Anime & Manga > TSUBASA RESERVoir CHRoNiCLE / xxxHOLiC
Ricorda la storia  |      
Autore: Padme    10/09/2009    8 recensioni
Un siparietto che ormai era solito ripetersi spesso: Watanuki pigramente seduto in un angolo dell’ingresso e Doumeki qualche passo alle sue spalle, sempre intento a notare nell’altro una stravaganza in più rispetto all’ultima occasione in cui era rimasto fermo a scrutarlo.
Era ipnotico.
Ipnotica, la sua sagoma morbida, rilassata in un riposo scomposto che ne faceva assomigliare i contorni ai percorsi labirintici tracciati dagli sbuffi di fumo, gli stessi che le ruotavano disordinatamente attorno. Ipnotico, quel volto maschile e familiare e bello, incorniciato da stoffe seducenti, assai più ammiccanti di quanto il suo carattere mite gli avesse mai permesso, in precedenza, d’apparire.

[DouWata]
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kimihiro Watanuki, Shizuka Dômeki
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
NOTE
Brevissimo esperimento DouWata ispiratomi dalla piega tragica assunta dalle vicende di HoLiC, nel corso degli ultimi capitoli.
Importante!: sebbene priva di riferimenti particolarmente espliciti all’accaduto, la storia prende spunto dagli eventi del capitolo 185, che sarebbe preferibile aver letto per meglio comprendere quanto segue.
 
 
 
 
 
---
 
 
 
 
 
Erano gli sbuffi di fumo, a dargli noia.
Pallidi, irregolari, soffiati da una bocca che conosceva e che sembrava ormai disinteressarsi di qualunque cosa non fosse il dar loro vita.
Spettrali, perfino. S’intrecciavano e si scioglievano, in una danza inquietante quasi quanto la figura bianca, surreale, che amava trascorrere ore ad osservarli: il ragazzo senza tempo, eternamente seduto sulla veranda in legno di quella casa per immortali,  un kimono da donna sulle spalle ed una pipa dalla forma bizzarra sempre fra le mani, come se in tutta la sua vita non se ne fosse mai separato.
 
Non era così, ovviamente.
Non lo era ed avrebbe potuto confermarlo chiunque, chiunque avesse conosciuto quella sagoma minuta e scolorita prima che divenisse tale.
Chiunque.
 
E dunque non capiva, Doumeki, come proprio quelle persone potessero sfoggiare tanta calma.
Comportarsi come se ci fosse ancora tempo. Come se bastasse attendere.
Pazientare.
Pregare, forse. Pregare, pregare lui o pregare il fato, affinché il grottesco carnevale di follie avesse fine.
Ma non era sufficiente, non lo era affatto.
Non serviva a nulla restare al fianco di quel ragazzo, sorridendogli, fingendo che nulla fosse cambiato, pretendendo che andasse bene anche così.
Che l’avrebbero amato comunque, qualsiasi decisione avesse preso.
Non serviva, perché non andava affatto bene, in quel modo. E l’amore era irrilevante.
Sarebbe valso soltanto a viziarlo, viziarlo ancora, un ragazzino immaturo incapace di comprendere fino a che punto potesse spingersi, fino a che punto potesse permettersi d’ignorare i sentimenti ed i desideri altrui, calpestandoli spietatamente con quell’aria ingenua che pareva lasciar intendere come, no, non si rendesse nemmeno conto di ciò che stava facendo.
Di come continuasse ad allontanare da sé l’ira, nonostante tutto, impossibile prendersela con chi ti ferisce in modo così dolce.
 
Eppure, Doumeki era furioso.
Quasi non riusciva più a vederci dalla rabbia.
 
Ironico, che fosse stato proprio il primo, forse l’unico a cedere,  da sempre tanto più composto di coloro che lo circondavano; erano quest’ultimi, adesso, a rivolgergli sguardi fastidiosamente comprensivi, pacati, come se fossero in grado di capire perfettamente ciò che provava.
Di sentire lo stesso, addirittura. Lo stesso peso, indicibile, di amarezza e delusione, d’insopportabile incertezza, l’agghiacciante sospetto che ciò che aveva sempre considerato prezioso non avesse mai avuto senso, scopo, anche soltanto una forma.
Tristezza, così tanta.
Tanta.
 
Era triste.
 
Quasi fosse lui, in realtà, il bambino viziato.
Il bambino che, pur non sapendo nemmeno come fare ad urlare il proprio dolore, non aveva altro obiettivo che indurre l’altro a gridare.
Gridare, gridare qualsiasi cosa, purché lo facesse. Perché provocato, irritato, sofferente: qualunque scusa sarebbe andata bene, e lui provava ad offrirgliele tutte.
Fino a che non avesse urlato qualcosa.
Un sentimento, uno soltanto.
Ne sarebbe bastato uno.
Uno, per infrangere quella facciata di noncuranza, d’indifferenza al mondo, di chiusura impersonale ad ogni emozione.
 
Lo guardava.
 
L’aveva sempre guardato, ma adesso lo faceva più spesso, più a lungo.
Si ubriacava di quegli occhi innaturalmente quieti, perennemente rivolti altrove, quegli occhi in cui non riusciva da tempo a riconoscere i propri.
La sfumatura dorata li velava ancora, certo.
 
 
 
-Fumare ti uccide, lo sai?- gli aveva domandato, una volta.
 
 
Un siparietto che ormai era solito ripetersi spesso: Watanuki pigramente seduto in un angolo dell’ingresso e Doumeki qualche passo alle sue spalle, sempre intento a notare nell’altro un’eccentricità in più rispetto all’ultima occasione in cui era rimasto fermo a scrutarlo, anche per ore, cercando di cogliere un’unica scintilla che gli permettesse di scuoterne l’incantata, straniante apatia.
Era ipnotico.
Ipnotica, la sua sagoma morbida, rilassata in un riposo scomposto che ne faceva assomigliare i contorni ai percorsi labirintici tracciati dagli sbuffi di fumo, gli stessi che le ruotavano disordinatamente attorno. Ipnotico, quel volto maschile e familiare e bello, incorniciato da stoffe seducenti, assai più ammiccanti di quanto il suo carattere mite gli avesse mai permesso di apparire.
Ipnotico, non si stancava di osservarlo.
 
 
 
-E quello è un kimono da donna.- aveva aggiunto, nel tono saccente che era certo gli suonasse intollerabile.
 
 
 
Tutto, di sé, aveva sempre vantato quel suono sgradevole, alle orecchie dell’altro.
Questo lo sapeva bene, tanto non ritenere sbagliato sfruttare la cosa a proprio vantaggio.
Divertente, trovare un aspetto positivo in una consapevolezza così aspra.
 
E, beh, si sarebbe aspettato di tutto, in risposta.
Di tutto, dalla sarcastica considerazione che uno come lui, abituato a vestirsi da bambina quando era piccolo, non avrebbe proprio dovuto permettersi osservazioni simili… alla constatazione che, no, il suo tempo congelato non gli avrebbe ancora concesso di morire.
 
 
 
-Strano sentirlo dire da uno con lo stesso volto di Haruka-san.- l’unica risposta, distratta, le dita del ragazzo che abbandonavano la pipa soltanto per meglio stringersi addosso l’abito accusato.
 
 
 
Distratto, distratto.
Non lo vedeva nemmeno.
 
Non l’aveva neanche insultato, probabilmente non ne aveva neppure intuito l’intento provocatorio. Nemmeno l’avrebbe riconosciuto, forse, se non fosse stato così simile all’uomo del sogno, unica realtà a cui Watanuki sembrasse attribuire ancora uno spessore.
Era lui, ai suoi occhi, l’ombra.
L’ombra di un sogno, un’ombra priva di significato per qualcuno divenuto incapace di sentire.
Sentire.
 
Pur di fare in modo che ne tornasse in grado, Doumeki aveva provato l’impulso di picchiarlo.
Gettare lontano quell’inquietante accessorio che non gli si addiceva affatto, strappargli di dosso quel kimono impossibile.
Costringerlo a guardarlo.
A guardare, di nuovo, qualcosa che non fosse l’oscuro mondo di ricordi che gli si rifletteva negli occhi.
Guardarlo.
Che lo guardasse.
 
 
Era stato quel desiderio a spingerlo a baciarlo.
 
 
Inginocchiatosi accanto a lui, una mano che sottraeva bruscamente alla sua presa la pipa, lanciandola a terra con la stessa indifferenza da lui ostentata nei suoi confronti, l’altra che gli sollevava il mento quanto bastava per poterne catturare le labbra con le proprie.
Senza dire una parola. E senza riguardo.
Non gl’interessava essere gentile, né si riteneva in dovere di gustarne la bocca con delicatezza, di accarezzarne e non divorarne la lingua.
Non gliene importava nulla, nulla delle dita che il ragazzo era solito serrare attorno all’abito velenoso che indossava, adesso bloccate dalla stretta con cui gli aveva afferrato il polso.
Non era un gesto d’amore, quello. Più, forse, un’accusa per non avergli consentito di renderlo tale.
 
Non avergli consentito di baciarlo come avrebbe voluto, facendogli capire di vedere in lui la cosa più importante del mondo.
Averlo costretto a rendere quel bacio una sfida, una provocazione, perfino un’offesa.
Un ultimo tentativo, un’ultima scommessa volta a spezzare quello sguardo vacuo, tornare ad illuminarlo dei guizzi dorati che, si, gli piaceva veder brillare in esso.
Risvegliare un barlume di colore, in quell’anima di cera.
 
Fu ciò che cercò, il colore, quando ruppe il bacio e tornò a guardarlo, la distanza fra il proprio volto ed il suo limitata ad un soffio.
Un velo rosato, impercettibile per chiunque non gli si fosse trovato così vicino. Un broncio infantile, ben più lieve di quello che, in passato, avrebbe assunto per molto meno.
C’era, però. Qualcosa di differente dal vuoto e dal freddo.
Gli venne quasi da ridere, amaramente.
Così triste.
E sarcastico. E crudele. Doversi rallegrare per aver scatenato in lui una reazione del genere.
 
Ma andava bene.
Andava bene, sul serio.
Non era per se stesso che doveva preoccuparsi, al momento. E, se anche la soluzione fosse stata quella di continuare ad infettarlo di rancore, ne avrebbe accettato le conseguenze, se fosse servito a riportarlo alla vita.
 
Lo baciò una seconda volta, più dolcemente.
Lo avrebbe fatto ancora, poi di nuovo, a costo di dimenticare la vera ragione per cui l’aveva sempre desiderato. Desiderato, sempre.
 
 
Quel kimono, gliel’avrebbe strappato via davvero.

 
   
 
Leggi le 8 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > TSUBASA RESERVoir CHRoNiCLE / xxxHOLiC / Vai alla pagina dell'autore: Padme