CANTO
DI NATALE
“Le
azioni umane adombrano sempre un certo fine, che può diventare inevitabile, se
in quelle ci si ostina. Ma se vengono a mutare, muterà anche il fine.” –
Charles Dickens, Canto di Natale.
Fino a quel giorno di fine dicembre del 1976, James Potter associava
la paura a quella scarica di adrenalina che provava quando violava il regolamento
e rischiava di essere beccato. Tuttavia, da quel giorno, per il giovane la
paura ebbe un sapore nuovo, e se avesse dovuto scegliere un aggettivo per
descriverla, esso sarebbe stato paralizzante.
Era una contraddizione, ad essere onesti, dato che se si fosse
davvero immobilizzato sarebbe morto insieme a Pivellus. Era stata la sua
capacità di pensare ad essersi fermata, mentre cercava in tutti i modi di
difendersi da un lupo mannaro, salvando se stesso e
evitando al contempo di ucciderlo.
Aveva rischiato di lasciarci la pelle, aveva rischiato di abbattere
uno dei suoi migliori amici, aveva rischiato che Remus avesse la sua morte e
quella di Piton sulla coscienza e tutto questo per via dell’idea più idiota che
Sirius avesse mai avuto.
Al solo pensiero, chiuse le mani a pugno e strinse finché le
unghie non affondarono nella pelle dei palmi, per riuscire a controllare quell’enorme
carico di energia che gli provocava la rabbia. Perché sì, Piton era un coglione
e non c’era nessun altro al mondo che detestasse allo stesso modo. Era
affascinato dalle Arti Oscure, aveva amicizie poco raccomandabili e probabilmente
sarebbe presto diventato un Mangiamorte. Inoltre, aveva anche avuto la fortuna
di essere amico intimo di Lily Evans ed era stato tanto imbecille da perderla e
farla soffrire. Ma non importava quanto detestabile fosse Severus Piton, non
importava quante persone innocenti avrebbe un giorno avuto sulla coscienza,
Sirius non avrebbe dovuto farlo. Non soltanto aveva rischiato di mandare a morire
un compagno di scuola, ma non aveva avuto nessuna considerazione per il povero
Remus. Come si sarebbe sentito, se avesse provocato la morte di Pivellus?
Sarebbe stato distrutto per il resto dei suoi giorni. E anche Silente sarebbe rimasto
coinvolto, lo avrebbero condannato tutti per aver permesso ad un licantropo di
frequentare la scuola.
James era furioso. Aveva dovuto salvare la vita alla sua
nemesi, non aveva potuto trasformarsi per evitare guai e aveva rischiato di
morire o diventare un licantropo e se Piton avesse rivelato il piccolo problema
peloso di Remus, il loro amico sarebbe stato espulso.
Il rintocco del grande orologio del castello annunciò lo
scoccare della mezzanotte e quando cessò nella stanza buia dell’Infermeria si sentiva
soltanto il russare ritmato di Pivellus e il rumore del vento che
batteva contro le finestre. Annoiato e incollerito, James si decise a prendere
la pozione che Madama Chips gli aveva raccomandato di assumere prima di dormire
e tentò di addormentarsi.
Era immerso in un sonno profondo, quando sentì qualcuno
picchettare sulla sua spalla. Aprì gli occhi infastidito, immaginando che fosse
già mattina e che Madama Chips lo destasse per rifilargli qualche altra
disgustosa pozione curativa. Eppure, le tenebre suggerivano che fosse ancora
piena notte, Piton dormiva tranquillo nella sua brandina e le lancette della sveglia
sul comò segnavano l’una di notte. James, ancor più irritato, cercò di
identificare la figura in penombra che lo aveva svegliato in piena notte e fu
solo quando essa puntò verso il proprio volto una lanterna che riconobbe Fleamont
Potter.
«Papà?» volle accertarsi in un sussurro e il volto di suo
padre s’illuminò in uno dei suoi sorrisi che sapevano di casa e che cancellò all’istante
il pessimo umore con cui si era svegliato il giovane.
«Vieni con me, Jaime» disse l’uomo, tendendogli la mano e sebbene
fosse strano trovarselo lì, nel cuore della notte, a chiedergli di disobbedire
all’ordine di Madama Chips di non alzarsi per nessuna ragione al mondo, la
cieca fiducia che il ragazzo riponeva nel buon senso e nelle buone intenzioni
di suo padre lo portarono ad afferrare quella mano senza incertezza. Appena si sfiorarono,
James notò di non essere più nel castello. Si trovava in una stradina piena di
ciottoli di carbone, dalla quale era possibile vedere un piccolo fiume dalle
acque torbide e grandi ciminiere in lontananza. Avrebbe pensato ad una Smaterializzazione
congiunta, se solo non avesse saputo che non era possibile smaterializzarsi nel
perimetro della scuola.
«Papà, mi spieghi cosa succede?» chiese il ragazzo con un tono
curioso, mentre corrugava la fronte, si passava una mano fra i riccioli corvini
e studiava l’ambiente circostante, sentendosi molto confuso.
Fleamont, che alla luce dei lampioni pareva più giovane di come
lo ricordava, mise una mano sulla spalla di suo figlio, lo guardò dritto in volto
con grande apprensione e un mezzo sorriso.
«James, tu sei stato il nostro miracolo. Ti abbiamo desiderato
così tanto, che quando abbiamo potuto stringerti fra le braccia, non abbiamo
esitato ad esaudire ogni tuo desiderio» cominciò a spiegare «Ma non abbiamo
saputo insegnarti che non tutti hanno avuto i vantaggi che hai avuto tu e di
questo mi rammarico. Sono venuto a trovarti perché tu possa vederlo con i tuoi
occhi»
Quelle parole insinuarono più dubbi, invece di risolvere
quanti ne aveva già il ragazzo. Ma quando il Potter più vecchio si avviò verso la
casa alla fine della stradina, il figlio non esitò a seguirlo.
Non appena varcarono la soglia, furono delle urla ad
accoglierli. James si guardò attorno e comprese di essere in un angusto salotto
spoglio, eccezion fatta per una poltrona e un divano logori e un vecchio lampadario
impolverato.
Ai lati opposti della stanza un uomo e una donna adirati, continuavano
a litigare alzando i toni e parevano non averli notati affatto.
Fleamont indicò una porta semiaperta dalla quale spuntava un
bambino dai capelli lisci e neri, naso adunco, colorito giallognolo e occhi
scurissimi molto tristi. James pensò che potesse essere la versione in
miniatura di…
«Severus!» chiamò la donna e il bambino spalancò la porta,
raggiungendo i due adulti nella stanza.
Che fosse un parente di Pivellus estremamente
somigliante? Magari “Severus” era un nome ricorrente per i Piton. Oppure si
trovavano in una specie di ricordo del suo compagno? Era plausibile, ma non avevano
usato un Pensatoio.
«Mamma, mi hai chiamato?»
«Sì, Sev. È ora di andare a dormire» comunicò la donna,
posando un lieve bacio sui capelli del bambino. Gli occhietti del piccolo
Severus si riempirono di lacrime alla notizia.
«Ma è la vigilia di Natale!» protestò debolmente.
«E cosa dovremmo fare? Festeggiare, forse?» chiese sprezzante l’uomo che poco
prima litigava con la madre del bambino «Ho perso la voglia di festeggiare
quando ho scoperto che mia moglie è una strega, in tutti i sensi»
Delle lacrime rigarono
le guance magre del bambino, che fece in fretta ad asciugarle e tirò su col
naso.
«Buonanotte, mamma»
disse alla donna, prima di scoccarle un bacio sulla guancia. Poi andò ad abbracciare
le gambe dell’uomo «Buonanotte, papà»
Il volto del padre di
quel bambino assunse una smorfia di puro disgusto, mentre si staccava di dosso
il figlio con forza.
«Quante volte te lo
devo dire, Severus? Non voglio che mi tocchi. Ora fila a letto»
James provò una gran
pena nel vedere il piccolo Severus allontanarsi a rilento, lo sguardo fisso sul
pavimento per nascondere gli occhi lucidi, sotto lo sguardo carico di disprezzo
del padre e quello addolorato della madre.
Fleamont cinse le spalle
del figlio e lo riportò fuori dalla casa, mentre James si sentiva disturbato
dalla scena a cui aveva appena assistito.
«Non era mica… quel
bambino, era lo stesso Severus che conosco io?» chiese il ragazzo, turbato.
Il vecchio Potter annuì,
rivolgendogli uno sguardo intenso che lo mise a disagio.
«Ma cosa vuol dire? Non
ha senso. Non abbiamo usato il Pensatoio e Pive… ehm Piton ha sedici
anni e sta dormendo in Infermeria» ricordò il ragazzo, sempre più confuso.
«Non soffermarti su futili
dettagli, James. Piuttosto rifletti su quanto deve aver sofferto il ragazzo che
tanto disprezzi» disse suo padre, prima di riportarlo con un tocco nell’Infermeria
del castello.
Confuso e sconvolto, il
giovane controllò che il suo compagno fosse nella sua brandina e lì lo trovò,
poi si voltò in cerca del padre, ma non c’era più traccia di lui.
Credette di aver fatto solo
un sogno assurdo e si posizionò nuovamente nel suo letto, ma dato che ciò che
aveva vissuto era stato tanto vivido da sembrargli reale, prima di tornare a
dormire, diede un’ultima occhiata alla stanza.
«Cerca qualcuno, signor
Potter?» sentì pronunciare dalla voce ormai nota del preside della scuola.
«Nessuno, professore»
si affrettò a rispondere «Mi sono solo svegliato da un sogno stranissimo»
In tenuta da notte, con
un portacandela in mano e i soliti occhiali a mezzaluna, Albus Silente apparve
nella sua visuale.
«Curioso, davvero curioso»
commentò, poi piegò un braccio e sporse il gomito verso James, come se lo
stesse invitando a prenderlo a braccetto «Capisco che voglia riposare, signor
Potter, ma la notte è ancora lunga»
Il ragazzo sbuffò, si
passò una mano fra i capelli e afferrò il braccio del preside controvoglia.
Anche questa volta, l’ambiente
cambiò. Bastò un’occhiata al giovane, per comprendere di essere nella Sala
Comune dei Grifondoro. Regnava assoluta quiete nella stanza, nessuno occupava
le varie poltrone e i divanetti e avrebbe detto che fosse deserta, se non
avesse notato un’ombra nei pressi del caminetto.
Senza chiedere permesso
al preside, James si avviò verso il camino e lì vide Lily Evans, seduta sul
pavimento, rannicchiata con una pesante coperta ad avvolgerla e con le lacrime
agli occhi.
Nel vederla così, conoscendola
come una ragazza forte e combattiva, James sentì come una morsa al petto. Distolse
lo sguardo, sapendo bene che Lily non si sarebbe mai mostrata consapevolmente
a lui in quello stato. Vedere quel suo lato fragile era come spiare un momento
intimo della ragazza e sebbene avesse compreso da tempo che avrebbe voluto
conoscere ogni minima sfumatura della Evans, voleva che mostrare ogni parte di
sé fosse una sua scelta, voleva conquistarsi ogni piccolo segreto custodito da
quella ragazza dai capelli rossi che gli aveva rubato il cuore.
Silente spostò il volto
del ragazzo verso Lily, costringendolo a guardare la scena.
La ragazza continuava
ad asciugare il volto dalle lacrime, che scorrevano inarrestabili. I suoi occhi
dalle iridi di quel meraviglioso verde intenso erano mesti e furenti al
contempo.
«Lily?» chiamò una
voce, che proveniva da Marlene McKinnon, ferma al primo gradino della scala che
portava ai dormitori femminili. La ragazza raggiunse l’amica, si sedette al suo
fianco e l’avvolse in un mezzo abbraccio «Che succede?»
James tese le orecchie,
desideroso di sapere cosa facesse piangere quella ragazza.
«Mi hanno detto che Severus
è in Infermeria, insieme a Potter. A quanto pare hanno rischiato grosso, quegli
idioti»
James provò un dolore
fisico che diventava profondo e gli scavava l’animo. Aveva nominato anche lui,
ma l’aveva capito che quelle lacrime erano riservate solo al suo stupido amico.
Quel briciolo di compassione che aveva provato nel vedere Piton da piccolo, si
trasformò di colpo in una gelosia rovente.
«Lily, qualsiasi cosa
sia successa dovresti starne fuori. Severus Piton non si è dimostrato un buon
amico, ultimamente»
Il giovane Potter annuì,
concordando con Marlene, provando quasi soddisfazione nel sapere che Piton
aveva perso quel legame speciale con la ragazza. Ma quando vide il volto
sofferente di Lily, pensò che in fondo avrebbe preferito vederla felice con Pivellus,
che disperata come in quel momento. Di certo, lui non era mai stato in grado
nemmeno di strapparle un sorriso.
«Lo so. E so che non è
esattamente un martire, ma mi chiedo se magari le cose sarebbero andate
diversamente, se Potter e la sua banda non lo avessero tormentato» rifletté la
ragazza dai capelli rossi.
James sentì montare la
rabbia, insieme ad un forte senso di incompiutezza. Quella ragazza era capace
di attribuirgli persino le colpe per la sofferenza che era l’amico a provocarle
e tutto questo era terribilmente scorretto.
«Senti, sono sicura che Severus abbia sofferto
molto a causa della prepotenza di James, ma non è che sia stato costretto a
frequentare cattive amicizie, a trattarti con disprezzo o a chiamarti sanguesporco.»
le ricordò la sua amica.
Il ragazzo sorrise
compiaciuto, si sentì sollevato e si segnò mentalmente di dover fare un bel
regalo alla McKinnon per aver quasi preso le sue difese.
«Non sto dicendo che
non ha colpe, dico solo che è una brava persona che sta facendo delle scelte
sbagliate. Potter, invece, è solo un pallone gonfiato che si comporta come se
le sue azioni non avessero mai conseguenze. Non si rende nemmeno conto di
quanto sia meschino. Io lo odio» disse Lily a denti stretti, con i pugni
serrati e uno sguardo assassino rivolto al camino, enfatizzando l’ultima parola.
Fu come se Lily Evans gli
avesse strappato il cuore dal suo petto, per poi calpestarlo per bene e ridurlo
in mille brandelli. Sentì una sorta di voragine nello stomaco e le palpebre
divennero pesanti, come se contenessero un fiume di lacrime, che però non voleva
straripare.
Non ebbe il tempo di
commentare, che si ritrovò nell’Infermeria. Era nuovamente solo, se non fosse
stato per un Piton dormiente. Lo guardò in cagnesco, ma si sentì peggio. Non
era mai stato tanto inerme in vita sua, si vedeva come un ragazzino insulso e
minuscolo, completamente insoddisfatto.
«Ramoso» lo chiamò la
voce di Remus. James espirò, esasperato, desideroso che quella specie di incubo
patetico e senza fine giungesse al termine.
«Che vuoi?» disse
brusco, voltandosi verso il suo amico. Ma quello che vide non era il Lunastorta
che conosceva. L’altezza era la stessa, così come la corporatura, i lineamenti
e il modo orribile di conciarsi, ma era decisamente invecchiato.
Nell’istante in cui la
versione adulta di Remus lo sfiorò, l’Infermeria sparì e si ritrovarono nel
cortile di una scuola babbana.
«Fammi indovinare. Sono
stato nel passato con mio padre, nel presente con Silente e ora io e te siamo
nel futuro» dedusse il ragazzo, osservando in giro e passandosi una mano fra i
capelli.
«Siamo stati ragazzini stupidi
James. Essere presi di mira da tipi come te e Felpato non è piacevole, siamo
qui perché te ne renda conto tu stesso» gli spiegò il vecchio Lunastorta.
Dopo un fastidioso trillo
di campana, il cortile divenne gremito di ragazzini. James curiosava a destra e
a manca, chiedendosi cosa sarebbe accaduto. Presto scorse fra tutti un
ragazzino mingherlino. Lo guardò per bene e notò che gli somigliava molto: stessa
forma del viso, stessa bocca, stessa pettinatura ribelle, stesse sopracciglia e
gli occhi… un momento, li avrebbe riconosciuti fra migliaia di paia d’occhi: erano
tali e quali, nella forma e nel colore, a quelli di Lily Evans. Voleva forse
dire che quel ragazzino esile, vestito con abiti troppo grandi per lui, era
figlio suo e di Lily? Al solo pensiero un gran sorriso gli illuminò il volto e
il cuore si fece più leggero. Avrebbe avuto un figlio con Lily Evans! Quello
che fino ad un momento prima era parso un terribile incubo, ora invece era un
sogno magnifico da cui non voleva svegliarsi. Ah, già, quasi dimenticava che
fosse solo un sogno. Quantomeno aveva preso una bella piega.
Che poi, doveva essere
per forza un sogno: non avrebbe mai mandato suo figlio in giro conciato in
quella maniera!
Ma il sollievo e l’allegria,
finirono presto, perché il ragazzino venne fermato da due coetanei, uno dei quali
era il triplo di lui e aveva un’aria minacciosa.
«Tienilo fermo» disse il
ragazzo più robusto al suo amico, che si affrettò a prendere di forza il suo
futuro figlio per le braccia, portandole dietro la schiena e tenendo salda la
presa. Il tipo grosso si divertì a picchiare il ragazzino esile, mentre l’altro
lo teneva immobile.
Nemmeno protestava quel
ragazzino, sembrava esserci abituato. Una folla li accerchiava e si godeva lo
spettacolo: alcuni ridevano, altri tacevano, ma nessuno si azzardava ad aiutare
quel poverino.
James si senti
ribollire il sangue nelle vene e digrignò i denti per l’ira che sentiva
crescere in sé. Quel ragazzone e il suo amichetto avrebbero meritato una bella lezione,
tanto che d’istinto prese la bacchetta e pronunciò uno Schiantesimo, che anche
se andò nella direzione giusta, non sortì alcun effetto.
«Brutti idioti, lasciatelo
stare!» gridò con tutta la sua voce, stringendo i pugni e scaraventandosi
contro il ragazzo robusto, che però trapassò come fosse stato un fantasma.
«Non c’è nulla che tu
possa fare per aiutarlo, James. Ma non temere, Harry se la caverà» lo rassicurò
Remus, prima di riportarlo nel buio dell’Infermeria.
Stavolta non rimase
solo, Remus adulto restò e insieme a lui avevano fatto ritorno anche Silente e
suo padre.
«A che pensi, figliolo?»
chiese Fleamont.
A cosa pensava? Che non
importava molto se fosse un sogno oppure no, perché se un giorno avesse davvero
avuto un figlio, come avrebbe potuto guardarlo negli occhi, insegnargli come
comportarsi, sapendo di essere stato un bullo crudele?
Pensava a Lily Evans,
che non lo odiava solo negli incubi, ma anche nella realtà. Come poteva pensare
di poter stare con lei? Credeva di poterla avere, perché le altre ragazze gli
sbavavano dietro, ma Lily non era come le altre e lui una come lei non se la
meritava.
Pensava anche a Pivellus,
che di certo aveva commesso i suoi errori e che continuava a detestare, ma che
spesso non aveva avuto la possibilità di difendersi dagli attacchi suoi e di
Sirius.
Pensava di essere un
disastro, una persona terribile e guardando il volto gentile di suo padre si
sentiva in colpa per non essere il figlio che i suoi genitori avrebbero
meritato.
Sentì una lacrima
bagnargli il volto e l’asciugò presto con la manica del pigiama, scuotendo la
tesa, come per rifiutare tutto ciò che era stato fino a quel momento.
«Mi dispiace. Pensavo
di essere dalla parte dei buoni, invece sono solo un ragazzo egocentrico e
superficiale» ammise James, chinando il capo e trattenendosi per non scoppiare
in lacrime.
«Signor Potter, tutti gli
esseri umani commettono degli errori. Non crederebbe a ciò che ho combinato io
da ragazzo. Ahimè, non possiamo fare nulla per cancellare gli sbagli del
passato, quello che possiamo fare è redimerci nel presente e migliorarci per
non ripeterli in futuro» disse la voce del preside. James guardò quel trio
strambo, che gli sorrideva incoraggiante e capì che il vecchio Silente, come sempre,
aveva ragione.
«Signor Potter» pronunciò
Remus con una voce decisa e femminile, lasciandolo perplesso «Si svegli! Potter,
se vuole tornare a casa per le vacanze si svegli immediatamente!»
James aprì gli occhi e
si alzò di scatto. Era nella brandina dell’Infermeria e una Madama Chips
indaffarata gli chiedeva di sbrigarsi.
Non sapeva quali strani
ingredienti ci fossero nella pozione che aveva preso la sera prima, ma di sicuro
il suo sogno era stato illuminante.
Quando tornò dalle
vacanze natalizie, James Potter era un ragazzo diverso. Continuava ad essere il
solito tipo irriverente, un po’ vanitoso ed eccessivamente sarcastico, ma cominciò
ad ignorare Piton e lasciarlo in pace, a rispettare un minimo le regole, divenne
più responsabile e più sensibile nei confronti del prossimo. Si rivolgeva a Lily
Evans con estrema cortesia: persino quando la ragazza lo trattava male, lui si
comportava da perfetto gentiluomo.
Quella versione più
matura di James piacque molto a Remus, mentre lasciò Sirius indignato per molti
mesi, ma alla fine anche quest’ultimo si rassegnò e accettò la realtà: aveva
perso il suo compagno di bravate, che aveva scelto di crescere.
James non raccontò mai
a nessuno di quel sogno che gli aveva cambiato la vita in una notte da fine dicembre
del 1976.