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Autore: federicaMalik    06/12/2022    0 recensioni
*la storia fatta eccezione per il prologo è raccontata dal punto di vista della protagonista due anni prima.
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Il lieto fine non è garantito e l’amore non è sempre fisico.
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Dal testo:
“Come ti hanno convinta a venire a questa festa?” Mi chiese riscuotendomi dai miei pensieri.
“Tuo fratello ed Izi” sospirai alzando gli occhi al cielo “non volevano lasciarmi a casa da sola” conclusi, scrollando le spalle.
“Ed il tuo ragazzo?” Mi domandò, gettando la sigaretta a terra ormai terminata, dopo averla spenta contro il muro.
“Cosa avevi mercoledì pomeriggio?” Ignorai la sua domanda, intenta ad indagare su quanto era successo, continuando a scrutarlo
attentamente.
“Non so di cosa tu stia parlando”
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
Capitoli:
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Capitolo 9 





Avevo sempre considerato novembre  un mese di passaggio, un po’ più anonimo rispetto agli altri.

Ottobre portava con se l’inizio dell’autunno, i suoi colori ed i suoi profumi, fornendo sensazioni nuove e fresche.

Dicembre, d’altro canto , era il mese del Natale,delle sue luci e decorazioni.

Novembre, invece,stava in mezzo a questi due mesi così ricchi e pieni, procurando per i primi giorni nostalgia per il mese precedente e successivamente, l’attesa per l’arrivo di dicembre e del Natale.

Quel giorno io, in realtà, mi sentii un po’ novembre, una terra di mezzo tra due fuochi e provai tenerezza ed empatia per il penultimo mese dell’anno.

Non capitava spesso, infatti, che i miei genitori venissero a farmi visita a Bristol, in quanto mio padre era troppo impegnato a spostarsi da una delle sue aziende all’altra e mia madre ad arricchire il suo armadio con le ultime collezioni di Versace.

Per questo motivo, già la loro inaspettata visita mi aveva non poco stupito, ma la situazione degenerò letteralmente nel momento in cui mi informarono dei loro nuovi piani per il mio futuro.

“È arrivato il momento che tu inizi a mettere in pratica ciò che hai imparato in questi anni e ti assuma le tue responsabilità” mi aveva spiegato mio padre, durante il pranzo trascorso insieme in un lussuoso ristorante della città.

Avevo annuito ascoltando con interesse per tutto il tempo, continuando a pranzare tranquillamente, ma sentii lo stomaco intrecciarsi ed il cibo risalire nel momento in cui mi informarono che avrei dovuto trascorrere il mio ultimo semestre in un college negli Stati Uniti, lasciando Bristol, i miei amici e la mia università.

Tentai di riprendermi da quello stato di stupore e cercai di spiegargli che non sarebbe stato costruttivo stravolgere tutto per un solo semestre, ma rimasi letteralmente senza parole quando mia madre, in un vago tentativo di rassicurarmi , mi disse “ne abbiamo già discusso e siamo giunti alla conclusione che è la soluzione migliore per te.

Abbiamo anche pensato che potrà venire Riccardo insieme a te, sai che tuo padre può aiutarlo a trovare una buona opportunità lavorativa lì.”

“Certo, non potrai vederlo sempre, dato che seguirai dei corsi avanzati che ti terranno occupata per l’intera giornata” continuò mio padre

“Ma credo che sia la soluzione migliore, è ora che tu cresca e che ti lasci alle spalle inutili distrazioni.” concluse con tono deciso.

Sentii gli occhi inumidirsi ed il petto battere freneticamente e strinsi a pugno le mani che tenevo tra le gambe, lontano dallo sguardo dei miei genitori.

Rimasi in assoluto silenzio, tentando di calmarmi e di recuperare fiato e loro dovettero interpretare quel mio stato di tranche come un tacito consenso.

 

Dopo quel folle pranzo, i miei genitori mi riaccompagnarono nel mio appartamento e mi salutarono, in quanto sarebbero ripartiti quello stesso pomeriggio.

Arrivai in casa in assoluto silenzio, ancora troppo sconvolta e con la mente in subbuglio, sentii Isabel ripetere ad alta voce nella sua stanza, sapevo che avrebbe dovuto sostenere un esame intermedio in quei giorni e non mi sembrò il caso di disturbarla.

Pertanto, mi chiusi nella mia camera, rannicchiandomi su me stessa e cercando di colmare quel vuoto che sentivo dentro.







Ero in un assoluto stato di dormiveglia quando sentii la porta della mia camera aprirsi con violenza.

“Mi spieghi perché non sei in biblioteca alle quattro del pomeriggio?” 

La voce di Nick rimbombò tra le mura bianche della mia camera, svegliandomi definitivamente.

Mi stiracchiai leggermente, passandomi una mano sul viso e voltandomi verso di lui.

“Stai male?” mi chiese, dopo avermi osservata con sospetto.

“No, tutto bene” mormorai e lo vidi inarcare un sopracciglio con fare scettico, probabilmente non ero molto convincente.

“Che ci fai qui?” Gli chiesi.

“Ti cercavo” disse, sollevando gli occhi al cielo.

“Sono passato in biblioteca e non c’eri, ti ho chiamato ma non rispondi, hai il ciclo per caso?” Domandò con fare indagatore.

Risi leggermente, prima di scuotere la testa.

“Come sei entrato?” gli chiesi, con un sopracciglio inarcato.

“Mi ha aperto Isabel” rispose,senza però demordere dal voler scoprire cosa mi avesse tenuta tra le lenzuola quel pomeriggio.

“Mi spieghi perché sei a letto allora?” 




Sollevai gli occhi al cielo, sbuffando;

era assurdo il modo in cui Nick riuscisse sempre a percepire i miei sbalzi d’umore o quando qualcosa non andava bene e pensare che, in fondo, non eravamo mai stati davvero amici.

“Solo un po’ di stanchezza” mormorai

“Perché mi cercavi?” tentai, con la speranza che cambiare discorso potesse smorzare i suoi sospetti.

Lo sentii sbuffare, “balle, dimmi cosa ti è successo!“ affermò serio, prima di togliersi le scarpe e buttarsi pesantemente sul mio letto, sdraiandosi accanto a me.

“Prego, fai pure” lo presi in giro e lo vidi trattenere un sorriso.

“Allora?” continuò ad insistere, voltandosi con il corpo verso sinistra e passando un braccio sotto il cuscino, in modo da potermi osservare.

Il fatto che si sdraiò con nonchalance sul mio letto e che mi guardava insistentemente con il viso a pochi centimetri dal mio, mi mise inevitabilmente in imbarazzo, ma cercai di non darlo a vedere.

“Sono passati a trovarmi i miei genitori” confessai, dopo qualche secondo e lo vidi sollevare un sopracciglio esortandomi a continuare.

“Hanno deciso che frequenterò il secondo semestre in un college negli Stati Uniti” dissi tutto d’un fiato e dirlo ad alta voce lo rese ancora più vero e frustrante.

“E a te non va bene?” mi chiese ed io sorrisi spontaneamente, era la prima volta che qualcuno mi chiedeva se qualcosa mi andasse bene.

Non lo aveva mai fatto nessuno, né i miei genitori ed, a volte, neppure i miei amici.

“Io voglio restare qui” mormorai, con la voce tremante, essendo davvero sul punto di piangere.

“Non voglio andare via, so che dovrò gestire le aziende di famiglia in futuro, ma prima ci sono un sacco di cose che vorrei fare” gli spiegai.

“Del tipo?” mi chiese 

“Non saprei..” risposi sinceramente, dopo qualche secondo di silenzio e lo vidi sorridere, probabilmente sembravo ridicola ed infantile in quel momento.

“Non importa quanto tempo hai a disposizione, ma come lo usi, Ass!” disse dopo un po’ ed, in effetti, aveva ragione.

Avevo passato due anni a Bristol, lontano dalla mia famiglia, ma nonostante avessi trovato molti amici, non avevo mai fatto qualcosa di folle, qualcosa fuori dagli schemi.

“Vorrei semplicemente fare delle cose che non ho mai fatto, un viaggio senza destinazione, ballare scalza o altre cose sciocche, cose che si fanno alla mia età” dissi tutto d’un fiato, con assoluta sincerità.

Nick restò in silenzio ad osservarmi per un po’, scrutandomi attentamente ed io mi sentii in parte in imbarazzo per quella poca distanza, ma, in parte, mi sentivo più leggera e serena, come se mi fossi tolta un grosso peso.

“Possiamo farlo!” mi disse, dopo un po’, mostrandomi un piccolo sorriso.

“Cosa?” chiesi titubante ed il suo sorriso si allargò.

“Un viaggio senza destinazione!” rispose ovvio.

Sorrisi, prima di scuotere la testa.

“Perché mi cercavi?” gli domandai nuovamente.

Lo vidi girarsi e sdraiarsi dritto sul letto, prendendo ad osservare il soffitto, interrompendo il contatto visivo.

“Perché avevo voglia di vederti.” rispose tranquillo ed io sentii il cuore perdere un battito.




Quel pomeriggio il meteo a Bristol ci aveva costretto a rimanere in casa, difatti pioveva incessantemente dall’intera giornata e sembrava che non fosse intenzionato a smettere.

Ero seduta sul divano di casa mia ad ascoltare distrattamente il parlottare dei miei amici fin quando non mi sentii richiamare.

“Asia, potresti almeno fingere di apprezzare la nostra compagnia” mi richiamò Scar, mettendo su un finto broncio.

Sorrisi sollevando lo sguardo e riscuotendomi dai miei pensieri.

“Sai che apprezzo la vostra compagnia” risposi, mostrandogli un sorriso dolce che le fece sollevare gli occhi al cielo.

“Tutto bene?” mi chiese Edo, con aria perplessa.

“In realtà..” iniziai, facendo un sospiro, non gli avevo ancora raccontato degli ultimi avvenimenti e di ciò che i miei genitori avevano in programma per me, ma era giunto il momento di condividere con loro quella assurda novità.

“I miei hanno deciso che frequenterò il secondo semestre in un college negli Stati Uniti”

“Che cosa?” urlò sconvolta Scarlett, mentre Edo ed Izi mi scrutavano con un’espressione piuttosto contrariata.

“Stai scherzando,spero?” continuò la rossa.

Scossi la testa, prendendo un profondo respiro.

“Tu vuoi andarci?” mi chiese dopo un po’ Edo, riscuotendosi dal suo momentaneo silenzio.

“Certo che no” esclamai, allargando le braccia.

“Ma sapete che non sono io a decidere!” conclusi, con tono rassegnato.

“Allora dillo ai tuoi!” esordì Lucas, corrucciando la fronte.

“Non servirebbe a niente” gli spiegai, senza riuscire a trattenere uno sbuffo.

Mi voltai verso la mia coinquilina, l’unica che fino a quel momento non aveva proferito parola ed il suo silenzio mi preoccupò particolarmente.

“Se tu non vuoi andare, non ci vai!” sbottò Scar, con fare ovvio.

“A costo di legarti a questo dannato divano!” concluse e Lucas annuii dandole ragione.

Risi leggermente al loro modo di fare, adoravo l’atteggiamento ribelle di Scarlett e mi inteneriva il modo in cui Lucas fosse incredibilmente sempre d’accordo con lei.

Passammo il resto del pomeriggio a discutere di questa nuova questione, senza però giungere ad una vera soluzione.

Parlando con i miei amici mi resi conto che dovevo, quantomeno, fare un piccolo tentativo e chiamare mio padre per dirgli di non essere esattamente d’accordo con la loro decisione.

Alla fine di quel pomeriggio, nonostante la pioggia non avesse cessato di cadere con violenza dal cielo, Scar, Lucas ed Edo decisero di tornare alle loro case, lasciandomi insieme ad un Isabel più taciturna del solito, che raggiunse la sua stanza senza proferire nessuna parola.




“Izi” 

La chiamai, bussando leggermente alla porta semi aperta della sua stanza ed aprendola lentamente subito dopo, senza aspettare un suo esplicito consenso.

La trovai seduta sul bordo del letto, in un silenzio che mi preoccupò.

Rimasi ad osservarla per qualche minuto, ferma sul ciglio della porta.

“Non puoi andartene davvero.” esordì dopo un po’ e dal tono della sua voce mi resi conto che stava trattenendo le lacrime.

“Isabel” dissi, entrando nella stanza e facendo qualche passo verso di lei.

“Non puoi partire, sul serio.” continuò sollevando lo sguardo e fissando i suoi occhi lucidi nei miei.

“Se tu te ne vai come faccio io?” iniziò, con voce spezzata.

“Se parti chi controllerà che io non salti nessun pasto o che io vada a fare terapia?” mi chiese ed una lacrima le sfuggì rigandole il viso.

Sentii un nodo alla gola restringermi il petto e faticai a trattenere le lacrime.

“Proverò a parlarne con mio padre” dissi sinceramente, cercando di rassicurarla.

“Per quanto difficile possa essere..” aggiunsi qualche secondo dopo, senza riuscire a trattenere un sorriso amareggiato.

“Dovranno almeno ascoltarmi!” conclusi.

La vidi asciugarsi quell’unica lacrima, alzarsi dal letto e stringermi in un abbraccio.

“Per favore, non andare via!” sussurrò sulla mia spalla e dovetti mordermi un labbro per evitare alle mie lacrime di scorrere con violenza.







Ero seduta sul bordo del letto rigirando tra le mani il mio cellulare, alla ricerca di quel coraggio necessario per dire alla mia famiglia di non essere, per la prima volta in vita mia, d’accordo con una loro decisione.

Presi un respiro profondo, non ero ancora pronta a lasciare Isabel, Pablo ed i miei amici.

Fu questa consapevolezza a spingermi ad aprire la rubrica e ricercare il numero di mio padre, facendo partire la chiamata.

“Asia” sentii dopo qualche squillo dall’altro lato della cornetta ed il cuore iniziò a battermi freneticamente nel petto.

“Papà” mormorai, con voce intimorita.

“È successo qualcosa cara?” mi chiese ed io presi un profondo respiro prima di replicare.

“No, va tutto bene!” iniziai

“Volevo solo parlare di quel college a New York”

“Si tesoro, dirò alla mia segretaria di inviarti il depliant via email, vedrai che ti piacerà” mi disse con tono tranquillo.

“No, papà” sospirai

“Io non credo che sia la soluzione migliore per me” dissi con tono titubante

“Anzi, ne sono più che sicura!” esclamai subito dopo con maggiore decisione.

Lo sentii sospirare al telefono e rimanere in silenzio per un po’.

“Ho già parlato con Riccardo ed è la soluzione migliore per te, Asia!” affermò con tono severo e che non ammetteva repliche.

“Adesso devo andare, ho una riunione!” disse subito dopo, concludendo quella chiamata.

Sospirai, gettando in malo modo il cellulare sul letto, ripensando alle parole di mio padre una assurda ipotesi iniziò a farsi largo nella mia mente.




“Ho già parlato con Riccardo”




“È ora che ti lasci alle spalle inutili distrazioni”




“non ti riconosco più, stai sempre a leggere, quando dovresti lavorare di più sul tuo futuro…Sei sempre distratta, sulle nuvole e adesso, ti ubriachi pure!” 




Mi alzai rapidamente dal letto nel momento in cui quella nuova convinzione si fece largo in me.

Non poteva essere vero, ma mettendo insieme i pezzi degli ultimi avvenimenti mi sembrava l’unica alternativa possibile, l’unica spiegazione sensata.

I miei genitori avevano sempre insistito su cosa avessi dovuto studiare e cosa avrei fatto una volta laureata, ma avevano lasciato a me scegliere dove.

E questa era la principale ragione che mi aveva costretto ad impegnarmi ed a prendere seriamente il mio percorso di studi.

Sbuffai, recuperando la borsa dalla sedia, rimanere chiusa in casa a rimuginare non avrebbe fatto altro che confondermi ulteriormente.

Pertanto, dopo aver recuperato il mio cappotto all’ingresso, uscii di casa percorrendo velocemente il tragitto che conduceva allo studio in cui Ric lavorava.




Non mi era mai capitato di fargli visita durante l’orario lavorativo, essendo consapevole di quando ci tenesse a mantenere distaccato il lavoro dalla vita privata.

Tuttavia, che con quella visita potessi irritarlo in quel momento non mi importò.

Aprii la porta del suo ufficio, subito dopo aver bussato ed aver ricevuto dall’interno il consenso di entrare.

Appena mi vide sollevò un sopracciglio, probabilmente stranito da quella mia inaspettata visita.

“Asia, che ci fai qui?” mi chiese subito dopo, rivolgendomi un piccolo sorriso ed alzandosi dalla sedia.

“Tu lo sapevi?” Chiesi, dopo aver richiuso la porta, con tono accusatorio.

“Sei stato tu a convincere mio padre a mandarmi negli Stati Uniti?” continuai.

Lo vidi oltrepassare la scrivania ed avvicinarsi a me.

“Pensaci bene, è la soluzione migliore” disse, poggiando le mani sulle mie braccia.

“Potremmo ricominciare insieme in un posto nuovo, conoscere persone alla tua altezza e concentrarci sul tuo futuro!” mi spiegò con tono tranquillo ed io sentii un senso di rabbia invadermi il petto.

Mi scrollai di dosso le sue mani, allontanandomi il più possibile da lui e respirando a fondo per evitare di iniziare ad urlare.

“Con che diritto pensi di poter decidere al posto mio cosa fare, dove andare o chi frequentare?” chiesi allibita.

“Sono il tuo fidanzato, è mio dovere fare ciò che sia meglio per te.” mi rispose con fare autoritario ed io emisi una smorfia, aprendo le braccia con fare sconvolto.

“Tu pensi solo a te stesso!” gli sputai addosso, puntandogli un indice contro.

“Pensate di poter controllare e modellare la mia vita come meglio credete, dimenticandovi di chiedere se quello che decidete va bene a me!” sbottai, ormai decisamente fuori di me.

“Non penso che tu sia in grado di decidere da sola cosa sia meglio per te, dato le persone che frequenti e quello che fai!” mi accusò con tono duro.

“Già” mormorai, scuotendo la testa.

“Che pessima idea frequentare uno come te!” conclusi amareggiata, prima di voltare le spalle per andare via.

“Dimenticavo” dissi, voltandomi verso di lui, con la mano sulla maglia.

“Informa tu mio padre che tra me e te è finita!” dissi con disprezzo, prima di andare via da quell’ufficio.
  
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