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Autore: A_Typing_Heart    18/12/2022    0 recensioni
Un allegro party aziendale con fiumi di alcol e una notte con il suo amante: questo è il piano di Alis e Beldain per la sera del 23 dicembre. Ma sembra che un piccolo imprevisto li obbligherà a cambiare i piani e forse il corso stesso della loro relazione.
Genere: Commedia, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Il bell’ufficio in vetro scuro e metallo non veniva riscaldato granché dalle decorazioni natalizie, ma l’uomo che vi stava in piedi sembrava soddisfatto dell’atmosfera di quelle lucine rosse e verdi e delle ghirlande appese ai finestroni, tanto che canticchiava una carola a labbra chiuse in un sorriso sereno.

Manovrava il ferro da stiro portatile – che teneva in ufficio per le necessità – con la maestria di un uomo single che aveva lasciato casa da giovane e che aveva dovuto indossare camicie per lavoro molto spesso.

La giacca su cui si stava dando da fare era di un rosso brillante, un colore che nel suo guardaroba era riservato solo a un paio di t-shirt da palestra. Lo reputava troppo aggressivo per le riunioni di lavoro e troppo appariscente per le sue occasioni di svago, pertanto un colore di nicchia nel suo guardaroba.

«We wish you a merry Christmas, Alis? Sul serio?»

Riconobbe alla prima parola la voce maschile, profonda e sensuale. Smise di canticchiare e il suo sorriso si allargò mentre si voltava verso la porta dell’ufficio. Incrociò gli occhi di lui – di una sfumatura rossastra di marrone – per un attimo prima che li fissasse sulla giacca.

«Non è stata stirata? Vuoi che sbrani qualcuno della lavanderia?»

«Le commissioni personali non fanno parte delle tue mansioni, Beldain… non hai già abbastanza da fare con il tuo lavoro?»

«Come so intimidire io chi non presta un servizio impeccabile al presidente della Sirrah Biomedical, nessun altro… lo sai» commentò lui, con le belle labbra delineate tese in un sorriso malizioso. «Credo che sia il tuo sedere quello appoggiato sulla mia scrivania mentre chiamo per i reclami…»

«Oh, che cosa pensi che sia, un sadico? Mi siedo ad ascoltare la tua bella voce.»

«Ma naturalmente.»

Le scarpe nere di Beldain erano tanto lucide da riflettere lo scintillio delle lucine decorative mentre attraversava la stanza. Gli occhi grigi di Alis salirono in su lentamente, da quella camminata da gatto ai fianchi sotto i pantaloni aderenti e su per il torace dalle spalle larghe, celato da una camicia rosso sgargiante della taglia perfetta. Indugiò sul collo; adorava davvero che Beldain lasciasse scoperta quella zona di pelle lasciandosi il primo bottone sempre aperto e rinunciando quasi sempre alla cravatta.

Beldain aveva notato che lo stava guardando con il consueto desiderio, lo seppe osservando il modo in cui fece scorrere l'indice sotto la sottile catenina d'acciaio con la piccola ala d'angelo nera come pendente: lo faceva sempre quando si accorgeva che il suo principale lo studiava con interesse.

«Matching outfits?»

Si aspettava una battuta pungolante, una frecciata al sale sui suoi desideri sessuali inespressi com’era consuetudine, e fu spiazzato dalla domanda. Qualche attimo dopo collegò la giacca che stava stirando alla camicia di Beldain.

«Beh, non sarà una cosa esclusiva. Al party di Natale quasi tutti si vestono di bianco, verde e rosso.»

«Che fantasia» commentò lui, annoiato.

«O tu verrai in nero su nero, per spiccare di più?»

«Oh, credimi che mi alletta molto l’idea… ma devo dirti una cosa, a questo proposito.»

Il suo tono assunse una sfumatura appena percettibile da chi non lo conosceva bene, ma per Alis era un cambiamento vistoso. Abbandonò il ferro da stiro sul bordo della scrivania e lo guardò in viso. Aveva un'idea simile a una certezza di cosa voleva dirgli.

«No, Beldain.»

«Non ho ancora detto nulla, Alis.»

«Avanti, lo scorso Natale non sei venuto perché eri appena arrivato e hai detto che avevi altri impegni! Devi venirci questa volta, ti assicuro che è divertente!»

«Ne sono sicuro, ma si è presentato un imprevisto. Non posso partecipare.»

«Quale imprevisto?»

«Ran, non avevamo un certo patto sulla discrezione? Qualcosa come “non ti chiederò della tua vita a meno che non sia necessario”?»

La sua reticenza insospettiva Alis, ma al tempo stesso lo preoccupava.

«È una cosa grave?»

«Non è una cosa grave… solo, è inderogabile. Non posso venire alla festa di Natale.»

Diverse ipotesi passarono per la testa di Alis, dalla più fantasiosa alle più plausibili.

«Hai… hai fatto pace coi tuoi genitori? Vai da loro?»

Alla menzione dei suoi familiari Beldain fece un gesto involontario con la testa, come reagendo a una zaffata di fumo acre. Gli lanciò un’occhiata stizzita, ma la sua espressione rimase come accartocciata.

«Non abbiamo più contatti da anni. Non ci parlerei neanche se finissero in ospedale.»

Alis sapeva che calpestare lo spazio personale di Beldain poteva avere delle conseguenze molto pesanti per la loro relazione, ma non riusciva a rassegnarsi. La festa di Natale senza di lui non aveva più la stessa attrattiva di prima.

«Ti… vedi con qualcuno del club?»

«Non rinuncerei per questo. Posso vederli praticamente ogni giorno dell’anno.»

Gli credette senza esitazione. In primo luogo, poteva schioccare le dita e avere intorno a sé quasi tutti i membri del club in qualsiasi giorno, e in secondo luogo perché era certo che il socio con cui aveva i rapporti più stretti era con lui nell’ufficio in quel momento.

«Ti senti poco bene? È perché sei a disagio con qualcuno degli altri uffici?»

«Non molli quell’osso tanto facilmente, vero, Alis? Come un bravo cane…»

Bastò quell’ultima parola per riportare in superficie una serie di fantasie esplorate insieme che implicavano una grande gabbia di metallo, un collare borchiato, un guinzaglio rosso e una museruola. Chiudendo gli occhi per un attimo le ricacciò giù, consapevole che Beldain stava solo cercando di distrarlo dalla conversazione.

«Sono preoccupato per te. Non sembri il solito Bel.»

«Sei serio?»

Beldain infilò le mani nelle tasche con l’unico scopo di indirizzare la sua attenzione sui suoi fianchi, poi girò intorno alla scrivania con quel sorriso canzonatorio sul viso.

«Ti sembro malato? Guardami bene, su. Sembro malato? Sembro depresso?»

Si era avvicinato tanto che Alis sentiva il calore del suo fiato mentre parlava e l’odore inconfondibile di liquirizia dato da quelle sue piccole, nerissime e amarissime caramelle. Resistere ai ricordi del primo bacio riportati da quel profumo fu più difficile di respingere le allusioni ai giochi con la gabbia.

Si arrese, semplicemente: prese il suo viso con entrambe le mani e lo baciò con trasporto, ignorando il rischio che qualcuno potesse vederli attraverso la porta aperta. Quel gusto amaro di liquirizia portava via persino la paura.

Passò le dita tra i suoi capelli corti, color ebano screziati di castano più caldo sotto il sole – quante volte l’aveva paragonato a un gatto nero reso rossiccio dal sole? - e sfiorò la cicatrice rimarginata di un foro sul lobo dell’orecchio.

Beldain aveva tolto le mani dalle tasche per accarezzargli i fianchi. Senza preavviso gli assestò una pacca sul gluteo che lo fece sussultare, mentre la lingua si muoveva con la solita vitalità nella sua bocca.

Lo squillo del telefono sulla scrivania di Beldain giunse inatteso e sgradito come una secchiata di acqua gelata sulla testa.

«Non rispondere» lo pregò Alis, appena le loro labbra si staccarono.

«Devo rispondere.»

«Lascialo suonare.»

«Dimmi un po’, Alis… se non rispondo e non c’è il messaggio di attesa inserito, che cosa penseranno tutti del segretario della cui efficienza ti vanti fino allo sfinimento?»

Alis sbuffò, consapevole di essere infantile ma incapace di non provare frustrazione. Beldain uscì dall’ufficio e sollevò la cornetta, sedendosi sull’angolo della scrivania dove Alis poteva vederlo sorridergli con quell’aria compiaciuta.

«Ufficio del presidente. Ah, sei tu, Leticia. Dimmi tutto.»

Alis diede in una specie di ringhio e si armò di nuovo di ferro da stiro, sfogandosi sulla giacca. Avevano interrotto un bellissimo momento di trasporto come non ne vedevano da qualche settimana per rispondere a una delle ragazze dell’accettazione al pianterreno.

«No, aspetterà. L’appuntamento con il signor Lorige è tra diciassette minuti, quindi il presidente lo riceverà tra diciassette minuti» fece Beldain, nel suo tono cortese ma inamovibile. «Non importa che cosa il presidente stia facendo adesso. Potrebbe anche star contando i piccioni fuori dalla finestra, riceverà comunque il signor Lorige tra diciass-- sedici minuti. Non uno prima, non uno dopo, d’accordo? Se insiste fallo portare fuori dalla sicurezza.»

Alis aveva emesso un buffo verso alla menzione di Lorige: un nome che era la definizione stessa di spina nel fianco per il suo segretario. I Lorige – padre e figlio – erano a capo della Lorige & Vaussmann, con il monopolio totale in Europa, e abituati a comitati e aziende che si piegavano completamente al loro volere spostando appuntamenti, anticipando scadenze e rinviando riunioni con poco o nessun preavviso. Beldain, tuttavia, era talmente indisposto da quel modo di fare che si era incaponito fin dal primo giorno di lavoro a fare qualsiasi cosa per non andare incontro alle loro richieste: Alis si considerava fortunato ad avere un segretario dotato di pazienza, comunicativa, organizzazione e anche testardaggine.

«È incredibile. È surreale» commentò quando agganciò la cornetta. «Voleva un incontro mezz’ora prima. Gliel’ho negato per settimane e lui si presenta qui con venti minuti di anticipo! Certi uomini non sanno proprio perdere!»

«Nemmeno tu, mi pare.»

Beldain emise un sospiro, uno stanco tentativo di sfogare l’esasperazione. Se non altro la bassa manovra di Lorige aveva dato ad Alis qualcosa per cui tornare di buonumore: vedere nel suo efficientissimo collaboratore segni di debolezza gli metteva una gran voglia di stringerlo, punzecchiarlo un po’ e poi fare del suo meglio per risollevargli la giornata.

Beldain rientrò nell’ufficio, ma non accennò a riprendere da dove erano stati interrotti e prese a scartabellare nello schedario all’angolo. Alis pensò che valesse la pena di provare a convincerlo.

«Abbiamo quindici minuti, giusto?»

Lui alzò gli occhi dalle cartelline etichettate.

«Mh, hai un’irresistibile aria da birbante… come pensi di impiegarli?»

«Credo che tu lo sappia già.»

Alis gli andò incontro e gli prese il viso tra le mani come prima, lo baciò di nuovo, ma dopo una risposta con tiepido entusiasmo Beldain si sottrasse.

«Quindici minuti non bastano.»

«Proviamoci.»

«Ce ne vogliono venti per accenderti come si deve, e tutto il resto.»

Non aveva tutti i torti e ne era conscio. I loro incontri duravano diverse ore, perché partivano sempre dallo stuzzicarsi con il linguaggio del corpo e con velate allusioni nei discorsi per arrivare alle ovvie conclusioni passando attraverso giochi con complesse trame e interpretazione di ruoli degne di un laboratorio di teatro. Sfrondare tutto ciò lasciando solo un rapporto fisico di un quarto d’ora era snaturare il bello della loro relazione intima, ridurla a una soddisfazione meramente fisica che, Alis si rendeva conto, non era niente di interessante o di appagante per Beldain.

«E cosa più importante, sbaglio a supporre che non hai dato neanche un’occhiata veloce alla bozza di contratto con la Lorige & Vaussmann per l’anno prossimo?»

Come ogni volta che Beldain scopriva le sue mancanze emerse lei, quella subdola: l’espressione colpevole che gli lampeggiava in viso come un neon pubblicitario ancora prima che Alis potesse anche solo pensare di provare a dissimularla. Beldain tese un ghigno di trionfo e buttò la cartellina, che atterrò sul sottomano con un tonfo soffice.

«Questo, per inciso. Mi sono permesso di leggerlo e riassumerti le condizioni in una lista per punti esorcizzata da quella diavoleria chiamata “gergo legale”.»

«Ti amo.»

Alis si irrigidì leggermente per lo stupore quando sentì le sue labbra appoggiarsi sulla sua tempia per depositarvi un bacio delicato.

«Se non mi amassi saresti matto, signor Delmar.»

«È bello che la tua autostima sia smagliante come il tuo sorriso.»

«Finisco io la tua giacca mentre ti prepari per l’irresistibile signor Lorige?»

«Te ne sarei grato.»

Con un insolito sorriso privo di sfumature maliziose e sarcastiche Beldain prese la giacca e il ferro e trasferì tutto sulla propria scrivania, al di là delle porte in vetro. Lo guardò armeggiare con l’attrezzo e iniziare a stirare la manica con una certa goffaggine.

Alis prese la cartellina e diede immediatamente una scorsa alla lista per punti, confermando le sue aspettative: era concisa ma completa e chiara. Le tre C di Beldain sul lavoro, che qualche invidioso del piano di sotto aveva trasformato in Caffè, Copie e Chiamate scambiando le sue mansioni vitali per faccenduole da stagisti.

Lottò con la sua immaginazione, che provava a distrarlo da noiose clausole con visioni di come Beldain svolgesse questa o quella mansione domestica, almeno finché una palese violazione degli accordi presi con la Lorige & Vaussmann in precedenza non inserì la modalità affari in modo definitivo.

«Beldain!»

Il suo segretario sussultò appena, non abituato a essere apostrofato con quel tono brusco.

«Sì, Alis? Così è troppo inamidata per i tuoi gusti?»

«Il punto sette» fece lui, battendoci il dito sopra. «Sei sicuro che dicesse questo?»

«Ho controllato tre volte, e c’era con me anche Bryant dell’ufficio legale. Credo proprio che sia giusto.»

«Il 7% del fatturato? Sono impazziti?»

«In effetti anche io mi stavo chiedendo se fossi diventato scemo.»

Alis gli scoccò un’occhiata truce attraverso la stanza, alla quale Beldain rispose scrollando le spalle.

«Non ero mica presente alla riunione. Pensavo che ti fossi accordato per quella percentuale.»

«Grazie di reputarmi un imbecille, Beldain, ma ti informo che gli accordi erano per il 5,5% e non un decimale di più. E non faceva riferimento ad alcun tetto massimo.»

«Grazie a te, piuttosto… sono sollevato di non lavorare per un imbecille. Le aziende gestite dagli imbecilli falliscono e i dipendenti si trovano senza lavoro.»

Alis si passò la nocca dell’indice sul labbro, fissando i punti del contratto alterati. Resistette alla tentazione di segnarle con una penna rossa.

«Beldain, fammi una cortesia. Subito.»

«Dimmi.»

«Prepara il caffè, per favore.»

«Il caffè? Io?»

«Non è una specie di retrocessione. Solo, ho pensato che il signor Lorige gradirebbe una tazza di caffè… amaro e subdolo quanto lui.»

Negli occhi amaranto di Beldain passò una scintilla che Alis conosceva bene: quella scintilla infantile che si palesava quando emergeva la sua indole sadica. Il presidente era abituato ad associarla a momenti di grande intensità, alla realizzazione di fantasie di dominazione che non aveva mai neanche immaginato prima di conoscerlo.

Al signor Lorige, però, non sarebbe spettato il piacere di conoscerla nel suo stesso modo.

 

***

 

Mentre guidava diretto al locale prenotato per la festa della Sirrah Biomedics Alis gongolava, ricordando il sorriso storto di Silvan Lorige mentre sorseggiava quella brodaglia amara che gli aveva spacciato per caffè di qualità eccellente. Le qualità del tutto inventate che Beldain aveva snocciolato, poi, l’avevano costretto a pizzicarsi di nascosto per trattenere le risate. Quel quadretto era già un sufficiente regalo natalizio, ma l’aver spuntato addirittura un 5% nel loro accordo per i due anni seguenti era un trionfo.

Rallentò e si fermò, accodato a una fila di auto che aspettavano che qualcuno più avanti terminasse la sua goffa manovra per uscire da uno scomodo parcheggio. Girò lo sguardo per trovare il sacchetto di caramelle alla frutta che doveva aver messo nel cruscotto e così notò qualcosa che non avrebbe mai visto passando in velocità con gli occhi fissi sulla strada.

Da un negozio con le luci basse e la serranda mezza chiusa uscì un uomo incantevole avvolto in un cappotto nero, carico di pacchetti e sportine di colori natalizi. Beldain scambiò un saluto con un anziano che ricambiò con un cenno prima di chiudere il negozio.

Era quasi certo che fosse Beldain – e conoscendolo intimamente era insicuro solo perché non si spiegava la sua presenza lì – e lo seguì con gli occhi fino alla macchina sulla quale caricò i regali: era la sua auto. Lui salì senza notare di essere osservato, mise in moto e s’immise sulla strada.

La fila davanti ad Alis si stava sbloccando, e non ci pensò più di qualche attimo: fece manovra al primo accenno di spazio e invertì la direzione, tenendo gli occhi sull’auto nera un po’ più avanti. Quando svoltò a sinistra lo fece anche lui, incurante di stare allontanandosi dal luogo del party.

Se si accorge che lo seguo si arrabbierà un sacco.

Sapeva di stare facendo di peggio che pressare con le domande o spiare un’agenda e tentò di imbastire una scusa credibile nel caso fosse stato scoperto, senza però riuscirci. Prese quindi più distanza per non essere visto.

Lo seguì fuori dal centro, a diversi chilometri dalla sede di lavoro e da tutti i posti che frequentavano insieme. In quei quartieri di fascia bassa Alis temeva che la sua auto si notasse come un parrocchetto in un cesto di batuffoli di cotone.

Ma cosa ci fa qui?

Il posto era molto decadente. Parecchie serrande erano chiuse su negozi che parevano aver cessato l’attività da tempo, c’erano giornali stracciati e bottiglie di birra vuote sui marciapiedi, e finestre scrostate incastonate in facciate ridipinte alla buona per nascondere graffiti e incuria.

L’auto di Beldain sterzò bruscamente davanti a un ingresso con una rampa di scale laterale e lui ne scese in fretta, spalancò lo sportello posteriore per raccogliere i regali e salì i gradini di corsa precipitandosi dentro.

Con una punta di gelosia si domandò che genere di persona riuscisse a scomporlo in quel modo. Era un uomo o una donna? Era più giovane di lui o no? Era una persona a cui piaceva giocare, come facevano loro, o qualcuno di tradizionale a cui cercava di insegnare un nuovo modo di vivere, come aveva fatto con lui?

La curiosità prese il sopravvento su quell’ombra di gelosia. Scoprire qualcosa che convinceva Beldain a dirgli di no era come scoprire un suo punto debole, e lui adorava collezionare informazioni molto private su di lui. Gli davano la sensazione di essere il più intimo con lui, di essere il più vicino.

Sul sedile aveva una bottiglia molto pregiata, un omaggio che aveva deciso di sua iniziativa di fare all’impiegato dell’anno della Sirrah Biomedics. Era improbabile che l’impiegato vincitore sentisse la mancanza di un dono che non sapeva di dover ricevere, quindi Alis parcheggiò, prese la bottiglia e scese.

L’aria era pungente dopo l’abitacolo ben riscaldato dell’auto. Si strinse addosso il cappotto e trotterellò fino all’ingresso, ma si trovò a esitare prima di suonare il campanello. Non voleva urtare Beldain, né rovinare il suo appuntamento.

Sussultò quando la porta si aprì e si accorse che una signora di mezz’età stava uscendo. Sorrise quando i loro sguardi si incrociarono, la lasciò passare per prima e in quei pochi istanti decise: s’infilò nell’atrio prima che la porta si chiudesse e poi nell’angusto ascensore per salire al quarto piano, dove il campanello collocava il domicilio di Beldain. Era sconcertante che il suo segretario abitasse in un quartiere così degradato.

L’odore della moquette dell’ascensore era terribile, come la lettiera usata di un gatto. Fu un sollievo uscirne. Il pianerottolo invece era pulito e vi si affacciavano solo due porte. Controllò i nomi sui campanelli e bussò con un ultimo atto di coraggio. Il tempo sembrò dilatarsi nell’attesa che gli venisse aperto; peggio dell’attesa del voto dell’esame di laurea.

La porta si aprì. Il viso di Beldain apparve dalla fessura e mentre gli sorrideva lui espresse più che stupore: gli parve quasi che avesse paura.

«Alis… che cosa ci fai a casa mia?»

«Sei scappato via di fretta alla fine del turno… non ho potuto darti questa.»

Sollevò la bottiglia infiocchettata sfoggiando il suo miglior sorriso.

«Ho pensato che potesse essere adatto per la tua serata, o per la vigilia…»

Beldain guardò la bottiglia, tornò al suo viso e si lasciò scappare uno sbuffo di una risata repressa a malapena. Prese la bottiglia leggendone l’etichetta come se non l’avesse mai vista e tese un sorriso incerto, quasi malinconico.

«Quando me l’hai fatta comprare credevo volessi darla all’impiegato dell’anno, o a qualcuno che andava in pensione... non pensavo che fosse per me. Questa volta mi hai sorpreso.»

«Allora non resta che godervela per un brindisi, giusto?»

«Non credo che l’apriremo, ma grazie lo stesso per essere venuto fin qui a darmela.»

«Perché no?»

«Diciamo che non è adatta per il tipo di serata che io e Angie avevamo in programma.»

Angie. Questo nome non fece squillare alcun campanello nella sua testa, non gli ricordava nulla. Poteva essere una donna del club, dato che quasi tutti usavano soprannomi. Era curioso di vederla e scoprire se la riconosceva, e istintivamente provò a lanciare uno sguardo dentro casa, al di sopra della spalla di Beldain. Lui, ovviamente, se ne accorse.

«Beh… visto che sei venuto fin qui, perché non presentarvi?»

«Davvero?»

«Perché no? Avrei dovuto farlo, prima o poi. Entra.»

Si ritirò dentro l'appartamento lasciandogli la porta aperta e Alis lo seguì. Riguardo alla casa del suo segretario sapeva solo che era un posto piccolo, vecchio e malmesso; così tanto che diceva di vergognarsi a invitarlo, dato che la sua casa era invece grande, spaziosa, recentemente ristrutturata e arredata di lusso.

Non aveva tutti i torti. Quello che vide entrando era il piccolo spazio dedicato a cucina e soggiorno, che in realtà era un cucinotto addossato a una parete, un tavolo quadrato con due sedie divideva idealmente una zona dall’altra, un mobile con un televisore contro il muro e una larga poltrona posta di fronte. Beldain si affacciò sulla porta davanti all’ingresso e Ran poté vedervi le piastrelle bianco-grigie di un bagno.

«Angie? C’è un mio amico qui, vuoi venire a conoscerlo?»

Fu scioccante vedere Angie: altezza intorno a un metro, maglioncino con fiocchi di neve e pupazzi, cappellino da Babbo Natale sui capelli d’ebano e un paio di occhi vispi di una sfumatura di castano-verde che gli ricambiarono lo sguardo. Era un bambino, la copia miniaturizzata ma fedelissima di Beldain, eccezion fatta per il colore degli occhi. Alis non riuscì a trovare niente da dire.

«Su, Angie, saluta.»

«Ciao.»

«Un pochino più d’impegno, Angie?»

Il bambino guardò Beldain, poi di nuovo l’ospite strizzando un pupazzo a forma di volpe. Fissò il nuovo arrivato dalla punta dei capelli fissati dalla lacca fino alle scarpe in pelle verniciata bianca, corrugando sempre di più le sopracciglia sottili.

«Non assomiglia a Babbo Natale.»

«Co...?»

«Trovi di no?» fece Beldain, con un sorrisetto canzonatorio. «Eppure è vestito di rosso e porta un regalo. Dev’essere lui per forza.»

«Non è vecchio e non ha il pancione!»

«Ragionaci… se fosse davvero così vecchio e grasso come farebbe a calarsi dai caminetti e a scavalcare finestre?»

«E allora perché entra dalla porta?»

«Perché è il modo più comodo di entrare in una casa, no? E poi qui non c’è il camino.»

«Ecco perché volevo stare a casa con la mamma! Con te anche Babbo Natale è sbagliato!»

Il bambino corse verso una porta che Alis non aveva visto, nascosta alle spalle di quella d’ingresso, e la sbatté chiudendosi dentro. Era ancora frastornato quando Beldain sospirò, scompigliandosi i capelli con la punta delle dita per poi sistemarli di nuovo.

«Beh, ora conosci Angelus.»

«È… tuo…?»

«Mio figlio. Sì.»

Beldain scrollò le spalle come fosse cosa di poco conto e andò ad armeggiare con un bollitore dallo smalto rovinato. Il suo efficiente, pragmatico, affidabile segretario era irriconoscibile con quel nervosismo.

«È un bambino delizioso, è proprio uguale a te…»

Continuava a dargli le spalle e pensò che fosse il caso di intavolare subito il discorso più difficile.

«Non mi avevi mai detto che avevi un figlio.»

«Perché non c’era motivo per dirtelo. Non vive con me, non mi impedisce di fare gli straordinari o di uscire con te.»

«Ma non c’era neanche un motivo per non dirmelo… o sbaglio? Che cosa pensavi che avrei fatto se me ne avessi fatto parola?»

«Onestamente?»

«Parla, non tenere niente.»

«Pensavo che mi avresti compatito» rispose lui, prendendolo di sorpresa. «Volevi darmi dei bonus solo perché mi lamentavo della mia casa, che cosa avresti provato a darmi se avessi saputo che avevo un figlio piccolo?»

Alis sapeva che avrebbe provato a fargli accettare le agevolazioni e i bonus che poteva ragionevolmente offrirgli, e qualche regalo. Alis aveva sempre pensato di avere anche troppo per un uomo senza famiglia e senza figli.

«Bel… bastava dire che non le volevi, come hai fatto per gli altri bonus. Ho forse insistito, o provato a farteli avere senza il tuo consenso?»

Il suo segretario si chiuse in un silenzio cupo. Alis si avvicinò e passò la mano sulla sua schiena in una carezza senza secondi fini.

«Ci siamo già accordati su questo… se hai bisogno puoi chiedere sempre. Ora che so che hai un figlio non insisto, ma ti ripeto che la mia porta è sempre aperta… anche il mio conto, se ti servisse qualcosa.»

«Non voglio che pensi che ti frequento per i tuoi soldi. Non l’ho mai fatto.»

«Ma questo lo so. Ci conosciamo troppo bene per questi fraintendimenti.»

Con sua sorpresa quando cercò il suo collo per dargli un bacio lui si girò per baciarlo sulle labbra. Lo lasciò stranito quanto il bacio sulla testa di quella mattina; gesti di affezione spontanei erano più unici che rari.

«Grazie, Alis… ma farai tardi al party. È meglio se adesso vai.»

«Sì… ma… hai bisogno di una mano, per caso? Col bambino» puntualizzò, indicando la porta col pollice. «Mi sembra arrabbiato con te.»

«Non posso farci niente. Doveva stare con sua madre, sta sempre con lei e i suoi per tutte le feste. Non gli piace stare con me, detesta la mia casa.»

«E perché?»

«Perché Rose è di famiglia ricca… casa di campagna, addobbata come un villaggio di elfi, tv ultrapiatta, canali premium, la sua camera, i suoi giocattoli, i suoi amichetti, il cane… e il camino, per Babbo Natale. Avrai forse notato che qui è un po’ diverso.»

Percepiva una profonda amarezza sotto la sua sufficienza, il tono con cui di solito elencava una serie di fatti che trovava noiosi o irrilevanti. Se per lui quella brutta casa poteva anche andare, non era quello che suo figlio avrebbe voluto, né meritato.

«Che ne dici se ci parlo un momento?»

«Tu?»

«Lo dici sempre che sono un bambino troppo cresciuto! So come prenderli, davvero.»

Beldain lanciò uno sguardo alla porta chiusa e per un attimo gli sembrò di vedere una speranza illuminargli il viso. Scrollò le spalle e fece un gesto con la mano.

«Prego. Se vuole parlarti.»

Alis si avvicinò alla porta, che era scrostata sulla parte bassa come scorticata da zampette di gatto o di un piccolo cane. Bussò con le nocche e accostò l’orecchio per sentire qualche rumore: gli parve di percepire un singhiozzo sommesso.

«Angelus? Posso entrare a parlare con te un minuto?»

«No!»

La sua voce sottile era soffocata dal pianto, ne era sicuro.

«Per favore, Angelus, devo assolutamente compilare la lista di Babbo Natale, ho bisogno del tuo aiuto... puoi aiutarmi a farlo? Lui ne sarebbe molto contento.»

«Alis, ti prego, Babbo Natale non esiste.»

«Sta’ zitto, Bel, per cortesia. Non peggiorare le cose» lo zittì lui, e bussò di nuovo. «Angelus, posso? Parliamo un pochino solo io e te, senza tuo padre.»

Con un gesto interruppe il commento di Beldain prima che vi desse voce. Ascoltò il bambino tirare su col naso qualche volta e poi la porta si aprì cigolando. Alis esibì il suo miglior sorriso al piccolo.

«Grazie, Angelus... Angelus o Angie?»

«Solo papà mi chiama Angie. Non mi piace.»

Alis entrò nella stanzetta, che era stata ricavata con poco sforzo da uno sgabuzzino: era stretta e lunga, con una piccola finestrella quadrata sulla parete corta, un lettino a sinistra e sul lato opposto un mobile per metà chiuso come un armadio e per metà a scaffali pieni di contenitori di plastica accuratamente etichettati. Aveva lo stesso brio di una cella.

«Così questa è la tua stanza qui da papà?»

«No, è solo lo sgabuzzino.»

«Mh, in effetti lo sembra. Non ti piace, eh?»

«No.»

«È un po’ cupo, sì.»

Alis sedette sul lettino e capì che era una rete ripiegabile, molto leggera con un materasso di quelli arrotolabili. Come comfort era al livello di un dormitorio di leva.

«Com’è la tua stanza a casa della mamma?»

«Se eri Babbo Natale davvero la ricordavi» sbuffò lui, con un tono sarcastico che gli ricordava tantissimo Beldain.

«Non ho mai detto di essere Babbo Natale. Sono solo uno dei molti che lo aiutano» replicò lui facendogli l’occhiolino. «Fare la lista dei bambini buoni, leggere le letterine, fare le consegne… è troppo impegnativo per lui fare tutto da solo…»

«E perché sei qui? Devi vedere le case per dire a Babbo Natale da dove passare?» gli domandò con rinnovata curiosità. «Digli di non prendere l’ascensore, non ci passa con il sacco, mi sa.»

Alis rise. Angelus aveva preso molto di Beldain, anche se non ci viveva insieme per lunghi periodi: era sveglio, curioso e indagatore come lui.

«Glielo dirò, sì… ma pensavo che mi potessi aiutare a capire il tuo papà.»

«Porterà un regalo anche a lui?»

«Dipende. È un bambino buono o cattivo?»

«Con me è super cattivo.»

Il tono rancoroso del bambino spezzò il cuore di Alis. Voleva bene a Beldain dal profondo, erano amanti ma anche affezionati e vedeva tante qualità in lui: rendersi conto che era così perfetto come partner e così fallibile come padre lo mosse a compassione, sia verso l’uomo che il bambino.

Il suo sorriso era ridotto a una pallida smorfia. Allungò la mano per accarezzare la schiena di Angelus, che non si ritrasse a quella coccola. Istintivamente confortava il figlio come faceva con il padre.

«Ti va di dirmi come mai?»

«Non mi chiama mai quando sono a casa della mamma… quando ci vediamo non vuole guardare la tv con me, non andiamo al parco giochi, e non cucina mai niente di quello che mi piace!»

Alis lanciò un’occhiata contrariata alla porta, come se potesse vederci attraverso e fulminare Beldain. Per essere un uomo intelligente e un abile lettore dell’animo dell’uomo adulto era una schiappa assoluta con i bambini.

«Mh… e cosa ti piace mangiare?»

«Il panino con il pollo e la maionese! È il mio preferito!»

«Mh, delizioso! Con o senza il bacon?»

«Con!»

«Con il bacon è perfetto» convenne Alis. «Anche a me piace!»

«A papà no. Lui non lo mangia il pollo, e neanche la maionese. Non mangia niente a parte broccoli e altra roba con un brutto colore e un brutto sapore.»

«Ah, lo so, tuo padre è vegano… non mangia niente che provenga dagli animali…»

«È stupido, e non mi piace niente di quello che prepara lui. Ho sempre fame quando sto a casa di papà.»

Trattenne il sospiro affranto con molto sforzo. Se come adulto capiva e rispettava le convinzioni di Beldain, come uomo in età genitoriale poteva anche capire che per Angelus fosse incomprensibile e frustrante l’ostinazione del padre a imporgli le proprie scelte alimentari. Non voleva fargli una ramanzina dandogli l’impressione di essere troppo bambino per capire i grandi, quindi cercò qualche altro argomento per mediare tra i due. Senza un gran successo.

«È troppo tardi per la lettera?» fece Angelus, in una specie di pigolio.

«Uh? Quale lettera?»

«L’ho scritta con la mia tata, ma non l’ho fatta spedire alla mamma… lo so che lei le legge per sapere che cosa voglio ricevere.»

«Ah… e papà non te l’ha spedita, vero?»

Ebbe un istinto forte di andare a prenderlo per le orecchie quando vide il bambino annuire.

«Lui dice che non arriva in tempo. Ma tu sei qui, puoi fargliela avere oggi?»

«Ah… sì… però se hai chiesto qualcosa di speciale o di grande forse non ci sarà abbastanza tempo…»

«Fa lo stesso se il regalo non arriva dopodomani, ma se non arriva la lettera, dovrò aspettare fino al prossimo Natale, vero?» insistette agitato Angelus. «Nel film la bambina ottiene la nuova famiglia un po’ dopo il Natale, ma la lettera è arrivata in tempo!»

Alis era curioso di sapere che cosa desiderasse di tanto speciale da renderlo così agitato. Se aveva capito abbastanza di quel bambino, era certo che non fossero solo giocattoli.

«Puoi dargliela tu… oggi? Eh?»

«Ma certo che posso, sì. Ce l’hai qui?»

Angelus girò il suo peluche a forma di volpe e aprì la cerniera sulla sua schiena: ne caddero alcuni cioccolatini e un pacchetto di salatini al formaggio – le razioni d’emergenza di un bambino alle prese con un ostinato padre vegano – prima che ne estraesse una letterina stropicciata. Sulla busta c’era l’indirizzo di Babbo Natale al Polo Nord e un francobollo disegnato con molta perizia per essere l’opera di un bambino.

«C’è qualcos’altro che posso fare per te, Angelus?»

Il bambino rimise nel peluche le sue cibarie.

«Puoi portarmi un panino con il pollo? Anche più tardi, quando papà dorme. Resto sveglio ad aspettarti!»

«Vedrò che cosa posso fare, d’accordo? Ora vado a consegnare subito la tua lettera. È la cosa più importante, no?»

«Sì, grazie… ma tu, com’è che ti chiami?»

«Ho un nome un po’ particolare anche io, come te. Mi chiamo Oxalis, Oxalis Delmar.»

«Oxalis… è proprio strano! Che vuol dire?»

«Sono dei piccoli fiori. Crescono un po’ dappertutto, di certo li hai visti in giro. Una volta te li faccio vedere. Comunque, mi puoi chiamare Alis, come fa tuo papà.»

«Grazie per la lettera, Alis. È proprio importante che arrivi quest’anno.»

Alis sorrise e intascò la lettera nella giacca.

«Passa una bella serata con papà, Angelus… forse non è tanto bravo con i bambini, ma non credere che non ti voglia bene. Sono certo che ti ama molto, solo non lo sa mostrare.»

Il bambino non rispose, chiudendosi in una smorfia pensierosa. Alis passò la mano tra i suoi capelli simili a quelli di suo padre e lasciò la stanzetta. Fuori, Beldain l’aspettava appoggiato allo schienale della poltrona con una tazza di tisana in mano.

«Allora?»

«Allora sei un grosso stupido, Beldain. I bambini sono bambini, vogliono fare cose da bambini con i loro genitori. Non è tanto difficile da capire.»

«Tipo guardare cartoni animati per decerebrati? Farebbero diventare stupido anche Einstein. Non voglio che Angelus guardi quella robaccia.»

«Mettici un po’ di buona volontà, che diamine! Almeno potresti portarlo al parco giochi, o fargli guardare dei cartoni costruttivi. Insegnagli un gioco con le carte. Ingegnati un po’, quel bambino si sente in prigione.»

Beldain si limitò a scrollare le spalle.

«Ti va un goccio? È alla cannella.»

Alis acconsentì distrattamente mentre tirava fuori la letterina. Era il caso di darci uno sguardo subito e scoprire se quello che chiedeva era già nei pacchi che il padre aveva ammonticchiato in un angolo del soggiorno. La grafia era certamente di una persona adulta che simulava uno stampatello irregolare; doveva averla scritta la tata mentre Angelus dettava.

 

Caro Babbo Natale,

sono stato bravo quest’anno. Ho obbedito alla mamma e a Jim, e anche a papà, anche se mi dicevano di fare cose che non mi piacevano. Mi lavo sempre i denti prima di dormire, tutti i giovedì spazzolo Lola, rimetto sempre a posto i giocattoli e non litigo con i miei amici.

Ho tanti giocattoli e mamma mi compra quello che mi piace. Ho anche Lola, quindi non ho niente da chiedere per me. Vorrei che regalassi una casa nuova al mio papà. Ha una casa piccola, brutta e l’ascensore puzza un sacco. Non è tanto giusto perché papà è tanto grande, tanto bello e profuma sempre.”

Con un sorriso intenerito Alis girò il foglio.

Mi piaceva quando mi leggeva i libri, perché faceva le voci a tutti i personaggi, ma ora non lo fa più. Non mi porta mai a giocare, non guarda la tv con me, non disegnamo e non posso portare Lola a casa sua. Forse se ha una casa più bella sarà più felice e avrà voglia di fare più cose con me, potremmo giocare anche in casa e giocare con Lola. Puoi regalarne una bella a papà? Se non puoi basta che lo rendi un po’ più felice in un altro modo.

Spero tanto che lo farai.

 

ps. Se vuoi passare da noi, lascio lo stesso i biscotti anche se non porterai nessun pacco.”

 

Beldain allungò il collo per vedere cosa stesse leggendo, ma Alis piegò il foglio e l’intascò rapidamente.

«Lascia stare la tisana. Dobbiamo parlare, accompagnami di sotto.»

«Cosa?»

«Avanti, vieni.»

Beldain posò sul bracciolo della poltrona la tazza che gli aveva portato e lo seguì fuori, giù per le scale anziché in ascensore. Alis aspettò di arrivare al primo pianerottolo, fuori portata anche delle lunghe orecchie di bambini curiosi.

«Bel, tuo figlio si sente trascurato. Non gli dai abbastanza attenzioni.»

«Non lo vedo mai, non mi sorprende.»

«Puoi almeno chiamarlo per salutarlo e chiedergli com’è andata la giornata… come sta Lola, o qualsiasi altra cosa. Quando viene qui lo parcheggi in un ripostiglio triste come un sepolcro, santo cielo.»

«È un ripostiglio, Alis, che posso farci?»

«Non devi essere ricco per renderla accogliente, no? Tutto il pragmatismo e lo spirito d’iniziativa dove li lasci, in macchina o nel cassetto della scrivania? Dagli una mano di vernice colorata, mettigli un lettino vero, una coperta vivace… sgombera qualche scatola e fagli spazio per tenere dei giocattoli o dei colori…»

«Alis.»

«Non gli piace stare qui perché si sente un ospite indesiderato.»

«Ti ha detto così?»

«Con parole sue, ma sì. Ti sente freddo, e come tutti i bambini vuole sentirsi amato.»

«Una parete bianca invece che arancione vuol dire che non amo mio figlio?»

«Degli uomini adulti lo sanno questo, ma lui è un bambino, Bel. Misura il tuo amore con ciò che fai per lui, di materiale e non. Alle storie che gli leggi, alle cose carine che fai per lui.»

Il riferimento alle storie lo prese di sorpresa. Alis pensò che avrebbe incontrato meno resistenza se avesse capito che suo figlio era molto più acuto di quanto credesse, così gli porse la lettera.

«Leggi tu stesso. Forse puoi dare a tuo figlio quello che desidera per Natale.»

Con movimenti incerti, quasi goffi il suo segretario prese la busta e ne tirò fuori il foglio per cominciare a leggere. Man mano che scorreva la grafia sghemba si accigliava sempre di più, finché non girò il foglio e Alis notò gli occhi diventare lucidi e le labbra stringersi. Alla fine ripiegò la lettera, con il pomo d’Adamo che si mosse in modo inusuale.

Alis rimase teso, chiedendosi se non avrebbe visto Beldain piangere per la prima volta. Non accadde.

«Sarai contento, immagino… ti dà ragione su casa mia.»

«Oh, concordiamo anche su quanto tu sia bello e su quanto sia buono il profumo che ti ho regalato, ma non mi pare la cosa importante di questa lettera… posso farti una domanda molto seria, Bel?»

«Quale?»

«Non so nulla di come… beh, di come avete avuto Angelus, né della madre… ci tieni a tuo figlio, o sei solo obbligato a tenerlo ogni tanto?»

«Ma certo che ci tengo! Non mi sono mai, mai tirato indietro con lui. È stata Rose a portarlo via per crescerlo con l’aiuto dei suoi, ma io gli ho scelto il nome. Gli ho dato il mio cognome. Gli ho dato tutto quello che potevo.»

«No, questo non è vero… puoi fare di più. Sei un gran corteggiatore, no?»

«Cosa?»

«Corteggia tuo figlio, lo sai fare… capire che cosa piace alle persone e darglielo… incuriosirle, divertirle, farle sentire desiderate… è questo che devi fare» insistette Alis, sorridendogli per incoraggiarlo. «Se lasci passare troppo tempo lui ti ricorderà gelido… come tu ricordi tuo padre. Vuoi essere come lui?»

«Lo sai che non voglio. Ma mio padre non aveva nessun interesse per me.»

«Ma Angelus pensa la stessa cosa… non vuoi fare niente insieme a lui, o per lui. Quindi ora torna di sopra e corteggialo, hai capito? Le uniche cartucce da risparmiare sono quelle per soli adulti.»

«Oh, Alis, ti prego, per chi mi hai preso? A me piacciono più vecchi, dovresti saperlo.»

«Non ti licenzio per questo commento solo perché è Natale.»

«Così misericordioso, Presidente.»

Alis si fermò davanti alla porta dell’ingresso, sorridendo più convinto.

«Dalla tua faccia tosta direi che stai meglio… passate una bella serata tu e Angelus, d’accordo?»

«Sei… sicuro che vuoi andar via, Alis?»

«Devo andare al party, sono già in ritardo.»

«Ah… sì. Il party… sì, è vero… allora è meglio se vai. Divertiti, ma non guidare se bevi.»

«Non lo faccio mai, Bel.»

Alis si sporse per baciarlo e il suo segretario non si sottrasse, anzi lo trattenne afferrandogli il cappotto quando fece per uscire.

«Io… che programmi hai domani?»

Non ne aveva visto che aveva sperato di passare la notte con Bel, ma decise di non sbilanciarsi.

«Perché me lo chiedi?»

«Pensavo… se non avevi impegni, potevi… unirti a noi. Passare la vigilia con me e Angie.»

«La vigilia è tempo per la famiglia, Bel… e io non c’entro con voi due.»

«Ma tu sei il mio uomo, no? Che male c’è se conosci un po’ meglio mio figlio?»

«Beldain» l’interruppe in tono fermo. «È un po’ irritante che mi consideri il tuo uomo solo quando ti fa comodo e per il resto del tempo sono solo “il tuo preferito”.»

«Ma un marito non è, per significato, l’uomo preferito della moglie? È la stessa cosa.»

Beldain aveva un mezzo sorriso in faccia, ma sbatteva gli occhi un po’ troppo frequentemente. Era nervoso, ed era in assoluto la condizione più rara da vedersi. Alis gli accarezzò la guancia.

«Non mi sto tirando indietro. Voglio conoscere il tuo bellissimo figlio… ma prima deve sentirsi in famiglia con te, e dopo io, che sono la tua famiglia, posso far parte della sua. Andrà tutto liscio, Bel… tieni a mente quello che ti ho detto.»

Beldain lo strinse in un abbraccio serrato, quasi disperato, ma solo per pochi secondi.

«Grazie dell’aiuto, Alis.»

«Ho ripagato il debito di avermi portato la prima volta al club con te?»

«Dovrei fare qualche conto, ma potresti esserci riuscito.»

Alis gli diede un altro bacio, questa volta a stampo sulle labbra.

«Se hai bisogno di qualcosa chiamami… resterò sobrio per rispondere al telefono.»

«Credo che ce la caveremo.»

«Buonanotte, Bel.»

Sorrise al suo dipendente preferito e attese che fosse lui il primo a voltare le spalle per risalire le scale. Aprì la porta e uscì al freddo, con l’aria gelata che gli mordeva il viso. In realtà, conoscendo Beldain come lo conosceva, non era così sicuro che sapesse trattare Angelus da semplice – intelligente, ma semplice – bambino.

   
 
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