Film > Le 5 Leggende
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Autore: SABRINA96_    25/11/2022    0 recensioni
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“Non riesci ad affrontare le tue debolezze. I tuoi vuoti. Mancanze.
Li riempi con l’acqua delle inutilità.
Ora crei effimere vie d’uscita, l’unica cosa che puoi fare.
Ne creerai a migliaia. Tutte fallimentari. Tutte con la stessa fine.
Illuditi pure di risolvere i tuoi demoni in queste Fiabe.
Hai fame di loro. Te ne daremo sempre, sempre di più!
Ci servi così. E forse a te fanno comodo. Non è vero?”
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Pitch si svegliò ad ogni Inverno gelido, e ogni Inverno lo mise alla prova.
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Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Emily Jane Pitchiner, Jack Frost, Pitch
Note: Movieverse | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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II


 

Travaglio d’Inverno


 


 
In ogni Inverno gelido, un Re detronizzato sarebbe risalito in superficie dal vortice dell’oblio.
Per giorni avrebbe vagato di soppiatto in solitudine sulla neve e poi, come un morto campante, sarebbe ritornato sottoterra ingabbiato nella sua tomba.
 
Qualcosa glielo diceva di farlo.
 
Quel dì venne di nuovo il 21 Dicembre.
Il suo atteso solstizio d’Inverno giunse anche quell’anno, il segno indiscutibile che gli ricordava che egli era in vita ma ancora seppellito nell’ombra.
L’Uomo Nero così aprì di soprassalto i suoi occhi argentei, svegliandosi da quello strano incubo. Si guardò attorno e vide l’oscurità.
Ormai era parte integrante e succube di quelle tenebre. Non poteva vedere chiaramente come fosse ridotto il suo aspetto. Ebbe il dubbio che forse non possedeva nemmeno più un corpo tutto suo ma, ad un lieve gesto delle dita intorpidite e al calore del suo respiro sulle labbra, fu finalmente sicuro che il suo sé fosse tutt’ora intero seppur debole.
La sensazione lo rassicurò solo per un po’. Ritornò di colpo alla cruda realtà alzando la testa in un altro esasperato sospiro. Le ciglia sbatterono tra loro non capendo dove puntare il proprio sguardo.  
Era come se fosse stato accecato.  
Tuttavia, fu certo che era seduto sul suo trono, nonché la sua scomoda sedia e il suo freddo letto.
Non sapeva quanto tempo avesse passato a dormire su quella pietra. L’unico posto confortante dove l’oscurità, dopo ogni breve risveglio e lunghe camminate insensate, preferì spesso adagiarlo una volta che per loro fosse arrivato un nuovo momento di coricarsi.
 
Assaporò giusto qualche secondo l’effimera tranquillità fin quando, uno dei suoi Turbamenti, si materializzò nell’attimo in cui si rese conto in che condizioni egli viveva.
Non poteva vederlo ma era sempre lì, sentiva il suo fiato sul collo ogni volta che sarebbe arrivato il giorno dell’Inverno.
 
Gli Incubi ottennero anche la sua mente, non aveva tempo di fantasticare per sfuggire alla loro disturbante presenza.
Rabbrividì al sol pensiero.
 
 
Paura.
 
Vuoto incolmabile.
 
Questo lo assaliva.
Qualcosa di differente da quella paura che sbuffava nei sogni dei bambini nelle dolci notti.
Cos’erano quelle paure fuori controllo che appartenevano proprio al loro Re?
Ciò che ebbe dalla sua parte da quando fu intrappolato nella sua stessa tana, fu il tempo per studiare la natura di quelle entità mostruose per cercare almeno un solo significato in loro. Non furono però rare le volte che giunse alla stessa conclusione: era inutile ragionare su suoi timori e all’ovvio eterno abbraccio degli Incubi, inane guardarli in faccia.
 
Issò il proprio sguardo come se potesse vedere ciò che vi era oltre all’oscurità. Ma era sicuro che al di là di quel buio, l’Inverno arrivò anche sulla sua tana, modificandone i paesaggi autunnali attorno alle entrate.
Lo destò dal suo lungo sonno.
 
Ebbene, sarebbe salito su ma aveva timore.
 
Avrebbe sentito il freddo che da sempre ferì la sua pelle grigia.
Salire su per un attimo e vedere la meraviglia del cielo, far sì che la luce gli ritornasse la propria ombra e fronteggiare la vista della Luna.
Ma cosa voleva dimostrare uscendo da quella che chiamava casa?
Egli si sentiva stanco, si sentiva debole. Trovare significati nascosti dietro ai suoi risvegli e ai suoi inutili desideri ed incubi, lo sapeva, lo avrebbero destabilizzato sia se li avessero avuti o no.
  Non poteva darsi una reale risposta ma solo di un fatto era certo. Quando i fiocchi bianchi sarebbero scesi sopra la terra, la brama di vedere la neve e avvertire addosso il detestato gelo, lo costringerebbero ad aprire gli occhi.
 
  Così doveva andare almeno su.
 
   Qualcosa, dentro di lui, glielo comandava.
 
 
 
  Passeggiava nelle tenebre della sua cara amica Notte.
Come al solito la solennità del bosco, in cui poteva udire i suoni dell’aria fitta e il fischiettare del venticello, infastidiva le sue orecchie, ribadendo che, fino a poche ore fa, avevano solo ascoltato l’inquietante fischio del silenzio della sua dimora.
E per quanto sembrasse solo, fu cosciente che gli Incubi erano lontani al suo seguito a perseguitarlo.
 
Era rassegnato, non lo avrebbero mai lasciato in pace.
 
Sebbene odiasse ammetterlo nei pensieri, gli piacque l’idea di illudersi che nulla di spaventoso lo avrebbe costretto a tremare di paura in quel momento.
 
Voleva solo tremare di freddo.
 
Ignorava quindi tutto ciò che poteva ostacolarlo, così come quanto avrebbe camminato e dove i suoi piedi lo avrebbero portato nelle tarde ore di un dì.
Soprattutto questo, non gli importava. Se Pitch ha dormito così a lungo, non c’era un vero motivo per rincasare presto.
“Per mezzanotte ritorna a casa. Capito?” prese in giro il solito ordine di un noioso genitore qualsiasi che obbligava un figlio di rientrare a casa puntuale.
Riconsiderando il luogo in cui viaggiava a passo lento, fu piacevolmente attratto dai colori sgargianti delle cose che vi erano attorno, tra le varie, non ricordava quanto fosse bianca la neve e quanto la sua figura sembrasse una macchia sporca sulle collinette candide.
Sospirò fermandosi a guardare verso il sinistro orizzonte, dove riusciva a scorgere in lontananza le luci artificiali di una piccola cittadina. Gli adulti e i bambini dormivano già nei loro comodi e caldi letti, rassicurati dai bei sogni dorati, senza un tormento ad angosciarli, solo e sempre i benvenuti teneri miraggi.
Distrattamente, afferrò una mela verdastra strappandola dalle foglie dell’albero al suo canto e la morse.
La sua bocca masticò pacatamente, gli aguzzi denti triturarono il suo spuntino gustandosi la polpa. Lo stomaco si contorse all’improvviso insapore disgustoso del frutto ma non gli impedì di dissuadere il suo sguardo ipnotizzato dall’abbagliante centro abitato.
Quella città gli parve familiare.
Sembrava uno di quei paesi magici descritti negli utopici libri delle favole, esasperata dai lampeggianti addobbi natalizi.
 
“C’era una volta l’ombra dell’Uomo Nero che, passeggiando nei pressi di un Paese molto, molto lontano, fu così riluttante dal suo splendore tanto da desiderare di sprofondarla nel buio in eterno, proprio come lo era la sua casa e il suo animo.” Recitò.
 
Qualcosa turbò i suoi sensi guardando quell’incanto fiabesco, non amava di certo osservarlo, anzi, lo odiava. Non capiva da dove potesse arrivare quell’astio che gli fece digrignare i denti.
Come se non bastasse, i fasci pallidi dell’ineffabile Luna attraversarono le nubi per benedire ogni tetto innevato. Gli parse come se avesse percepito il suo oscuro giudizio e corse a proteggere gli umani da ogni suo rancore.
Ringhiò nella collera.
Maledisse la Luna. Maledisse tutto ciò che nacque dalle sue tenebrose voragini primordiali, in lui, che per primo si animò e, dal suo nero del nulla, mosse il suo tartaro per dare vita alla vita. Dove ogni essenza che non era mai esistita prese posto per prosperare. Ed ora. Non era altro che un relitto del suo immenso potere. Un misero giocattolo per quel grandioso potere.
Si costrinse a distogliere l’attenzione mentre una sensazione frustrante pizzicava fastidiosamente il suo umore. Così, si inoltrò di nuovo nel bosco lasciandosi guidare senza meta dalle curve dei viottoli.
Stava per divorare l’altra parte della mela quando un forte ed insolente vento gelido frustò la sua faccia. I brividi gli punzecchiarono la pelle e animò i suoi pensieri.
 
“Vento?”
 
Un Vento curioso ed anomalo si dilettava a scuotere la neve da terra e a tediare la quiete col suo passaggio sbarazzino. La bizzarria delle folate spazzò via la sua noia costruendo man mano in lui un limpido interesse.
Con i pochi poteri che gli furono rimasti, Pitch corse imbevuto nelle ombre nere del bosco inseguendo la strana ventata invernale. Ritornò sulle sue gambe nell’esatto punto in cui il vento si dissolse in una gentile brezza fresca. Il che lo disorientò, fin quando una voce cristallina si perpetuò tra gli alberi.
 
“Un'altra giornata fantastica, Vento! I bambini non hanno fatto altro che divertirsi oggi. Un giorno di ‘Chiuso per neve’ ci voleva proprio!” La voce rise soddisfatta.
Il suo petto vibrò al suono genuino e alla chiamata di un sentimento di rabbia che si accese dentro di lui.
Perseguì il sentiero davanti a sé, verso le ridacchiate, nascosto bene nelle tenebre.
Quel posto non gli era nuovo. Nemmeno le risate.
Pitch, a passo felpato, fu abile a non emettere alcun scricchiolio e, più si avvicinava alla fonte delle risa, più l’ira e i ricordi nella mente riaffiorarono violenti in lui. Per tutto questo tempo offuscato dagli Incubi, che non avevano fatto altro che mostrargli l’oscurità dentro e intorno a sé e tutto ciò che temeva, finalmente si risvegliò e lo riconobbe.
Colui che lo gettò nel baratro delle sue paure. Quel maledetto spiritello malizioso. La colpa di ogni sua rovina. Lui che si era messo in mezzo, lui che non volle seguirlo. Gli avrebbe strappato quelle risate divertite sulle sue labbra una volta per tutte.
“Non sarà tuo questo Inverno! Ma mio! Solo mio!” Minacciò l’Uomo Nero nei pensieri, pronto a riempire spietatamente i propri temuti vuoti. Odiava vederli!
Ma prima che potesse avventarsi sullo spirito, un enorme peso lo schiacciò. Lo inchiodò obbligandolo a stare fermo, come se fosse diventato di pietra o si fosse trasformato in uno di quegli alberi denudati delle loro foglie. Forse le sue nuove radici lo avevano incastrato nelle profondità della terra? Forse era per questo che sentiva i suoi arti formicolare?
Intontito dall’orribile sensazione, guardò di sott’occhio le proprie mani tremanti. Il suo corpo era paralizzato, gli sembrò che gli mancasse l’aria, il petto si strinse causandogli dei dolorosi crampi.
 
Non poté fare almeno di gettare uno sguardo furioso sulla figura svolazzante di Jack.
 
Un essere che parve trovare rifugio e conforto in un fascio di luce notturna mentre sfrecciava con veemenza nell’aria. La tagliò come solo una lama ben affilata può tranciare in due le parti di un corpo.
 
In breve, il ragazzo senza ali, era praticamente il suo opposto: Jack era luminoso come la sua neve. Ora scivolava spedito con piedi nudi sul suo stagno ghiacciato. Festeggiò con serenità i suoi successi giornalieri concedendosi il tempo per pattinare e provare gioia nel sentirsi così leggero.
Non lo preoccupava perdere l’equilibrio. Lo spazio magico lo aiutava a non cadere.
Divertirsi era la prima cosa da fare dopo tanto lavoro di “Chiuso per Neve”.  
Le risa di Jack lo scossero ancora una volta. Incominciò davvero ad irritarlo.
Pitch strinse lo sguardo, la sua mente si offuscò mentre fra le sue caviglie la sabbia nera prese a danzare in un lento girotondo.
 
“Cosa hai, Pitch? Provi invidia.”
 
Pitch sussultò.
La sua mela cadde con un tonfo sordo ai suoi piedi.
 
 “Hai paura, caro Uomo Nero, noi lo sappiamo. Hai paura delle persone. Rifiutano ciò che sei. Non lo vogliono vedere e non vedranno mai di cosa sei fatto.
Sei quella disperazione che gli stessi umani cercano sempre di reprimere. Guai se la mostrano agli altri!”
 
Le ombre sobbalzarono al tempo di risate.
 
“Non è accettabile in questo mondo che stiano male… neanche tu vuoi esserlo. Cosa importano le emozioni negative? Tutti le vogliono esorcizzare e nessuno vuole accettarle. Ma questo sei. Qualcosa da non accettare e dimenticare. Qualcosa da cui starne alla larga. Sei un’insopportabile malattia da estirpare. Reprimi! Reprimi le tue angosce, Pitch. Non è permesso stare male! Mettiamo tutti il dolore sotto al tappeto delle meraviglie.”
 
In lontananza, Jack si bloccò. Era inorridito.
 
“E tu! Si chiedono perché sei così, si domandano perché non riesci a vedere queste fantomatiche meraviglie, se mai hai nutrito un po’ di speranza, vivere i sogni e ricordi, perché esisti. Non sei il benvenuto, Pitch. Avere paura fa paura.”
 
Jack sguainò in fretta la sua arma.
 
Pitch deglutì un groppo alla gola.
 
“Ti ami. Ma ti odi molto di più. Vuoi l’amore degli altri ma non l’avrai mai!  Ah no, no, no. Cosa dico? Tu vuoi il loro terrore. Tu odi gli altri. Gli altri odiano te! Tu sei Chaos. Tu sei Vuoto.
 E lui non è altro che l’insieme delle tue Paure. Quella realtà che tutti sono bravi a guardare. Basta ridere, no? Distrarsi un po' per cancellare il male. Pensare a chi sta peggio di te… un po’ di volontà, su, su! Dai, sorridi, Pitch! Sorridi! Ghigna! Non guarderanno l’altra faccia della medaglia. Sorridi, miseria del mondo! Sorridi! Riempiti degli Umani! Risucchiali! Sorridi a noi, guscio vuoto! Sorridi!”
 
Pitch restò senza fiato con le parole che gli vorticavano nella mente. Scagliò le mani sul proprio viso scoprendolo umido.
“Cosa?” Domandò a sé stesso nel panico.
 
“Farà lo stesso che tu hai fatto a lui. Lui ti odia! Ti ucciderà! Lui ti ha rifiutato! Tu hai tentato di farlo fuori. Non ti ama! Lui ti odia! Ti odia! Ti Odia!”
 
“Tu!”
 
La voce giovane esclamò.
 

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Ok, ok. Eccolo, lo aveva visto. Se lo aspettava.
Una stretta di disagio lo portò a buttare il capo verso il cielo, cacciando un respiro fragoroso.
Per quanto poteva lamentarsi però fu sempre consapevole, come d’altronde tutti i Guardiani, che l’Uomo Nero un giorno sarebbe ritornato. Lì per lì lo maledisse, desiderava così tanto godere la pace della Notte dopo una lunga giornata di duro lavoro a prendersi cura dei bambini. Insomma, voleva divertirsi un po’, concedersi una breve pausa.
Ma no, lui è ritornato pronto a mettere altri guai su guai, come se non ci fossero già.
 
All’istante però si schiaffeggiò mentalmente. Si ricordò, purtroppo, che non poteva permettersi di riposare.
“Non ci pensare neanche. Egoista. Sei sempre il solito, Jack. Sei un Guardiano! Ricordatelo.” Si rimproverò massaggiandosi la fronte frustrato.
No, non poteva, non dopo che gli spiriti hanno appreso delle numerose tragedie che stavano avvenendo nel mondo. Stavano passando un periodo davvero duro e triste da affrontare. Jack non arrivò nemmeno a vincere veramente l’amarezza per divertirsi, divertire e a rassicurare i suoi amici piccoletti. A volte gli sembrò di mentire ai bambini, e tale impressione non lo faceva certo stare tranquillo.
 
“Jamie…” Sussurrò osservando tristemente la neve.
 
Oscillò le proprie braccia corrucciando le sopracciglia.
 
Quella sera non poteva dire da dove Jack avesse trovato uno spiraglio di spensieratezza.
La presenza dell’anima nera, però, lo colpì duramente tanto da schiantarlo contro al muro delle verità.
Certo, voleva un po’ di pace per riordinare i pensieri, ma non poteva ignorare le numerose disgrazie.
 
Ma c’era dell’altro.
 
Tutti e cinque i Guardiani già da un po’ tenevano d’occhio lo spirito oscuro. Jack fu il primo ad avvistare in giro la sua ombra circondata dalla sabbia nera. La cosa che saltò immediatamente all’occhio a tutti loro era che, quello schizzo di oscurità, si manifestava in una nube viandante, soprattutto nei periodi invernali. Appariva e spariva in un attimo senza neanche lasciare tracce. Altre volte, i Guardiani videro l’uomo camminare in giro nel vuoto o restava seduto da qualche parte, immobile e con sguardo vitreo. Era come se non fosse mai cosciente davvero.
Jack però mantenne un segreto ai suoi compagni. Ebbe un solo desiderio.
Andare a parlare con lui. Da solo.
Perciò si avvicinò diverse volte agli inquietanti ingressi che portavano alla tana di Pitch ma ad ogni occasione non prese mai la fermezza di una convinta decisione per giungere all’uomo. Di saltare ed essere inghiottito dal buio. Si fermava a fissare per minuti interi i varchi rannicchiato sulle sue ginocchia a pensare sul da farsi. Forse era diffidenza, collera, che lo frenava. Forse il non sapere cosa dovesse aspettarsi lo pietrificava. I sentimenti erano contrastanti e complessi. Voleva così tanto gettarsi nei cunicoli e affrontare la questione ma l’ignoto lo destabilizzava.
Ma un nuovo solstizio d’Inverno arrivò e, Pitch Black, arrivò per primo allo stagno.
Si grattò furiosamente i capelli cercando di scacciare pensieri confusionari dalla testa.
Poi issò l’attenzione e lo guardò di nuovo sbuffando.
Pitch non si mosse da lì, né si prese la briga di corromperlo col suo solito sarcasmo offuscargli i propri propositi.
Il che era strano, ma sorvolò per il momento il piccolo dettaglio.  
Fece ruotare la propria arma a mezz’aria afferrandola nell’altra mano. Puntò il suo bastone contro il malvagio. Decise di stare sulla difensiva, trattenendo uno sguardo determinato a combattere se fosse stato il caso.
Notò che Pitch seguì apaticamente la punta del bastone, così strinse di più le mani sulla sua arma e sollevò i gomiti. Questa volta lo spirito d’Inverno non era impreparato. Lo fissò prudentemente, cercando di prevedere ogni sua mossa. Esaminò prima il suo avversario, ogni singolo movimento e possibile ghigno perfido. Chinò le proprie ginocchia e spinse in avanti il labbro inferiore attendendo un segno.
Ma fu del tutto vano.
 
Passarono secondi taciturni.
 
Bene, qualcosa non andava.
C’era qualcosa di veramente sbagliato nel suo volto stirato, privo di emozioni. Espirava ed inspirava rumorosamente mentre le sue braccia caddero diritte lungo i suoi fianchi.
L’ansia in Jack aumentò quando si accorse che le pupille di Pitch si fecero sempre più piccole e le palpebre sempre più spalancate. Trattenne il suo bastone, stringendo gli avambracci al petto.
Prese un respiro profondo poi lo lasciò andare piano tra le labbra.
Fece un passo in avanti rilasciando una forte carica emotiva che disegnò sul ghiaccio la perfetta geometria di un fiocco di neve. Il suono secco sotto ai suoi piedi però lo preoccupò e attese un movimento che avesse risvegliato Pitch. Ma nulla.
“Oook…” Sussurrò Jack a sé stesso serrando la bocca “Pitch…” Lo chiamò. Non ebbe risposta ma le spalle dell’uomo fecero solo un lieve sobbalzo.
Jack non fu soddisfatto.
Fece altri passi lenti mentre un particolare apparve chiaro sul viso di Pitch.
Questa volta Jack trattenne l’aria, dallo stupore abbassò la guardia e non prestò attenzione alle iridi di Pitch che osservarono l’arma cadere poco a poco verso il basso. Con un cipiglio, alzò di scatto lo sguardo sulla faccia confusa del giovane e, nello sgomento, affrontò il volto pallido e sconvolto di Jack.
Presto l’ira riscaldò il suo corpo.
 
“Non guardarmi in quel modo!” Esclamò improvvisamente.
 
Jack lanciò un grido nell’attimo in cui Pitch agitò in avanti le braccia e la sabbia nera rispose immediatamente al suo comando. Il tempo sospeso si spezzò con un suono simile allo schiocco di una frusta, che scelse di colpire Jack in pieno petto. Volle scagliarlo via e il più lontano possibile. Jack però fu rapido a proteggersi con uno scudo di ghiaccio, riuscendo ad evitare il colpo. L’attacco ebbe comunque la forza di lanciarlo all’indietro, portando in frantumi la sua difesa e batté a terra. Perse dalle proprie mani l’arma mentre l’urto del suo corpo creò delle crepe sul ghiaccio. Ci fu un altro attacco improvviso di sabbia che Jack, in una scorsa, capì che non fu ordinato dal Re degli Incubi. Pitch si trovava nuovamente in uno stato catatonico. Così Jack scattò in piedi rischiando di inciampare e non proteggersi in tempo.
Fortunatamente, riuscì ad afferrare il proprio bastone, prese la rincorsa, e volò verso l’Incubo sguainando l’arma.  Distrusse il braccio di sabbia ancora una volta con un solo fascio di brina luminosa. Ma subito dopo, un colpo più debole lo prese in volto scagliandolo ancora giù.
 
Jack non demorse e si rimise immediatamente in guardia attendendo che la sabbia si fosse mossa da sola per colpirlo.
Ma Pitch si sciolse nelle ombre, trascinato dagli Incubi dietro di lui.
Andò via.
Chissà dove.
 
 

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“Credetemi! Dico la verità!”
 
Giunsero i Guardiani alla dimora di Jack poco dopo l’accaduto.
Bunny non poteva credere alle affermazioni del ragazzo. Delle grasse risate sorpassarono i suoi denti. L’idea che si costruì nella sua mente grazie alle parole di Jack, si dimostrava troppo esilarante per lui per poterlo accettare.
“Pitch è un essere malvagio, Jack. Non ha lacrime da versare, né tanto meno prova emozioni.”
“Sono abbastanza sicuro che questo non possiamo dirlo con certezza. Nessuno di noi qui conosce davvero Pitch Black. Eppure, voi quattro avete combattuto contro di lui per secoli.” Ribadì Jack sbattendo il suo bastone verso terra, sottolineando la sua impazienza di esser sempre contraddetto e non creduto. Soprattutto da Bunny.
“Pitch non è stato mai incline al dialogo. È inutile! Smettila di provare a cercare un punto d’incontro o di difenderlo.” esclamò nervoso Bunny e chinandosi su Jack.
“Non difendo proprio nessuno, Bunny. Sto solo riportando tutto quello che ho visto prima che voi arrivaste.” Jack lo spintonò via punzecchiando l’arco della propria arma sul petto del coniglio. I due si lanciarono delle occhiatacce ostili segno di un imminente litigio.
“Dobbiamo comunque indagare.” North interruppe immediatamente l’aria tesa “Se Pitch è ritornato su dall’oceano degl’incubi, non ci attende niente di buono. Hai detto che ti ha attaccato?” North strofinava la sua lunga barba bianca per rimuginare sul racconto del ragazzo.
Jack scosse la testa negando “All’inizio Pitch ha comandato i suoi poteri ma, subito dopo, la sabbia nera ha fatto tutto di sua volontà. Ad un tratto era come se fosse stato di nuovo assente. È evidente che gli Incubi hanno preso sopravvento. E… c’è qualcosa che non va in lui.” Ribadì poggiando il bastone su una spalla.
I quattro Guardiani si scrutarono tra di loro pensierosi.
“Comunque, North ha ragione.” Thoot volò accanto a Jack “Se ha ottenuto i suoi poteri o meno, la nostra responsabilità è quello di analizzare ogni singola possibilità. Dobbiamo assolutamente trovare Pitch Black. Se non capiamo l’origine del problema non potremmo capire quanto siano diventati forti gli Incubi. Anche senza il dominio di Pitch, sono altrettanto pericolosi. Sono liberi di andare e fare quello che vogliono. E non vogliamo che la storia si ripeta…” Sandy annuì ascoltando la compagna. Jack si accigliò.
“Di quale storia parli?”
“Te la racconteremo quando sarà il momento giusto.” rispose “Sai bene cosa sta succedendo ora ai bambini, agli umani. Non dimenticarti cosa è accaduto a Jamie, Jack.”
“Come potrei dimenticarlo?” mormorò Jack addolorato. Thoot gli mise una mano sulla spalla confortandolo. “È chiaro che Pitch c’entri qualcosa in tutta questa faccenda. Dobbiamo occuparci di questo. Stai tranquillo, Jack. Capiremo cosa sta succedendo.”
Le labbra di Jack si strinsero abbassando lo sguardo.
Scosse la testa comprensivo osservando Thoot sfarfallante al suo canto.
 
Ogni Guardiano partì verso la propria direzione una volta discusso sui piani da attuare.
Ma prima che Jack si fosse lasciato andare dal Vento, una mela morsa sulla neve, da un verde incredibilmente luminoso, attirò la sua attenzione.
Si guardò intorno prima di prenderla, fissò incuriosito il grande morso nel frutto.
Mangiò con non curanza l’altra metà.
 
Il sapore seccamente acerbo aprì i suoi pensieri.
 
Prese una decisione.
 
 
 
 
 

   
 
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