akaashi vi aveva messo piede. C’erano almeno quindici sedie libere, eppure si era dovuto sedere proprio vicino a lui…

“Ciao!”

La sua voce era assolutamente adeguata al suo fisico: tonante, imperiosa, perfettamente udibile anche sopra al ronzio delle lavasciuga e agli urletti provenienti dall’ingresso che il ragazzo continuava ad ignorare.

“Ciao.” Akaashi rispose ruotando appena le testa. Non voleva essere maleducato, ma nemmeno dargli troppa confidenza.

“Non ti ho mai visto qui, ti sei appena iscritto?” domandò col suo tono stentoreo.

Akaashi posò il libro sulla sedia accanto e gli dedicò comunque l’attenzione che la buona educazione richiedeva.

Guardandoli da vicino, i suoi occhi erano davvero particolari. Brillanti e liquidi, erano sovrastati da un paio di sopracciglia chiarissime ad ala di gabbiano. Il suo viso aveva un’espressione solare e divertita e Akaashi si trovò a sorridergli di rimando.

“No, sono già al secondo semestre” rispose “ma la lavatrice del mio appartamento si è rotta…”

“Davvero? E come è successo?” domandò preoccupato, come se Akaashi gli avesse appena detto di aver perso il cucciolo con cui era cresciuto sin da bambino.

“Il mio coinquilino si è convinto che gli rubasse i calzini” cominciò Akaashi alzando gli occhi al cielo “così l’ha smontata e… beh, diciamo che quando è intervenuto il tecnico era già troppo tardi. Deve cambiare un pezzo ma ci vorranno un paio di settimane perché arrivi.”

Non sapeva nemmeno lui perchè gli aveva raccontato tutta la storia, ma il ragazzo lo guardava con attenzione, assolutamente interessato ad ogni parola che usciva dalla sua bocca.

“E alla fine li ha trovati?” chiese ancora fissando Akaashi con grande interesse.

“Cosa?”

“I suoi calzini!” spiegò, davvero in apprensione.

Akaashi scoppiò a ridere, ma si fermò subito per non essere scortese.

“No, credo che siano in qualche cassetto, comunque. Kenma non è proprio la personificazione dell’ordine.” spiegò con un sorriso, cercando di trattenersi ancora dalla risata che sentiva frizzargli in mezzo allo stomaco. Anche se era più una specie di euforia, una sorta di leggerezza liberatoria che aver scambiato due parole con quel dio greco gli aveva instillato tutto d’un botto.

“Meno male!” sorrise, e i suoi occhi brillarono di luce propria “Comunque io sono Bokuto. Bokuto Kōtarō. Piacere di conoscerti.”

Akaashi prese la mano che gli veniva offerta e le sue dita furono stritolate in una morsa quasi dolorosa.

“Io sono Akaashi Keiji. Ciao…”

“Io invece vengo sempre qui al sabato” Bokuto riprese a parlare, senza però restituire ad Akaashi la sua mano “mi piace perché a quest’ora c’è poca gente, e posso ascoltare il rumore delle macchine che lavano e asciugano. Mi rilassa…” il suo sorriso era quello di un bambino, spontaneo e sincero, e assolutamente contagioso. Akaashi rispose al sorriso senza poterselo impedire, chiedendosi ancora una volta come potesse ignorare così completamente lo stuolo di ragazze sospiranti che erano palesemente entrate in lavanderia solo per vedere lui che si spogliava.

“Sai, lavo tutto, proprio tutti i miei vestiti, così poi non ci penso più fino al sabato dopo!” continuò ammiccando ad Akaashi per sottolineare la genialità della sua idea.

“Beh, non proprio tutti... quelli, allora?” sorridendo divertito, Akaashi indicò i boxer che Bokuto ancora indossava.

La consapevolezza di quella dimenticanza si allargò a macchia d’olio sul viso di Bokuto, che spalancò gli occhi e la bocca coprendosela con le mani.

“Hai ragione…” mormorò.

Quindi si alzò e con un’ampia falcata si avvicinò alla sua lavasciuga per bloccare subito il programma.

Infilò quindi i pollici nell’elastico dei boxer e, con un movimento rapido ed efficiente, li fece scivolare fino alle caviglie come aveva fatto pochi minuti prima con i bermuda.

La comparsa di quei due glutei perfetti generò una cacofonia di urlettini e gemiti, seguiti da un paio di tonfi e lo stridere delle gambe delle sedie sul pavimento. Akaashi si sentì per la prima volta solidale con le ragazze all’ingresso, mentre strabuzzava gli occhi e si strozzava con la sua stessa saliva. Cominciò a tossire mentre Bokuto lanciava i boxer dentro l’oblò e lo richiudeva facendo poi ripartire il programma che aveva interrotto.

Con tutta la noncuranza di questo mondo, tornò a sedersi accanto ad Akaashi.

“Tutto bene?” gli domandò dandogli una leggera pacca sulla schiena. Leggera per un colosso di novanta chili per un metro e novanta o giù di lì. Akaashi pensò di avere una costola incrinata, ma la sua tosse si calmò.

“Vuoi dell’acqua?” gli domandò Bokuto con premura “Sei tutto rosso…” gli allungò la sua bottiglia presa dalla tasca della borsa e Akaashi bevve un sorso con gratitudine.

“Grazie.” riuscì a dire infine, senza però staccare gli occhi dal display della sua lavasciuga, che segnava ormai tre minuti rimanenti. Ma non se la sentiva proprio di girare ancora il viso verso Bokuto, che nel frattempo aveva appoggiato la schiena e disteso le braccia dietro allo schienale di Akaashi e a quello dove aveva appoggiato la sua borsa, e aveva chiuso gli occhi gettando la testa indietro, per gustarsi, immaginò Akaashi, il rumore rilassante delle lavasciuga nel locale.

Il cicaleccio all’ingresso si era ridotto a un basso mormorio e, anche se cercava di restare concentrato sul display davanti a lui, poteva giurare di aver visto più di un cellulare sollevato per scattare foto di Bokuto sbragato sulla sedia a gambe larghe.

Akaashi agì d’istinto, riaprì il suo libro e lo posò rovesciato sull’inguine di Bokuto, non senza aver prima intravisto (sbirciato?) un pene assolutamente degno di nota, anch’esso del tutto proporzionato col fisico da paura che Bokuto si portava appresso con tutta la nonchalance di questo mondo.

Bokuto riaprì gli occhi e gettò un’occhiata distratta al libro che copriva la sua virtù.

“Il… Piccolo… Principe…” riuscì finalmente a scandire, visto che Akaashi aveva messo il libro nel senso di lettura inverso rispetto a Bokuto “Com’è? Bello?”

“Oh, sì. È uno dei miei libri preferiti.” rispose Akaashi rilassando le spalle, contento di poter tornare a posare i piedi su un terreno a lui congeniale “Me lo rileggo almeno una volta all’anno!” continuò entusiasta.

Un insistente cicalino sonoro richiamò l’attenzione di Akaashi alla sua lavasciuga che aveva terminato il ciclo. Akaashi non sapeva se essere grato o infastidito da quella interruzione, ad ogni modo si alzò ed estrasse con cura la biancheria riponendola nel cesto di plastica che aveva posato sopra alla macchina. Forse era una sua impressione, ma poteva sentire gli occhi gialli di Bokuto posati esattamente dietro la sua nuca, seguendo le ciocche che si arricciavano ribelli e colando poi lungo il coppino in un brivido che scendeva giù fino in mezzo alle scapole.

Akaashi si voltò di nuovo verso Bokuto, cesto sotto al braccio, e non fu sorpreso di notare che effettivamente i suoi occhi lo stavano seguendo attenti e rapaci.

“Beh… Io vado. Magari ci vediamo sabato prossimo…” concluse con un lieve rossore sulle gote.

“Ok…” rispose mesto Bokuto.

Akaashi era ormai a due passi dalla la porta che si sentì chiamare.

“Akaaashi. Il tuo libro…” Bokuto lo stava agitando, scoprendo nuovamente le sue grazie.

“Rimettilo dov’era e lascialo lì fino a che la tua lavasciuga non ha finito, dammi retta. Me lo rendi sabato prossimo…” ammiccò sorridendogli con calore.

“Ok!” rispose Bokuto entusiasta “Quindi abbiamo un appuntamento?” aggiunse poi gongolando felice.

“Beh… Non proprio…” Akaashi fu distratto dal mormorio accanto a lui e si costrinse ad uscire dalla porta della lavanderia senza più voltarsi né verso Bokuto né verso le ragazze che lo fissavano con evidente fastidio, vista l’ultima uscita di Bokuto.


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“Akaaaashi!”

Aveva avviato la sua macchinata da pochi minuti quando Bokuto si riversò come una furia dentro alla lavanderia, gettando il borsone sulla solita sedia e schiantandosi di fianco a Keiji.

Le groupies entrarono poco dopo, disponendosi dove trovavano posto, agitate e confuse per la corsa di Bokuto che le aveva evidentemente superate.

“Ciao Bokuto.” Akaashi rispose con un sorriso a quello sguardo luminoso ed ebbe quasi l’istinto di socchiudere gli occhi per quanto i suoi brillassero.

“Che bello! Sei venuto davvero!” Bokuto non riusciva a contenere il suo entusiasmo, muovendo le gambe e il sedere sulla sedia mentre continuava a parlare “Sai, il tuo libro è bellissimo! E dice un sacco di cose verissime! Pensa che oggi ero davvero agitato al pensiero di vederti. Questa mattina quando mi sono svegliato ho corso il doppio del solito per cercare di calmarmi, e poi man mano che arrivava il momento di venire in lavanderia, ero sempre più emozionato!”

Akaashi sgranò gli occhi a quel fiume di parole, ed era talmente frastornato che quasi non si accorse di Bokuto che gli prendeva una mano tra le sue mentre arrossiva e abbassava lo sguardo.

“Credo proprio che tu mi abbia addomesticato, Akaashi…”

Anche Akaashi arrossì, le mani grandi e calde di Bokuto attorno alla sua sembravano perfette, e quella frase, a dimostrare che davvero avesse letto Il Piccolo Principe, generò un’ondata di calore in mezzo al petto che quasi gli tolse il respiro.

“Ehm…”

Bokuto e Akaashi si riscossero accorgendosi che erano stati in due a ehmmare per attirare la loro attenzione.

“Oh…” Akaashi si riebbe “Bokuto, lui è Kozume Kenma. Kenma, Bokuto.”

Kenma era seduto sulla sedia accanto a quella di Akaashi, una Switch tra le mani e due tendine di capelli castani con le punte ossigenate ad incorniciare un’espressione sorpresa; il suo sguardo passava da Bokuto, che ancora teneva le mani di Akaashi, all’altro ragazzo che li aveva interrotti. In piedi accanto a Bokuto, era alto, moro, assolutamente bellissimo e osservava il trio sulle sedie con due occhi nocciola acuti e penetranti seminascosti da un lungo ciuffo ribelle. Il suo viso era atteggiato in un ghigno divertito, mentre lentamente appoggiava a terra un borsone uguale a quello di Bokuto.

“Oh, lui è Kuroo Tetsurō. Il mio coinquilino.” Bokuto lo introdusse.

Ci fu una sovrapposizione di presentazioni e saluti, lentamente sovrastata dal brusio accanto all’ingresso, dove si erano accalcate molte più ragazze del sabato precedente, tanto che nemmeno le sedie erano più sufficienti.

“Forza, bro! Siamo qui per lavare, no?” Kuroo richiamò all’ordine Bokuto che lasciò a malincuore la mano di Akaashi per gettare il contenuto del suo borsone nella grande lavasciuga, mentre Kuroo faceva lo stesso con la macchina di fianco.

Il cervello di Akaashi aveva ripreso a connettere dopo le emozioni di pochi minuti prima e si rese conto in un istante che anche Kuroo aveva il suo pubblico, visto che anche lui regalò a tutti i presenti uno spogliarello rapido (non c’era molto da togliere) ma decisamente più malizioso di quello di Bokuto.

Era infatti del tutto consapevole delle decine di occhi puntati su di lui, e sfilò la maglia con gesti lenti e misurati, mentre di tanto in tanto ruotava la testa e ammiccava alle ragazze all’ingresso, che in quei frangenti si prodigavano in gridolini di pura estasi.

Il pubblico era decisamente più rumoroso della volta precedente, e Akaashi si stupì di come Kenma continuasse a giocare imperterrito con la sua Switch, su cui aveva calato la testa un attimo dopo essersi presentato ai due ragazzi più grandi. Dovette quindi dargli una gomitata nelle costole per richiamare la sua attenzione sullo spettacolo, che era assolutamente degno di nota e del tutto gratuito.

Lo sguardo dapprima annoiato di Kenma sembrò però illuminarsi quando Kuroo sfilò anche i bermuda, rivelando un paio di boxer neri con minuscoli Crewmates colorati, e la scritta rossa “Impostor” in grossi caratteri pixelati esattamente sul (notevole) rigonfiamento anteriore.

Kenma sgranò gli occhi e si decise infine a posare la Switch quando Kuroo si voltò per gettare i bermuda nell’oblò, rivelando anche la scritta “Game Over” che capeggiava su due chiappe all’apparenza sode, seppur non tornite come quelle di Bokuto.

Lo sguardo di Akaashi spaziava tra i due ragazzi in boxer cercando di non perdere nessun dettaglio di quei due fisici mozzafiato, anche se decisamente diversi. Kuroo era più snello e asciutto di Bokuto, la sua muscolatura era discreta ma tonica: sembrava chiaro che anche lui praticasse sport, anche se forse non allo stesso livello di Bokuto. Si rese conto che in effetti non sapeva nulla di Bokuto, che facesse sport era solo una sua supposizione, e il bisogno di sapere qualcosa in più sulla sua vita si fece impellente.

“Hai visto, Akaashi” Bokuto lo riscosse sedendosi accanto a lui “questa volta sono venuto già con i boxer puliti, così posso renderti il tuo libro.”

Akaashi percepì un mormorio di disappunto provenire dalle ragazze all’ingresso alla realizzazione che lo spogliarello fosse terminato, e si chiese se fosse anche il suo sentimento in quel momento, perché comunque allungò lo sguardo ai boxer di Bokuto mentre questi gli poneva il libro tra le mani. Erano grigi, ricoperti da coppie di piccoli gufi (un gufo cornuto e un gufo dalle zampe rosse) in pose diverse, sia fermi che svolazzanti, e Keiji pensò che fossero assolutamente adatti al proprietario.

“Grazie ancora, mi è piaciuto davvero tanto. Ma tu che cosa studi, Akaashi? L’altra volta non te l’ho nemmeno chiesto.”

“Sono al primo anno di lettere.”

“Wow! Bello! Io faccio Scienze Motorie, e Kuroo fa Marketing, siamo al secondo anno. E tu Kenma?”

Bokuto si sporse verso Kenma che aveva ripreso a giocare con la Switch.

“Informatica.” rispose senza alzare gli occhi dallo schermo, fino a quando Kuroo non si andò a sedere proprio nella sedia lì accanto. Kenma continuò a giocare ma infilò dietro l’orecchio la ciocca di capelli che gli impediva di vedere il moro accanto a lui, e Akaashi sorrise. Conosceva Kenma dal liceo, e sapeva che i monosillabi con cui rispondeva alle domande che Kuroo gli stava facendo in merito al gioco, erano in realtà palesi segnali di interesse. Quello era davvero un risvolto inaspettato; aveva chiesto a Kenma di accompagnarlo in lavanderia perché si sentiva anche lui addomes... agitato all’idea di rivedere Bokuto, ma non aveva certo immaginato che anche Bokuto sui sarebbe presentato col suo coinquilino.

“Allora Akaashi…” Bokuto gli sorrise con tutto il volto, e anche le punte dei suoi capelli sembravano sfidare felici la forza di gravità.

 Akaashi capì in quell’istante di essere totalmente, completamente fottuto.


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Durante tutta la settimana si erano scambiati messaggi impacciati. Nonostante il sabato precedente avessero chiacchierato a lungo, anche dopo che i rispettivi cicli di lavaggio e asciugatura erano terminati, dietro lo schermo del cellulare Bokuto sembrava perdere la sua solare spavalderia e si limitava a timidi “buongiorno”, “buonanotte”, “come sono andate le lezioni?”. Fino a che il venerdì non aveva preso coraggio e aveva proposto una cena fuori per loro quattro la sera successiva, in uno dei locali vicino al campus dove andavano di solito gli studenti. Non sembrava niente di troppo impegnativo né compromettente, e anche Kenma aveva accettato con moderato entusiasmo, il che significava che forse era davvero interessato a Kuroo.

Proprio per questo, Akaashi rimase di stucco quando, nel primissimo pomeriggio di sabato, andò a vedere chi stava suonando con così tanta insistenza il campanello.

“Akaaaaashi! È successa una cosa terribile!”

Bokuto e Kuroo, con i loro enormi borsoni da palestra, avevano invaso quasi completamente l’angusto pianerottolo.

Akaashi fece un passo indietro mentre Bokuto ancora spiegava.

“La lavanderia è chiusa! Si è rotta una tubatura, e così hanno transennato l’ingresso, solo che noi non lo sapevamo perché c’erano le solite ragazze che…”

“Non è che possiamo usare la vostra lavatrice?” tagliò corto Kuroo mentre il suo sguardo scavalcava agilmente Akaashi per trovare immediatamente Kenma che nel frattempo era apparso in corridoio. Il sorriso di Kuroo era così convincente che fu Kenma il primo ad acconsentire.

“Ok. Ma noi non siamo responsabili se vi sparisce qualche calzino.” precisò.

“Certo. Grazie.” Kuroo non aspettò un ulteriore invito e seguì Kenma lungo il corridoio.

Akaashi richiuse la porta alle spalle di Bokuto e gli fece strada in salotto.

“La nostra lavatrice è piccola e non asciuga, non so quanto ci metterete a lavare tutto…” precisò Akaashi, che stava già cercando di calcolare mentalmente quanto ci avrebbero messo a smaltire quei due borsoni.

“Oh, non ti preoccupare, mi fa piacere essere qui a casa tua, Akaashi.” rispose Bokuto mentre si sedeva sul divano.

“Vuoi qualcosa da bere?” domandò ancora il padrone di casa per stemperare il disagio che gli occhi caldi e densi di Bokuto, fissi su di lui da quando era apparso sulla porta, gli stavano ingenerando mandandolo sempre più in confusione.

“No, grazie. Siediti qui, vicino a me, così parliamo un po’.” rispose Bokuto sorridendo.

Akaashi obbedì. Il suo cervello si stava chiedendo distrattamente come mai Kenma e Kuroo non fossero ancora tornati dal bagno, che Bokuto prese di nuovo la sua mano e voltò il corpo verso di lui.

“Akaashi, ma lo sai che stai benissimo con gli occhiali?”

“Oh… grazie. Stavo studiando, in effetti...” fece per sfilarli ma Bokuto lo bloccò.

“No, tienili. Fanno sembrare i tuoi occhi ancora più grandi, e si vede meglio il colore, e i tuoi occhi sono davvero bellissimi, Akaashi. Sono di un colore davvero particolare, un po’ verde e un po’ blu… mi fanno venire voglia di tuffarmici dentro!”

Akaashi sorrise ma li sfilò comunque.

“Sono ipermetrope, li uso per leggere ma se devo guardare te mi danno fastidio.” spiegò.

“Ok, va bene” Bokuto acconsentì “anche se a me interessa che mi guardi con il cuore, perché l’essenziale è invisibile agli occhi…” abbassò il viso arrossendo un po’ prima di aggiungere “Akaashi, ormai l’avrai capito che mi piaci moltissimo, vero?”

Akaashi fu spiazzato da una dichiarazione così diretta e sincera, e con un’altra citazione de Il Piccolo Principe per giunta, e non poté fare altro che sorridere, mentre le sue gote si tingevano di un rosso vivace.

“Sì, diciamo, che mi era sembrato…”

“E anche io ti piaccio?” lo sguardo di Bokuto era adorante e adorabile, e nonostante il rossore che Akaashi sentì estendersi a tutto il volto, si ritrovò ad annuire, emozionato e agitato come quando in terza media aveva dato il suo primo bacio.

E il bacio che seguì non era molto diverso da quello, in realtà. L’emozione, l’imbarazzo, la posizione scomoda sul divano, portarono i loro nasi a scontrarsi più volte, finché Bokuto non prese Akaashi di peso portandoselo in grembo.

Il bacio che seguì, questa volta, fu quanto più diverso da quello. Le braccia di Bokuto lo avvolgevano, forti e rassicuranti, e Akaashi si stupì di come potesse domare quei muscoli imponenti in gesti così fluidi e aggraziati. La sua bocca lo assaporava con dolcezza, le sue labbra erano morbide e accarezzavano quelle di Akaashi in fugaci sfioramenti, succhiando a tratti il labbro inferiore per poi stringerlo tra i denti con delicatezza, fino a che la sua lingua non lo invase con urgenza.

Akaashi si aggrappò a quella schiena possente in preda alle vertigini, era la prima volta che gli succedeva ma davvero quel bacio gli stava facendo mancare l’aria. La lingua di Bokuto era ovunque, come se volesse esplorare ogni angolo della sua bocca, spingendo sempre più a fondo mentre lo teneva stretto tra le braccia come una cosa preziosa.

“Ehm…”

Sulla soglia del salotto, Kuroo e Kenma ehmmarono in coro per attirare la loro attenzione.

“Scusate piccioncini” esordì Kuroo “noi siamo in camera di Kenma a giocare alla Play, intanto che la lavatrice va. Ma immagino che piuttosto che unirvi a noi, preferiate unirvi tra di voi…” il suo sorriso era divertito e ammiccante, e strappò un risolino a Kenma che lo abbrancò per l’orlo della t-shirt e lo tirò in camera sua chiudendo la porta alle sue spalle.

Akaashi era ancora confuso, respirava affannato tra le braccia di Bokuto e non riusciva a staccare gli occhi da quei due topazi brillanti.

“Dici che si piacciono anche loro?” chiese Bokuto, un sorriso raggiante sul suo volto.

Ma non diede a Keiji il tempo di rispondere. Tornò nuovamente a cercare le sue labbra, con calma questa volta, senza l’irruenza di poco prima, deciso evidentemente a gustarsi il momento.

Akaashi rispose al bacio, l’emozione che ancora gli stringeva lo stomaco, ma il bisogno di Bokuto così forte e imperioso che gli fece quasi paura.

Bokuto lo distese sul divano con delicatezza, adagiando il suo corpo possente sopra a quello più esile di Akaashi, mentre ancora lo baciava con premura. Akaashi infilò le mani sotto la t-shirt di Bokuto e poté finalmente toccare con mano quei muscoli perfetti che da un paio di settimane popolavano i suoi sogni, sia quelli ad occhi chiusi, che quelli sotto la doccia. E come in quei sogni, Akaashi si lasciò guidare dall’istinto; del tutto travolto da una passione che lui stesso non riusciva a spiegarsi, diventò audace. Infilò le mani nei boxer di Bokuto, attirandolo contro di sé, alla ricerca di un contatto più intimo e ravvicinato.

Se Bokuto fu sorpreso dalla sua audacia non lo diede a vedere, perché sfregò subito la coscia contro l’inguine di Akaashi strappandogli un gemito.

Bokuto si staccò dalla sua bocca per tracciare baci voraci lungo l’arco della sua mascella. “Akaaaashi” sussurrò al suo orecchio, e il suo nome gli sembrava così eccitante pronunciato in quel modo che Keiji macinò i fianchi con foga contro Bokuto alla ricerca di un attrito che sembrava non essere mai abbastanza.

Bokuto si staccò da lui ansimando, interrompendo quell’escalation con uno sguardo smarrito e le gote in fiamme.

“Akaashi, hai una camera tua, vero?” domandò speranzoso.

Akaashi si riscosse, ricordandosi solo il quel momento che si trovavano ancora sul divano del salotto. Davvero, Bokuto lo mandava in confusione; sempre controllato e razionale, Akaashi stentava a riconoscersi.

“Sì, certo. Vieni.”


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Il sole del tardo pomeriggio filtrava pigro tra le tende, rendendo l’aria nella camera morbida e ovattata.

Il petto di Bokuto si alzava e si abbassava lentamente, sollevando la mano di Akaashi a incontrare l’ultimo raggio di sole, e poi riportandola nella penombra.

Ancora non si capacitava, Keiji, di come le cose si fossero evolute così vorticosamente. Dovevano uscire a cena, il primo (forse) appuntamento a quattro, per conoscersi meglio. E invece aveva conosciuto Bokuto (carnalmente) già nel pomeriggio, e più di una volta. E poteva dire con assoluta certezza che era stato il sesso migliore di tutta la sua vita. Non che avesse avuto chissà quali esperienze, prima, ma quello era assolutamente fuori scala. Bokuto era generoso, premuroso, fantasioso, e poneva Akaashi e il suo piacere completamente al di sopra del proprio.

Stava ancora sorridendo stretto tra le forti braccia di Bokuto, che sentì bussare.

“Keiji! Devi assolutamente venire a vedere!”

La voce di Kenma aveva un tono eccitato che Keiji non gli aveva mai sentito.

Si sciolse a malincuore da quell’abbraccio e infilò velocemente t-shirt e pantaloncini, cercando di non svegliare Bokuto che ancora russava sommessamente.

Kenma lo aspettava in corridoio, i capelli arruffati e rosso in volto, con indosso una t-shirt decisamente oversize che Akaashi ci mise un istante a riconoscere come quella di Kuroo.

Il biondo lo prese per mano e lo trascinò fino in camera sua.

“Guarda!”

Akaashi seguì l’indice di Kenma puntato a terra, verso uno spiraglio di una ventina di centimetri tra il muro e il letto di Kenma (su cui le lenzuola erano arruffate e aggrovigliate in una palla informe).

“Erano tutti lì!” mormorò il biondo in un sussurro cospiratorio.

Akaashi si avvicinò, e poté finalmente notare una quantità spropositata di calzini impolverati infilata nella fessura.

“E io che ho dato la colpa alla lavatrice…” aggiunse ancora Kenma, ora con un tono mesto e contrito.

Con indosso solo i pantaloncini, Kuroo rideva tenendosi lo stomaco mentre si appoggiava con la schiena al muro accanto al letto. Anche la sua capigliatura era decisamente arruffata, più di quanto già non fosse stata in precedenza, e sulle sue spalle spiccavano lunghi graffi rossi, a fare compagnia alle chiazze purpuree che aveva sul petto e sul collo.

“Che succede?”

Bokuto non aveva avuto l’accortezza di vestirsi, evidentemente mostrare il suo corpo nudo era un’abitudine per lui, ma nessuno ci fece caso. Nemmeno Kenma che si era chinato a rovistare nel mucchio di calzini.

“Questo è il mio preferito, era sparito da un sacco di tempo…” mormorò con dolcezza, sollevando tra pollice e indice un pedalino bianco e beige con disegnato il muso di un gatto.

“Abbiamo trovato i calzini di Kenma!” spiegò Kuroo al suo coinquilino, mentre le sue risate si calmavano un po’.

“Grande bro! E come avete fatto?”

“Beh, il letto si è spostato a furia di… vabeh, dai, te lo spiego dopo.” tagliò corto Kuroo facendogli l’occhiolino, per poi rivolgersi ad Akaashi “Non è che possiamo farci anche una doccia, già che ci siamo?”

“Certo, certo. Il bagno sai già dov’è…” rispose Akaashi, mentre un sorriso si allargava sul suo viso.

“E poi andiamo tutti fuori a cena!” terminò Bokuto col suo entusiasmo contagioso.

“Vieni a metterti qualcosa, intanto che Kuroo fa la doccia.” continuò Akaashi mentre agganciava il braccio di Bokuto e lo riportava in camera sua.

Akaashi lo guardava mentre si rivestiva, ancora rapito da quel fisico prorompente e assolutamente ammaliato dalla sua personalità solare ed entusiasta. E si rese conto in un istante che doveva dire grazie proprio a Kenma e alla sua ossessione per la lavatrice che gli rubava i calzini se aveva potuto conoscere Bokuto. Perché non si era mai sentito così, confuso e frastornato, e con la sensazione di non avere più il controllo su niente; ma per la prima volta nella sua vita, aveva la certezza interiore che, dopotutto, andava proprio bene così.


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Ti ringrazio di cuore per aver letto la mia storia. Spero che ti sia piaciuta e che vorrai lasciarmi le tue impressioni.


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