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Autore: Black Beauty    01/01/2023    4 recensioni
Dopo essere stata colpita dalla maledizione di Molly Weasley, Bellatrix si risveglia nel Limbo. Lì, riceve una visita inaspettata e le viene offerta una scelta.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Silente, Bellatrix Lestrange, Voldemort | Coppie: Bellatrix/Voldemort
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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L’ULTIMA CUSTODE (DELLA SUA ANIMA)

 

 

Amor, ch’a nullo amato amar perdona,

mi prese del costui piacer sì forte,

che, come vedi, ancor non m’abbandona.

(Inferno, canto V)

 

 

La luce accecante fu la prima cosa che vide quando aprì gli occhi. Era distesa supina su una superficie solida, di questo era certa. Si sentiva come se si fosse appena svegliata da un lungo sonno. Una parte del suo cervello le disse che avrebbe dovuto essere esausta, che fino a poco prima il suo cuore aveva pompato sangue, imbizzarrito, e che ogni suo singolo muscolo aveva bruciato. Chissà come mai, poi.

Mi chiamo Bellatrix Lestrange.

Passò una manciata di secondi, o forse anni, ma il pensiero le trapassò l’anima come un fulmine a ciel sereno. 

E sono morta.

Parte di lei era convinta che la consapevolezza di una tal cosa l’avrebbe distrutta, che il livore le avrebbe azzannato le viscere, ma così non fu. Accettò la notizia con una placidità che non aveva mai posseduto in vita. Si tirò su mollemente; era immersa in una foschia lattiginosa, priva di temperatura e apparentemente infinita. Appena mosse un passo, questa iniziò a prendere consistenza, l’ambiente le si profilava intorno man mano che si incamminava e, parallelamente, le si schiarivano anche i pensieri. 

Ricordava la battaglia come se fosse stata la vita di qualcun altro - il fumo, le urla, l’odore del sangue. La donnetta dai capelli rossi che l’aveva battuta. L’urlo. Il cuore le avrebbe smesso di battere, se ancora ne avesse avuto uno. Era come se una lama l’avesse trafitta nel petto, gelida e affilata, seguita da una colata di miele, da un sapore dolcissimo sotto la lingua: il Signore Oscuro l’aveva vista cadere. Aveva urlato di dolore e disperazione, aveva tentato di vendicarla. 

La quantità di pensieri che le investirono la mente nei nanosecondi successivi fu abbastanza da farle girare la testa: il Signore Oscuro era immortale, quindi non l’avrebbe rivisto mai più. Lei, patetica serva, che aveva consacrato la sua vita a Lui, lei che sarebbe dovuta essere la sua regina, era morta a due passi dalla vittoria. Ma Lui aveva urlato. Era stata la fine che aveva sempre voluto: con la bacchetta in mano, servendo Lui e la Causa. E Lui aveva urlato. Era fatta ormai, con o senza di lei, Lui avrebbe vinto. Aveva compiuto il suo dovere, lo aveva accompagnato fino alla vittoria. Non avrebbe mai visto il nuovo mondo, tutto ciò che aveva lottato per costruire. Le si appannò la vista e si sentì mancare dal dolore. Andava bene così. Non importava. Aveva mantenuto la sua promessa, era stata l’unica fedele. 

E allora perché la terra le mancava sotto i piedi, perché sentiva una pressione insostenibile dietro agli occhi? Perché lottava contro lacrime bollenti? Cosa poteva desiderare di più? 

Perché era stata così debole? Perché lo aveva deluso così? La sua migliore Mangiamorte, l’unica, la più fedele - come aveva potuto morire? Lasciarlo da solo?

Ma Lui non aveva più bisogno di lei, ormai.

Alzò lo sguardo, cercando di ricacciare indietro il pianto, e constatò che la nebbia si era finalmente concretizzata. Sapeva dove si trovava - e anche quello le spezzò il fiato in gola, perché quel roseto, quel prato curato, quella facciata Settecentesca li conosceva benissimo.

Villa Black era stata disgustosamente ipotecata molti anni addietro, ma prima di essere un mucchio di galeoni nella camera blindata della sua famiglia, o una riga d’inchiostro sulle pergamene del catasto, era stata la casa della sua infanzia. Sua e delle sue sorelle.

Non riusciva a sentire nemmeno i suoi passi sulla ghiaia del vialetto, mentre si avviava verso la casa. Aveva un’infinità di domande e nessuno a cui rivolgerle. 

Cosa dovrei fare ora? Dove devo andare? Sarò sola per sempre? 

Ripensò con dolore al Signore Oscuro, a Narcissa. A Rodolphus, che l’aveva seguita tra le pagine della Storia, che le era rimasto accanto durante due guerre, con cui aveva suo malgrado condiviso una vita - dall’infanzia passata a rincorrersi nei giardini di quella stessa villa, all’età adulta passata da soldati sul campo di battaglia e amanti tra le lenzuola, passando per Azkaban, l’inferno in terra. Una risata le si fece strada nella gola e le sgorgò prepotentemente dalle labbra, il primo vero suono che quel posto aveva mai udito: se c’era effettivamente un Disegno, certo non avrebbe saputo dove mandarla - lei all’inferno c’era già stata. 

Posso tornare indietro?

Desiderò ardentemente parlare con qualcuno, magari una persona con delle risposte. Ma l’unico che nella vita gliene aveva date, la sua guida, il suo mentore, era rimasto al di là. Insieme ai pochi di cui le fosse mai importato qualcosa. Era sola.

Era arrivata quasi a metà del vialetto quando sentì una voce schiarirsi cortesemente dietro di lei. Si voltò di scatto e la mano le volò ad afferrare la bacchetta, solo che questa non era più al suo posto. Anzi, il suo cervello era pienamente consapevole che non c’era proprio più.

«Temo che non la troverai, Bellatrix». La voce di Albus Silente era la stessa che il vecchio aveva avuto in vita, uguale per timbro ed intonazione. Si rivolgeva a lei educatamente, ma del tutto privo dell’affetto o della simpatia che permeava le interazioni con tanti altri suoi studenti.

«Silente. Che ci fai tu- lei, qui?» Cercò di essere brusca, ma il suo tono era per lo più curioso.

«Non lo so» le rispose, placido. «Dovresti dirmelo tu. Se dovessi avanzare una supposizione, direi che mi hai richiamato a te, che hai desiderato, se non proprio me, qualcuno con le mie qualità».

Bella rimase in silenzio per un istante, soppesandolo. «Volevo parlare con qualcuno che avesse delle risposte, che sapesse cosa mi sta succedendo».

«E chi meglio di un tuo ex professore, in mancanza di Voldemort, dico bene?»

Bellatrix strinse entrambi i pugni, di colpo incollerita. «Non osare, Silente».

Il tono dell’uomo non fu affatto dolce quando le rispose: «Ma io oso, Bellatrix. Osavo in vita e oso a maggior ragione adesso che non c’è alcun motivo di non chiamare le cose con il loro nome. Capirai ben presto che la maggior parte delle cose della vita perdono di significato in questo posto. La maggior parte delle relazioni che esistevano in vita non sono di nessun conto, figurati parole, pensieri, prese di posizione… Quello era il nome che si era scelto e quello è il nome con cui lo chiamerò».

Bellatrix fissò lo stregone, stretto nella sua veste vermiglia ricamata d’argento. Era il ritratto della pacatezza e dell’ordine, al contrario di lei che indossava ancora il vestito della battaglia. Avrebbe voluto odiarlo, avrebbe dovuto odiarlo, lo aveva fatto per una vita. Ma il sentimento le usciva ovattato ora; più che odio era fastidio.

«Forse la tua mente mi ritiene semplicemente ben informato» proseguì lui, con tono leggero.

Non seppe da dove le uscì la frase successiva, ma non si pentì di averla pronunciata: «Lei conosceva il Signore Oscuro, prima che fosse…»  

Si bloccò, perché non sapeva bene cosa dire, ma sul viso di Silente apparve comunque un sorrisetto d’intesa. 

«Conoscevo l’uomo prima di Lord Voldemort. E sono l’unico disposto a parlartene, ora che non può più farti nulla se deciderai di scoprire i suoi segreti».

«Accetterei volentieri qualsiasi punizione il Signore Oscuro decidesse di affibbiarmi, persino qui» disse lei, alzando il mento in un gesto di sfida.

Silente la guardò con qualcosa che le parve compassione e forse stupore: «Non ho mai pensato che fosse possibile, ma evidentemente mi sbagliavo: lo amavi, non è così?»

«L’amore non esiste, Silente. Lo ammiravo. Lo rispettavo come il mago più potente che il mondo abbia mai visto». Erano le stesse parole che aveva ripetuto tante volte in vita, ricamate sulle labbra e nella mente. 

«È quello che ti ha detto lui, quando hai provato a confessarglielo?»

Bellatrix non rispose.

Intanto avevano ripreso a camminare lungo il vialetto, ora fianco a fianco, verso la grande villa, costeggiando giardini curati delimitati da siepi basse. Tutto era esattamente come se lo ricordava, seppur desaturato e inodore.

«Cosa mi succederà adesso? Potrei tornare indietro, se volessi? Ritornare da lui?»

Silente la fissò da sopra agli occhiali a mezzaluna. «Teoricamente, potresti. Ma non lo farai».

«Che cosa ne sai di quello che farò io, Silente?» disse, secca, passando per un attimo al tu

Non sapeva nemmeno bene come rivolgersi a lui; erano passati anni, decenni, da quando si erano parlati per l’ultima volta. Certo, le sembrava di conoscerlo quasi intimamente, tanta era stata l’ossessione del suo Signore per Silente in alcuni periodi della sua vita. Lo stregone di fronte a lei era stato l’argomento di molteplici discorsi e discussioni, ma si rese conto che al di fuori del campo di battaglia non si vedevano da tanto tempo. Forse da quando era stata una sua studentessa. 

«Suvvia, signorina Black, sei più consapevole di così». Le fece lo stesso sorriso indulgente che le aveva sempre rivolto a lezione, quando cercava di farla arrivare alla risposta corretta attraverso il ragionamento o quando le correggeva un movimento della bacchetta. 

«Se tornassi, non sarei nient’altro che un fantasma, una pallida imitazione di ciò che ero in vita. Non potrei servirlo in alcun modo, lui- lui mi guarderebbe con sufficienza, perché sarei debole e senza bacchetta». 

«Sì, temo proprio che sarebbe così. Voldemort non ha mai avuto rispetto di chi riteneva debole. Inoltre, ha sempre temuto i morti». Lo sguardo di Silente si fece penetrante. «Non mi pare, poi, che tu abbia lasciato qualcosa di incompiuto».

«No, io- Cissy e Rod sono ancora lì».

«La mancanza dei tuoi cari non basta per riportarti sulla Terra. E purtroppo o per fortuna saranno qui anche loro prima di quanto tu possa credere. No, io credo che la tua anima sia in pace… non credo tu senta il richiamo dell’altro lato».

Proseguirono ancora. Bellatrix non se lo ricordava così interminabile il vialetto di Villa Black. A dire il vero, riflettendoci, le sembrava che la casa rimanesse sempre alla stessa distanza e lei, persa nel discorso, non ci aveva fatto caso. 

«Perché non riusciamo ad avvicinarci? Perché non riusciamo ad entrare? La vede anche lei?» fece, riferendosi alla villa. 

«Temo di non sapere bene dove siamo, mia cara. Dopotutto, sei tu la protagonista, qui».

Bellatrix si schiarì la voce. Stranamente, la cosa aveva senso nella sua testa. Perciò iniziò a descrivere: «Siamo a Villa Black, nello Yorkshire, era la casa dei miei genitori, ci vivevo da ragazza. Ora non è più della nostra famiglia. Dietro di noi c’è il cancello; sono venuta da lì, credo. Io e lei stiamo camminando lungo il viale principale, quello che porta al grande ingresso. Solo che non riusciamo ad avvicinarci». 

«Capisco». Silente parve rifletterci un secondo. «Forse non riusciamo a raggiungerla perché non è lì che devi andare. Dopotutto, la via di uscita è dietro di noi».

Le sembrava tutto così paradossale. Certo che la morte era strana. Non riusciva a capacitarsi del fatto che stesse chiacchierando con Albus Silente in persona, quando avrebbe dovuto saltargli al collo e far rotolare la sua testa sul selciato. Ma quello era già successo, nella vita precedente, il vecchio era già morto, quindi che senso avrebbe avuto?

«Lui non ci sarà, vero? Ha sconfitto la morte, quindi non ci sarà».

Lo sguardo di Silente si fece duro. «No, Voldemort non ci sarà. Ma non per i motivi che pensi tu». 

Proseguì senza darle il tempo di ribattere: «Lord Voldemort, nella sua follia e nella sua ferocia, ha compiuto atti contro natura, delle brutture che mai il mondo aveva visto fin ora. Ha sconvolto l’ordine delle cose, con evidenti risultati sulla sua stessa anima, che ora è stata quasi interamente distrutta. Si è deturpato oltre il punto di non ritorno e questo gli impedirà di raggiungerci, quando morirà».

«Lui non morirà!» Bellatrix si era fermata di colpo, parlando a voce un po’ troppo alta. Sembrava offesa dall’idea, ma un osservatore attento avrebbe scorto il terrore nelle sue parole. «Lui si è spinto oltre i limiti della magia, ha fatto cose che nessuno aveva fatto prima!»

Silente la trafisse con quei suoi occhi luminosi, che avevano il potere di incollare chiunque al pavimento. «Si è spinto oltre chiunque altro in alcuni campi della magia; in altri è rimasto sempre profondamente ignorante. La magia oscura ha un prezzo, come lui ti ha certamente insegnato, e averla praticata a quei livelli in vita comporterà una pena persino nella morte. Lord Voldemort ha diviso la sua anima, non una volta, ma sette-»

«Horcrux» lo interruppe lei in un sussurro.

Silente ammutolì e la guardò stupefatto. Bellatrix fremette dalla soddisfazione per essere riuscita, nonostante tutto, a sconvolgerlo. «Te lo ha detto?» disse, incredulo. 

«No» mormorò la donna. «No, lui non me ne ha mai parlato. Erano il suo più grande segreto, credo». Vide il suo ex professore annuire, continuando a guardarla come se la stesse vedendo per la prima volta. La cosa la riempì di audacia. 

«Ma io lo sapevo! L’Oscuro Signore disse a noi del Cerchio che aveva piegato la morte, ne aveva parlato tante volte. Ho provato a chiedergli come, ma lui non me l’ha mai voluto rivelare, quindi ho condotto da sola le mie indagini». L’orgoglio le incrinava la voce, sembrava una streghetta che legge ai genitori il primo tema di Trasfigurazione in cui ha preso “Eccezionale”. 

«Quando era il mio maestro di Arti Oscure mi aveva mostrato anche come si conducono ricerche sul campo: a chi domandare cosa, dove reperire i giusti libri, dove ancora oggi si nascondono streghe e stregoni che vivono come un tempo, che custodiscono gli antichi segreti… e io sono pur sempre una Black, una Lestrange! Mi ci volle un po’ di tempo, un po’ di persuasione - e lei sa, professore, che so usare le maniere forti per ottenere ciò che devo» (A questo, Silente le rivolse uno sguardo disgustato) «Ma poi saltò fuori il nome. Horcrux. Certo, nessuno mi disse mai in cosa consisteva il rituale, e non riuscii mai a capire come avesse fatto a farne ben sei, ma sapevo che era ciò a cui puntava. E poi-» La voce le si ruppe dall’emozione al ricordo.

«Un giorno, prima di quella maledetta notte di Samhain, mi chiamò a sé e mi diede una coppa. Mi disse che era incantata e che avrei dovuto custodirla con la mia stessa vita, se necessario. Me la mise in mano e io capii subito, perché la firma magica di quell’oggetto… Mi aveva messo tra le mani la sua stessa anima!»

Si fermò. Non era necessario che gli raccontasse cos’era successo anni dopo, cosa ne era stato della Coppa - anche perché era convinta che se Potter e i suoi maledetti amichetti l’avevano trafugata, l’ordine doveva in qualche modo essere venuto dall’uomo davanti a lei. 

«Sei sempre stata una studentessa dotata, non c’è che dire». Nella bocca di Albus Silente non suonava come un complimento. Era chiaro che disapprovasse di lei. 

Ma che ne sa? Esattamente come tutti gli altri, non capisce. 

Lei scoppiò in una risata: «Ti disgusto tanto, professore?» gli domandò, non senza una punta di scherno. 

Silente la guardò e c’era un misto strano di emozioni nei suoi occhi. «Mi fai tanta pena, Bellatrix. Eppure, capisco quello che provi. Ti capisco più di quanto non credi, forse è per questo che non riesco ad odiarti come meriti- come meritano i tuoi crimini».

«Allora è vero quello che hanno detto di lei, dopo la sua morte?» Nei giorni in cui era stata rinchiusa in casa aveva passato ore nella biblioteca di Villa Malfoy, e per quanto si fosse generalmente dedicata a ben altre letture, non aveva potuto non notare la copertina verde acido di Vita e Menzogne di Albus Silente. Tutti non facevano altro che parlarne, anche tra i Mangiamorte, tanto che il Signore Oscuro in persona si era interessato al presunto legame tra Silente e Gellert Grindelwald

«Oh, sì. Temo di sì. Non ci avevo mai pensato, ma suppongo che tu possa capirmi meglio di chiunque altro: mi trovavo perso durante quello che doveva essere il periodo migliore della mia vita. Mi ritrovavo costretto in casa e annullato proprio dopo aver preso il diploma a pieni voti, con una famiglia che non mi capiva e tutte le mie ambizioni annichilite». Si fissarono per un istante. Bellatrix capiva - oh, se capiva! Era stato lo stesso per lei, ritrovatasi costretta in una noiosa vita da donna purosangue, rinchiusa in casa in attesa di prendere marito, lei che avrebbe voluto viaggiare per il mondo e continuare a studiare la magia. 

«Poi arrivò lui. Ed era così dotato, così affascinante, così pieno di progetti. Al contrario di me, sapeva perfettamente cosa voleva dalla vita: un mondo migliore, con i Babbani al loro legittimo posto e io e lui come potenti, brillanti, capi della rivoluzione. Mi diede qualcosa per cui vivere».

Avevano ripreso a camminare, nel frattempo. Bellatrix rifletté sulle parole dell’uomo: le costava fatica ammetterlo, ma comprendeva tutto, perfettamente. Si chiese che cosa ne sarebbe stato di lei e del Signore Oscuro se le cose fossero andate diversamente, se per sbaglio lui avesse ucciso Narcissa, o Andromeda, a tre mesi da quando lo aveva conosciuto.

«Ha mai smesso di amarlo, professore?»

Il silenzio che seguì fu lungo, ma proprio quando la strega incominciò a pensare che non avrebbe ricevuto una risposta, sentì un flebile «No».

Bellatrix non fece commenti, anche perché non sapeva cosa dire. Ebbe come l’impressione che il maniero fosse più vicino, ma si disse che era probabilmente una sua suggestione. Non pensava di star sprecando il tempo di nessuno - che cos’era il tempo, poi? - e parte di lei, forse quell’inspiegabile sesto senso che aveva sempre posseduto le suggeriva che non doveva voltarsi e tornare indietro, che doveva solo continuare in avanti. 

Doveva avere fede, l’unica cosa che non le era mai mancata. 

«Lord Voldemort morirà, Bellatrix. I suoi Horcrux sono già stati distrutti, è solo questione di tempo».

«Tu menti, Silente!»

Ma l’angoscia era aumentata nel suo petto e qualcosa dentro di lei, o forse l’universo, le suggeriva che Silente aveva ragione. Che il Signore Oscuro sarebbe davvero morto. Che il Signore Oscuro era già morto.

Era stato tutto invano.

«Harry Potter è vivo. Ma anche se non lo fosse, Voldemort sarebbe caduto comunque».

La sorpresa si registrò sul suo volto. Ma Narcissa aveva detto…

«Mia sorella ci ha traditi» sputò, sentendosi rosicchiare dall’interno dai denti feroci del tradimento. Dalla sensazione di incredulità prima e di amarezza dopo. Eppure scoprì ben presto che parte di lei lo sapeva già. 

Forse è vero che i morti sono onniscienti

La villa appariva straordinariamente vicina, ora. Si stavano avvicinando al grande spiazzo antistante alla casa. Dalla fontana centrale sgorgava acqua incolore e c’erano ancora le due panchine ai lati della porta. Inspiegabilmente, si sentì attratta da quella a destra, ancora distante. 

«Sarebbe caduto comunque» le ripeté Silente, pacato. 

«Se anche fosse vero, dov’è ora? Dove andrà?» 

«Lui non verrà con te. Non può passare oltre, lo stato della sua anima non lo consente».

«Non posso andare avanti. Se lui non c’è, non posso andare avanti».

La disperazione nella sua voce era tale che persino Silente, a cui suscitava probabilmente solo astio, la fissò con compassione. «Non posso sapere cosa ti succederà, Bellatrix, ma so che questa non è la destinazione ultima, è solo un luogo di smistamento, per te».

«Ma non per lui?» la domanda le uscì ugualmente, ma appena l’ebbe pronunciata seppe già la risposta. Improvvisamente, sentì un suono. Era a metà tra un ansito e un lamento acuto, un suono angosciante e patetico al contempo. Era il lamento delle cose destinate alla morte e che pure si aggrappavano alla vita. 

Le sue gambe si mossero da sole, contro la sua volontà o forse seguendola e, con Silente che la seguiva senza scomporsi, corse fino alla panca. Una morsa le stringeva le corde vocali ed era colma di orrore all’idea di quello che avrebbe trovato, all’idea di quello che sapeva avrebbe trovato. 

La creaturina era poco più grande di un neonato, ma c’era qualcosa di profondamente sbagliato in essa, di contro natura. Era assurdamente rossa, come se l’avessero scorticata, e lottava per respirare. Avrebbe dovuto ispirarle pietà, come un uccellino con l’ala ferita o un bambino morso da un Lupo Mannaro, ma la verità è che sentiva solo l’impulso di ucciderla. 

«È tutto ciò che rimane di Tom Riddle». Era rimasta in piedi a fissare quell’essere abbandonato finché Silente non l’aveva raggiunta. 

«Mi rincresce che tu debba vedere il tuo Signore in questo stato, ma è questo ciò che resta e che per sempre resterà. Lord Voldemort non si è mai pentito dei suoi peccati, non ha mai affrontato lo sfibrante e orrendamente doloroso processo che ricompone un’anima. Ormai è troppo tardi, non puoi fare nulla per lui».

Bellatrix non riusciva a muoversi. Neanche il più potente dei Pietrificus Totalus avrebbero potuto congelarla a quel modo. Il suo intelletto comprendeva che quello fosse l’Oscuro Signore, ad un livello basilare lo sapeva, certo, ma parte di lei non riusciva, non poteva concepirlo. Non era possibile. 

La lingua le sembrava essersi fatta di pietra e dovette sforzarsi per parlare: «È così debole».

«È quello che è, quello che è sempre stato. Tom Riddle ha passato tutta la vita a rendersi invincibile, a cercare di raggirare la Morte, a compiere atti estremi pur di apparire potente. La Morte lo ha messo a nudo nella sua limitatezza, nella sua fragilità. Nessuno lo può aiutare».

Sentì le mani del suo ex professore appoggiarsi sulle sue spalle, quasi come se comprendesse il suo dolore: «Vieni via».

Ma Bellatrix non si mosse. Teneva lo sguardo incollato alla creatura piagnucolante, verso la quale provava un misto di revulsione e qualcos’altro che non riusciva ad identificare. Era un dolore strano che le invadeva il petto, il ventre, le ossa, le tempie. Più quella cosa si lamentava, più lei ne soffriva e le veniva da piangere insieme ad essa, più forte di essa. C’era anche dell’altro, uno strano impulso di avvicinarsi. Voleva e al contempo non voleva toccarla. 

Sentì Silente, chiamare il suo nome con tutta la dolcezza che riusciva a racimolare per lei. Non era molta. 

«Lo so che l’uomo che hai…» esitò, come se non sapesse come definire quel sentimento. «…venerato era l’opposto di questo. Lo so che di lui ammiravi il carisma, il potere, l’ambizione. Lui stesso non vorrebbe essere visto in questo stato, mai. Torniamo indietro». 

Si trovava in un momento di stallo. Forse, ci pensò il destino a romperlo, perché improvvisamente la creatura aprì gli occhi. Erano straordinariamente rossi, due rubini incastonati in un volto da incubo, ma erano indubbiamente i suoi

«Non posso». 

Silente la guardò come se avesse sentito male, ma gli bastò un’occhiata per comprendere. Capì dove voleva arrivare prima ancora di Bellatrix stessa.  

«Non posso andare, è… Quello è il Signore Oscuro, il mio Signore».

Mosse un passo, poi un altro, con la lentezza di qualcuno invischiato nelle sabbie mobili, ma si chinò ugualmente e, vincendo il moto di disgusto che la colse, prese in braccio quell’essere maledetto. Di colpo, i lamenti del bambino cessarono. Continuò a dimenarsi, ma non pianse più. 

Bellatrix desiderò che non fosse nudo, già era insopportabile averlo tra le braccia, che almeno avesse un po’ di dignità in più. Di colpo, quello fu avvolto da un panno scuro. La donna lo sistemò meglio contro di sé; del resto, non aveva mai tenuto un bambino tra le braccia per lungo tempo, forse solo Draco, e quella era ormai una vita fa.

«Voldemort non ha mai compreso l’amore» le disse Silente, osservando la scena con aria stupefatta. «Non ha mai amato nessuno e per tutta la vita ho creduto che nessuno l’abbia mai amato. Persino sua madre non ci riuscì mai. Mi sbagliavo, evidentemente». 

«Io non lo… Io lo veneravo, lo adoravo, non lo… Era il mio amante, non il mio amato» cercò di spiegarsi lei. Erano le parole Lui le aveva sempre ripetuto, ma ora, a eoni di distanza dalla loro ultima conversazione, le suonavano così vuote, delle giustificazioni così sciocche. «Mi disse… Una volta mi disse che gli dovevo la mia lealtà, non la mia fedeltà».

«Lord Voldemort non ha mai capito nulla dell’amore e della fedeltà» mormorò Silente, più rivolto a se stesso che a lei. «Evidentemente era ancora più cieco di quanto io non l’abbia mai ritenuto. Non capisco come abbia fatto a non vedere, quando ce l’ha sempre avuto davanti».

La fissò e Bellatrix notò che aveva gli occhi azzurri; li aveva sempre avuti? O avevano ripreso solo ora il loro colore? «Quel dolore che provi, Bellatrix, si chiama compassione. Non so se ti sia mai capitato di provarla davvero; certamente Lui deve aver fatto di tutto per estirparla dal tuo animo». 

«Ho una scelta».

«Sì» sospirò Silente. «Sì, ce l’hai. Questo posto non è nulla, è un Limbo. Non è né la vita, né la morte e la tua anima non è costretta a vagare qui per sempre».

«Ma se dovessi scegliere di restare?»

«Non ti posso dire se cambierà mai qualcosa, per lui». Indicò la creaturina col capo. «Non credo che smetterà mai di soffrire, o di tremare. Ero convinto che non ci fosse nulla che nessuno potesse fare».

«Ma?»

«Ma l’hai preso in braccio, e ha smesso di piangere».

Ci fu un istante di silenzio e poi lo stregone le sorrise. «Temo che il nostro tempo insieme sia finito. Non posso scegliere per te, Bellatrix. Ma ti ringrazio, in ogni caso. Forse non sono chi avresti voluto davvero richiamare in un momento così, ma mi hai dimostrato che è proprio vero, non si finisce mai di imparare…»

«Addio, signorina Black».

«Professore». Per un secondo Bellatrix ebbe la tentazione di richiamarlo indietro, come una bambina spaurita. Nei suoi momenti di dubbio, da quando era poco più che una ragazzina, si era sempre recata dall’Oscuro Signore e questi le aveva mostrato la via, aveva deciso per lei. 

Ora spettava a lei, e a lei sola.

Poteva accudirlo per l’eternità, anche in questa fragile e patetica forma? Poteva essere l’unica, l’ultima custode della sua anima? Di quel poco che ne restava?

La risposta era così semplice. 

Sempre tenendolo in braccio, si avviò verso la villa. L’enorme portone si spalancò senza che lei dicesse una parola. 

Il Signore Oscuro aveva dato un senso alla sua vita; lo avrebbe dato anche alla sua morte. 

 

 

[...] l’amor che move il sole e l’altre stelle.

(Paradiso, canto XXXIII)

 

 

Tanti auguri a tutti voi, vi auguro un anno pieno di meravigliose letture e progetti!

 

Note Autrice:

Spero di non averli resi tanto OOC, soprattutto Bella. Mi piace pensare in una forma di paradiso/purgatorio anche per loro. Voldemort mi ha sempre fatto, mio malgrado, una grande pena nel capitolo di King’s Cross. In questa storia, a metà tra un Missing Moment e una What If…?, ho provato ad immaginare cosa sarebbe successo se qualcuno l’avesse amato – amato davvero (l’amore di Bellatrix per lui, nella saga, è sempre rivestito di toni molto oscuri e sessuali, qui l’ho reso un po’ più “puro”, fino al paragone con Dante… lo so, perdonatemi).

Il finale è aperto: non si sa se rimangono così per sempre (lei che rinuncia alla morte come ha rinunciato alla vita per seguirlo) oppure se è vero che omnia vincit amor.

   
 
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