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Autore: Mairyelf    07/01/2023    0 recensioni
Eliana è una donna dalle ali di drago: ardofili, li chiamano quelli come lei. Vive con suo fratello minore e altre centinaia di creature disgraziate nelle viscere umide e buie di un monte vecchio come il mondo, confinata fino a quando non avrà guadagnato abbastanza soldi da meritare la luce. Eliana lavora da una vita. Minatrice, operaia, mercenaria: si è sporcata le mani con la terra e con il sangue, ma la libertà sembra ormai vicina. O così crede.
Alisea è una donna dalle ali di farfalla: fate, le chiamano quelle come lei. Vive con le sue quattro sorelle in un palazzo con mura di cristallo e tende di seta, tra agi e responsabilità. Alisea è l'erede al trono del suo regno, in competizione con le sorelle da una vita: solo la più bella, più aggraziata, colta e scaltra fra loro potrà diventare regina. Alisea si impegna a dimostrarsi la migliore da tutta la vita e ormai la corona sembra a un passo da lei. O così crede.
Perché la vita è sempre piena di imprevisti, che possono prendere le sembianze del tagico crollo di una miniera o di un re venuto da lontano, che pretende la mano di una regina che non ama.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Vent’anni prima
Alliria, palazzo reale di Fluminia,
CCCLVI/I/XX.
 
Il popolo osservava i cinque globi con attenzione chirurgica.
«Guarda quello», vociò qualcuna. «È il Globo di Fluminia.»
«Quello in mezzo?»
«Sì, è quello che hanno trovato fuori dalla capitale.»
«Brilla il doppio degli altri…»
«In tutta la mia vita non ho mai visto una cosa simile.»
«Che sia un segno?»
«Sia lodato il Vento.»
«Sia resa grazia a Maia.»
Che un quantitativo di fate così massiccio si riunisse nella capitale del regno non era evento raro, ma che tutte lo facessero intorno a cinque mastodontiche uova di luce era qualcosa che si vedeva solo una volta ogni venticinque anni. I globi erano opalescenti e sul loro guscio vorticavano volute chiare simili a cirri; se una fata vi fosse atterrata a fianco, le sarebbero arrivati all’altezza della vita.
Il cordone di guardie che circondava la piazza con le uova impediva piuttosto efficacemente che ciò accadesse sul serio: all’interno dei globi si agitava qualcosa di vivo, qualcosa da proteggere anche con la propria vita. Come da proteggere era pure il palazzo reale che giganteggiava sospeso appena sopra le loro teste. Una stalattite di cristallo di grandezza immisurabile, tenuta in aria da un’impalcatura di bracci argentei, al cui interno risiedevano delle creature persino più importanti di quelle contenute nelle uova.
Dopo alcuni minuti in cui la folla spese tutti i propri commenti, la piazza cadde nel silenzio all’apparizione di quattro fate direttamente dall’interno del palazzo. Vestite di stoffa brillante – con abiti dagli strascichi tanto lunghi da richiedere una pagetta a testa per evitare che le code toccassero terra – raggiunsero i cinque Globi in volo, austere e maestose come statue di marmo, leggere e brillanti come nuvole estive. Definirle donne alate sarebbe stato come chiamare ammasso di vernice su tela un quadro: aridamente corretto, tristemente riduttivo. L’aura di magnificenza che irradiavano era qualcosa di impossibile da definire a parole. Se qualcuno in quella terra avesse conosciuto il concetto di angelo, probabilmente le avrebbe equiparate a quello. Ma siccome di angeli non se n’era mai sentito parlare, l’unico modo in cui si potesse definire il concetto di fata era fata.
Una di loro, che spiccava sulle altre grazie a un paio di immense ali di farfalla e a una veste perlacea che rifletteva i colori dell’iride, calamitò gli sguardi di tutte le presenti. La Maia, Reggente di Fluminia, protettrice d’Alliria e sovrana del regno delle fate, esisteva per attrarre e guidare.
“Popolo di Maia, mie fate e sorelle” disse, e nel farlo non mosse la bocca di un millimetro, ma una brezza leggera si propagò dalle sue ali e fece vibrare quelle di tutte le presenti. “Vi ringrazio per essere volate così numerose qui a Fluminia per assistere a questo evento così importante.” Se non si avessero avuto ali, sarebbe stato impossibile anche solo percepire le sue parole: quella era la voce di vento delle fate.1
Nessuna poteva vederlo, ma, oltre la maschera di onnipotenza, le mani della Maia stavano tremando. Lei prese il fiato e voltò il capo verso le altre tre che le stavano intorno. Tutte annuirono, incoraggianti. Una di loro, quella che indossava un abito argenteo e aveva occhi a mandorla del colore della notte, lentamente e senza farsi notare le carezzò la punta di un’ala, donandole un piacevole tepore che si irradiò in tutto il suo corpo. Bastò questo a darle coraggio.
“Questo è un periodo di perdita, di dolore. Mentre noi ci riuniamo per festeggiare, le nostre sorelle stanno combattendo una guerra ingiusta per difenderci dall’avidità dei dimedi” tutto il popolo chinò la testa e tacque.
“Capisco il vostro lutto, il vostro timore. Anche la Cinerea, colei che ritengo una sorella oltre che una Reggente, oggi non è tra noi: sta coraggiosamente guidando le nostre armate sul fronte oltre la Coltre.” Tacque qualche istante, permettendo a tutte le presenti di ricordare coloro che non erano presenti. I dimedi avevano distrutto l’equilibrio della terra in cui vivevano e stavano cercando di distruggere anche il loro, ma le fate non lo avrebbero mai permesso. “So quanto è difficile trovare il coraggio di gioire in un momento simile e per questo vi ringrazio. Ma oggi vi porto anche grandi notizie. La nostra Cinerea e le sue combattenti hanno di recente ideato una trappola per fermare l’avanzata sotterranea dei nostri nemici ed è con gioia che oggi vi comunico che il loro piano ha avuto successo. Un intero battaglione nemico è stato sbaragliato e i nostri confini sono stati difesi efficacemente. Quindi gioite con me, mie fate! Perché gioire è necessario! Sperare è necessario! Credere nelle nostre sorelle e nella nostra Coltre è necessario! Credere nel Vento e in Maia è necessario!”
Le fate gridarono e fecero fremere le loro ali in assenso.
La Maia fece un gesto verso i nidi con i globi. “Da ogni fata nasce una fata. Per ogni sorella caduta, un globo sorge. Dove un giorno c’è la morte, quello dopo c’è la vita. Oggi celebriamo il nuovo inizio della vita, la nascita di una nuova generazione. Oggi ricordiamo per cosa stiamo combattendo, per chi stiamo combattendo. Sfruttiamo questo giorno per rimanere unite e infonderci il coraggio di combattere e vincere!”
Le fate esultarono, gridarono di gioia, alcune di loro tra le lacrime, e fu proprio in quel momento che il più brillante dei cinque globi prese a pulsare di una luce candida.
Prima lentamente, poi sempre più in fretta, come se volesse richiamare l’attenzione di ognuna su di sé, finché non brillò di colpo e travolse tutte con una luce tanto intensa da costringerle a ripararsi lo sguardo. Quando la vista tornò, al posto del grosso uovo c’era la sagoma di una fata bambina, rannicchiata in posizione fetale, con le ali traslucide incollate addosso come una seconda pelle. Alzò il capo, un batuffolo di capelli ricci che ricordava un soffione, aprì i grandi occhi celesti e si guardò intorno spaesata. Un regno intero la stava osservando con le lacrime agli occhi e il fiato sospeso. Di che cosa stesse accadendo lei non sapeva nulla.
La Maia le si avvicinò, con sorriso incoraggiante l’aiutò ad alzarsi e le mostrò come spiegare le ali perlacee. Lei ubbidì perché la sua voce di vento le era famigliare e perché in mezzo a quegli sguardi si sentiva intimorita, come se tutte quelle fate l’avessero schiacciata se non avesse fatto quanto ordinato.
Nel momento in cui spalancò le ali, tutte le presenti seppero che sarebbe stata una fata grande, senza dubbio potente, perché quelle ali erano immense per una creatura così piccola, tanto grandi da fare da strascico anche a un’adulta.
La Maia si strinse le mani al petto, soffocando un’ondata di gioia che le fece salire le lacrime agli occhi. “Popolo di Maia” proclamò “Saluta Alisea di Fluminia, chrysallis ed erede del Maistero.”
Unire l’affetto dimostrata alle quattro nate dopo di lei, non sarebbe stato sufficiente a coprire quello riservato solo a lei in quell’istante. Al mondo da pochi attimi, inconsapevole di cosa stesse accadendo, ignara di cosa fossero la sofferenza, la perdita e il dolore, Alisea di Fluminia, chrysallis ed erede del Maistero, aveva già sulle spalle i desideri, il rancore e le speranze di un popolo intero.

 
Lo stesso giorno
Monte Candus, da qualche parte nei pressi di Clivis,
1 marzo, 5 Post Rivolta.

Quello stesso giorno, sul lato opposto della cortina di nebbia magica, mentre le fate celebravano in pompa magna la nascita delle loro future eredi al trono, un tizio spesso come una quercia e con un grosso taglio sanguinante sul volto, si trascinava dolorante attraverso i cunicoli sotterranei di un antico monte. Bussò a una porta, tenendo una lunga pergamena arrotolata stretta in pugno, e quando gli aprì una bambina di cinque anni, vestita di cenci, priva di un occhio e con una bambolina stretta tra le mani, le comunicò che Kenneth di Clivis, il rinnegato, era morto. Caduto vittima di una trappola delle fate, era rimasto sepolto insieme ai dimedi del suo battaglione sotto un tratto di miniera.
Tante condoglianze. E lunga vita alla rivolta dimedia.
Il tizio srotolò la pergamena, tirò una linea sul nome e se ne andò. Per quel giorno aveva altre centoquaranta famiglie da avvisare.
Eliana di Clivis si lasciò scivolare la bambola dalle manine e rimase immobile a contemplare il nulla oltre la roccia dinnanzi a lei. Ci volle una donna nerboruta, dai pelle color della notte piena di cicatrici e i capelli argentei, a riscuoterla. La bambina rimase a osservarla con il vuoto nello sguardo. La conosceva, ma anche in caso contrario, il dolore che provava le avrebbe impedito di reagire. Si fece mettere sedere su una vecchia panca di legno marcio, prese in mano il tozzo di pane che le venne offerto, rifiutò la bambola, e dopo un po’ finse di ascoltare delle parole di conforto, probabilmente un po’ impacciate, che neppure comprese. Annuì quando la donna le domandò se volesse restare a lavorare per lei; non aveva molte alternative: suo padre era morto e lei era rimasta sola sotto quel monte.


Note:
1. Per una maggiore comprensione, i dialoghi che avvengono tramite la "voce di vento" saranno contrassegnati con le virgolette alte.
   
 
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