Ti sei posato sulla mia vita con la lievità di una farfalla e ti ci sei srotolato dentro, spandendoti piano, un soffio alla volta, allargando lentamente i confini dell’esistenza angusta, fatta solo di dovere, che mi era stata apparecchiata. E con la tua presenza e la tua caparbia pazienza hai portato dentro tutto ciò che non era previsto ne facesse parte. La compagnia, l’amicizia, i giochi, le risate, l’allegria, il calore, la dolcezza, la tenerezza, le attenzioni e le premure. La gioia.

Armato solo della tua salda dedizione, del tuo sorriso schietto e aperto, del tuo sguardo gentile come una carezza e del tuo cuore smisurato, hai conquistato territori su territori. Per me. In me.

Ed è servita la minaccia d’essere ricacciata all’improvviso in una vita povera, rattrappita, perché mi accorgessi di essere accerchiata. Ho dovuto temere di perderti senza più poterti ritrovare, perché mi sferzasse la consapevolezza che hai espugnato perfino la mia anima. A dispetto delle mie difese, del mio sciocco orgoglio, della mia ostinata paura d’essere vulnerabile.

L’ho compreso in faccia all’uomo che credevo di amare, mentre le sue mani mi cingevano le spalle dopo che m’aveva tratto in salvo e io non sentivo altro che angoscia, perché tu non eri lì e non sapevo cosa ti fosse accaduto. Vinta dal terrore che non saresti più stato per me conchiglia, stampella e trampolino, che non mi avresti più custodita, sorretta, fornito lo slancio per compiere ogni cosa.

Mi arrendo, André.

Mi hai sconfitta con l’amore. Con il dare e dare senza risparmiarsi mai, privo di calcolo e di pretese. Con la costanza di chi non cede allo sconforto e non vacilla, nonostante le amarezze e le difficoltà. Con il coraggio di chi affronta il dolore e non lo teme, se è per il bene dell’altro. Con la grazia di chi sa donare leggerezza ed è estraneo agli artifici e alle pose. Con la magnanimità di chi è capace di perdonare e non conosce il rancore. Con la dignità di chi non fugge dai propri errori e non se ne lascia annientare, ma accetta la colpa e sa espiarla trasfigurandola, fino a elevarsi da essa.

Mi arrendo, André.

E finalmente posso concedermi di pensare ai tuoi occhi che hanno il colore dei pini. Al tuo profilo elegante. Alla tua figura slanciata e armoniosa. Alla tua chioma della stessa sfumatura del cielo nelle notti senza luna. Alle tue braccia a cui vorrei abbandonarmi. Alle tue mani di cui desidero le carezze. Alle tue labbra che vorrei sulle mie.

Ti amo, André.

Ti amo e mi spaventa. Ti amo e non so se ne sono all’altezza, perché il tuo amore così autentico e generoso è immenso e merita di essere ricambiato in egual misura. E io mi sento meschina per averlo ignorato tanto a lungo e minuscola al suo confronto.

Mi attendi da sempre, eppure ho a tal punto paura che vorrei chiederti altro tempo. Ma la vita è così fragile! Può sfumare senza preavviso in una sera qualunque, in un quartiere qualunque. Come sarebbe potuto accadere stasera.

Dovrò trovare il coraggio, non posso aspettare. Spetta a me adesso rivelarmi, chiamare a raccolta la forza di essere indifesa.

Non ancora, però. Non ancora...

Perdonami, André.

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Mi avventuro per la prima volta nella pubblicazione di una fanfiction, pertanto invoco la vostra clemenza.