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Autore: Anna Santos    31/12/2022    0 recensioni
Questa volta mi risvegliai con la sensazione che qualcosa di pesante mi gravasse sullo stomaco, e infatti, non appena aprii gli occhi, mi ritrovai Seven seduto tranquillamente sull’addome, che mi scrutava con uno sguardo sbilenco ed interrogativo insieme.
Ero nella mia stanza, nel mio letto, con Viola e Margherita che ancora dormivano appese alle travi del soffitto ed Edera che aveva allungato ancora di più i suoi arbusti, conquistando ormai quasi mezza cucina.
“Ehi, Seven…mi sei mancato!” Dichiarai, prendendo il mio piccolo amico rettile in braccio e sistemandolo accanto a me, nel letto.
Avevo addosso i miei soliti vestiti e attorno a me non c’era nessun indizio che indicasse che quello che era accaduto fosse reale.
“Era solo un sogno…!” Pensai, provando un terribile senso di vuoto e alzandomi dal letto con la stessa voglia che ha un albero di farsi abbattere.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Crocodile
Note: AU, Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
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SOGNO O REALTA’
EVA
Mi svegliai con la sensazione che qualcosa di caldo e umido mi stesse accarezzando su e giù lungo i margini del taglio che i Figli del Caos mi avevano fatto sul palmo della mano sinistra. Mi avevano causato quella ferita per essere sicuri che nelle mie vene scorresse linfa di Ent, invece che sangue umano. Durante il loro attacco, avevo perso i sensi, mentre la vita mi scorreva letteralmente via dalle mani e la terra, tremando, minacciava di aprirsi sotto di me e di inghiottirmi. Tuttavia, niente di quello che mi era successo negli ultimi giorni, sarebbe stato capace di prepararmi a quello che vidi non appena riaprii gli occhi.
Un animale enorme, di fattezze simile ad un coccodrillo, ma lungo più di quaranta metri e alto quanto un carro privo di merci, teneva la punta del suo muso arrotondato contro il palmo della mia mano e con la sua gigantesca lingua viola, contornata da denti bianchi ed aguzzi, mi leccava la ferita ancora semi aperta e la pelle circostante tumefatta.
A differenza di quello che con buone probabilità era un suo lontano cugino, la singolare creatura davanti a me aveva la pelle dorata, con squame curvilinee, inspessita lungo l’alto dorso da due file di scaglie affilate, e sulla fronte una protuberanza a forma di mezza luna, o almeno così mi sembrava.
Mentre osservavo quell’essere misterioso, mi resi conto di trovarmi distesa su un letto a pancia in giù, con un alto baldacchino porpora a fare da sentinella sopra di me e un mare di cuscini di seta di diversi colori attorno a me. Le sponde del letto erano in legno scuro e lucido, riccamente lavorate con motivi floreali e animali dai corpi allungati, e a rivestire il letto c’era una lunga coperta color vinaccio.
Senza nemmeno rendermene conto, chiusi leggermente la mano e la ritirai indietro involontariamente, ma il mio nuovo amico squamato non gradì la cosa: aveva capito che qualcosa stava cambiando e che il gioco forse era finito, così sollevò il muso e mi guardò con disappunto.
“Buongiorno!” Gli dissi sorridendo, con un filo di voce.
“Grazie per esserti preso cura della mia mano.” Continuai, accarezzandogli il naso ruvido.
Sono sicura che una creatura come quella non fosse un pacifico animale da compagnia e anche l’occhiataccia che mi aveva lanciato prima non era stata per nulla rassicurante, ciò nonostante, non avevo paura di lui, mi sentivo stranamente al sicuro, sebbene in un posto completamente sconosciuto e dall’aspetto singolare.
Mi misi a sedere, mentre il coccodrillo gigante mi annunciava di aver perso ogni interesse verso di me, spalancando la sua bocca piena di denti affilati e schioccando la sua lunga coda.
Mi accorsi di non indossare più i miei vestiti, ma un lungo abito di seta bianca, senza maniche e con riflessi rosati, aveva la parte superiore plissettata, mentre la gonna scendeva liscia e leggermente aderente dalla parte inferiore del seno fino ai piedi.
Poi la mia attenzione fu catturata dalla stanza in cui mi trovavo, dire che era lussuosa era poco, l’intera camera era un susseguirsi di arredamenti in oro e marmo, racchiusi tra pareti color porpora, decorate con disegni damascati in oro, e alte finestre da cui si affacciavano pesanti tende viola scuro.
Non avevo mai visto niente del genere, ma quello che mi colpì di più fu l’immenso specchio sistemato proprio di fronte al letto. Era alto quasi quanto la prua di una nave, ma non aveva nessuna particolare decorazione, e, grazie alla luce che sprigionava, era in grado di mostrare ciò che c’era alle mie spalle: due porte nere con rifiniture e maniglie in argento, sormontate da due mostre a forma di angeli addormentati.
Fu attraverso i suoi riflessi che vidi arrivare come un ombra, il mio salvatore o il mio carceriere.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
CROCODILE
Le avevo lasciato il tempo di riprendersi e di capire cosa le fosse successo.
Quando entrai nella stanza, era già sveglia, seduta in mezzo al letto, con la schiena dritta rivolta verso di me. Gustave dormiva al suo fianco, sul tappeto, ma non appena mi sentì entrare si svegliò e guardò nella mia direzione, rantolando e muovendo la coda come un frusta.
Anche la ragazza si girò per capire finalmente chi fossi, dopo avermi scrutato a lungo nel riflesso dello specchio e, dallo sguardo che mi dedicò, capii che mi aveva riconosciuto subito.
Rimase in silenzio per un tempo che mi parve infinito, con gli occhi fissi su di me e le mani immerse nelle lenzuola. Mantenni una certa distanza per non farla sentire in trappola o peggio ancora in pericolo, conoscevo bene la mia fama, l’avevo costruita nel corso di lunghi anni, eppure in lei non c’era nulla che somigliasse alla paura.
“Sir Crocodile…”. Pronunciò il mio nome con una voce chiara e pura come l’acqua, che in quel momento dimenticai di odiare.
Che cosa mi avesse spinto a salvarla dalle mani dei Figli del Caos resta ancora un mistero. Prima di incontrarla, non mi era mai successo di preoccuparmi di un altro essere vivente, all’infuori di me.
Combatto da quando ho memoria: per sopravvivere, per raggiungere i miei obiettivi, per rimanere padrone di me stesso e del mio mondo, travolgendo ed eliminando dalla mia strada qualsiasi ostacolo mi trovassi davanti.
Con la stessa violenza di una tempesta che spazza via mezzo deserto, ho affrontato i miei nemici, senza alcuno scrupolo o ripensamento. Il mio potere è cresciuto di giorno in giorno, insieme alle mie ambizioni e al mio disprezzo per il mondo, alimentato dalla mia volontà e dalle paura di coloro che non erano in grado di contenerlo, ma mai avrei pensato che un giorno me ne sarei servito per difendere qualcuno.
Tuttavia, quella ragazza aveva risvegliato qualcosa di sconosciuto nel mio animo, e forse anche qualcosa di più.
Nel dirigermi verso di lei, passai accanto a Gustave e posai la mano sulle sue scaglie dorsali.
“Immagino che ritrovare un creatura dal genere al tuo fianco, non appena sveglia, non sia una cosa che ti capita tutti i giorni.” Le dissi, guardandola dritta negli occhi, con un mezzo sorriso.
“Non avevo mai visto un animale come lui prima d’ora.” Replicò lei sorridendomi. “È bellissimo.”
“Era qui per sorvegliarmi?” Mi chiese, abbassando lo sguardo.
Io la fissai ancora per qualche momento.
“Per proteggerti, non per sorvegliarti.” 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
EVA
Sentire le sue ultime parole fu come accendermi un fuoco dentro, che dallo stomaco si propagò in ogni parte del mio corpo. Non riuscii a dire subito qualcosa, mi limitai a guardarlo mentre si avvicinava a me.
Era alto, davvero molto alto, da togliere il fiato. Aveva addosso un elegante cappotto nero con il collo di pelliccia, che sottolineava ancora di più l’imponenza della sua figura, e da sotto indossava un completo con gilet e pantaloni neri, una camicia dello stesso colore e al collo una sciarpa di seta verde chiaro.
Si appoggiò ad una delle colonne del baldacchino, con lo sguardo su di me, e avvicinò la sua mano alla mia. Fece per prenderla, ma poi si fermò di colpo. Aveva una strana luce negli occhi, mi stava forse chiedendo il permesso di toccarmi?
Misi la mia mano nella sua. Lui la girò dalla parte dal palmo, e dopo averla osservata per qualche istante, la avvicinò alla bocca e la baciò, proprio sui margini della ferita.
Dal fuoco di prima passai ad una sensazione di freddo glaciale, avevo brividi in tutto il corpo, mentre nello stomaco avvertii un senso di vuoto e nelle orecchie sentii il battito di 1.000 cuori.
“Grazie per avermi salvata.” Balbettai, abbassando lo sguardo per evitare che vedesse che ero diventata rossa come il sangue.
Lui continuò a tenere la mia mano nella sua.
I Figli del Caos.” Disse con una voce sarcastica e divertita allo stesso tempo, cercando di dissimulare una falsa indifferenza, che però venne tradita dalle ultime parole, sibilate tra i denti.
Alzai il viso verso di lui: il suo sguardo era diventato improvvisamente torvo.
“È meno grave di quello che sembra.” Minimizzai.
Improvvisamente ebbi paura, paura che quanto accaduto potesse portarlo a tornare quello che era.
“Vi prego…” Dissi, sporgendomi, in avanti, verso di lui, ma non fu una buona idea.
La testa iniziò a girarmi e intorno a me ogni cosa divenne di colpo sfocata, come se fosse stata immersa all’improvviso in una nebbia molto densa o avvolta in una tormenta di sabbia.
Sarei sicuramente caduta a terra in malo modo, se lui non mi avesse presa al volo con il suo braccio e stretta a sé. Adesso eravamo vicinissimi, i nostri profili erano divisi solo dallo spazio di un respiro.
Avrei voluto perdermi completamente nel deserto dorato dei suoi occhi e scoprire il segreto seppellito dentro di loro, ma mi sentivo troppo debole. E alla fine, senza che lo volessi, persi di nuovo i sensi, non prima però di aver sentito il suo abbraccio diventare più forte attorno a me e le sue labbra calde sfiorare le mie.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
CROCODILE
Le sue labbra avevano lo stesso sapore del miele selvatico, erano dolci, come le sue lacrime prive di sale.
Si addormentò, abbandonandosi completamente e appoggiando la sua fronte sulla mia spalla.
Potevo sentire il profumo dell’ebano sprigionarsi da lei e il calore del suo corpo vibrare contro di me, come una musica.
Sorrisi.
“Non credevo che si potessero incontrare angeli all’inferno.”
Gustave ringhiò, sembrava quasi che si stesse chiedendo il perché di quel comportamento, e anche io, a dire il vero, avrei voluto sapere cosa mi stava accadendo.
Una semplice fioraia, apparsa dal nulla e senza alcun particolare talento, niente di più di una ragazzina, era riuscita a mettere in discussione le mie priorità e a costringermi a scendere in campo per salvarle la vita.
Una sola occhiata al taglio che le avevano fatto poi era stato in grado di farmi perdere per un istante la calma e di accendermi di rabbia.
Con l’uncino sollevai il suo viso verso l’alto.
Mi era stranamente familiare, forse ci eravamo già conosciuti in un’altra vita, in un mondo in cui avremmo potuto anche essere felici insieme.
Era bellissima, ma anche indifesa: potevo fare di lei qualsiasi cosa volessi in quel momento, anche privarla della sua linfa vitale e vederla diventare una statua di cenere.
Ma a che scopo?
Solo per provare cosa fosse la follia e causarmi della nuove ferite ancora più letali e profonde?
In realtà desideravo solo tenerla ancora accanto a me, ascoltare il suo respiro e sentire le sue mani fare da ponte tra il suo petto ed il mio.
La rimisi a letto e mi fermai a guardarla riposare ancora per qualche istante, prima di lasciarla andar via.
 
 
 
EVA
Questa volta mi risvegliai con la sensazione che qualcosa di pesante mi gravasse sullo stomaco, e infatti, non appena aprii gli occhi, mi ritrovai Seven seduto tranquillamente sull’addome, che mi scrutava con uno sguardo sbilenco ed interrogativo insieme.
Ero nella mia stanza, nel mio letto, con Viola e Margherita che ancora dormivano appese alle travi del soffitto ed Edera che aveva allungato ancora di più i suoi arbusti, conquistando ormai quasi mezza cucina.
“Ehi, Seven…mi sei mancato!” Dichiarai, prendendo il mio piccolo amico rettile in braccio e sistemandolo accanto a me, nel letto.
Avevo addosso i miei soliti vestiti e attorno a me non c’era nessun indizio che indicasse che quello che era accaduto fosse reale.
“Era solo un sogno…!” Pensai, provando un terribile senso di vuoto e alzandomi dal letto con la stessa voglia che ha un albero di farsi abbattere.
Mi diressi in cucina, facendomi largo tra le foglie di Edera e i mille pensieri che stavano affollando la mia testa.
“Ora di colazione, Seven: per te, salmone fresco, e per me, un barile di acqua ghiacciata.” Dissi con un nodo alla gola.
Stavo iniziando già ad intravedere i profili dei fornelli in mezzo a quella foresta in miniatura, quando Seven emise un verso alto e stridulo, simile ad un richiamo.
“Seven…ti prego…” Mi voltai verso di lui leggermente stordita e più triste di quanto credessi, e fu allora che la vidi: disteso beatamente su un cuscino, il mio coccodrillo da compagnia stringeva tra le sue zampe un sciarpa di seta di colore verde chiaro.
   
 
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