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Autore: drisinil    06/12/2022    5 recensioni
[UshiOi] [spoiler post timeskip]
Ci sono persone che prendono sempre tutto sul serio. Molto sul serio. E' nella loro natura.
Così è Ushijima Wakatoshi e lo è a maggior ragione quando si tratta di Tooru.
Questa storia nasce dalla challenge #fourshipschallenge del gruppo fb "Non solo Sherlock - gruppo eventi multifandom" su un prompt della fantastica @Bombay
Spoiler post timeskip
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Tooru Oikawa, Wakatoshi Ushijima
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Sorprendimi.

Era quello che Tooru gli aveva detto tanti anni fa, quando se lo era trovato davanti, sullo sfondo di un oceano così immenso e azzurro che toglieva senso allo spazio e al tempo. Waka non aveva mai amato l’oceano, fino a quel momento.
Lo aveva sorpreso. Nel modo più banale del mondo, mettendogli fra le mani quindici anni di sentimenti irrisolti e militante devozione.
Lo aveva sorpreso dicendo di sì. A tutto, senza riserve. Tranne che a fargli del male, tranne che a permettergli di farsi del male.

Da allora, di essere sorpreso, non glielo aveva mai più chiesto.

E poi per… - quanti anni? - era stato lui a farsi sorprendere, un giorno dopo l’altro, dalla capacità di Tooru di accendergli la vita con i gesti più semplici, di spalancargli gli occhi su un mondo a colori, in cui i colori ce li metteva sempre lui.


«Tra poco è Natale, Toshi. Sorprendimi.»
Glielo chiede così, come fosse niente, davanti a uno di quei toast bruciacchiati, integrali, ricchi di fibre, che continuano entrambi a mangiare ogni mattina, anche se si sono ritirati da un pezzo.
Quando Waka solleva gli occhi, quelli di Tooru splendono. Non è una novità: è il loro mestiere, splendere, di tanti splendori diversi. Questa è una luce che nasconde qualche ombra, fra ciglia lunghissime e rughe che non si possono più nascondere, ma aggiungono fascino ai suoi tratti. Oikawa Tooru ha sedotto persino il tempo, che gli ricama sulla pelle, anziché incidere brutalmente.
«Sei triste? Ti dispiace essere solo noi due?»
Tooru scuote il capo, senza smettere di bere il succo d’arancia (fresco, appena spremuto) dal bicchiere di Waka, dopo aver finito il proprio.
«Vuoi che chieda a Nari-chan di tornare?» prosegue Waka, con la stessa cautela e precisione millimetrica con cui sta stendendo un velo di miele sul pane tostato. La fetta è per Tooru, naturalmente, e che sia lui a spalmarla di miele è una tradizione inviolabile.
«Credi che tornerebbe se fossi tu a chiederglielo e non io?»
«Credo che tu non voglia chiederglielo.»
«Infatti non voglio.»
Il rapporto di Tooru con la loro figlia - quella che hanno adottato quasi trent’anni prima - è complicato e viscerale. La distanza fa sanguinare il cuore di entrambi, eppure, con il tempo, è diventata necessaria. Ma almeno per Natale…
«Almeno per Natale… sono sicuro che… » ritenta Waka.
«No, davvero, non voglio.»
«E cosa vuoi?»
E’ una domanda pericolosa. Perché la risposta è immancabilmente, assolutamente, magnificamente imprevedibile.
Tooru prende la fetta dalle mani di Waka e sorride a quel quotidiano peccato di gola. «Te l’ho detto cosa voglio, Toshi. Che mi sorprendi.»


Come si possa sorprendere un miracolo come Oikawa Tooru è qualcosa che Wakatoshi pensa di aver dimenticato.

Ha venti giorni per sorprenderlo, e no, non sono molti.

Ci pensa mentre in palestra, nel seminterrato, solleva i suoi pesi. Ha dovuto togliere quasi dieci chili dai bilancieri, negli ultimi mesi, e non ha ancora ben metabolizzato la cosa.

Ci pensa in metropolitana, mentre raggiunge il suo ufficio, e più tardi, guardando dall’alto, attraverso il vetro, i ragazzi della under-diciannove che si allenano, fra un fischio e l’altro. Lo schermo in differita di una decina di secondi ripropone le immagini delle loro azioni, come un universo parallelo in lieve ritardo che offre l’illusione di riavvolgere il tempo. Gli sembra passato un giorno da quando lui stesso era lì di sotto, a sudare e a pesare in silenzio la mancanza di Tooru, in quella palestra e nella sua vita.

Ci pensa a mensa, mentre, fra un boccone e l’altro, gli parlano di interviste e di un qualche documentario per il ministero, tutte cose che si trasformeranno presto in scartoffie sulla sua scrivania.

Continua a pensarci nel pomeriggio, mentre torna a casa a piedi, nel freddo di dicembre, e quei dodici chilometri, che un tempo faceva di corsa, iniziano a sembrargli parecchi anche per una passeggiata.

Ci sta ancora pensando quando apre la porta di casa e la prima cosa che sente è la voce di Tooru che canta a squarciagola in spagnolo, insieme a una voce infantile, che deve essere Ru-chan, il figlio di Nari, che ha quattro anni e si fa vivo tutti i pomeriggi, per cantare con il nonno in videochiamata. Sono entrambi tragicamente stonati, ma rifiutano di ammetterlo. E ridono come sanno fare solo loro.

Waka sorride e si stupisce della tenerezza che gli fa una cosa così normale. Da anni e anni gli sembra di non saper far altro che stupirsi e stupirsi, ogni momento. Così è la felicità, improvvisa e inafferrabile. Un ombrello violetto che compare all’ingresso accanto al tuo nero in un giorno di pioggia e cambia tutto.
Toshi, sorprendimi.
«Tadaima.»
«Okaeri.»
Tooru si toglie gli occhiali, quando va alla porta a salutarlo, perché la vanità non muore mai.

Quanti anni sono passati? Tanti. Waka non riesce a contarli. Non sono numerabili. Si allungano e si accorciano nella memoria, si flettono e si attorcigliano, colmi di silenziosa meraviglia fra una tempesta e l’altra.

Forse Tooru l’ha dimenticato, di avergli chiesto di sorprenderlo. La sua memoria perde qualche colpo. Niente di grave, niente di anomalo. O magari, qualche volta finge di dimenticare, per non gravare le proprie aspettative sugli altri, come faceva quando era ragazzo e la sua massima ambizione era stritolare fra le mani il mondo intero, con i suoi miliardi di abitanti. Mani piene di ferite, di strappi da cui filtrava una luce bianca abbacinante, che vedevano tutti tranne lui.
La massima ambizione di Wakatoshi, a quel tempo, era accaparrarsi tutta quella luce e riempirsene il cuore fino a scoppiare.

Amarsi è stato ripararsi a vicenda negli anni, rimettersi in equilibrio dopo quel penoso e disperato cercarsi, riempire i vuoti uno dell’altro, in un incastro così naturale e perfetto che non ha mai avuto bisogno di forzature. Di sforzi invece sì. Di compromessi. Di piegare all’ordinario sentimenti talmente puri che per qualche anno sono rimasti a contemplarli così com’erano, senza riuscire a imboccare una direzione.

Poi l’amore è diventato certezza, a un soffio dall’abitudine, il che non è per forza una brutta cosa: brucia di meno, scalda di più. Così è adesso.

Così, questa Vigilia di Natale, seduti in macchina uno accanto all’altro, sembra un giorno qualunque. E forse davvero Tooru se n’è dimenticato di voler essere sorpreso, perché nemmeno un’ombra di delusione gli compare sul viso quando si fermano di fronte alle porte girevoli di un banale hotel di lusso in piena Ginza.
Ultimo piano, vista panoramica su una Tokyo come un cielo scintillante, uno dei loro ristoranti preferiti.

«E’ stata una bellissima serata» dice Tooru, giocando con le bacchette intorno a un quadratino d’ananas, che è rimasto nel suo piatto. Avanza sempre qualcosa di ogni portata, anche solo una briciola, come se la forma della sua fame non potesse mai essere pienamente soddisfatta da alcun cibo, per quanto abbondante, per quanto squisito. Una verità più esatta di quanto dall’esterno si potrebbe pensare.
«E’ stata una bellissima serata» ripete, «e la città vista da quassù vale sempre la pena.»
«Ci tenevo che ti restasse un bel ricordo di Tokyo.»
«In che senso?»
Waka non risponde, con due dita fa scivolare sul tavolo una busta lunga e stretta.
«Cos’è?»
«Un regalo di Natale.»
«Natale è domani, dovrei aspettare... » le dita di Tooru hanno lasciato le bacchette e ora giocano con la carta, graffiando la superficie e accarezzandola, in un piccolo, inconsapevole capolavoro di seduzione.
«Aprilo adesso, vuoi?»
«E’ un viaggio? Andiamo da qualche parte a Capodanno?» Tooru cerca di indovinare, ma negli occhi intelligenti e fermi di Wakatoshi non ci sono indizi. Intanto, poiché resistere alle tentazioni non è il suo forte, sta già aprendo la busta. Contiene due fogli e nulla che somigli a un biglietto aereo.

Tooru legge, scorrendo in fretta il primo foglio, andando al secondo e poi tornando al primo. La luce dorata e obliqua dei festoni alle finestre gli fa splendere uno zigomo e una palpebra a intermittenza, gli si posa sulle labbra spezzandole a metà.
«Che significa?»
«Quello che c’è scritto.»
«Ma è assurdo.»
«Ti dispiace così tanto?»
«Sì!»
«Davvero?»
«Dimmi perché! Perché uno nella tua posizione dovrebbe dimettersi di punto in bianco?»
«Perché penso che sia il momento di mettere solo te al centro della mia vita.»
In bocca a chiunque altro sembrerebbe un’ iperbole sentimentale, ma Wakatoshi non sa cosa sia un’iperbole. Al contrario, sa perfettamente cosa siano i sentimenti e non è uno che sia capace di scherzarci.
«E credi che sia necessario buttare nel cesso tutto quello che abbiamo?»
«Ci ho pensato bene. E sì, credo di sì. Il cesso serve. Ho anche messo in vendita la casa, tanto per tirare lo sciacquone.»
«Cos'hai fatto?»
«Tu odi vivere a Shibuya.»
«Mi sono abituato.»
«Ti abituerai anche a Mar de la Plata. Ho comprato la tua vecchia casa, anche se cade un po' a pezzi. E quella specie di capanna francese in mezzo alle vigne di cui ti sei innamorato quando siamo andati al matrimonio di Bokuto. E l’assurdo monolocale a Varsavia, che continuo a pensare sia la città più brutta del mondo dopo Sendai...»
«Ma...?»
«Ma siamo stati felici in modo imbarazzante quei dieci mesi.»
Tooru è capace di sorridere con muscoli del viso che nessun altro possiede. «Io non ero affatto imbarazzato. Un po' indolenzito, magari. E l'attico senza ascensore a New York?»
«Ora come ora con dieci piani a piedi rischiamo di rimanerci secchi. E comunque non bastavano i soldi: non sai quanto costano le capanne francesi.»
«Quindi ora abbiamo tre case inutili in diversi continenti e siamo ufficialmente poveri?»
«Esatto. Appena ti dimetterai anche tu, saremo praticamente sul lastrico. Buon Natale!»

Sorprendimi, Toshi.

Tooru ha gli occhi sgranati, lucidi, immensi. Waka ci guarda dentro e si ritrova come quel giorno davanti all’oceano, a mettergli semplicemente in mano tutto quello che ha, tutto quello che è.
A quanto pare, funziona.

   
 
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