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Autore: valeballetto1990    11/09/2009    1 recensioni
Aveva stentato per tutta la mattina ad uscire dalle nuvole, ma poi, con gran sollievo di tutti – e in particolare degli sposi – il cielo si aprì ed uscì in tutto il suo splendore. Se credessi nel destino, direi che simboleggiava l’atto conclusivo – se così vogliamo definirlo – dell’ultima estate spensierata della mia vita...
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Ron/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Aveva stentato per tutta la mattina ad uscire dalle nuvole, ma poi, con gran sollievo di tutti – e in particolare degli sposi – il cielo si aprì ed uscì in tutto il suo splendore. Se credessi nel destino, direi che simboleggiava l’atto conclusivo – se così vogliamo definirlo – dell’ultima estate spensierata della mia vita.
È pur vero che sposa bagnata / sposa fortunata, ma non credo che Fleur sarebbe stata entusiasta di testare l’efficacia del pronostico sul broccato del suo abito. Non che fosse un abito particolarmente prezioso, il suo valore era piuttosto intrinseco. Sapete, non c’era stato tempo per confezionarne uno nuovo: Fleur voleva sposarsi prima che Bill cambiasse idea “per il suo bene”, o per altre simili sciocchezze che aveva accennato qualche giorno dopo esser stato dimesso dal San Mungo.
Così Molly le aveva adattato il suo vecchio abito, quello indossato da lei più di 25 anni prima. L’aveva tirato fuori da un cassettone polveroso della soffitta, fra gli starnuti di tutte le presenti e gli ululati del Ghoul di casa. E le era scesa qualche lacrima, quando Fleur l’aveva abbracciata, dicendole quanto per lei fosse prezioso quel dono.
Ma torniamo al lieto giorno. Fu, dunque, con il sole che Arthur accompagnò la futura nuora all’altare. Esatto, Arthur, perché la famiglia di Fleur non poté raggiungerla: si era in stato di belligeranza, e non era opportuno intraprendere viaggi verso l’Inghilterra.
Ma non fu a causa della guerra che si decise di non festeggiare in pompa magna. La bianca tomba era ancora troppo vivida nei nostri ricordi, il cuore ancora troppo gonfio. Beninteso, ciò non ci impedì di essere felici, perché, come esclamò la McGrannitt con gli occhi umidi, « Nulla avrebbe fatto più piacere ad Albus che vedere tutto questo! ».
La cerimonia, dunque, e tutto il resto dei festeggiamenti, vennero organizzati nel giardino della Tana. I ragazzi sistemarono un grande gazebo, sufficiente appena a contenere tutti i Weasley e i pochi invitati. Pochi, sì, perché c’era poca gente di cui potersi fidare. Così, eccettuati i membri dell’Ordine della Fenice, non c’erano molte altre persone con cui poter condividere la gioia del momento.
« Pochi ma buoni! » ringhiò Moody, e nessuno osò smentirlo.
Siamo arrivati al lancio del bouquet. Devo forse aggiungere che lo acchiappò Tonks? Dalle vostre facce intuisco che non era necessario. Comunque, è certamente d’obbligo aprire una parentesi sull’espressione di Remus nel momento in cui lei glielo mostrò, gongolante come una bambina. Era a dir poco buffo: non si capiva cosa pensasse. Alzò gli occhi al cielo, come se fosse esasperato dall’ostinazione di Tonks. Ma forse anche un po’ divertito, perché uno strano sorriso gli si dipinse sul volto… era forse felice? Sì, credo di aver letto una felice rassegnazione in lui. Ma questa è un’altra storia.
Dove eravamo rimasti? Ah, sì: il dopo-bouquet.
Ovviamente, Molly aveva preparato leccornie per un reggimento. E devo dire che, ancora oggi, quel banchetto viene ricordato negli annali come uno dei più memorabili. E i gemelli, manco a dirlo, aspettarono la sera ma poi diedero anch’essi il meglio di loro. Che avete capito? No, non fecero i loro soliti scherzi o cose simili. Avete presente i fuochi d’artificio che fecero impazzire la Umbridge al quinto anno? Bene, non posso dire che fossero più numerosi o fragorosi, perché – l’ho già spiegato – i tempi non ce lo permisero. Ma la quantità di esclamazioni che fecero diventare rauca Ginny per il resto della settimana, sì, quello è un buon metro di giudizio.
Ma tutto questo avvenne più tardi, quando ormai il sole era tramontato. Non anticipiamo i tempi.
Quella fu la prima volta che vidi ballare Arthur, e devo dire che rimasi sconvolta. No, non perché fosse un ballerino disastroso, ma proprio per il motivo contrario. E posso assicurare che era proprio così, perché lo testai di persona: dopo un doveroso giro di valzer con tutte e tre le donne della famiglia, toccò pure a me. Lo sapete, non sono una ballerina abile – anche se la mia bella figura la feci al Ballo del Ceppo –, ma con un tale maestro, devo ammettere che mi divertii un mondo.
Fu allora che mi venne quel pensiero, dolorosamente bello e triste al contempo. Ci sarebbe mai stata una festa così per me? Oh, avanti, non fate quelle facce, avete capito cosa intendo.
Può sembrare patetico, lo so, ma a quasi 18 anni, con una guerra incombente, voi non ci avreste forse pensato? Insomma – e qui mi rivolgo alle fanciulle – chi di voi non ha mai sognato l’abito bianco? Ballando con Arthur, per la prima volta, capii che forse per me non ci sarebbe stato nessun abito bianco.
Fu istintivo. Mi girai, tra un volteggio e l’altro, e lo guardai. Era in piedi, vicino al buffet, in mano aveva un bicchiere di succo di zucca. Stava chiacchierando con Charlie, pareva preso da una discussione sul Quidditch, ed io non potei fare a meno di sorridere, perché ciò che mi prendeva quando lo vedevo così era una tenerezza sconfinata.
Credo che quell’immagine mi rimarrà per sempre impressa, perché fu accompagnata da una fitta allo sterno, un’ansia dolorosa che non avevo mai provato. Ma che, purtroppo, mi avrebbe accompagnata spesso nel futuro.
La gelosia per Lavanda non mi aveva causato nemmeno la metà di quel dolore, e solo in quel momento mi resi conto della portata dei miei sentimenti per lui. Lo amavo, su questo non nutrivo alcun dubbio oramai, ma l’avevo realizzato solo due mesi prima ed è difficile accettarlo tranquillamente dopo anni di negazione. Ma ora, ora una frase mi riecheggiava dentro, forte e chiara, solo una frase: non voglio perderlo.
I pensieri, come sapete, le sensazioni, sono questioni di secondi… ma come è difficile descriverli! Così, tutto questo avvenne in un soffio, ma Arthur dovette accorgersene, perché mi chiese se ero stanca e se non volessi sedermi. Io uscii per un momento dal mio trance, lo ringraziai e gli dissi che, sì, in effetti ero proprio stanca ed era meglio se mi sedevo. E ripiombai nuovamente nelle mie elucubrazioni.
Una persona di mia conoscenza, a questo punto, direbbe che penso troppo ed agisco poco. Al che io, come al solito, le risponderei che lei invece ha la cattiva abitudine di agire senza pensare. Una cosa che – detto tra di noi – avrei dovuto fare più spesso anch’io.
Quando mi sedetti, dall’altra parte del gazebo, non realizzai subito che l’avevo fatto per poterlo osservare da lontano, indisturbata. Mi sentivo confusa e angosciata, e volevo solo un momento di tranquillità e solitudine. Dunque, pensai che fosse per questo che mi irritai, quando Ginny si sedette accanto a me. Comunque, devo dire che si fece subito perdonare, porgendomi un dolce.
« È al cioccolato. » commentai, stupidamente.
« Lo so, me l’ha dato Remus. – replicò lei trattenendo una risata – Mi sembrava l’ideale per te in questo momento. »
Lo disse guardando al buffet, in direzione di Ron, ed io la guardai a mia volta, sconcertata.
« È così evidente? » le chiesi, con una nota di panico nella voce.
« No, – mentì – ma lo sai che non mi ci vuole molto ad indovinare ciò che ti passa per la zucca. »
Le lanciai un’occhiataccia, ma non potei fare a meno di ringraziarla. Ora lo so: se non ci fosse stata Ginny, in tutti quegli anni, sarei certo impazzita.
Rimasi per un po’ in silenzio, finché non trovai il coraggio di esprimere a parole ciò che provavo. E allora un fiume mi sgorgò dalla gola, inarrestabile. Lei restò zitta per tutto il tempo, ascoltando attentamente, finché non terminai il mio patetico monologo. Non replicò subito, e allora rimasi in attesa, guardando alternativamente il cioccolato e le mie scarpe.
« Io penso – esordì dopo un attimo di riflessione – che se continui a perderti in queste stupidaggini non troverai mai ciò che cerchi. »
Rimasi senza parole. E potete immaginare come possa essere sconvolgente per una come me.
Ginny non aspettò che ribattessi, forse perché aveva capito meglio di me che non c’era niente da ribattere. Si alzò, lasciandomi là come una statua di sale, e si diresse verso un gruppetto lì vicino, scosso dalle risate di fronte alle metamorfosi di Tonks.
Dopo un tempo indeterminato passato a fissare il vuoto, mi alzai di scatto, poggiai il cioccolato sbocconcellato sul tavolo e mi diressi in casa. Ancora oggi non so perché, forse per cercare sfuggire alla sensazione di soffocamento che mi davano le parole di Ginny. Inutile dire che non vi riuscii.
Rimasi in cucina per un po’, piangendo tutte le mie lacrime e sentendomi più patetica che mai. Quando arrivò Harry, per avvertirmi che stavano per tagliare la torta, mi resi conto dal suo sguardo che dovevo sembrare proprio in condizioni penose.
Quello fu il punto di non ritorno.
« Harry… » dissi, ma non seppi come proseguire.
Cosa c’era da dire? Anche lui aveva intuito perfettamente il mio stato.
« Sai, forse un amico dovrebbe consolarti ora, ma… non credo che sarei un buon amico se lo facessi. » mi disse.
Mi trovai a chiedermi da dove avessero preso tutta quella saggezza, quei due.
« Vuoi che lo chiami? » aggiunse.
« No. – dissi, rassettandomi – Sono presentabile? »
Harry sorrise e annuì, poi mi porse il braccio ed io uscii con lui. Era un po’ rincuorata, devo dire, dal suo tacito sostegno.
Quando arrivammo, il sole stava già tramontando, ma nessuno pareva essersi accorto della nostra breve assenza. Dico “pareva” perché, effettivamente, qualcuno se n’era accorto.
Io mi fermai tra Mundungus e Percy, mentre Harry si diresse verso Ron e i gemelli. Li osservai. Ron applaudiva di fronte al taglio rituale, come tutti noi, ma sembrava più interessato a parlare con Harry. Non capii cosa si stessero dicendo e non lo seppi mai, ma non credo che Harry gli avesse detto qualcosa di rilevante sul mio stato. E in ogni caso, oramai, non ha più importanza.
Comunque, qualcosa dovette scattare in Ron. Dopo il taglio della torta, mentre stavamo tutti gustando il capolavoro di Molly, mi si avvicinò e mi si sedette accanto. Il fatto mi stupì, perché finora non aveva fatto altro che ignorami.
« Va tutto bene? » mi chiese.
Per la sorpresa mi andò di traverso la torta.
Dopo parecchie manate sulla schiena ed un bicchiere di succo di zucca, riuscii a recuperare il controllo del diaframma, e potei rispondere alla sua domanda.
« Sì… bene. »
« Non è vero. » replicò lui aggrottando la fronte.
Non potevo resistere quando faceva così. Era per questo che ogni volta mi difendevo innalzando un muro di petulanza.
Ma questa volta no… – pensai – questa volta devo ingoiare il mio orgoglio e le mie paure, devo seppellire l’Insopportabile Sottutto.
« Mi commuovono sempre i matrimoni. » mentii.
« Ieri hai detto che non eri mai stata ad un matrimonio. » mi fece giustamente notare.
Annaspai. Sciocca, non ti ricordi nemmeno ciò che dici!
Nonostante tutto, riuscii a cavarmela con un: « Ma… ne ho letti tanti… sai, sui libri. »
« A-ah. »
Era un’espressione dubbiosa o esasperata quella che gli lessi in volto? Non ne avevo idea, e non ne ho tuttora. Ma penso ancora oggi ciò che pensai in quel momento: Non avrei dovuto nominare i libri!
Seguì un interminabile, imbarazzante silenzio. Finché non Ron non si preparò e sparò il colpo.
« Ti va di ballare? »
Ecco, il colpo era partito.
Ci volle un po’ perché raggiungesse la meta, il mio cervello non era abituato. Ma a quanto pare ne valse la pena: l’espressione sul mio volto fu comica. O almeno così mi fu riferito in seguito.
Dovetti impiegarci un po’ troppo a reagire, perché Ron emise uno buffo suono che mi riportò alla realtà. Allora notai che guardava nervosamente le altre coppie danzanti, e che le sue orecchie erano diventate rosse.
Ora, mi perdonerete, ma una divagazione sulle sue orecchie ci vuole proprio. Sono sicura che lui lo considerasse un imperdonabile difetto e che, se avesse potuto, in quei momenti se le sarebbe strappate volentieri. Ma – giudicatemi pure strana – io l’ho sempre trovato un adorabile pecca. Chiusa parentesi.
Alla luce di questo, potete ben immaginare quale fosse la mia difficoltà nel mantenere un contegno degno della situazione. Nel secondo e mezzo che impiegai a rispondere, notai una lucciola che passava lentamente tra di noi, illuminando il rosso dei suoi capelli e il pervinca del mio vestito. Un pensiero fulmineo mi attraversò la mente: Hermione, si può sapere che  stai aspettando ancora?!
« Sì. » dissi alzandomi.
Per un momento rimase imbambolato a fissarmi. Ancora oggi sorrido ripensando a quegli occhi che si spalancavano nella sorpresa, con la stessa espressione che aveva dipinta in volto al Ballo del Ceppo. Allora non lo sapevo, ma l’avrei vista altre volte, quell’espressione, molte altre. Ma non ci avrei mai fatto l’abitudine, per fortuna.
Comunque, accettare fu forse la decisione migliore che abbia mai preso in vita mia.
Ron si alzò, mi prese la mano e mi portò in mezzo alle altre coppie, al centro del gazebo. Era una situazione anormale per noi due, una delle poche in cui, in sei anni di amicizia, non ci eravamo mai trovati. È a questo che imputo la strana difficoltà che scoprii nel dover posizionare la mano sulla sua spalla, e quella che lui ebbe nel dovermi prendere la vita. Credo che impiegammo più tempo a sistemarci che a danzare.
Fu solo quando cominciammo a ballare che realizzai chiaramente la situazione.
« Non ti ricorda niente? » gli chiesi.
« Mhm… hai lo stesso abito. » disse lui, e ci intendemmo perfettamente.
« Anche tu. » aggiunsi io.
« Già. »
Capisco come a orecchie altrui possa sembrare una conversazione goffa, ma vi assicuro che per noi non lo era affatto. La mancanza di vocaboli era dovuta all’emozione, e l’emozione al fatto – almeno da parte mia – che non avevo mai visto le sue lentiggini da una distanza così ravvicinata, ne avevo avuto modo di sentire il suo odore così bene. E ora che scoprivo queste piccole cose, mi rendevo conto che non ne avrei più potuto farne a meno.
« Non sono un granché. » rise lui.
I nostri passi erano effettivamente stentati. Ma cosa poteva importarmene? In quel momento, avrei ballato con lui per il resto della mia vita. È melenso, ma è così!
« Be’, non mi hai ancora pestato i piedi. » gli feci notare.
Non so che effetto ebbero quelle parole su di lui. Non furono molto lusinghiere, ma forse la sua successiva reazione fu dovuta piuttosto al mio tono di voce: fino ad allora, non credo che gli avessi mai parlato in modo così dolce.
In ogni caso, in quel momento lui mi strinse di più a sé, in un gesto quasi possessivo. Era ciò che desideravo, anche se mi resi conto dalla tachicardia che mi prese, che non ero affatto preparata. Ma forse non lo sarei mai stata del tutto, quindi che differenza fa?
Purtroppo, il momento idilliaco non durò molto. Quando gli appoggiai la testa al petto, percepii tutta la sua tensione e capii che, se non facevo subito qualcosa, sarebbe stramazzato al suolo di lì a pochi secondi. Quindi, con mio grandissimo rammarico, dovetti interrompere la danza.
Ancora una volta, la sua reazione mi sorprese.
« No, – disse trattenendomi – perché? »
Era così dolce che l’avrei baciato lì, davanti a tutti. Ma, se devo essere sincera, non mi andava che il nostro primo bacio fosse una replica di quello tra Harry e Ginny.
Così, feci un bel respiro per riprendere il controllo, gli sorrisi e gli dissi che lì faceva caldo e che volevo fare due passi. Ron parve intuire, per un volta, che era solo una scusa per allontanarci dalla ressa, e mi diede retta.
Cercammo di ignorare gli sguardi che accompagnavano ogni nostro passo, ma non ci riuscimmo. Quando fummo abbastanza lontani dal gazebo e ci fermammo, notai come le orecchie di Ron fossero più rosse che mai. Per quanto riguarda me, non voglio nemmeno immaginare che aspetto avessi.
Restammo per qualche secondo in silenzio, a guardare le stelle pur di non guardarci in faccia. Altrimenti sarebbe saltata fuori, inevitabile, la domanda: che diamine ci facciamo qua, soli?
« Cos’avevi prima? » disse tutto a un tratto.
Se da una parte ero felice che avesse spezzato il silenzio, dall’altra non avevo nessuna intenzione di toccare l’argomento.
« Te l’ho detto, i matrimoni mi commuovono. » risposi, cercando di apparire calma e sicura.
Ovviamente, non la bevve.
« Hermione, dico sul serio… che avevi? »
« Niente di importante. » ribadii.
Ron mi lanciò un’occhiata apertamente scettica.
« Senti, sarebbe troppo lungo e noioso da spiegare - » cominciai, ma lui mi interruppe.
« Tu non mi annoi! » sbottò in tono offeso.
Di nuovo, dovetti trattenermi dal saltargli al collo e baciarlo.
« Be’… comunque, non mi va. »
« È colpa mia? » chiese allora.
Non c’è una domanda di riserva? pensai.
« No… » dissi.
Fortunatamente, mi interruppi prima del “ma”.
Comunque a lui non sfuggì il tono d’esitazione e incalzò: « Ma… ? »
Mi chiesi come mai fosse diventato così intuitivo proprio in quel momento.
« Niente. » mi affrettai ad aggiungere.
« È colpa mia. » concluse lui, ostinato come sempre.
Be’, non aveva tutti i torti. Ma come spiegargli la situazione, se non era chiara neppure a me?
« No, Ron, non è colpa tua. – sospirai – Per favore, non litighiamo. »
« Non voglio litigare con te. – puntualizzò lui – Perché non mi dici cos’hai? »
E allora diedi la risposta peggiore che potessi dare: « Non voglio parlare di queste cose con te. »
« Non ti fidi di me? Di Harry ti fidi di più? » proruppe lui, e non lo si poteva certo biasimare.
Così, finii per innervosirmi anch’io.
« Ora non fare il geloso, Ronald, per favore! »
« Non chiamarmi Ronald! » sibilò lui, diventando inspiegabilmente rosso.
« Ecco, lo sapevo, stiamo litigando… » dissi sull’orlo del pianto.
Questo parve addolcirlo, perché prima di riprendere si placò.
« Io vorrei solo che ti confidassi con me. – disse in tono calmo e continuò con voce tremante – Non mi piace vederti così. »
È necessario dire che le sue parole mi commossero?
« Be’, è bello ciò che hai detto. » dissi nel tono più dolce del mio repertorio.
Non credo di averlo mai visto tanto compiaciuto, prima di allora, anche se tentava in tutti i modi di trattenersi. Ma ciò che aggiunse spezzò l’incantesimo.
« Sì, be’… se valesse qualcosa per te… »
Lo presi per un braccio e lo feci voltare, in modo che mi guardasse in faccia.
« Ron, pensi davvero che ciò che dici non m’importi? » gli chiesi, ed era una domanda seria.
Lui abbassò lo sguardo.
« Non lo so. » mi disse dopo un momento.
Lasciai andare il suo braccio e fissai il vuoto.
Dove ho sbagliato?
Sentii che, come io avevo fatto poco prima con lui, mi prendeva per un braccio e mi faceva voltare.
« Dimostramelo! – mi disse guardandomi negli occhi – Se davvero t’importa, per una volta, dimostramelo. »
Non so cosa realmente volesse dire con quelle parole. Probabilmente, desiderava solo che io mi confidassi con lui, dandogli così prova che per me era davvero importante.
In ogni caso, certo non si aspettava ciò che stavo per fare. E, a dire il vero, non me lo aspettavo nemmeno io. Fatto sta che lo feci. E quando smisi, mi resi conto che quello era l’unico modo per dimostrargli quanto lui fosse importante per me.
State scalpitando, immagino. E va bene, ve lo dico: lo baciai.
Non fu un bacio apocalittico. Gli presi il viso fra le mani, mi alzai in punta di piedi e gli stampai un bacio sulle labbra. Veloce, schietto, senza spazio per alcun “ma”. Perfettamente conforme a me, insomma.
Quando finii, come vi ho già detto, capii che quella era la dimostrazione più efficace che potevo dargli. Quello che non ho detto, è che ebbi appena il tempo di formulare questo pensiero. Perché, dopo un attimo di smarrimento, venne il suo turno di dimostrami quanto ci teneva a me, e la sua fu una dimostrazione molto più lunga della mia.
Quella dimostrazione, come c’era da aspettarsi, coinvolse anche me. E devo dire che, ancora oggi, non ho idea di quanto durò quel reciproco scambio di dimostrazioni. Forse andammo avanti a dimostrare per un’ora, o forse per tutta la notte.
Comunque, calcolando che dovevamo sfogare qualche anno di dimostrazioni represse, credo che sia stata la più lunga dimostrazione della mia vita. Fatto che, vi assicuro, non ci tolse il gusto di dimostrare gaiamente anche negli anni a venire.

  
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