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Autore: Helen_Rose    26/12/2022    0 recensioni
Un piccolo omaggio per l'onomastico della nostra amata Stefania Colombo (presto in Sant'Erasmo).
Ho immaginato il periodo natalizio del 1972, quando i loro gemelli avrebbero circa tre anni e Stefania sarebbe incinta di quattro mesi di Eva, in base ai calcoli basati sulla mia fanfiction: "Tu insegnami come si fa ad imparare la felicità."
è una semplice raccolta di momenti familiari, che vanno ad esplorare brevemente il senso di famiglia sia individuale rispettivamente di Marco e Stefania, sia quello che stanno creando insieme.
Secondo la mia versione dei fatti, stanno lasciando Washington per ritrasferirsi definitivamente a Milano, in Italia.
Genere: Comico, Hurt/Comfort, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Natale 1972
 
“Ettore Massimiliano di Sant’Erasmo, fermati immediatamente!” tuona il padre, furente. Sarà almeno la quarta volta in cui lo salva da una commozione cerebrale, a furia di correre dietro alle macchinine nuove. Quel figlio è tanto somigliante a lui ‘mentalmente’, difetti compresi, quanto distante dal punto di vista dell’esuberanza incontenibile che lo contraddistingue, totalmente riconducibile alla madre.
La quale, sempre più divertita dall’inesorabile cocciutaggine con cui il marito s’impegna a ignorare sistematicamente i suoi consigli, ripete per l’ennesima volta: “Cosa ti fa pensare, vista la lunghezza chilometrica del nome completo, che servirtene possa risultare di una qualche utilità, caro ?” *1
Marco si gira di scatto, nient’affatto divertito da quest’ulteriore smacco ai danni della sua credibilità: “Sai, cara …” sottolinea, con lo stesso irriverente sarcasmo inaugurato da Stefania per prendersi gioco di lui, trattandosi del vezzeggiativo passivo-aggressivo per eccellenza cui rarissimamente ricorrono: “Dubito fortemente che saremmo arrivati a domandarcelo, se per una volta mi avessi usato la cortesia di darmi retta, evitando di consegnare ai bambini i rispettivi regali natalizi con eccessivo anticipo.” sentenzia lui, con un sorriso plastico stampato in viso: è paradossale come il ripromettersi di non esporre i propri figli alle discussioni di coppia possa arricchire un vocabolario personale già ampio.
“Vedi, caro …” ribatte lei, seguendo lo stesso identico principio, sotto lo sguardo attonito di Enea Roberto di Sant’Erasmo, che a soli tre anni è già sufficientemente consapevole da squadrare i genitori per l’atteggiamento insolito, passando poi al gemello, con un misto di perplessità e sufficienza.
“Se qualcuno  non fosse talmente intransigente da aver causato al proprio figlio una crisi di pianto in piena regola, non ci sarebbe stato bisogno di tentare di tranquillizzarlo nel modo più automatico.”
“Questo perché qualcun’altra” - sottolinea Marco, ormai senza alcuna remora - “invece di sostenere il dovere morale di abituarlo fin dalla tenera età al fatto che non si possa sempre avere tutto e subito, non perde occasione di assecondare i suoi capricci, per quieto vivere e spirito di compensazione.”
Stefania assume un’espressione indignata volutamente esagerata: “Cosa vorresti insinuare?”
“Tuo padre, ma anche tua zia, non te ne facevano passare una; quindi, siccome Enea è naturalmente ubbidiente proprio come te, cerchi la tua rivalsa tramite Ettore!” calca la mano a propria volta Marco.
Ironizzare sui rispettivi traumi senza scadere nell’insensibilità è un traguardo relazionale notevole.
Raccogliendo la sfida, la moglie si siede tutta impettita, lo invita a fare altrettanto e, solennemente, esordisce: “Cosa commentano Marcello e Rocco, quando ti lamenti perché sono troppo permissiva?”
Il marito inarca un sopracciglio, avendo recepito l’antifona. “Che farebbero volentieri a cambio.”
“Appunto.” conferma, sorniona, prima di elaborare la sua incontrovertibile teoria: “Solo che, a quel punto, mentre i nostri figli sarebbero traumatizzati dalle direttive tue e delle due comandanti, gli altri quattro diventerebbero ingestibili. È in questo, che consiste lo spirito di compensazione… Capisci?”
Di fronte a quei due occhioni neri vispi e sgranati, con annesso sbattimento di ciglia cerbiattesco, Stefania sembra tornare la stessa fanciulla conosciuta dieci anni prima, e Marco la versione di sé stesso che, da un certo momento in poi, non riusciva a connettere granché bene al suo cospetto.
La differenza consiste nel riuscire a tornare al cinico Marco SanSarcasmo *2  - in apparenza, s’intende - ormai con grandi rapidità e facilità, onde evitare di perdere ignobilmente il polso della situazione. Perciò, nell’ordine scuote la testa, sfodera il suo miglior sorriso irriverente e replica, rassegnato: “L’unica cosa che so, è di essermi inspiegabilmente innamorato di una campionessa di persuasione.”
“Ah, inspiegabilmente…” gli fa eco lei, fingendosi imperturbabile.
“Avverbio applicabile anche al tuo non renderti conto che l’educazione dei nostri figli non è propriamente  il campo in cui sarebbe opportuno sfatare il mito per cui gli opposti si attraggono.”
Vedendola confusa, si spiega meglio: “Non sempre due posizioni contrastanti trovano un equilibrio.”
Avendo compreso, lei ribatte, colta nel vivo: “Sai che per me è difficile impormi… Sono così piccoli!”
“Proprio perché lo sono, sarebbe meglio evitare di viziarli a monte.” sostiene lui, irremovibile.
“Lo so; infatti, non ho certo fatto proposte fantasiose… Ho semplicemente anticipato l’inevitabile. E comunque, se ti preoccupa tanto che gli sia stata rovinata la sorpresa, puoi facilmente presupporre che ci siano molti altri regali ad attendere entrambi i gemelli, appena avremo messo piede in patria.”
Lui solleva istintivamente la mano sinistra, stringendo il setto nasale con pollice e indice, nel consueto segno di disappunto. “Come se non avessero un’intera famiglia ad assecondarne i capricci, appunto.”
Stefania è sul punto di scoppiare a ridere. “Ah, già; il rigetto del consumismo: la tappa obbligata dei moderni giovani di buona famiglia.” sentenzia, già paventando uno sbuffo che non tarda ad arrivare.
Tu, Marco di Sant’Erasmo, vorresti farmi credere di aver avuto un’infanzia spartana?” continua a provocarlo lei, divertendosi alquanto nell’antica dinamica giovane idealista - cinico di buona famiglia.
“Ebbene sì, Stefania Colombo.” conferma, improvvisamente serio. “Mia madre era proprio come te.” ricorda, accennando un sorriso. “Ci avrebbe sommersi di regali, e di coccole, solo per vederci felici. Mio padre, invece, non voleva ci ritenessimo privilegiati per nascita e grazie al suo duro lavoro.” Necessita di una pausa: si è appena reso conto di essere molto più simile al padre di quanto avrebbe mai creduto. Soprattutto, a Tancredi! “Ragion per cui ho sempre accettato la sua severità a testa bassa, per poi darmi alla pazza gioia appena è venuto a mancare, facendo impazzire mio fratello e Matilde.” ammette, accennando un sorriso dolceamaro. “Capirai, fosse stato per zia Adelaide, me le avrebbero fatte passare tutte; conosceva perfettamente il cuore spezzato di più nipoti rimasti orfani… E non sia mai che un Sant’Erasmo si faccia scrupoli ad approfittare dei propri privilegi!” la imita, ridendo.
Stefania lo sta ascoltando senza fiatare: soprattutto da quando sono diventati genitori, è sempre più raro che dia liberamente spazio alle proprie emozioni; la sua priorità è sempre prendersi cura di loro.
“Quindi… Cosa ha fatto di te il papà intransigente che conosco?” si attenta a punzecchiarlo, mitigando l’impertinenza con un sorriso, oltre al tono di voce; neppure l’intimità del termine papà  è casuale.
“Matilde.” risponde senza indugio. “Ha sempre saputo come prendermi… E per una donna come lei, abituata da sempre a rimboccarsi le maniche, sarebbe stato impensabile lasciarmi in balia dei vizi.”
Un’altra pausa doverosa, prima di rievocare un’altra spina tuttora sanguinante: “E Umberto. A volte.” Non che il tono concessivo e la precisazione finale volta a minimizzare siano poi così determinanti.
Stefania ricorda sempre con un certo sdegno misto a incredulità come quell’uomo sia stato capace di trattare meglio Marco del suo stesso figlio - stando ai racconti dei veterani del Paradiso - , per poi voltar loro le spalle come forse con Riccardo non ha e non avrebbe mai fatto – infatti, continuano a frequentarsi - , per giunta proprio nel momento in cui avrebbero avuto più bisogno del suo sostegno. E ciò che le dispiace di più è che Marco, indipendentemente dalle incresciose vicende con Adelaide - per quanto le sia affezionato - , avrebbe mantenuto volentieri un rapporto con lo zio acquisito.
È sempre lui a rompere il silenzio, nonché l’imbarazzo: “E poi sarà nel mio DNA, a questo punto.”
Stefania gli rivolge un sorriso intenerito, accarezzandogli il braccio; eppure, non si sarebbe aspettato questo genere di replica, o quantomeno non dovuta alle motivazioni che poi gli darà: “Mi dispiace. Nonostante sappia perfettamente che questo, per te, è un periodo complicato… Subisco il fenomeno per cui, quando qualcosa smette di far male, non si ricorda più cosa si provava quando ciò avveniva.”
“Amore, ma non devi…” tenta di interromperla lui, avendo già intuito dove andrà a parare il discorso.
“E invece sì.” insiste lei, irremovibile. “Proprio io, meglio di chiunque altro, dovrei sapere ciò che si prova durante le festività: desiderare intensamente che non esistano. Ogni dettaglio, persino quello di cui non si conosce la storia, acuisce la mancanza di chi non tornerà mai più… Già è difficile tenerlo a mente nella quotidianità; figurarsi quando si pensa agli amichetti che, una volta tornati a scuola, non faranno altro che elencare tutto ciò che la mamma ha cucinato, i bellissimi giochi costruiti insieme al papà… Io, se ero fortunata, lo vedevo dal 24 al 26 dicembre, prima che ripartisse per viaggi di lavoro.” S’impone di fissare il pavimento: l’alternativa sarebbe lasciarsi andare, e non può né vuole farlo.
“E tu non fai altro che sentirti sola, sbagliata; vorresti stare al posto degli altri, per un giorno solo.”
A questo punto, lo guarda negli occhi. “Ho sentito che quel vuoto iniziava a riempirsi solo quando sono arrivata a Milano. Ma il Natale più bello della mia vita è stato il primo con te e i miei genitori.”
Marco sorride, lusingato; gliel’aveva già confessato all’epoca, ma risentirlo fa sempre un certo effetto.
“E non posso fare a meno di colpevolizzarmi, perché sento il bisogno di sbatterti in faccia tutta questa felicità, cui contribuisci sostanzialmente ma che si basa anche su sensazioni che, purtroppo, tu non…”
La zittisce posando delicatamente l’indice sinistro sulle sue labbra. “Ma io sono felice, grazie a te.”
Invece di sentirsi rassicurata, in questi momenti Stefania avverte un lieve senso di colpa per via del fatto che Marco e i bimbi non sempre le donano quel senso di appagamento totalizzante, misto al senso di responsabilità per essere invece la principale fonte di gioia e amore per suo marito.
Tuttavia, il discorso che segue è più complesso, nonché inaspettato poiché raramente affrontato: “Sposandoti, mi è stata regalata una seconda famiglia, di cui ormai mi sento parte integrante. Senza contare Adelaide, Matilde, Tancredi… Sono nuclei originari sgangherati, i nostri, ma meravigliosi.”
Stefania si lascia scappare una risatina, annuendo. “Fornirebbero materiale per diversi sceneggiati.”
“Soprattutto, amo immensamente te e le parti migliori di noi.” prosegue, determinato a rassicurarla.
Stefania gli accarezza una guancia. “Anch’io. E sai quanto.” rincara, nella più trasparente sincerità.
“Sei tu la mia famiglia, e sento di non aver bisogno di nient’altro quando sono insieme a te, a voi. E prima che le tue paranoie prendano il sopravvento!” la anticipa, con un sorrisetto furbo e accogliente.
“Non provare a convincermi di quanto tu sia ingrata e orribile ed egoista e non all’altezza, te ne prego. Se io fossi una presenza tanto superflua, non avresti mai accettato di stravolgere la tua vita per me.”
“Per noi.” puntualizza lei, grata però che il marito la stimi più di quanto riesca a stimare sé stessa.
“Appunto.” rincara Marco, volendo sottolineare un’ovvietà. “Si tratta della dimostrazione d’amore incondizionato più grande che potessi darmi. Non capisco, quindi, come tu faccia a sentirti colpevole perché avverti il bisogno della vicinanza degli affetti importanti, oltre a noi tre… Anzi, ormai quattro.” Concludendo l’ineccepibile argomentazione, si china verso la pancia appena accennata della moglie per accarezzarla e depositarvi il bacio quotidiano, delicato, tenero, grato e già colmo di aspettative.
Stefania, sopraffatta da tanto amore, gli passa una mano fra i capelli, mentre si godono quell’attimo.
“Quindi, posso ufficialmente gioire perché affronterò il resto della gravidanza e il parto in Italia?”
Marco scoppia a ridere. “Sì, Stefania; ti do il permesso di dare libero sfogo al tuo entusiasmo.”
“Anche se…” obietta, gustandosi l’impazienza di lui durante quella breve pausa tattica. “Un po’ mi dispiace, che non crescano più bilingui… Bisognerà trovare una soluzione, appena tornati a Milano.”
“Certo.” conferma Marco, tirando mentalmente un sospiro di sollievo per aver - momentaneamente – scampato la crisi esistenziale della moglie incinta, con già due figli a carico e un lavoro impegnativo.
“Vuoi che, al bisogno, zia Adelaide non scomodi i migliori precettori del regno ?” calca, ottenendo l’effetto desiderato, ovvero di suscitarne le risa. “Certo, non sarà mai come vivere qui tutto l’anno.”
“Ci saranno episodi divertenti di code-mixing, questo è poco ma sicuro.” commenta Stefania.
“Si dice cod micsing , mummy! Not missing.” la rimbecca immediatamente Enea, dando piena dimostrazione di un fenomeno già in atto, oltre al consolidamento della tendenza automatica a correggere l’inglese imperfetto di Stefania, anche se solo a livello di orecchio, di pronuncia, di resa *3. I loro figli non sono certo bambini prodigio; ma visto il bilinguismo in cui sono nati e sicuramente cresceranno, il lavoro dei genitori interamente improntato sulla parola, e la buona dose d’intuito di cui sono dotati per natura, certi impulsi vengono involontariamente allenati dalle difficoltà materne.
“Grazie, amore.” si sforza di rispondere l’alunna sotto esame, sotto lo sguardo divertito del marito.
“Effettivamente, qui l’unica cosa missing  è la mia rapidità nell’apprendimento. Da anni. Mi arrendo.”
“Non dire così!” si sforza di incoraggiarla Marco. “Hai fatto progressi incredibili, rispetto all’inizio.”
“Quando speravo di portare avanti una conversazione con le parole movie, star e make. ‘Una carriera sfolgorante’, direbbe tua zia!” Il vero talento di Stefania consiste nell’autoflagellarsi e autosabotarsi.
Notando che Marco sta visibilmente trattenendosi dal ridere, le bastano pochi secondi per arrivarci: “Irene! Questa me la paga!” minaccia, già pregustando come la metterà in atto tra pochi giorni.
“Intanto, mi concentrerei sull’organizzazione del trasloco.” puntualizza lui, come se le avesse letto nel pensiero; nel frattempo, dirige un: ‘Saputello invadente, proprio come la madre!’ a Enea, dandogli un buffetto sulla guancia; soprattutto, impedisce a Ettore di perdere la vista tramite uno spigolo insidioso.
“Ma caro …” protesta Stefania, sperando di cavarsela: “Pensavo ricordassi che sono incinta.”
Marco inarca un sopracciglio. “Di quattro mesi. Non ricordo si sia parlato di gravidanza a rischio.”
“E tu vorresti sperimentare sulla pelle delle tue fanciulle?” rincara lei, volutamente melodrammatica.
“Mi piacerebbe proprio sapere cosa ti dia la certezza che stavolta sia femmina.” la rimbecca lui.
“Il non voler approfittare, appena dopo due anni, della legge sul divorzio; sfidando il giudizio della gente per averti abbandonato con tre maschi ancora in tenera età.” Sta scherzando, ma solo in parte.
“E tu lasceresti le tue creature in balia di questo imbranato?” supplica lui, ben sapendo che, in realtà, occupandosi dei gemelli gli risparmia l’incombenza maggiore. Per quanto sarebbe presuntuoso, da parte sua, negare di essere ancora quel ragazzo che soccombeva al peso di uno scatolone di riviste.
“Pensavo avessi stabilito che rischio di renderli dei rammolliti; lascerei a te gli oneri e gli onori.”
“Ma io, senza la mia complice, mi sento perso.” ricorda Clyde alla sua innamoratissima Bonnie.
-
Note:
*1  Al di là della considerazione universalmente riconosciuta per cui richiamare i figli col nome intero è indice di collera e solennità insieme; il principio per cui, tempo che il nome lunghissimo sia stato pronunciato per intero, il disastro potrebbe essersi già verificato, è una citazione di Massimo Troisi (Ricomincio da tre ; ovviamente, il film è del 1981, ovvero 10 anni dopo questa ambientazione).
*2  Si veda la nota *3  della mia fanfiction ‘I hate the way’.
*Mi hanno divertita molto gli aneddoti sulla famiglia della Principessa Grace di Monaco: avendo dovuto imparare il francese in età adulta, indubbiamente aveva più difficoltà rispetto ai figli che stavano crescendo bilingui, i quali solevano correggerla quando sbagliava, in un clima scherzoso.
 
   
 
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