L’ULTIMA CUSTODE (DELLA SUA ANIMA)
Amor, ch’a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m’abbandona.
(Inferno, canto V)
La luce accecante fu la prima cosa che vide quando aprì gli occhi. Era
distesa supina su una superficie solida, di questo era certa. Si sentiva come
se si fosse appena svegliata da un lungo sonno. Una parte del suo cervello le
disse che avrebbe dovuto essere esausta, che fino a poco prima il suo cuore
aveva pompato sangue, imbizzarrito, e che ogni suo singolo muscolo aveva
bruciato. Chissà come mai, poi.
Mi chiamo Bellatrix Lestrange.
Passò una manciata di secondi, o forse anni, ma il pensiero le trapassò l’anima
come un fulmine a ciel sereno.
E sono morta.
Parte di lei era convinta che la consapevolezza di una tal cosa l’avrebbe
distrutta, che il livore le avrebbe azzannato le viscere, ma così non fu.
Accettò la notizia con una placidità che non aveva mai posseduto in vita. Si
tirò su mollemente; era immersa in una foschia lattiginosa, priva di
temperatura e apparentemente infinita. Appena mosse un passo, questa iniziò a
prendere consistenza, l’ambiente le si profilava intorno man mano che si
incamminava e, parallelamente, le si schiarivano anche i pensieri.
Ricordava la battaglia come se fosse stata la vita di qualcun altro - il
fumo, le urla, l’odore del sangue. La donnetta dai capelli rossi che l’aveva
battuta. L’urlo. Il cuore le avrebbe smesso di battere, se ancora ne
avesse avuto uno. Era come se una lama l’avesse trafitta nel petto, gelida e
affilata, seguita da una colata di miele, da un sapore dolcissimo sotto la
lingua: il Signore Oscuro l’aveva vista cadere. Aveva urlato di dolore e
disperazione, aveva tentato di vendicarla.
La quantità di pensieri che le investirono la mente nei nanosecondi
successivi fu abbastanza da farle girare la testa: il Signore Oscuro era
immortale, quindi non l’avrebbe rivisto mai più. Lei, patetica serva, che
aveva consacrato la sua vita a Lui, lei che sarebbe dovuta essere la sua
regina, era morta a due passi dalla vittoria. Ma Lui aveva urlato. Era stata la
fine che aveva sempre voluto: con la bacchetta in mano, servendo Lui e la
Causa. E Lui aveva urlato. Era fatta ormai, con o senza di lei, Lui avrebbe
vinto. Aveva compiuto il suo dovere, lo aveva accompagnato fino alla vittoria.
Non avrebbe mai visto il nuovo mondo, tutto ciò che aveva lottato per
costruire. Le si appannò la vista e si sentì mancare dal dolore. Andava bene così.
Non importava. Aveva mantenuto la sua promessa, era stata l’unica fedele.
E allora perché la terra le mancava sotto i piedi, perché sentiva una
pressione insostenibile dietro agli occhi? Perché lottava contro lacrime
bollenti? Cosa poteva desiderare di più?
Perché era stata così debole? Perché lo aveva deluso così? La sua migliore
Mangiamorte, l’unica, la più fedele - come aveva potuto morire? Lasciarlo da
solo?
Ma Lui non aveva più bisogno di lei, ormai.
Alzò lo sguardo, cercando di ricacciare indietro il pianto, e constatò che
la nebbia si era finalmente concretizzata. Sapeva dove si trovava - e anche
quello le spezzò il fiato in gola, perché quel roseto, quel prato curato,
quella facciata Settecentesca li conosceva benissimo.
Villa Black era stata disgustosamente ipotecata molti anni addietro, ma
prima di essere un mucchio di galeoni nella camera blindata della sua famiglia,
o una riga d’inchiostro sulle pergamene del catasto, era stata la casa della
sua infanzia. Sua e delle sue sorelle.
Non riusciva a sentire nemmeno i suoi passi sulla ghiaia del vialetto,
mentre si avviava verso la casa. Aveva un’infinità di domande e nessuno a cui
rivolgerle.
Cosa dovrei fare ora? Dove devo andare? Sarò sola per sempre?
Ripensò con dolore al Signore Oscuro, a Narcissa. A Rodolphus, che l’aveva
seguita tra le pagine della Storia, che le era rimasto accanto durante due
guerre, con cui aveva suo malgrado condiviso una vita - dall’infanzia passata a
rincorrersi nei giardini di quella stessa villa, all’età adulta passata da
soldati sul campo di battaglia e amanti tra le lenzuola, passando per Azkaban,
l’inferno in terra. Una risata le si fece strada nella gola e le sgorgò
prepotentemente dalle labbra, il primo vero suono che quel posto aveva mai udito:
se c’era effettivamente un Disegno, certo non avrebbe saputo dove mandarla -
lei all’inferno c’era già stata.
Posso tornare indietro?
Desiderò ardentemente parlare con qualcuno, magari una persona con delle
risposte. Ma l’unico che nella vita gliene aveva date, la sua guida, il suo
mentore, era rimasto al di là. Insieme ai pochi di cui le fosse mai importato
qualcosa. Era sola.
Era arrivata quasi a metà del vialetto quando sentì una voce schiarirsi
cortesemente dietro di lei. Si voltò di scatto e la mano le volò ad afferrare
la bacchetta, solo che questa non era più al suo posto. Anzi, il suo cervello
era pienamente consapevole che non c’era proprio più.
«Temo che non la troverai, Bellatrix». La voce di Albus Silente era la
stessa che il vecchio aveva avuto in vita, uguale per timbro ed intonazione. Si
rivolgeva a lei educatamente, ma del tutto privo dell’affetto o della simpatia
che permeava le interazioni con tanti altri suoi studenti.
«Silente. Che ci fai tu- lei, qui?» Cercò di essere brusca, ma il suo tono
era per lo più curioso.
«Non lo so» le rispose, placido. «Dovresti dirmelo tu. Se dovessi avanzare
una supposizione, direi che mi hai richiamato a te, che hai desiderato, se non
proprio me, qualcuno con le mie qualità».
Bella rimase in silenzio per un istante, soppesandolo. «Volevo parlare con
qualcuno che avesse delle risposte, che sapesse cosa mi sta succedendo».
«E chi meglio di un tuo ex professore, in mancanza di Voldemort, dico
bene?»
Bellatrix strinse entrambi i pugni, di colpo incollerita. «Non osare,
Silente».
Il tono dell’uomo non fu affatto dolce quando le rispose: «Ma io oso,
Bellatrix. Osavo in vita e oso a maggior ragione adesso che non c’è alcun
motivo di non chiamare le cose con il loro nome. Capirai ben presto che la
maggior parte delle cose della vita perdono di significato in questo posto. La
maggior parte delle relazioni che esistevano in vita non sono di nessun
conto, figurati parole, pensieri, prese di posizione… Quello era il nome che si
era scelto e quello è il nome con cui lo chiamerò».
Bellatrix fissò lo stregone, stretto nella sua veste vermiglia ricamata
d’argento. Era il ritratto della pacatezza e dell’ordine, al contrario di lei
che indossava ancora il vestito della battaglia. Avrebbe voluto odiarlo,
avrebbe dovuto odiarlo, lo aveva fatto per una vita. Ma il sentimento le
usciva ovattato ora; più che odio era fastidio.
«Forse la tua mente mi ritiene semplicemente ben informato» proseguì lui,
con tono leggero.
Non seppe da dove le uscì la frase successiva, ma non si pentì di averla
pronunciata: «Lei conosceva il Signore Oscuro, prima che fosse…»
Si bloccò, perché non sapeva bene cosa dire, ma sul viso di Silente apparve
comunque un sorrisetto d’intesa.
«Conoscevo l’uomo prima di Lord Voldemort. E sono l’unico disposto a
parlartene, ora che non può più farti nulla se deciderai di scoprire i suoi
segreti».
«Accetterei volentieri qualsiasi punizione il Signore Oscuro decidesse di
affibbiarmi, persino qui» disse lei, alzando il mento in un gesto di sfida.
Silente la guardò con qualcosa che le parve compassione e forse stupore:
«Non ho mai pensato che fosse possibile, ma evidentemente mi sbagliavo: lo
amavi, non è così?»
«L’amore non esiste, Silente. Lo ammiravo. Lo rispettavo come il mago più
potente che il mondo abbia mai visto». Erano le stesse parole che aveva
ripetuto tante volte in vita, ricamate sulle labbra e nella mente.
«È quello che ti ha detto lui, quando hai provato a confessarglielo?»
Bellatrix non rispose.
Intanto avevano ripreso a camminare lungo il vialetto, ora fianco a fianco,
verso la grande villa, costeggiando giardini curati delimitati da siepi basse.
Tutto era esattamente come se lo ricordava, seppur desaturato e inodore.
«Cosa mi succederà adesso? Potrei tornare indietro, se volessi? Ritornare
da lui?»
Silente la fissò da sopra agli occhiali a mezzaluna. «Teoricamente,
potresti. Ma non lo farai».
«Che cosa ne sai di quello che farò io, Silente?» disse, secca, passando
per un attimo al tu.
Non sapeva nemmeno bene come rivolgersi a lui; erano passati anni, decenni,
da quando si erano parlati per l’ultima volta. Certo, le sembrava di conoscerlo
quasi intimamente, tanta era stata l’ossessione del suo Signore per Silente in
alcuni periodi della sua vita. Lo stregone di fronte a lei era stato
l’argomento di molteplici discorsi e discussioni, ma si rese conto che al di
fuori del campo di battaglia non si vedevano da tanto tempo. Forse da quando
era stata una sua studentessa.
«Suvvia, signorina Black, sei più consapevole di così». Le fece lo stesso
sorriso indulgente che le aveva sempre rivolto a lezione, quando cercava di
farla arrivare alla risposta corretta attraverso il ragionamento o quando le
correggeva un movimento della bacchetta.
«Se tornassi, non sarei nient’altro che un fantasma, una pallida imitazione
di ciò che ero in vita. Non potrei servirlo in alcun modo, lui- lui mi
guarderebbe con sufficienza, perché sarei debole e senza bacchetta».
«Sì, temo proprio che sarebbe così. Voldemort non ha mai avuto rispetto di
chi riteneva debole. Inoltre, ha sempre temuto i morti». Lo sguardo di Silente
si fece penetrante. «Non mi pare, poi, che tu abbia lasciato qualcosa di
incompiuto».
«No, io- Cissy e Rod sono ancora lì».
«La mancanza dei tuoi cari non basta per riportarti sulla Terra. E
purtroppo o per fortuna saranno qui anche loro prima di quanto tu possa
credere. No, io credo che la tua anima sia in pace… non credo tu senta il
richiamo dell’altro lato».
Proseguirono ancora. Bellatrix non se lo ricordava così interminabile il
vialetto di Villa Black. A dire il vero, riflettendoci, le sembrava che la casa
rimanesse sempre alla stessa distanza e lei, persa nel discorso, non ci aveva
fatto caso.
«Perché non riusciamo ad avvicinarci? Perché non riusciamo ad entrare? La
vede anche lei?» fece, riferendosi alla villa.
«Temo di non sapere bene dove siamo, mia cara. Dopotutto, sei tu la
protagonista, qui».
Bellatrix si schiarì la voce. Stranamente, la cosa aveva senso nella sua
testa. Perciò iniziò a descrivere: «Siamo a Villa Black, nello Yorkshire, era
la casa dei miei genitori, ci vivevo da ragazza. Ora non è più della nostra
famiglia. Dietro di noi c’è il cancello; sono venuta da lì, credo. Io e lei
stiamo camminando lungo il viale principale, quello che porta al grande
ingresso. Solo che non riusciamo ad avvicinarci».
«Capisco». Silente parve rifletterci un secondo. «Forse non riusciamo a
raggiungerla perché non è lì che devi andare. Dopotutto, la via di uscita è
dietro di noi».
Le sembrava tutto così paradossale. Certo che la morte era strana. Non
riusciva a capacitarsi del fatto che stesse chiacchierando con Albus Silente in
persona, quando avrebbe dovuto saltargli al collo e far rotolare la sua testa
sul selciato. Ma quello era già successo, nella vita precedente, il vecchio
era già morto, quindi che senso avrebbe avuto?
«Lui non ci sarà, vero? Ha sconfitto la morte, quindi non ci sarà».
Lo sguardo di Silente si fece duro. «No, Voldemort non ci sarà. Ma non per
i motivi che pensi tu».
Proseguì senza darle il tempo di ribattere: «Lord Voldemort, nella sua
follia e nella sua ferocia, ha compiuto atti contro natura, delle brutture che
mai il mondo aveva visto fin ora. Ha sconvolto l’ordine delle cose, con
evidenti risultati sulla sua stessa anima, che ora è stata quasi interamente
distrutta. Si è deturpato oltre il punto di non ritorno e questo gli impedirà
di raggiungerci, quando morirà».
«Lui non morirà!» Bellatrix si era fermata di colpo, parlando a voce un po’
troppo alta. Sembrava offesa dall’idea, ma un osservatore attento avrebbe
scorto il terrore nelle sue parole. «Lui si è spinto oltre i limiti della
magia, ha fatto cose che nessuno aveva fatto prima!»
Silente la trafisse con quei suoi occhi luminosi, che avevano il potere di
incollare chiunque al pavimento. «Si è spinto oltre chiunque altro in alcuni
campi della magia; in altri è rimasto sempre profondamente ignorante. La magia
oscura ha un prezzo, come lui ti ha certamente insegnato, e averla praticata a
quei livelli in vita comporterà una pena persino nella morte. Lord Voldemort ha
diviso la sua anima, non una volta, ma sette-»
«Horcrux» lo interruppe lei in un sussurro.
Silente ammutolì e la guardò stupefatto. Bellatrix fremette dalla
soddisfazione per essere riuscita, nonostante tutto, a sconvolgerlo. «Te lo ha
detto?» disse, incredulo.
«No» mormorò la donna. «No, lui non me ne ha mai parlato. Erano il suo più
grande segreto, credo». Vide il suo ex professore annuire, continuando a
guardarla come se la stesse vedendo per la prima volta. La cosa la riempì di
audacia.
«Ma io lo sapevo! L’Oscuro Signore disse a noi del Cerchio che aveva
piegato la morte, ne aveva parlato tante volte. Ho provato a chiedergli come, ma
lui non me l’ha mai voluto rivelare, quindi ho condotto da sola le mie
indagini». L’orgoglio le incrinava la voce, sembrava una streghetta che legge ai
genitori il primo tema di Trasfigurazione in cui ha preso “Eccezionale”.
«Quando era il mio maestro di Arti Oscure mi aveva mostrato anche come si
conducono ricerche sul campo: a chi domandare cosa, dove reperire i giusti
libri, dove ancora oggi si nascondono streghe e stregoni che vivono come un
tempo, che custodiscono gli antichi segreti… e io sono pur sempre una Black,
una Lestrange! Mi ci volle un po’ di tempo, un po’ di persuasione - e lei sa, professore,
che so usare le maniere forti per ottenere ciò che devo» (A questo, Silente le
rivolse uno sguardo disgustato) «Ma poi saltò fuori il nome. Horcrux. Certo,
nessuno mi disse mai in cosa consisteva il rituale, e non riuscii mai a capire
come avesse fatto a farne ben sei, ma sapevo che era ciò a cui puntava.
E poi-» La voce le si ruppe dall’emozione al ricordo.
«Un giorno, prima di quella maledetta notte di Samhain, mi chiamò a sé e mi diede una coppa. Mi disse che era incantata e
che avrei dovuto custodirla con la mia stessa vita, se necessario. Me la mise
in mano e io capii subito, perché la firma magica di quell’oggetto… Mi aveva
messo tra le mani la sua stessa anima!»
Si fermò. Non era necessario che gli raccontasse cos’era successo anni
dopo, cosa ne era stato della Coppa - anche perché era convinta che se Potter e
i suoi maledetti amichetti l’avevano trafugata, l’ordine doveva in qualche modo essere venuto dall’uomo davanti a lei.
«Sei sempre stata una studentessa dotata, non c’è che dire». Nella bocca di
Albus Silente non suonava come un complimento. Era chiaro che disapprovasse di
lei.
Ma che ne sa? Esattamente come tutti gli altri, non capisce.
Lei scoppiò in una risata: «Ti disgusto tanto, professore?» gli
domandò, non senza una punta di scherno.
Silente la guardò e c’era un misto strano di emozioni nei suoi occhi. «Mi
fai tanta pena, Bellatrix. Eppure, capisco quello che provi. Ti capisco più di
quanto non credi, forse è per questo che non riesco ad odiarti come meriti-
come meritano i tuoi crimini».
«Allora è vero quello che hanno detto di lei, dopo la sua morte?»
Nei giorni in cui era stata rinchiusa in casa aveva passato ore nella
biblioteca di Villa Malfoy, e per quanto si fosse generalmente dedicata a ben
altre letture, non aveva potuto non notare la copertina verde acido di Vita
e Menzogne di Albus Silente. Tutti non facevano altro che parlarne, anche
tra i Mangiamorte, tanto che il Signore Oscuro in persona si era interessato al
presunto legame tra Silente e Gellert Grindelwald.
«Oh, sì. Temo di sì. Non ci avevo mai pensato, ma suppongo che tu possa
capirmi meglio di chiunque altro: mi trovavo perso durante quello che doveva
essere il periodo migliore della mia vita. Mi ritrovavo costretto in casa e
annullato proprio dopo aver preso il diploma a pieni voti, con una famiglia che
non mi capiva e tutte le mie ambizioni annichilite». Si fissarono per un
istante. Bellatrix capiva - oh, se capiva! Era stato lo stesso per lei,
ritrovatasi costretta in una noiosa vita da donna purosangue, rinchiusa in casa
in attesa di prendere marito, lei che avrebbe voluto viaggiare per il mondo e
continuare a studiare la magia.
«Poi arrivò lui. Ed era così dotato, così affascinante, così pieno di
progetti. Al contrario di me, sapeva perfettamente cosa voleva dalla vita: un
mondo migliore, con i Babbani al loro legittimo posto e io e lui come potenti,
brillanti, capi della rivoluzione. Mi diede qualcosa per cui vivere».
Avevano ripreso a camminare, nel frattempo. Bellatrix rifletté sulle parole
dell’uomo: le costava fatica ammetterlo, ma comprendeva tutto, perfettamente.
Si chiese che cosa ne sarebbe stato di lei e del Signore Oscuro se le cose
fossero andate diversamente, se per sbaglio lui avesse ucciso Narcissa, o
Andromeda, a tre mesi da quando lo aveva conosciuto.
«Ha mai smesso di amarlo, professore?»
Il silenzio che seguì fu lungo, ma proprio quando la strega incominciò a
pensare che non avrebbe ricevuto una risposta, sentì un flebile «No».
Bellatrix non fece commenti, anche perché non sapeva cosa dire. Ebbe come l’impressione
che il maniero fosse più vicino, ma si disse che era probabilmente una sua
suggestione. Non pensava di star sprecando il tempo di nessuno - che cos’era il
tempo, poi? - e parte di lei, forse quell’inspiegabile sesto senso che aveva
sempre posseduto le suggeriva che non doveva voltarsi e tornare indietro, che
doveva solo continuare in avanti.
Doveva avere fede, l’unica cosa che non le era mai mancata.
«Lord Voldemort morirà, Bellatrix. I suoi Horcrux sono già stati distrutti,
è solo questione di tempo».
«Tu menti, Silente!»
Ma l’angoscia era aumentata nel suo petto e qualcosa dentro di lei, o forse
l’universo, le suggeriva che Silente aveva ragione. Che il Signore Oscuro
sarebbe davvero morto. Che il Signore Oscuro era già morto.
Era stato tutto invano.
«Harry Potter è vivo. Ma anche se non lo fosse, Voldemort sarebbe caduto
comunque».
La sorpresa si registrò sul suo volto. Ma Narcissa aveva detto…
«Mia sorella ci ha traditi» sputò, sentendosi rosicchiare dall’interno dai
denti feroci del tradimento. Dalla sensazione di incredulità prima e di
amarezza dopo. Eppure scoprì ben presto che parte di lei lo sapeva già.
Forse è vero che i morti sono onniscienti.
La villa appariva straordinariamente vicina, ora. Si stavano avvicinando al
grande spiazzo antistante alla casa. Dalla fontana centrale sgorgava acqua
incolore e c’erano ancora le due panchine ai lati della porta.
Inspiegabilmente, si sentì attratta da quella a destra, ancora distante.
«Sarebbe caduto comunque» le ripeté Silente, pacato.
«Se anche fosse vero, dov’è ora? Dove andrà?»
«Lui non verrà con te. Non può passare oltre, lo stato della sua anima non
lo consente».
«Non posso andare avanti. Se lui non c’è, non posso andare avanti».
La disperazione nella sua voce era tale che persino Silente, a cui
suscitava probabilmente solo astio, la fissò con compassione. «Non posso sapere
cosa ti succederà, Bellatrix, ma so che questa non è la destinazione ultima, è
solo un luogo di smistamento, per te».
«Ma non per lui?» la domanda le uscì ugualmente, ma appena l’ebbe
pronunciata seppe già la risposta. Improvvisamente, sentì un suono. Era a metà
tra un ansito e un lamento acuto, un suono angosciante e patetico al contempo.
Era il lamento delle cose destinate alla morte e che pure si aggrappavano alla
vita.
Le sue gambe si mossero da sole, contro la sua volontà o forse seguendola
e, con Silente che la seguiva senza scomporsi, corse fino alla panca. Una morsa
le stringeva le corde vocali ed era colma di orrore all’idea di quello che
avrebbe trovato, all’idea di quello che sapeva avrebbe trovato.
La creaturina era poco più grande di un neonato, ma c’era qualcosa di profondamente
sbagliato in essa, di contro natura. Era assurdamente rossa, come se l’avessero
scorticata, e lottava per respirare. Avrebbe dovuto ispirarle pietà, come un
uccellino con l’ala ferita o un bambino morso da un Lupo Mannaro, ma la verità
è che sentiva solo l’impulso di ucciderla.
«È tutto ciò che rimane di Tom Riddle». Era rimasta in piedi a fissare
quell’essere abbandonato finché Silente non l’aveva raggiunta.
«Mi rincresce che tu debba vedere il tuo Signore in questo stato, ma è
questo ciò che resta e che per sempre resterà. Lord Voldemort non si è mai
pentito dei suoi peccati, non ha mai affrontato lo sfibrante e orrendamente
doloroso processo che ricompone un’anima. Ormai è troppo tardi, non puoi fare
nulla per lui».
Bellatrix non riusciva a muoversi. Neanche il più potente dei Pietrificus Totalus
avrebbero potuto congelarla a quel modo. Il suo intelletto comprendeva che
quello fosse l’Oscuro Signore, ad un livello basilare lo sapeva, certo, ma
parte di lei non riusciva, non poteva concepirlo. Non era possibile.
La lingua le sembrava essersi fatta di pietra e dovette sforzarsi per
parlare: «È così debole».
«È quello che è, quello che è sempre stato. Tom Riddle ha passato tutta la
vita a rendersi invincibile, a cercare di raggirare la Morte, a compiere atti
estremi pur di apparire potente. La Morte lo ha messo a nudo nella sua
limitatezza, nella sua fragilità. Nessuno lo può aiutare».
Sentì le mani del suo ex professore appoggiarsi sulle sue spalle, quasi
come se comprendesse il suo dolore: «Vieni via».
Ma Bellatrix non si mosse. Teneva lo sguardo incollato alla creatura
piagnucolante, verso la quale provava un misto di revulsione e qualcos’altro
che non riusciva ad identificare. Era un dolore strano che le invadeva il
petto, il ventre, le ossa, le tempie. Più quella cosa si lamentava, più
lei ne soffriva e le veniva da piangere insieme ad essa, più forte di essa.
C’era anche dell’altro, uno strano impulso di avvicinarsi. Voleva e al contempo
non voleva toccarla.
Sentì Silente, chiamare il suo nome con tutta la dolcezza che riusciva a
racimolare per lei. Non era molta.
«Lo so che l’uomo che hai…» esitò, come se non sapesse come definire quel
sentimento. «…venerato era l’opposto di questo. Lo so che di lui ammiravi il
carisma, il potere, l’ambizione. Lui stesso non vorrebbe essere visto in questo
stato, mai. Torniamo indietro».
Si trovava in un momento di stallo. Forse, ci pensò il destino a romperlo,
perché improvvisamente la creatura aprì gli occhi. Erano straordinariamente
rossi, due rubini incastonati in un volto da incubo, ma erano indubbiamente i suoi.
«Non posso».
Silente la guardò come se avesse sentito male, ma gli bastò un’occhiata per
comprendere. Capì dove voleva arrivare prima ancora di Bellatrix
stessa.
«Non posso andare, è… Quello è il Signore Oscuro, il mio Signore».
Mosse un passo, poi un altro, con la lentezza di qualcuno invischiato nelle
sabbie mobili, ma si chinò ugualmente e, vincendo il moto di disgusto che la
colse, prese in braccio quell’essere maledetto. Di colpo, i lamenti del bambino
cessarono. Continuò a dimenarsi, ma non pianse più.
Bellatrix desiderò che non fosse nudo, già era insopportabile averlo tra le
braccia, che almeno avesse un po’ di dignità in più. Di colpo, quello fu
avvolto da un panno scuro. La donna lo sistemò meglio contro di sé; del resto,
non aveva mai tenuto un bambino tra le braccia per lungo tempo, forse solo
Draco, e quella era ormai una vita fa.
«Voldemort non ha mai compreso l’amore» le disse Silente, osservando la
scena con aria stupefatta. «Non ha mai amato nessuno e per tutta la vita ho
creduto che nessuno l’abbia mai amato. Persino sua madre non ci riuscì mai. Mi
sbagliavo, evidentemente».
«Io non lo… Io lo veneravo, lo adoravo, non lo… Era il mio amante,
non il mio amato» cercò di spiegarsi lei. Erano le parole Lui le aveva
sempre ripetuto, ma ora, a eoni di distanza dalla loro ultima conversazione, le
suonavano così vuote, delle giustificazioni così sciocche. «Mi disse… Una volta
mi disse che gli dovevo la mia lealtà, non la mia fedeltà».
«Lord Voldemort non ha mai capito nulla dell’amore e della fedeltà» mormorò
Silente, più rivolto a se stesso che a lei. «Evidentemente era ancora più cieco
di quanto io non l’abbia mai ritenuto. Non capisco come abbia fatto a non
vedere, quando ce l’ha sempre avuto davanti».
La fissò e Bellatrix notò che aveva gli occhi azzurri; li aveva sempre
avuti? O avevano ripreso solo ora il loro colore? «Quel dolore che provi,
Bellatrix, si chiama compassione. Non so se ti sia mai capitato di provarla
davvero; certamente Lui deve aver fatto di tutto per estirparla dal tuo
animo».
«Ho una scelta».
«Sì» sospirò Silente. «Sì, ce l’hai. Questo posto non è nulla, è un Limbo.
Non è né la vita, né la morte e la tua anima non è costretta a vagare qui per
sempre».
«Ma se dovessi scegliere di restare?»
«Non ti posso dire se cambierà mai qualcosa, per lui». Indicò la creaturina
col capo. «Non credo che smetterà mai di soffrire, o di tremare. Ero convinto
che non ci fosse nulla che nessuno potesse fare».
«Ma?»
«Ma l’hai preso in braccio, e ha smesso di piangere».
Ci fu un istante di silenzio e poi lo stregone le sorrise. «Temo che il
nostro tempo insieme sia finito. Non posso scegliere per te, Bellatrix. Ma ti
ringrazio, in ogni caso. Forse non sono chi avresti voluto davvero richiamare
in un momento così, ma mi hai dimostrato che è proprio vero, non si finisce
mai di imparare…»
«Addio, signorina Black».
«Professore». Per un secondo Bellatrix ebbe la tentazione di richiamarlo
indietro, come una bambina spaurita. Nei suoi momenti di dubbio, da quando era
poco più che una ragazzina, si era sempre recata dall’Oscuro Signore e questi
le aveva mostrato la via, aveva deciso per lei.
Ora spettava a lei, e a lei sola.
Poteva accudirlo per l’eternità, anche in questa fragile e patetica forma? Poteva
essere l’unica, l’ultima custode della sua anima? Di quel poco che ne restava?
La risposta era così semplice.
Sempre tenendolo in braccio, si avviò verso la villa. L’enorme portone si
spalancò senza che lei dicesse una parola.
Il Signore Oscuro aveva dato un senso alla sua vita; lo avrebbe dato anche
alla sua morte.
[...] l’amor che move il sole e l’altre stelle.
(Paradiso, canto XXXIII)
Tanti auguri a tutti voi, vi auguro un anno pieno di meravigliose letture e
progetti!
Note Autrice:
Spero di non
averli resi tanto OOC, soprattutto Bella. Mi piace pensare in una forma di
paradiso/purgatorio anche per loro. Voldemort mi ha sempre fatto, mio malgrado,
una grande pena nel capitolo di King’s Cross. In
questa storia, a metà tra un Missing Moment e una What If…?, ho provato ad
immaginare cosa sarebbe successo se qualcuno l’avesse amato – amato davvero (l’amore
di Bellatrix per lui, nella saga, è sempre rivestito di toni molto oscuri e
sessuali, qui l’ho reso un po’ più “puro”, fino al paragone con Dante… lo so,
perdonatemi).
Il finale è
aperto: non si sa se rimangono così per sempre (lei che rinuncia alla morte
come ha rinunciato alla vita per seguirlo) oppure se è vero che omnia vincit amor.