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Autore: MollyTheMole    04/01/2023    0 recensioni
Tanti anni prima, suo padre aveva detto loro di trasferirsi in Giappone, che lì sarebbero stati al sicuro. Sarà anche stato vero, ma da quando era arrivato nella terra del Sol Levante gliene erano successe di tutti i colori. Insomma, quante possibilità c'erano di trovare uno stalker particolare, un dinamitardo narcisista, tutta la famiglia Mouri - piccoletto iettatore incluso - nonché Gin, Bourbon e compagnia bella, tutti dentro lo stesso centro commerciale? Per non parlare di lei. Solo quel giorno gli stava facendo perdere dieci anni di vita.
Genere: Azione, Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jodie Starling, Rei Furuya, Shuichi Akai
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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2.

Scappa! Questa zona è pericolosa!

 

Eccolo lì. Bello bello, con la sua cicatrice posticcia sull’occhio.

E poi io ho le spalle più larghe, almeno una taglia in più, e diversi centimetri in più in altezza, ma tant’è.

Il centro commerciale di Beika era enorme. C’erano diversi piani, ascensori, numerose scale mobili, dozzine e dozzine di negozi che vendevano di tutto: generi alimentari, vestiario, giocattoli per bambini. Dentro c’era persino un bar e un ristorante che faceva dell’ottimo curry. 

Shuichi non era mai stato dentro al centro commerciale, e in generale non li amava né li odiava. Li trovava coacervi di inutilità per gente asservita al consumismo, ma era stato costretto ad apprezzarne l’approvvigionamento quando Yukiko Kudo aveva avuto la bellissima - e coloratissima - pensata per il personaggio di Subaru Okiya.

Il suo guardaroba era stato completamente rinnovato. La signora Kudo si era rifiutata di farlo vestire con i suoi soliti colori scuri da becchino e si era dedicata ad una molto proficua sessione di shopping in cui gli aveva ricomprato persino le mutande.

Non che avesse avuto molta scelta, beninteso. Tutto ciò che aveva - vestiti inclusi - era finito tra le ceneri del suo vecchio appartamento insieme a tutti i suoi effetti personali. 

Quando un agente muore, i suoi beni vengono trasferiti alla sua famiglia. Almeno, ciò che può essere trasferito. I suoi file, i suoi appunti, il suo portatile erano stati epurati delle informazioni più sensibili e dei dati che nessuno avrebbe mai dovuto sapere, e poi erano stati consegnati a sua madre. Purtroppo, perché avrebbe decisamente preferito che venissero requisiti da suo fratello, dal momento che era stato impossibile tenerlo all’oscuro del suo piano per depistare Gin. 

Così, mentre tutte le sue sostanze venivano consegnate ai suoi familiari, mentre il suo conto corrente veniva svuotato della maggior somma di denaro e quest’ultima veniva trasferita su un conto protetto, Shuichi aveva fatto un’attenta selezione dei beni che avrebbe voluto tenere con sé: alcuni vestiti, i suoi libri preferiti, qualche disco di buona musica, si era persino comprato un bel vaso di gerani giapponesi rossi che annaffiava quasi tutti i giorni. 

Sarò anche morto, ma almeno passo del tempo di qualità. 

Tutto bruciato. Carbonizzato. Finito. Distrutto. 

Ad un certo punto, quando la sua mente scientifica e razionale era rimasta a corto di spiegazioni per la lunga sequenza di sfortunati eventi che lo aveva afflitto, aveva persino cominciato a pensare che qualcuno gli avesse lanciato il malocchio, o che sapeva lui, perché non si spiegava. C’era un limite alla sfortuna e lui lo stava decisamente oltrepassando.

Si guardò attorno, cercando di individuare altri esponenti dell’Organizzazione, ma non ne trovò alcuno. L’unico era Bourbon, che se ne andava in giro travestito da lui, per quale scopo non gli era dato sapere.

Lo guardò mentre saliva sulle scale mobili ed ascendeva al primo piano. 

Shuichi lo tallonò, salendo sulla seconda scala e tenendosi un poco più indietro.

Bourbon sgusciò tra la gente che sfilava tra gli scaffali osservando la merce, le mani in tasca e lo sguardo oscurato dalla visiera di un cappello da baseball.

Non esattamente il mio preferito, ma complimenti per l’occhio che presti ai dettagli.

Ad un tratto, Bourbon si voltò a guardarsi indietro. 

Shuichi fu costretto ad infilarsi in un camerino vuoto per non farsi vedere, ma tanto gli bastò per perdere l’attimo. Uscì rapido, lo vide allontanarsi alla sua destra verso il caffè e stava quasi per seguirlo quando una donna con tre bambini gli sbarrò la strada, intimando ai piccoli di stare fermi e di farlo passare senza troppo successo. 

Quando si fu divincolato, ormai era tardi.

Bourbon l’aveva appena seminato.

Convinto fermamente che Bourbon non avesse alcuna intenzione di uscire dal centro commerciale fino a che non avesse concluso la sua missione, si armò di santa pazienza e cominciò a vagare tra gli scaffali alla sua ricerca, fingendosi interessato a qualsiasi cosa gli capitasse a tiro.

Alla sua sinistra c’era un negozio di articoli d’abbigliamento femminile di alta moda, che metteva in mostra un bell’abito rosso su un manichino da sartoria.

Lasciò che i ricordi fluissero nella sua mente senza nemmeno provare a fermarli. 

 

La frase che aveva sempre accompagnato la vita di Shuichi era questo tipo è strambo. Con Jodie le cose non erano andate diversamente. Ai suoi occhi, lei era petulante e rumorosa. Agli occhi di Jodie, lui era arrogante e pieno di sé. Nonostante un inizio non esattamente tranquillo, per tutto il tempo in cui la loro relazione era durata era stata intensissima. 

Il loro primo appuntamento era stato tranquillo, al cinema tra popcorn e biscotti al cioccolato. Il secondo, invece, era stato burrascoso. Shuichi si era impegnato tanto. Aveva fatto l’incredibile sforzo di invitarla fuori a cena soltanto per vederselo vanificare dal lavoro, un caso complesso che li aveva portati a prendere un volo in giornata, chiaramente in ritardo, che aveva rischiato di far saltare tutto. Erano riusciti a rimediare tutto sommato bene, sostituendo la cena al ristorante con una da asporto a casa sua. Nonostante tutto, Jodie si era presentata con un bel vestito rosso, simile a quello che era esposto nel centro commerciale.

 

- Dobbiamo ancora mettere a posto le fotografie nel fascicolo e stilare il report da inviare a James.-

- Pensi che ce la faremo in nottata?-

- Non so, io ho sonno.-

- Tu, campione di occhiaie?-

- Spiritosa.-

- E’ arrivato il cibo?-

- Sì, sto già sistemando le…-

Jodie era spuntata dal bagno con uno splendido quanto potenzialmente letale abito rosso borgogna.

Shuichi rimase a fissare il vuoto cinque secondi prima di trovare qualcosa da dire.

- Non è un po’ troppo per del thailandese da asporto?-

- Ci ho messo una vita per trovare questo vestito, col cavolo che mi faccio togliere l’occasione di indossarlo. E’ un problema per te?

Figurarsi. Una domanda retorica. 

 

- Non me lo faccia ripetere altre volte!-

Shuichi sobbalzò e si voltò di scatto, seguendo la voce che brontolava nei confronti di un’assistente del negozio.

Parli del diavolo…

- Il piccolo disegno sul retro di questo cappello è del vostro grande magazzino! In altre parole, si tratta di un vostro articolo esclusivo! Giusto?-

Rimase a fissare sorpreso Jodie che, assieme a Camel, cercava di convincere la commessa a rivelarle qualche informazione che lei riteneva utile su un cappello da baseball, clamorosamente simile a quello che Bourbon indossava quel giorno.

Che accidenti ha in mente? 

Anzi, Jodie stava provando ad estorcere le informazioni. Camel aveva tutta l’aria di essere lì perché costretto e di non credere fino in fondo all’iniziativa della collega. 

La ragazza continuò a sventolare il cappello sotto il naso dell’assistente.

- Si ricorda il cliente venuto a comprarlo?-

Jodie era tosta quando si trattava di condurre gli interrogatori. Sapeva essere temibile quando alzava la voce, ma si trattava di rare occasioni. Di solito, Shuichi preferiva usare l’astuzia e lei gli andava dietro. 

Uno dei primi interrogatori che avevano condotto assieme era stato splendido. Cioè, splendido per loro, non di sicuro per l’arrestato, che era sbiancato di brutto quando Shuichi, con la calma dei giusti, si era seduto alla scrivania dicendo:

- Sai che cosa ti ha incastrato? Il tuo calzino destro.-

Nonostante avesse a che fare con una semplice shop assistant, Jodie sembrava star interrogando un terrorista.

E non era da lei.

- Posso sapere chi ritieni che abbia acquistato questo cappello?- azzardò Camel, facendo capolino da sopra la spalla di Jodie.

- Tu resta zitto.-

Non le passò l’arrabbiatura nemmeno quando fu interrotta da Kogoro Mouri e dalla sua famiglia, naturalmente in compagnia del piccoletto. 

Shuichi rimase in ascolto a distanza, senza capire molto di quello che il gruppetto stava dicendo, fino a che non la vide voltarsi inviperita, le mani sui fianchi, a confabulare con Camel mentre la commessa se la svignava alla chetichella per servire una cliente.

Si avvicinò di soppiatto, prendendola alla larga e scivolando tra gli scaffali, fingendosi interessato ad un paio di occhiali da sole e confidando nel suo travestimento. 

Sentì il bambino e la commessa borbottare senza riuscire a cogliere del tutto le parole, anche se aveva la sensazione che stessero discutendo della conversazione con la straniera curiosa dall’accento americano.

Si avvicinò ancora, sperando che il piccoletto non lo notasse. Dio solo sapeva quanto sapesse essere invadente.

E porta anche una discreta iella. Io non ci credo, ma quando c’è lui nei paraggi muore sempre qualcuno e, in tutta sincerità, sono fin troppo soddisfatto della mia iattura. Non me ne serve altra.

Quando fu finalmente a portata d’orecchio, potè percepire proprio ciò che temeva.

- Mi scusi, la straniera di prima ha detto altro circa il cappello?-

- Sì, mi ha chiesto più volte se lo avesse comprato un uomo con la cicatrice di una bruciatura sulla guancia destra!-

Adesso Shuichi cominciava a capire come mai James fosse rimasto così scosso da quanto accaduto durante la rapina in banca. L’incontro tra Jodie e Bourbon era capitato nel peggior momento possibile. Stava ancora cercando di fare i conti con la sua morte, e Bourbon era intervenuto proprio quando lei stava ormai cominciando a farsene una ragione finendo col convincerla del contrario.  

Il suo ragionamento restava comunque in piedi. Era altamente probabile che Bourbon l’avrebbe lasciata in pace, dal momento che aveva ottenuto da lei tutto ciò che desiderava, ma andandosene in giro a quel modo Jodie rischiava di mettere a repentaglio la propria vita destando sospetti e diventando allo stesso modo un bersaglio agli occhi dell’Organizzazione.

Guardò Jodie procedere ad ampie falcate verso il caffè tallonata da Camel e decise di seguirla.

Shuichi si chiese se l’agente ormai non avesse intuito che lui e Jodie non erano stati soltanto amici. Certo era che la giovane donna sembrava l’unica disposta a credere che lui fosse ancora vivo, e Camel pareva piuttosto convinto che stesse cercando di aggrapparsi a quell’idea perché non poteva accettare l’altra.

Quando fu fuori dalla portata dei suoi colleghi e lontano dall’orecchio del piccolo Conan, si avvicinò alla commessa del grande magazzino.

- Mi scusi, posso chiederle alcune informazioni?-

La donna, sulle prime, sembrò frastornata, ma quando si rese conto che un cliente le stava chiedendo di fare il proprio lavoro raddrizzò la schiena, distese il miglior sorriso che potesse fare e lo invitò a continuare.

Poliziotto buono e poliziotto cattivo funziona sempre.

- Sto cercando un amico. Ci siamo dati appuntamento in questo centro commerciale. E’ un uomo alto più o meno quanto me, con una brutta cicatrice da ustione sul viso. L’ha visto, per caso?-

- Anche lei lo sta cercando?-

- Sì. Una rimpatriata tra compagni di college.-

- Oh, capisco, ecco perché quella straniera lo cercava! Siete tutti studenti?-

- Sì.-

- Ah, che bello! Senta, non posso dare informazioni sui clienti, per cui mi scusi con la sua amica. Tra l’altro, è un po’ aggressiva, si sente bene?-

- Sono stati giorni difficili. Diceva?-

- Non ha comprato il cappello, come ho detto alla sua amica. Visto, ho detto la verità! Però l’ho visto passare di qua. Giusto qualche minuto fa. E’ andato laggiù, verso l’area maternità!-

- La ringrazio tanto. Buona giornata.-

Tagliò per il reparto, passando tra scarpine e cappellini per neonati per dirigersi più velocemente possibile verso il caffè. 

Area maternità? Per quale motivo sta girando a vuoto?

Fu intralciato da una coppia di signore che stavano facendo compere per il bambino di un’amica, chiese permesso, sfrecciò in mezzo al gruppo di donne indaffarate con gli acquisti e finalmente riuscì ad uscire.

La caffetteria era proprio davanti a lui.

Di Bourbon, ancora nessuna traccia.

Poteva vederlo, però. Si aggirava facendo il vago nei pressi del piccolo bar, le mani in tasca e il volto adombrato dal cappello. Di tanto in tanto si fermava, toccava una maglia, guardava il prezzo di un pantalone, faceva finta di provarsi un paio di occhiali. Insomma, cambiava negozio, ma restava sempre nei paraggi.

E l’unica ragione per fare ciò, pensò Shuichi, era che dovesse incontrare qualcuno.

Che sapesse lui, al centro commerciale non c’era nessuno di interesse, a parte lui stesso, Jodie e Camel. 

Ah, e il nanerottolo. Di solito era dovunque ci fossero gli uomini in nero o un cadavere, sempre in mezzo come il prezzemolo.

Sono sicuro che tra poco succederà qualcosa di spiacevole, con tutto il bene che voglio a Conan, beninteso.

Prese posto in un angolo sul fondo, ignorato dai più, ed ordinò un caffè nero caldo, come piaceva a lui.

Affondò il naso nella tazza e bevve un sorso di amarissimo caffè.

Tutt’un tratto, qualcosa cambiò repentinamente nel comportamento del suo rivale. Bourbon aveva smesso di frugare a caso tra la merce del centro commerciale e si era diretto, sguardo basso e mani in tasca, verso il bar.

Mentre aspettava che accadesse qualcosa che gli suggerisse un barlume di risposta al problema di Kir, lo guardò incedere fin dentro il perimetro del dehors e filare dritto dritto in bagno.

Un minuto. Due minuti. Tre minuti.

Alla faccia della necessità.

Bourbon non usciva più.

Che sia scappato dalla finestra del secondo piano? Magari c’è Vermouth ad aspettarlo di sotto. Avrebbe tutti i motivi per farlo, soprattutto se Gin non sa nulla della sua sortita e gli sta tendendo una trappola. A lui o a Kir.

 Mentre rimuginava sul da farsi, Jodie e Camel entrarono dentro il caffè. Jodie avanzava ad ampie falcate, le mani intrecciate attorno al corpo come se si stesse proteggendo, lo sguardo pensieroso e corrucciato fisso di fronte a lei. Camel le trotterellava fedelmente dietro, con la stessa maschera di stupore, preoccupazione e forse anche una buona dose di compassione. 

Sì, Camel sa di noi.

Li osservò mentre si sedevano al tavolo del caffè ed ordinavano qualcosa da sgranocchiare assieme a due tè freddi. 

Non li biasimò. Quel giorno faceva un caldo infernale, e lui stava consumando litri e litri di fluidi corporei sotto la maschera di lattice.

Camel sembrava impaziente per qualcosa, e non appena il cameriere ebbe preso l’ordinazione, Shuichi lo guardò sfrecciare in bagno. 

Da cui Bourbon non era ancora uscito.

Vuoi vedere che li ha aspettati qui per tutto questo tempo?

 Deciso a venire a capo di quella situazione, si infilò l’auricolare all’orecchio e compose un numero di telefono.

- Pronto?-

- James?-

- Akai-kun, che succede?-

- Sono al centro commerciale. Jodie e Camel sono qui. Stanno cercando il tipo della rapina in banca. Cioè, Jodie lo sta cercando. Camel le trotterella dietro per non lasciarla sola. Li hai mandati tu?-

Sentì l’uomo sospirare dall’altra parte del telefono.

- Questa situazione deve risolversi. Jodie rischia di fare troppe domande e di diventare un bersaglio per l’Organizzazione. E poi, mi ha mentito. Mi ha detto che andava a pranzo con Camel, non a compiere un’indagine privata!-

- James, se un’indagine è privata significa che non bisogna dirlo a nessuno.-

- Hai ragione anche tu, ma…-

- Mi ha chiamato Kir. Mi ha detto che Gin ha mangiato la foglia. La stava aspettando in un magazzino fuori Haido, dice che qualcuno gli ha detto che al centro commerciale c’è uno che sembra me. In effetti c’è, Bourbon è qui. E’ ragionevole pensare che presto arriveranno anche gli altri. Ah, e c’è anche il piccoletto.-

- Chi, Conan-kun?-

- Esattamente.-

- Allora morirà qualcuno di sicuro, o l’Organizzazione metterà a ferro e fuoco il centro commerciale. Puoi fare in modo che Jodie non si trovi lì, quando succederà?-

- Posso provarci, ma sarebbe meglio che tu mi dessi una mano.-

Il cameriere consegnò a Jodie il bicchiere colmo di liquido ambrato, poggiato su un sottobicchiere rotondo e colorato.

La ragazza, sola a tavola, prese a fissare smarrita il suo tè freddo, rigirando la cannuccia nel ghiaccio.

- Facciamo così, James.- disse Shuichi, grattandosi il mento sotto la maschera.- Falle una telefonata. Dille di spicciarsi a tornare. Al resto penso io, e speriamo che sia sufficiente.-

- Che cosa intendi?-

- Mi sembra parecchio agitata. Non sono sicuro che questo basterà. In caso, ci riproveremo più tardi. Puoi fare qualcosa per Kir?-

- Posso provare a rintracciarla. Dopo aver chiamato Jodie tenterò.-

- Ottimo.-

Chiuse la chiamata ed attese. 

Jodie e Camel avevano preso un tavolo poco distante dal suo, proprio di fronte. 

Involontariamente, gli avevano fornito un punto di vista eccellente per controllarli e rimuginare in santa pace senza essere notato.

 

Per lungo tempo Shuichi si era chiesto come avesse fatto Jodie a diventare un agente dell’FBI. 

Era brava, beninteso. Era un ottimo medico, aveva delle eccellenti conoscenze culturali, parlava molte lingue. Insomma, aveva un cervello sopraffino, come tanti avrebbero voluto avere. Il fisico slanciato ed atletico l’aiutava quando c’era bisogno di difendersi o correre, ed aveva una buona mira. Sotto copertura se la cavava e - checché ne dicesse Shuichi - guidava anche discretamente bene. 

Meriti ne aveva tanti, ma aveva un grandissimo difetto.

Jodie non aveva nessun controllo sulla sua mimica facciale. Non sapeva mascherare le emozioni. Almeno, questo era ciò che Shuichi aveva sempre pensato di lei. Osservarla quando credeva di non essere vista da nessuno era un po’ come leggere un libro aperto. Si metteva sempre in quella posizione quando pensava, poggiata su un gomito e con la mano chiusa a coppa attorno alla bocca, l’indice che sfiorava la guancia e gli occhi persi su un punto fisso. Quando pensava le si aggrottavano le sopracciglia, con una leggera ruga d’espressione tra gli occhi e il naso un po’ arricciato. Dopo aver rimuginato per un po’, se la si guardava attentamente si poteva capire a che conclusione fosse arrivata: se la riga si distendeva, ma lo sguardo non si muoveva granché, voleva dire che c’aveva rinunciato, che aveva gettato la spugna. Se invece alzava gli occhi e abbozzava un leggero sorriso, l’espressione serena che aveva di solito quando interagiva con il mondo attorno a lei, allora voleva dire che aveva capito o che aveva trovato una soluzione di compromesso al problema.

Quello era un difetto non da poco per un agente dell’FBI, uno che deve recitare spesso e volentieri. Per lungo tempo, dunque, si era chiesto come avesse fatto, con una simile lacuna, a superare i test per diventare non soltanto agente, ma addirittura agente speciale. In modo forse un po’ meschino - e di cui si era anche vergognato - aveva pensato che potesse esserci stato lo zampino di James Black.

Poi l’aveva vista in azione ed aveva capito che il problema non era Jodie, bensì lui stesso.

Quando le pareva, la giovane agente aveva un’eccellente padronanza di sé. Sapeva pure piangere a comando. 

Insomma, una vera e propria attrice consumata.

Era Shuichi a capire quali fossero davvero le intenzioni di Jodie, non lei a lasciarle trapelare. Agli occhi di tutto il resto del mondo, era assolutamente credibile. Lui, al contrario, aveva imparato a leggerla come nessun altro, con il risultato che a volte, quando la vedeva fare l’attrice consumata, gli scappava da ridere e rischiava di mandare all’aria qualunque cosa stessero facendo. 

Era stato uno degli indizi che gli aveva fatto capire di essersi innamorato di Jodie.

 

Rimase a guardarla mentre faceva girare a vuoto il contenuto del bicchiere, lo sguardo perso nel liquido chiaro e la mano ancora chiusa a coppa attorno alla bocca. 

Poi lo vide.

Bourbon, bel bello e con la cicatrice posticcia sull’occhio, era appena uscito dal bagno - da cui Camel non aveva ancora fatto ritorno - e si stava dirigendo quatto quatto verso l’uscita. 

Shuichi sentì una fitta di rabbia assalirlo e fu lesto a reprimerla.

James, dove accidenti sei?

Come se avesse sentito i suoi pensieri, il telefono di Jodie prese a squillare. La ragazza lo estrasse stupita dalla tasca, guardò il numero e si alzò per rispondere, prendendo la porta senza troppi complimenti.

Oh, ottimo. Almeno Bourbon non la infastidirà ulteriormente.

Era giunto il momento di mettere in atto il suo piano.

Si alzò dal suo tavolo e si avvicinò al posto della ragazza, dove giaceva abbandonato il bicchiere mezzo vuoto. 

Tenendo un occhio su di lei e uno quando sul tavolo, quando su Bourbon, estrasse la penna dal taschino e fece schioccare la molla. Spostò il bicchiere mentre la punta della penna usciva dal cilindro di plastica, la posò sul sottobicchiere e vergò poche, semplici parole:

 

Scappa! Questa zona è pericolosa!

 

Infilò la penna nel taschino della giacca e riposizionò il sottobicchiere al suo posto. Poi, non visto da nessuno, ritornò a sedersi.

Bourbon aveva imboccato l’uscita, ma fortunatamente Jodie gli dava la schiena.

Resta concentrato. Kir ti ha chiesto aiuto.

Lo guardò mentre superava Jodie e se ne andava dal caffè.

Se la stuzzica ancora, lo accoppo.

Era abbastanza palese agli occhi di Shuichi che Bourbon stesse ancora cercando conferme della sua morte.

Sì, ma il problema rimane. Perché non dirlo a Gin?

Non appena Jodie ebbe chiuso il telefono ed ebbe varcato di nuovo la soglia del caffè, fu il turno di Shuichi di rispondere.

- Pronto?-

- Non si sbottona. Mi ha confessato di essere in un centro commerciale e che intende uscire non appena Camel sarà tornato dal bagno. Non un accenno alla sua ricerca, però.-

- Probabilmente vuole essere sicura di non avere le traveggole, prima di esporre le sue idee ai colleghi. Dalle tempo, o prendila come sai prenderla tu, vedrai che ti confesserà tutto a tempo debito. Invece, Bourbon sta tampinando Camel. Non so se per fargli confessare qualcosa ed avere informazioni su di me, o per studiare ancora la reazione di Jodie.-  

- Tu hai fatto quello che dovevi?-

- Sì, spero che basti.-

- Non riesco a capire che cosa ci sia sotto.-

- Nemmeno io, James. Non appena so qualcosa ti chiamo.- 

Jodie aveva l’aria afflitta, mentre riposava il mento sul dorso della mano. Non sconfitta, questo no. Era tosta e soprattutto convintissima di ciò che stava facendo. Rigirava tra le mani il cappellino da baseball che aveva mostrato all’assistente del centro commerciale, come se fosse colpa sua se l’uomo in questione non si stava facendo trovare. Rimuginava mordendosi il labbro inferiore, come era solita fare quando pensava e non riusciva a risolvere il problema. 

All’improvviso, si accorse che il fondo del sottobicchiere era arricciato.

Brava. Adesso leggi, prendi Camel ed esci da qui.

La guardò mentre sollevava il sottobicchiere e leggeva le poche parole che aveva vergato sul fondo, mentre gli occhi le diventavano grandi come palline da tennis. 

 

Aveva sempre avuto dei begli occhi, Jodie. Blu pervinca, brillante come il cielo terso nelle giornate di aprile. 

C’era stato un tempo in cui Shuichi non era riuscito quasi mai a guardarla negli occhi. Non perché non li apprezzasse, perché ci si perdeva dentro. Jodie aveva il potere di fargli perdere il filo del discorso, anche di quelli più importanti. 

 

- Hai portato il fascicolo a James?-

- Sì.-

- E quell’appunto a Magda per far riparare le tubature del bagno?-

- Sì.-

- E gli asini volano?-

- Sì.-

Silenzio.

- Come scusa?-

- Lascia perdere.- gli aveva risposto, con un sorriso sornione. 

 

Dopo la prima occasione, Shuichi aveva smesso di guardarle gli occhi. Jodie parlava, e Shuichi si guardava le scarpe. 

Era finita che Jodie gli aveva chiesto ragione di quel comportamento.

- Ti metto in imbarazzo? Sto facendo qualcosa che non va bene?-

Non le aveva confessato la vera ragione per cui non riusciva a guardarla negli occhi finché non era diventato tutto troppo evidente, troppo palese. 

Quella sera - e la notte che era venuta dopo - era stata memorabile.

Jodie parlava con gli occhi. Con lui sempre, con gli altri quando si concedeva di farlo. 

Sapeva esprimere tutto attraverso quegli enormi occhioni blu. 

 

Potè leggere distintamente lo shock nelle sue iridi turchesi, grandi come palline da tennis. La osservò mentre scattava in piedi e si guardava attorno nel disperato tentativo di individuarlo, ma senza vederlo.

Se solo sapesse che sono qui davanti a lei.

Jodie, però, stava chiaramente cercando la persona sbagliata. Stava cercando un uomo con una cicatrice sul viso che fingeva di non conoscerla e che lei si ostinava a credere fosse il vero Shuichi. Invece, si trattava di un uomo che, in verità, l’avrebbe tanto voluta fuori dai piedi, lontano dall’intero Giappone.

Anche lui la voleva lontana, ma per un motivo ben diverso.

Shuichi voleva proteggerla. Lontano da lì, Jodie sarebbe stata al sicuro. 

Bourbon la odiava, come odiava lui e chiunque gli gravitasse attorno, specie se dell’FBI.

La osservò mentre accarezzava con i polpastrelli la scritta a penna sul cartoncino.

Che ci sarà di interessante, poi. E’ pure scritto male. L’ho vergato di traverso e in fretta e furia per non essere visto.

Un pensiero lo folgorò sulla sedia e durò un secondo, sufficiente a fargli credere di essere un completo imbecille e completamente fuori strada.

Non importa se è bello o brutto. E’ mio. E’ tutto ciò che le importa.

Guardò gli occhi di Jodie rimpicciolirsi man mano che lo shock scemava. Mentre tornavano alle dimensioni normali si inumidivano, e il labbro inferiore le finiva tra i denti per poi essere coperto con il palmo della mano.

E per un momento ci credette. Si permise di sognare, di credere che quello non fosse il dolore di una collega, o di un’amica intima, ma il dolore di un’amante, di qualcuno che né lo odiava, né lo aveva mai dimenticato. 

Di qualcuno che lo stava ancora aspettando. 

Con la coda dell’occhio, scorse Camel, completamente disorientato, mentre usciva dalla toilette.

Odiò Bourbon con tutto sé stesso. 

Shuichi difficilmente odiava. Era uno che preferiva evitare il conflitto piuttosto che infilarcisi dentro a capofitto. Minima spesa, massima resa. La sua famiglia, però, era assolutamente sacra. Nessuno era autorizzato ad avvicinarsi alle persone che aveva attorno. Erano poche - si poteva dire che si contavano sulle dita di una mano - ma erano inviolabili ed intangibili. 

Qualcuno aveva provato ad avvicinarsi a suo padre. Presto sarebbero periti tutti sotto la scure della giustizia, o almeno se lo augurava. Parimenti, nessuno era autorizzato ad avvicinarsi a sua madre, a suo fratello e a sua sorella - che nessuno toccasse Masumi se teneva alla propria vita!

Jodie si infilò il sottobicchiere in tasca e scappò di corsa in direzione del registratore di cassa, ignara dell’incontro appena avvenuto nei bagni del caffè.

- Mi scusi, ho bisogno di sapere se ha visto un uomo vestito di scuro con una cicatrice sulla guancia entrare ed uscire da questo locale.-

Il cameriere - un ragazzo giovane con gli occhiali e i capelli impomatati - la guardò stranito.

- Un tipo curioso con la cicatrice sul viso? Sì, è appena uscito!-

- Eh? Un uomo con una cicatrice sulla guancia destra è uscito da questo locale poco fa?-

- S-sì, subito dopo che lei si è allontanata dal tavolo per rispondere alla telefonata.-

- Quel tipo portava un cappello come questo?-

- Esatto.-

L’attenzione di Shuichi, però, fu ben presto catturata da qualcos’altro.

All’inizio, era stato soltanto un ticchettio. Alle sue orecchie, però, era inconfondibile. Tac, tac, tac come gli stivali militari delle squadre antisommossa. 

Che accidenti sta succedendo qui?

Sorpassò Jodie e il cameriere, imboccando l’uscita del caffè. Nonostante volesse fare tutt’altro quel giorno, era costretto a seguire Bourbon per salvare la vita di Kir.

L’ennesima rinuncia a cui era costretto per quella vita così difficile che aveva scelto.

- Si tratta di Akai?-

Fantastico. Grande deduzione, Camel. Adesso le darai manforte, invece di dissuaderla.  

- Scusami - disse Jodie, chiedendo scusa al collega anche con gli occhi blu mentre si torceva la camicetta gialla.

Quel giorno era particolarmente carina.

- Dato che neanch’io ero completamente convinta, non potevo parlarne con i colleghi dell’FBI! Inoltre mi è sembrato che Akai avesse perso la memoria e non riuscisse neanche a parlare!-

Come pensavo. Accidenti a Bourbon e al suo tempismo.

- Jodie, potrebbe essere anche una trappola dell’Organizzazione!-

Caspita, oggi Camel è in forma. Bravo, Andre.

- Oh, andiamo, Camel!-

- Hai ammesso anche tu che Shuichi Akai era morto, dopo aver esaminato le impronte digitali! Non è possibile che sia ancora vivo.-

- Guarda! Questo è un messaggio che mi ha lasciato di nascosto quel tipo!-

- Eh?-

Oh, no, diamine.

- Guarda, Camel. Vedi questo trattino? Akai lo fa storto quando scrive, perché è mancino. E anche la sillaba no in Hiragana, vedi? E’ la sua calligrafia, ti dico! L’ha scritto lui!-

Qualunque cosa stesse capitando fuori dal caffè, non ci voleva per niente. Non era ancora riuscito a capire che cosa ci facesse Bourbon al centro commerciale e per quale motivo Hidemi Hondou gli avesse chiesto aiuto.

Si accorse che le squadre speciali - sembravano artificieri, non antisommossa come aveva inizialmente pensato - stavano circoscrivendo il perimetro attorno alle scale mobili, impedendo ai clienti l’accesso al piano superiore.

Ebbe giusto il tempo di udire il tono di preghiera nella voce di Jodie, prima di mettersi all’inseguimento di Bourbon definitivamente.

- Se fosse davvero Shuichi, che razza di trappola potrebbe mai essere?-

Dal canto suo, Camel sembrava convinto che Jodie fosse in piena fase di negazione della realtà.

- Può darsi che stiano seminando confusione tra noi dell’FBI.- 

I due continuarono a bisticciare per un po’ mentre Shuichi cercava di farsi largo tra la folla di curiosi. Almeno, per quanto fosse possibile discutere con Camel: alla fine quel bestione dal cuore di panna capitolava sempre e seguiva i suoi colleghi e i suoi amici come un cagnolino.

- Allora perché mi ha lasciato questo biglietto, e dopo poco succede questo?-

- Akai deve aver compreso in anticipo che sarebbe successo qualcosa in questo grande magazzino.-

- Già. Sono sicura che ormai ha recuperato la memoria.- 

Non l’ho mai persa. Per favore, vattene da qui!

Scorse Bourbon in cima alla scalinata, che gli dava la schiena. 

Considerato che ormai era impossibile accedere al terzo piano usando le scale mobili, fu costretto a rimediare.

Scivolò tra la folla diretto alle scale antincendio, sgusciando tra i clienti preoccupati e lasciandosi Jodie e Camel definitivamente alle spalle, provando a non pensare a nient’altro che alla sua missione.

Accidenti a me, a Bourbon e a tutto questo casino. 

Nell’estremo tentativo di far uscire Jodie da lì, l’aveva inavvertitamente convinta della sua esistenza in vita.

Si guardò attorno. Nessuno si accorse di lui.

Spinse il maniglione antipatico e sparì su per le scale antincendio.

Nel frattempo, compose frettolosamente un numero di cellulare.

- James? Abbiamo un problema. La cosa è più seria di quanto ci aspettavamo.-

  
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