Storie originali > Introspettivo
Ricorda la storia  |      
Autore: settembre17    13/12/2022    10 recensioni
Un uomo in un Caffè, qualche giorno prima di Natale.
Non succede niente, è solo atmosfera, suggestione.
Il cappuccino, comunque, è orribile.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Guardava la gente, quel pomeriggio.
Il cellulare tra le mani, un cappuccino nella tazza. Un cappuccino disgustoso, troppo latte, latte che addirittura fuoriesce dal bordo in un rigagnolo marroncino che raggiunge il piattino. E per fortuna che quel Caffè è considerato un’eccellenza.
Ormai si dice “un’eccellenza” per qualsiasi cosa, riflette sarcastico.
Scorre il dito sullo schermo del telefono con indolenza, un gesto come un altro, un gesto che non significa niente.
Affila lo sguardo su una coppia seduta poco lontano: due ragazzini con il pomeriggio libero dai compiti. Lei troppo svestita, lui troppo su di giri. L’ebbrezza di avere una ragazza adorante davanti agli occhi, l’onnipotenza che si prova quando sai che quella davanti a te è carne che ti è permesso toccare. Bevono il caffè e pagano in fretta, mentre escono lei ride, - troppo, troppo forzato quel sorriso, troppo rossetto, troppo-, lui infila le monete in tasca e poi la raggiunge e le mette la mano sul sedere mentre si allontanano. Lei pare orgogliosa.
Lui li guarda chiedendosi se dureranno fino a Capodanno.
Chi dei due soffrirà. Forse entrambi, forse nessuno dei due.
Gira con indolenza il cucchiaino in quel miscuglio orrendo di latte, troppo latte, e di caffè e medita di chiamare il cameriere e chiedere solo un espresso.
Lo colpisce la gentilezza di quel cameriere, il sorriso che rivolge a tutti, la velocità con cui si muove dal bancone ai tavoli seguita da un rallentamento repentino quando con cura serve i clienti. Ma poi lo vede mentre in una pausa si sistema i capelli e guarda, con apprensione, il telefono. Aggrotta la fronte e legge qualcosa, un messaggio?, che evidentemente non gli piace e che gli fa battere nervosamente un piede a terra. Impazienza e preoccupazione, in quello sguardo, forse anche rabbia?
Se lo sta ancora chiedendo quando vede che vicino al cameriere è comparso l’ennesimo vassoio: quello allora infila il telefono nel grembiule, respira a fondo, lo si capisce da come ha mosso le spalle, e poi si volta, sorridente, verso la sala, pronto a un’altra piroetta a un altro: “Signori, ecco il vostro caffè!”.
Guarda distrattamente verso la porta e intanto fa roteare il telefono nella mano, avrebbe dovuto portarsi un libro, riflette, ma ormai non l’ha fatto e così legge le persone.
C’è un tale brusio. Tutti parlano. Si concentra sulle parole del tavolo vicino:
“Abbiamo preso tutto?” la voce stanca e vagamente annoiata di un uomo in sovrappeso, sulla quarantina, con un’orribile sciarpa al collo che fa pensare a un cappio.
“Manca ancora Giulia. Che cosa le prendiamo?”, lei chiede ma con il tono di chi sa che da quell’uomo non arriverà nessuna risposta utile.
“Una sciarpa? Un profumo?” dice lui giusto per farsi vedere collaborativo.
“Che fantasia” sbuffa lei.
“E allora suggerisci qualcosa tu. Le mie idee non vanno mai bene” dice lui chiudendo con una risatina forzata per smorzare l’insofferenza.
“Eh, come al solito ci penserò io”, lei nasconde la faccia nella tazza di tè.
Silenzio.
“Vado a pagare, amore”, dice lui con l’inflessione di chi quella frase la dice ormai in automatico.
Si avvia verso il bancone.
Lei lo richiama: “Amore, prendi le caramelle”.
Quando quei due escono, lui si gratta sul collo, come se avesse anche lui quella sciarpa lì, a strozzarlo, e pensa a quella parola, l’unica che gli interessi, da sempre. Amore. Ma non è quello l’amore che gli interessa.
Ma forse la sua è supponenza, il bisogno stupido di giudicare le vite degli altri da un paio di battute sentite in un bar.
Prende il telefono con più determinazione e cerca una fotografia. La guarda e accarezza inconsapevolmente lo schermo con il pollice.
Questo cappuccino finisce dritto nel lavandino, pensa.
Che poi, cosa gli è venuto in mente di prendere un cappuccino, a lui nemmeno piace il cappuccino. E a quell’ora del pomeriggio. Allunga le gambe sotto al tavolo e incrocia le caviglie.
Guarda un bambino, quanti anni avrà? forse dieci?, seduto al tavolo con una bella signora fresca di parrucchiere, la nonna?, il bambino non ha la giacca ma ha tenuto la cuffia sulla testa, una ciocca gli esce davanti sulla fronte che è chinata verso la cioccolata calda nel piccolo bicchiere. È concentratissimo perché sta contando quante cucchiaiate gli ci vorranno per finirla: l’ha appena detto alla nonna che lui non la beve dal bicchiere, lui la beve con il cucchiaino. La nonna ha riso e non ha fatto una piega. Se lo guarda tutta contenta quel nipotino concentrato nella sua impresa, solo ogni tanto gli sussurra “Non sporcarti”, ma se anche si sporcasse, lui ne è certo, quella nonna farebbe un sorriso e direbbe “Non fa niente”.
Lui sorride e fa vagare lo sguardo, appannandolo volutamente un po’, come per sfocare tutto e sentire solo l’atmosfera che lo circonda.
L’atmosfera dei preparativi, della fretta, delle mezze giornate di ferie prese per andare a fare i regali, l’atmosfera satura di calore che appanna i bordi delle vetrine e che si spezza ogni volta che la porta si apre con un cigolio prolungato e fa entrare l’aria gelida di dicembre, l’atmosfera di una scadenza che incombe per tutti.
Anche per quei due vicino alla porta che si parlano fitto fitto da minuti e che non si accorgono di niente intorno a loro. Sono seduti con ancora i cappotti addosso, ma un poco slacciati. Parlano, gesticolano, ridono. A volte sgranano gli occhi per lo stupore, altre volte scuotono la testa increduli e vanno avanti così, tra un sorso e l’altro; i telefoni sul tavolo ogni tanto si illuminano ma loro non ci fanno caso, troppo impegnati a guardarsi e a raccontarsi cose. All’improvviso uno di due guarda l’ora sul quadrante dell’orologio rotondo sul muro e fa una faccia delusa. Batte il dito sul polso come a dire “Devo andare” e incomincia ad abbottonarsi il cappotto. Si alzano entrambi, più silenziosi, lasciano una banconota sul tavolo ed escono.
Lui nota che dalla tasca di un cappotto esce un nastro rosso, sicuramente slacciato da un pacchetto. Uno scambio di piccoli regali.
Li segue con lo sguardo e vede che si avviano verso macchine diverse, ma, ecco, ritornano vicini, e si abbracciano. E poi se ne vanno.
Ora mi alzo e vado anche io, sì vado, vengo da te, pensa. E sente uno strano rimescolio dentro, passa le dita sul telefono distrattamente e si ferma a godere di quel momento di languore.
Bisognerà che lo beva questo intruglio, almeno un sorso, decide.
Gira il cucchiaino con una certa convinzione, prende la tazza tra le mani sotto gli occhi del cameriere che, passando, gli ha lanciato uno sguardo interrogativo e, nel farlo, vede il suo volto riflesso nel vetro del tavolino.
Si guarda.
E tu, chi sei?
In mezzo a tutta questa gente, chi sei, tu?
Che cosa vedono gli altri, quando vedono te?
   
 
Leggi le 10 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: settembre17