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Autore: pampa98    02/01/2023    2 recensioni
SPOILER PER GLI EVENTI DI FIRE&BLOOD. NON LEGGETE SE NON AVETE LETTO IL LIBRO.
Aegon/Jace, Aegon!centric. Ambientata verso la fine della Danza dei Draghi.
A volte si chiede ancora cosa sarebbe successo se avesse avuto il coraggio di parlare, parlare davvero, quella sera. Magari lo avrebbe convinto a restare e Rhaenyra sarebbe stata presente al momento della morte di loro padre per indossare la corona che Viserys aveva destinato a lei. Magari lo avrebbe guardato come faceva un tempo, con ammirazione e affetto, e Aegon non avrebbe dovuto chiedersi come sarebbe stato il loro successivo incontro, perché in quello scenario Luke sarebbe ancora stato vivo e lui non avrebbe fatto alcun torto a Jace o alla sua famiglia. Magari…
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aegon II Targaryen, Alicent Hightower, Jacaerys Velaryon
Note: Otherverse, Soulmate!AU | Avvertimenti: Incest
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Note: Soulmate!AU. Vedi i colori quando incontri la tua anima gemella e svaniscono quando questa muore.
Non ho riletto il libro per scrivere questa storia, mi sono basata su quello che diceva la Wiki di Asoiaf, quindi spero di non aver fatto casino con la cronologia degli eventi 🙈



Lifeless colors



 

«Basta col latte di papavero.»

Si passa la mano destra sul viso, cercando di alleviare il mal di testa e il senso di nausea provocato dalla sua prolungata inattività. Non ricorda nemmeno quanto tempo sia passato – giorni? No, più probabile mesi. 

Dal giorno in cui Criston Cole gli ha posato la corona del Conquistatore sul capo gli sembra di vivere in un limbo. Tra il vino e il latte di papavero la sua mente è annebbiata da ricordi confusi e rimorsi che preferisce ignorare, per evitare di impazzire come sua moglie. 

Apre gli occhi e li fissa sul soffitto grigio sopra la sua testa. Non riesce a capire se sia mattina o pomeriggio, i tiepidi raggi di luce che filtrano dalle tende sono annebbiati e la loro flebile luminosità gli permette solo di distinguere la figura di sua madre, seduta accanto a lui, e quella del Gran Maestro Orwyle ai piedi del letto. 

«Potete andare» dice sua madre, rivolta all’uomo. «Vi chiamerò se dovesse cambiare idea.»

Non lo farò, pensa Aegon – anche se gli effetti dell’ultima dose stanno svanendo e sa che presto il formicolio che avverte lungo il lato sinistro del corpo si trasformerà in fiamme roventi. Sospira. È così che dovrà vivere? Preda di atroci dolori o assuefatto a medicine che lo costringono a trascorrere le giornate nel letto? Di quel passo, sarebbe diventato come suo padre. 

«Riesci a tirarti su?» gli chiede Alicent. Da quando Meleys l’ha ferito, è diventata molto più premurosa con lui. 

Aegon annuisce. Si solleva sui gomiti e quando lei gli prende le braccia per aiutarlo, lui scuote la testa. Se deve ricevere le attenzioni di sua madre solo quando rischia di morire, preferisce non averle mai. E poi è intenzionato a togliersi da quel letto il prima possibile, deve almeno riuscire a sedersi da solo.

Ci riesce, stringendo i denti per non gemere quando solleva il busto e avverte con chiarezza ogni singola ferita sul suo corpo. Quante costole si era rotto? Forse tutte, a giudicare dal dolore che gli provoca quel semplice movimento. Alicent gli aggiusta i cuscini dietro la schiena e Aegon vi si lascia cadere contro. 

«Mi fa piacere che tu ti senta meglio e voglia smettere col latte di papavero» dice sua madre. «Ma le tue ferite non sono ancora guarite del tutto, perciò cerca di non esagerare, va bene?»

Aegon annuisce distrattamente. Si volta a guardarla e nota solo in quel momento che non indossa il suo solito abito verde. Sbatte le palpebre. Anche i suoi capelli non sono più marroni, così come le lenzuola del suo letto non sono rosse e dorate. I suoi occhi vedono solo derivati di bianco e nero, rendendo quella stanza un panorama tetro da osservare. 

Aegon si lascia sfuggire una risata.

«Quella poltiglia che ho continuato a bere mi ha tolto la vista.»

«Che vuoi dire?» Alicent gli afferra il volto tra le mani, scrutandolo con apprensione. «Non… Non riesci a vedermi?»

Aegon scuote la testa. Le afferra i polsi – il braccio sinistro è tremendamente lento a sollevarsi – e la allontana da sé.

«No, ti vedo. Sei solo monocolore, come tutta la stanza. Non capisco perché» dice poi, aggrottando le sopracciglia, «ieri vedevo tutto normalmente.»

Alicent sgrana gli occhi. Si porta una mano alla bocca e china la testa, trattenendo a stento un singhiozzo. 

«Non è grave» le dice. Posa una mano sulla sua spalla, in un impacciato tentativo di conforto – anche se non capisce da cosa la deve consolare. «Vivo anche senza colori.»

In realtà, era quasi felice di non poter più vedere il verde degli Hightower. Lo aveva stancato, ne era sommerso fin da bambino e lo associava alle ambizioni della sua famiglia – le stesse ambizioni che lo aveva costretto in quel letto e avevano ucciso Luke e Jahaerys. 

Gli sarebbe mancato ammirare le scaglie dorate di Sunfyre, ma il suo amato drago, ammaccato come lui, sarebbe rimasto per sempre la creatura più bella su cui avesse mai posato gli occhi. Il ricordo della sua luce è stampato nella sua memoria, affiancato a un sorriso e due grandi iridi nocciola sempre puntate nella sua direzione. 

«Notizie di Jace?» chiede. 

Il ragazzo rappresenta un ostacolo alla loro fazione fin da quando ha portato la Valle di Arryn e il Nord dalla parte di Rhaenyra. Aegon non lo vede da quella disastrosa cena, prima che Jace tornasse a Roccia del Drago con la sua famiglia.

 

“Sei diventato molto permaloso se te la prendi per un commento innocente.”

“Era un insulto e tu lo sai!”

Aegon fece spallucce. “È pur sempre la verità.”

Jace strinse i pugni. Si aspettava che lo colpisse, come aveva fatto con Aemond, invece rimase immobile.

“Perché mi hai seguito, Aegon?”

Aegon si grattò il mento. “Mi andava.” Non si spiegò oltre: che gli era mancato e voleva passare del tempo con lui; che non gli importava se lui o sua madre avrebbero preteso la sua testa una volta saliti al trono; che non lo aveva mai chiamato bastardo perché non gliene fregava un cazzo di chi fosse suo padre, ma solo che erano amici e la sua compagnia lo faceva stare bene. 

Jace sospirò. “L’età non ti ha insegnato l’autocontrollo, vedo.” Lo disse con un mezzo sorriso. Aegon non lo aveva mai visto così triste, nemmeno dopo la morte di Harwin Strong. “Sai, ero felice di tornare qui. Credevo… Credevo che avrei ritrovato un amico.”

Aegon aprì la bocca, ma la richiuse senza emettere un suono. Jace scosse la testa. La delusione che lesse nel suo sguardo era qualcosa a cui era abituato, ma non avrebbe mai voluto vederla dipinta sul suo viso.

“Jace…” Allungò una mano verso di lui, ma il ragazzo si era già voltato.

“Buonanotte, zio.”

 

A volte si chiede ancora cosa sarebbe successo se avesse avuto il coraggio di parlare, parlare davvero, quella sera. Magari lo avrebbe convinto a restare e Rhaenyra sarebbe stata presente al momento della morte di loro padre per indossare la corona che Viserys aveva destinato a lei. Magari lo avrebbe guardato come faceva un tempo, con ammirazione e affetto, e Aegon non avrebbe dovuto chiedersi come sarebbe stato il loro successivo incontro, perché in quello scenario Luke sarebbe ancora stato vivo e lui non avrebbe fatto alcun torto a Jace o alla sua famiglia. Magari…

Alicent gli stringe la mano tra le sue, riportandolo al presente. Ha gli occhi lucidi e sembra incerta sulle parole da usare. Aegon inarca un sopracciglio: il suo Maestro dei Sussurri aveva forse dimenticato di passarle le informazioni raccolte su Jace l’ultima volta che era stato a farle visita?

«Le navi delle Tre Figlie inviate a liberare il Condotto sono state attaccate dei draghi dei Neri» spiega sua madre. Aegon annuisce: ricorda vagamente che avevano bisogno di liberare le rotte commerciali dal blocco dei Velaryon e che suo nonno aveva cercato alleati oltre il Mare Stretto, prima che lui gli togliesse la spilla del Primo Cavaliere. «Abbiamo subìto molte perdite» continua Alicent, «ma siamo riusciti a infliggerne una cruciale ai nostri nemici.»

«Bene.»

«Jacaerys e il suo drago sono morti.»

È lo schiaffo più doloroso che sua madre gli abbia mai dato. Lo colpisce con occhi colmi di compassione e mani che lo accarezzano dolcemente, come se quelle attenzioni potessero lenire la crudeltà delle sue parole. 

«Jace è morto?» chiede Aegon. Sono termini strani da associare nella stessa frase, sbagliati anche. Jace non dovrebbe essere morto – e nemmeno Luke o suo figlio o la mente di Helaena. Non quando lui era ancora vivo. 

«Mi dispiace.» Una lacrima scende lungo il viso di Alicent. «Ho capito solo quando mi hai detto… Io pensavo – no, volevo che la storia delle anime gemelle fosse solo una leggenda dell’Antica Valyria che si era perduta nel tempo.»

Aegon ha la mente invasa dalla stessa immagine – Jace è morto Jace è morto – e non riesce a capire subito ciò di cui sta parlando sua madre. Sente le parole “anime gemelle” e aggrotta le sopracciglia. Gli hanno sempre detto che erano solo favole per bambini e che non esisteva nessun legame simile nel mondo conosciuto. 

 

“Aegon, tu hai mai sentito parlare delle anime gemelle?”

“Ho sentito qualcosa, sì. Ma sono solo idiozie.”

“Io le trovo belle invece. Però…”

“Cosa?”

“Io vedo i colori da sempre. Come faccio a trovare l’anima gemella se li vedo già?”

“È molto semplice, nipotino: non la troverai. Un giorno, quando incontrerai qualcuno che ti piacerà, potrai decidere che sia quella la tua anima gemella.”

“Ma la leggenda non dice così.”

“La leggenda non è reale, Jace. Fidati di me. Anch’io ho sempre visto i colori da che ne ho memoria e mia madre mi ha confermato che si tratta solo di una favola.”

“Oh. Capisco. Peccato, però: sarebbe stato bello, non trovi?”

 

Un altro ricordo, una breve immagine, lo assale dopo anni di silenzio: non è la prima volta che vede sua madre ammantata di grigio. La donna lo aveva convocato dopo la nascita del primo figlio di Rhaenyra, mostrandosi a lui nelle stesse vesti di oggi. Aegon l’aveva seguita nella stanza della principessa e aveva preso in braccio Jace. All’inizio piangeva, ma poi aveva spalancato i suoi occhioni scuri e gli aveva sorriso. Era stato troppo abbagliato da quel neonato per notare che i colori avevano iniziato a brillare attorno a lui – e, nella sua indifferenza verso il mondo, non aveva mai riflettuto su quel cambiamento improvviso.
Fino a ora.

Aegon scoppia a ridere. Il costato gli duole, ma è un male sopportabile rispetto a quello che gli stritola il cuore e continua a urlare la sua litania: Jace è morto.

«Aegon?» 

Sua madre gli posa una mano sulla spalla – forse vuole rimproverarlo, forse vuole consolarlo. Non gli importa. 

Si copre il viso con il braccio sano mentre dalle sue labbra continua a sgorgare una risata al sapore di lacrime – quelle stesse lacrime che hanno preso a sgorgare dai suoi occhi, tracciando solchi lungo la pelle.

«Complimenti per il tempismo, madre.»

«Oh, bambino mio…»

Gli accarezza i capelli e Aegon vorrebbe sciogliersi tra le sue braccia, accettare il conforto di quella madre che forse l’ha amato ma non ha saputo dimostrarlo, e tornare davvero bambino – per rifare tutto dall’inizio, per prendere le redini della sua vita e non lasciarsi trascinare da altri. Per dire a Jace quanto fosse importante per lui e che le anime gemelle esistevano e, sì, era bellissimo. 

Ma Jace è morto, sua madre non può restituirgli l’amore di cui l’ha privato e lui è un giullare spezzato mascherato da re.

Si sdraia, mentre la risata scema dalle sue labbra e resta solo la consapevolezza di tutto ciò che ha perso. 

«Ora mi riposo un po’» dice. Si asciuga il viso e si volta verso la finestra. In lontananza, gli sembra di udire le grida di Sunfyre, l’unico che riesca davvero a comprendere il suo dolore. 

Alicent continua ad accarezzargli i capelli. Tentenna, ma alla fine si china su di lui per posargli un bacio sulla fronte e si alza, dirigendosi verso la porta.

Prima che la apra, Aegon la ferma e le chiede di chiamare Orwyle.

«Voglio altro latte di papavero.»

   
 
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