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Autore: Fiore di Giada    13/12/2022    0 recensioni
E' una versione ampliata, riveduta e corretta del racconto dal medesimo titolo, che ho scritto nel 2004 contro l'omofobia.
Dio che pretese...
Soledad lo abbracciò con più forza e lo aiutò a posare la testa sul suo petto. Comprendeva l’origine della tristezza di Francesco in quel giorno.
Quanto aveva sofferto in quei lunghi anni?
No, non poteva dirgli parole di retorica consolazione.
Francesco, nonostante l’amarezza, aveva lottato e si era costruito una vita con le sue azioni.
E lei, in quel momento, poteva solo offrirgli il suo tocco e ricordargli che non sarebbe stato mai più solo.
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai
Note: Soulmate!AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Con un sospiro, Francesco si lasciò cadere sul divano. 

Sotto il suo peso, emise un debole cigolio metallico. 

Per alcuni istanti, rimase immobile, le mani strette attorno all’album e lo sguardo fisso davanti a sé. Quel giorno, il trenta luglio, ricordava un evento doloroso della sua giovinezza. 

Chiuse gli occhi e le lacrime bagnarono il suo viso spigoloso. Carlos Daniel Navarro Herrera, suo amico boliviano, era morto in un terribile incidente stradale. 

Un automobilista ubriaco l’aveva investito, mentre, a passo rapido, si avviava verso la Basilica di San Nicola. 

Con un gesto nervoso, aprì l’album. No, non voleva ricordare lo stato pietoso di Carlos, pochi istanti dopo l’investitura. 

Abbassò la testa e il suo sguardo si posò su una foto che ritraeva un giovane di statura piuttosto alta e di corporatura snella.  

Il suo viso, dai lineamenti marcati e dalla pelle olivastra, era circondato da folti e lisci capelli neri e i suoi sottili occhi fissavano decisi l’obiettivo. 

Indossava una maglia bianca e jeans blu, strappati sulle ginocchia, e al collo portava una collana d’oro, terminante in un pendente a forma di Capricorno, incrostato di brillanti. 

Il suo braccio destro stringeva in un abbraccio affettuoso un altro giovane, poco più alto di lui, ma più robusto. 

I capelli rossi, lunghi e lisci, erano raccolti in una coda e gli occhi, grigi, risaltavano sul suo volto. 

Vestiva una t- shirt bianca a bande nere orizzontali e pantaloni neri, che mettevano in risalto le gambe, lunghe e diritte. 

Le labbra di Franscesco si sollevarono in un sorriso amaro. 

Siete bellissimi... — mormorò. Carlos e Matteo si erano conosciuti in vacanza, in Sicilia, e il loro legame si era trasformato in un amore profondo. 

Era meraviglioso vedere gli sguardi che si scambiavano. 

Sospirò. Il provincialismo di una pur grande città del sud Italia li aveva condannati. 

I bigotti e gli intolleranti gli avevano condannati ad un inferno di insulti, minacce e sguardi sprezzanti. 

E tra costoro c’erano anche alcuni amici! 

Strinse i pugni e un ruggito si liberò sulle sue labbra. Con decisione, avevano affrontato le difficoltà, familiari e sociali, e non si erano curati dell’opposizione dei loro familiari. 

Ma il loro coraggio, per quanto encomiabile, sarebbe stato vano. 

 

Con un grido, si piegò su se stesso e i suoi capelli castani volteggiarono attorno al suo volto. 

Rimase immobile, il corpo scosso dai singhiozzi. Carlos, che pure non rinnegava le sue origini latinoamericane, era innamorato dell’arte romanica. 

Matteo, che studiava lettere antiche, era entusiasta di fargli conoscere la storia delle bellezze del capoluogo pugliese. 

Il 29 luglio 2004, però, Carlos aveva deciso di andarci da solo. 

Matteo era impegnato in un esame e non voleva disturbare. 

Quell’auto, maledetta, lo aveva investito e il suo corpo era stato sbalzato a diversi metri di distanza. 

Un infame ubriaco l’aveva travolto e si era allontanato. 

Dei violenti conati di vomito colpirono il suo corpo imponente, come i montanti di un pugile spietato. Carlos, in quel momento, era una martoriata maschera di sangue. 

Solo un esile, impercettibile respiro sollevava il suo petto sofferente. 

Esistono persone civili..., pensò. A lui, che aveva assistito a quella disgrazia, tremavano le mani, ma una testimone non aveva esitato a chiamare i soccorsi. 

Tuttavia, non c’era stato nulla da fare.  

Dopo poche, strazianti ore d’agonia, Carlos si era spento. 

 

Perdonami, Theo..., si disse. Quell’incidente, per alcuni giorni, lo aveva reso un automa. 

Spesso, si svegliava urlando e piangeva, dilaniato dal senso di colpa. 

Nel sonno, vedeva il volto di Carlos, dilaniato dalla sofferenza, presto coperto dal sangue. 

Solo la casa, in quel momento, gli pareva una fortezza  

Non era riuscito a parlare con Matteo, che aveva saputo la verità pochi giorni dopo. 

Si era rivelato un vile e aveva tradito un’amicizia fraterna. 

No, non meritava nessun perdono. 

 

Con un secco cigolio, la porta si aprì ed entrò una giovane donna piuttosto giunonica, dai lunghi e riccioluti capelli neri. 

Francesco, cosa ti succede? Voglio saperlo. — chiese lei, preoccupata, in un italiano perfetto, seppur macchiato da un lieve accento colombiano. 

Lui, per alcuni istanti, fissò su di lei uno sguardo assente. 

Soledad, vieni... Siediti qui. — le chiese lui. Forse, aveva bisogno di rivelare a qualcuno la ragione della sua pena in quel momento. 

Non aveva mai condiviso la sua vergogna con nessuno, nemmeno con Soledad. 

Ma, in quel momento, il desiderio di chiarezza premeva nel suo cuore. 

 

Perplessa, la giovane si sedette e gli appoggiò una mano sulla sua. 

Vedi questi due ragazzi? Erano miei amici. Si amavano. Matteo Lorusso e Carlos Navarro. E il loro amore li ha condannati. — 

Soledad sospirò, amareggiata. Francesco Rizzo, nonostante l’apparenza minacciosa, aveva rivelato un cuore nobile e l’aveva conquistata. 

Vedeva nei suoi occhi castani la rabbia contro il male dell’omofobia. 

Che cosa è successo? — domandò lei. La disperazione del suo amato raccontava una storia di sangue e ingiustizia. 

Fece per parlare, ma serrò le labbra e gli sfiorò i capelli con la mano. 

Io e Theo ci siamo conosciuti all’Università... Io sono palermitano, ma, per emanciparmi dai miei genitori, ho deciso di venire a studiare in Puglia. — 

Si interruppe e, per alcuni istanti, godette del tocco di lei. Quanto era meravigliosa la sua fidanzata... 

Pur essendo vivace ed estroversa, con pochi, misurati gesti ascoltava e leniva la sofferenza dell’interlocutore. 

Carlos e Matteo si sono conosciuti in Sicilia... E’ nato lì il loro amore, durante una splendida vacanza... Non dimenticherò mai le stupidaggini che abbiamo fatto... — continuò. 

Abbandonò le braccia in grembo e chinò la testa. Il dolore, in quel momento, straziava il suo animo. 

Ma non poteva più tacere. 

 

 

 

Guarda che non sei obbligato a parlare. — mormorò Soledad. Quei ricordi erano angosciosi e non le piaceva la sofferenza dipinta sul viso, di solito allegro, di Francesco. 

Lui, grato, le sorrise, gli occhi colmi di lacrime. Tanta delicatezza era encomiabile e lo rassicurava. 

Ma io voglio parlare. Devi sapere che, due anni fa, c’è stato un terribile incidente stradale. Un ubriaco alla guida ha investito Carlos... E io l’ho visto... Era una maschera di sangue... — continuò. 

Sbarrò gli occhi e, per alcuni istanti, fissò un punto indefinito davanti a sé.  

La colombiana non rispose e gli accarezzò le mani e gli avambracci. Comprendeva l’angoscia del suo amato. 

Ricordava la morte di un amico fraterno, a cui aveva assistito. 

Ne era sicura, però, il racconto non era concluso. 

Cinque giorni... Ero diventato un automa. Mi svegliavo urlando e piangevo. Avrei dovuto avvertire Matteo, ma non ci sono riuscito... E lui non ha potuto, per colpa mia, dare l’ultimo saluto all’amore della sua vita... Ho pensato solo a me stesso e al mio dolore, senza preoccuparmi di altro... — confessò. 

Tacque ancora e inspirò profondamente, cercando di placare il tumulto delle sue emozioni.  

Soledad scosse la testa e riprese ad accarezzare le mani dell’amato. Comprende il suo dolore, ma il suo senso di colpa è ingiusto. 

Si colpevolizzava di avere reagito come un essere umano. 

Tutti si sono mostrati ipocriti... Nessuno gli ha detto niente. Matteo ha saputo ogni cosa dai telegiornali, ma avrei dovuto dirglielo io... Si è sentito tradito, ne sono sicuro... E io... Io sono anche colpevole del suo suicidio... Io, con il mio egoismo, l’ho spinto sulle rocce del lungomare... L’ho tradito, Soledad, e non mi perdonerò mai di questo... — concluse. 

Le ultime parole si spensero in un singhiozzo soffocato e il giovane riprese a piangere. 

Soledad lo abbracciò con più forza e lo aiutò a posare la testa sul suo petto. Comprendeva l’origine della tristezza di Francesco in quel giorno. 

Quanto aveva sofferto in quei lunghi anni? 

No, non poteva dirgli parole di retorica consolazione. 

Francesco, nonostante l’amarezza, aveva lottato e si era costruito una vita con le sue azioni. 

E lei, in quel momento, poteva solo offrirgli il suo tocco e ricordargli che non sarebbe stato mai più solo. 



   
 
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