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Autore: sidphil    08/01/2023    0 recensioni
Mickey e Mandy hanno tutto quello che una persona potrebbe desiderare: tanti soldi, una bella villa, Mickey scaffali pieni di libri e una chitarra che ama alla follia, Mandy un migliore amico che le vuole bene, popolarità e orde di ragazzi ai suoi piedi. Tuttavia, entrambi portano il peso di numerosi segreti sulla loro vita e la loro famiglia. Ian, migliore amico di Mandy, è tenuto costantemente all'oscuro per essere protetto, anche se lui stesso deve convivere con amare sofferenze.
Una storia un po' diversa dal solito, dove vedremo una Mandy e un Mickey diversi ma in un certo senso sempre uguali a quelli che conosciamo e un Ian un po' perso che ha bisogno di trovare sè stesso e che ci riuscirà proprio grazie a loro, senza rendersi conto di quanto può offrire in cambio lungo la strada.
Questa storia è una TRADUZIONE, per cui ho ottenuto il permesso dall'autrice originale.
Genere: Angst, Fluff, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Ian Gallagher, Mandy Milkovich, Mickey Milkovich
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Mickey non mentiva quando diceva che sarebbero stati fuori tutta la notte. Dopo essere usciti dall’acqua bagnati fradici si sdraiarono sulla spiaggia per un po’ semplicemente a parlare. Era di notte nell’isolamento e nella calma del silenzio, che Mickey sembrava parlare più liberamente. Facevano così nella stanza di Ian, prima dell’estate, quando Mickey si fermava a dormire da lui; parlavano sottovoce finché Ian non si addormentava.

- Okay ma, seriamente, ti hanno mai sparato? Non hai mai fatto incazzare qualcuno oppure te la sei cavata perché hai un bel visino? – chiese Mickey in tono più curioso che invidioso. Ian sorrise e girò la testa per guardare il suo profilo.

- Evidentemente non sono abbastanza un cattivo ragazzo –

Mickey ci rifletté un momento e si portò il braccio dietro la testa. – Mi hanno sparato almeno quattro volte. Erano dei ragazzini che mi dovevano dei soldi ed erano così strafatto che hanno sparato alla cieca perché erano in paranoia, cose così –

Ian era distratto siccome invece i ascoltare si stava sorgendo di più per osservare l’espressione colorita di Mickey.

- Ho preso il mio primo proiettile nella spalla, faceva un male cane –

- Sei andato all’ospedale? – chiese Ian cercando tracce di quella cicatrice sul braccio nudo.

- Dio no, hai idea di cos’avrebbe fatto mio padre se avessero denunciato che suo figlio era in ospedale? No grazie, non volevo rischiare –

- Cristo, Mickey – mormorò tristemente Ian. Mickey tenne gli occhi puntati al cielo, nero come l’inchiostro e senza stelle ma con qualche sfumatura colorata dovuta all’inquinamento luminoso della città. Ian allungò la mano è coprì la vista di Mickey con il palmo, ridendo. – Non ho cicatrici di armi da fuoco ma una volta ho fatto a botte con un tizio. Lip ha parlato troppo con la persona sbagliata, quindi immagina. Si è buttato su Lip con un coltello, io mi sono messo in mezzo e mi ha tagliato la mano –

Mickey osservò la linea sbiadita sul suo palmo, poi guardò lui. – E dopo cos’è successo? –

- Sono tornato a casa con la maglia piena di sangue – sospirò Ian. Quando notò la faccia di Mickey rise. – Il suo, non il mio –

- Diamine – replicò Mickey facendo navigare lo sguardo lungo il suo corpo. – Non immaginavo fossi così –

Si guardarono; il tempo avrebbe potuto fermarsi e Ian non se ne sarebbe nemmeno accorto.

- Ho una domanda da farti ma non sei costretto a rispondere – disse piano Mickey. Ian deglutì e annuì, apprensivo. – Cosa ti ha fatto Monica? –

Ian rimase sorpreso da quella domanda e si rigirò sulla schiena per pensare ad una risposta. Come poteva spiegare che cos’aveva fatto Monica? Come avesse fatto a passare l’inferno ad ogni persona nella sua vita? Quanto avesse fatto del male ai suoi figli? – Più che altro cosa non ha fatto – rispose, rivolgendosi più a sé stesso.

- Ah sì? E cosa? – chiese gentilmente Mickey, girato verso di lui.

- Da una parte è colpa della sua malattia, ma… -. Ian deglutì di nuovo cercando di formare il meglio possibile le parole. – Ma è lei che ha scelto di essere così com’era.  È lei che ha scelto di non scusarsi e di andarsene, capisci? Finalmente l’ho capita in un certo senso, quando ho scoperto di essere bipolare. Mi odiavo così tanto, volevo convincermi che non fosse cambiato niente, che fossi sempre io e che stessi bene, anche se gli altri pensavano di no -. Si interruppe e si morse il labbro. – Con il bipolarismo è come se un secondo prima fossi così pieno di vita che sento davvero tutto in una volta ed è incredibile. Fai tutte queste cose perché ami la vita, no? E poi crolli -. Abbassò la voce pensando a come continuare e dopo alcuni secondi proseguì. – È come se ti crollasse il mondo addosso e non ti importasse di vivere o meno quando succede. È mortificante cadere così in basso dopo essere stato in cima al mondo perché durante l’adrenalina ti senti bene, ti senti di essere semplicemente tu -. Sospirò e alzò la mano al cielo come per cercare di afferrare la luna. – Ma durante i “bassi” sei di nuovo depresso e ti ricordi che dopotutto non sei davvero tu. Il ricordo degli errori che hai fatto durante gli “alti” ha un impatto talmente forte che stare meglio sembra un obiettivo irraggiungibile –

Mickey non lo interruppe ma continuò a fissarlo senza alcuna espressione. Ian chiuse la mano a pugno poi la lasciò cadere, sorridendo.

- Una volta sono scappato con Monica per un po’. Era mia mamma, l’avevo perdonata, mi sono fidato, volevo stare con lei anche se ci aveva feriti. Era l’unica ad avermi detto “ti voglio bene” sapendo che ero malato, l’unica che mi guardava come se fossi un tesoro prezioso -. Si girò verso Mickey e incrociò le braccia dietro alla testa. – Ma alla fine Monica non riesce a stare per troppo tempo con qualcuno e nessuno riesce a stare per troppo tempo con lei. Quando me ne sono reso conto sono tornato a casa –

Mickey non replicò e le sue palpebre calarono appena ma non interruppe il contatto visivo tra loro. Stava assimilando la storia che gli aveva appena raccontato. Un sospirò fuoriuscì dalle sue labbra. – Ti piace proprio correre dietro alle persone che potrebbero deluderti , eh? –

Ian rise e si avvicinò ancora di più. – Se dobbiamo proprio trovarmi un difetto, allora potrebbe essere quello –

Mickey fece un sorrisetto. – Coglioncello presuntuoso, riesci sempre a vedere l’arcobaleno in mezzo alla tempesta, ecco i tuoi difetti –

Smosso da un impeto di desiderio, Ian abbassò la testa e premette le labbra sulla sua guancia, avvertendo il sapore dell’acqua salata che si stava asciugando sul suo viso, residuo della nuotata di poco prima. Si ritrasse e vide che gli occhi di Mickey erano chiusi, in attesa, e questo aumentò il battito di Ian, che gli chiuse a sua volta. Gli sfiorò l’altra guancia scendendo lentamente lungo la mascella sbarbata, le dita che toccavano il bordo della maglietta. Incapace di trattenersi, Ian lo baciò completamente, afferrando lo stretto come se il solo lasciarlo potesse porre fine a quella giornata, e Mickey reagì portando al suo viso e tirandolo a sé.

Ian alzò la gamba e salì a cavalcioni su di lui, le ginocchia che scavavano nella sabbia, spostando il peso per non intralciare troppo. Il respiro di Mickey si spezzò appena a quel movimento e Ian colse l’occasione per avvolgere la lingua alla sua, assaporando quella dolcezza che contrastava con l’acqua salata. Fu pervaso da un brivido quando Mickey emise un gemito sotto di lui e gli tirò indietro i capelli, infilando le dita tra le ciocche rosse.

Ian aprì gli occhi solo per un secondo per vedere il volto di Mickey brillare sotto alla luce lunare ed era bellissimo, un’immagine che avrebbe sempre arso nei suoi ricordi. Sollevò la mano dalla sabbia fredda e la fece scorrere sul suo bicipite, sulla spalla e sul suo petto, ossessionato dalla sensazione che provava quando lo toccava in quel modo.

Il battito di Ian impazzì definitivamente, ogni palpitazioni solo per Mickey mente si stringevano uno contro l’altro, I loro respiri mescolati insieme, i corpi intrecciati. La sabbia si infilò tra i capelli di Mickey e scivolò via quando si sollevò per afferrare Ian intorno alla vita e baciarlo più profondamente.

- Andiamo in hotel – ansimò Ian in un caldo respiro contro alla sua bocca, stringendo ciocche di capelli umidi e continuando a baciarlo disordinatamente.

- Mmh – mormorò Mickey ma non fece nulla per staccarsi. La sua lingua sfregò contro a quella di Ian un’altra volta, eccitato dai suoi singulti, mentre abbassava le mani sui suoi fianchi.

- Per avere un po’ di privacy – cercò di spiegare Ian ricordandogli di essere ancora in pubblico, con il rischio di essere interrotti, e col cavolo che si sarebbe fatto interrompere un’altra volta. Dovevano andarsene in fretta e continuare in un posto più recluso.

Mickey lo ignorò, gli alzò la maglia e gli accarezzò l’addome, sul fianco e lungo la schiena, risalendo fino alle scapole. Un’ondata di piacere attraversò Ian dalla spina dorsale alle gambe e quasi si dimenticò dove si trovavano.

Non fu difficile tornare alla realtà quando si udirono da lontano le risate sguaiate di un gruppo di adolescenti che correvano sulla spiaggia verso di loro. Ian si preparò silenziosamente ad essere spinto via da Mickey ma non accadde. Mickey interruppe il bacio e guardò i ragazzini passare, senza spostare le mani dai suoi fianchi.

Mentre i giovani si avvicinavano, Ian si preparò anche ai probabili insulti omofobi ma in qualche modo non arrivarono neanche quelli. Uno dei ragazzi a torso nudo ebbe addirittura l’audacia di salutarli per poi correre verso l’oceano con gli amici, mentre un altro rivolse loro un sorriso di scuse per averli colti in un momento di intimità. Alcune ragazze ridacchiarono divertite barcollando una addosso all’altra e mandarono loro dei baci per poi seguire gli altri. Quando furono tutti abbastanza lontani, nell’oceano scuro, Ian e Mickey si guardarono.

- Ehi, hai visto, l’arcobaleno invece della tempesta – commentò Ian baciando di nuovo dolcemente Mickey. Si spostò di scatto quando Mickey sembrò quasi posseduto, come se qualcosa avesse preso il controllo del suo corpo e avesse sostituito il suo lato “Non faccio sconcerie in pubblico”; dovete spostarsi prima che si spingessero troppo oltre. – Ci sono altre persone lì – sorrise timidamente. – Dobbiamo tornare in hotel e ripulirci da tutta questa sabbia -. Ma rivalutò quell’opzione per alcuni secondi quando incrociò gli occhi di Mickey, che gli dicevano che non gliene fregava nulla di cosa ci fosse intorno all’infuori di loro due e questo lo mandò su di giri. Dio, avrebbe dovuto stare zitto e lasciare che Mickey gli facesse tutto quello che quello sguardo gli suggeriva.

Era troppo tardi. Mickey si staccò, spolverandosi via di dosso la sabbia bagnata, e si alzò infilando poi le mani in tasca, il desiderio di poco prima svanito dal suo viso. Mentre anche Ian si sistemava, Mickey prese il cellulare e chiamò Mandy. Allontanò il cellulare dall’orecchio, sapendo cosa lo aspettava, e circa tre secondi dopo la voce di Mandy tuonò dall’altra parte. “Dove cazzo hai portato Ian?”

- Portato? Non l’ho mica rapito – protestò Mickey posando brevemente lo sguardo su Ian mentre si ripuliva i pantaloni.

“Siamo all’ospedale, Mickey “ sghignazzò Mandy a voce abbastanza alta da essere udita anche da Ian, che spalancò la bocca e allungò la mano verso il cellulare, colto dalla preoccupazione e al senso di colpa, ma Mickey indietreggiò.

- Cazzo – esalò il moro impallidendo improvvisamente. Guardò Ian con la coda nell’occhio. – Lo porto in un hotel, non in quella merda di posto –

“Vieni subito qui Mickey, non essere così menefreghista!”

Si stavano ormai urlando addosso e Ian riusciva a malapena a capire perché fossero così arrabbiati ma Mickey sembrava riluttante all’idea di andare in ospedale. – Sta bene? – chiese Ian morendo dalla voglia di parlare con Mandy. Ci era rimasto male a essere tenuto all’oscuro per tutto quel tempo.

“Sbrigati e vieni qui, Mickey” mormorò Mandy abbassando il tono di voce. Mickey grugnì e riattaccò. L’ansia di Ian aumentò solo di più quando lo osservò raccogliere la borsa e girarsi per uscire dalla spiaggia.

- Cos’è successo? Mandy sta bene? Mickey? -. Sputava fuori una domanda dietro l’altra cercando di capire perché qualcuno fosse all’ospedale ma Mickey non parlò per tutto il viaggio in metro e fino all’entrata in ospedale. Fece entrare Ian e si avviò alla reception, scambiò qualche parola insolitamente gentile e si avviò all’ascensore, Ian dietro di lui. – Mickey? – provò a richiamarlo, i suoi tentativi ormai sempre meno insistenti.

L’ascensore giunse al terzo piano e quando Mickey uscì si sedette immediatamente su una sedia in corridoio incrociando le braccia. Ian attese qualche spiegazione ma Mickey indiò verso il corridoio con un cenno del capo, come per indicargli dove andare.

- Non… -

- Senti – sospirò Mickey. – Vai a consolare Mandy e basta, okay? Hai un dono per questa roba –

Ci fu un momento di tensione in cui Ian avrebbe voluto fare delle domande o scuoterlo ma invece attraversò il corridoio e trovò la stanza, aspettandosi il peggio. Mandy era seduta con un’aria estremamente più stanca della sua, ma si alzò e lo abbracciò non appena lo vide entrare.

 -Ti odio così tanto per essere scappato via – si sfogò contro al suo petto e Ian le accarezzò la schiena.

- Mi dispiace Mandy, è stato irrispettoso da parte nostra –

- Sì – sbottò Mandy ritraendosi, gli occhi gonfi. – Cazzo Ian, è stata una giornata dura –

Gli occhi di Ian si posarono sulla figura nel letto dove si era aspettato di trovare Mandy; vide invece una donna dalla somiglianza impressionante. Aveva gli occhi chiusi ma non era difficile immaginarne il colore dopo aver notato la carnagione lattiginosa e i capelli corvini setosi appiccicati al suo viso. – È tua mamma? – chiese gentilmente, senza parole. Mandy annuì lentamente, lasciando ricadere le mani dal suo corpo.

- Iggy è andato a prendere qualcosa da mangiare, dove cazzo è invece l’altro mio fratello? –

- Sta aspettando in corridoio –

- Maledizione, lo rifà un’altra volta -. Uscì dalla stanza lasciandolo solo con la donna addormentata. Ian si sentì alquanto a disagio mentre si avvicinava al letto, siccome la curiosità ebbe il sopravvento. Aveva delle flebo infilate nelle braccia e un’aria così pacifica che era difficile credere che fosse su un letto di ospedale e non nel proprio.

- Ehi Mandy, non… -. Iggy era ritornato e si fermò sulla porta quando vide Ian. Posò degli snack su un tavolino nell’angolo e si sedette, infilando le mani tra le ginocchia.

- È carina – commentò Ian con le mani sui fianchi. – Cosa le è successo? –

Iggy non apprezzò la domanda e si grattò il lato del viso, controllando l’entrata prima di rispondere. – A volte, quando vengono a trovarla Mandy e Mickey viene un po’ travolta dall’emozione, tutto qui. Si ricorda di quando viveva a Chicago e non riesce a gestirlo quindi semplicemente non lo fa, capisci che intendo? –

Ian scosse la testa. Cosa significava? Non capiva affatto. Iggy passò le mani sulle ginocchia e strinse le labbra.

- Non capita sempre ma se sta tanto male trova il modo per dimenticare tutto. Non preoccuparti, si riprenderà, stai tranquillo –

- Continuo a non capi… -

- Vaffanculo! – si udì urlare Mandy da corridoio. Iggy scattò in piedi e fece capolino fuori dalla porta per vedere cosa stesse succedendo. – Sei un cacasotto del cazzo, non riesci neanche a venire a vedere la tua fottuta madre! –

Ian non si mosse dal suo posto accanto alla donna mentre sentiva le infermiere intimare a Mandy di uscire. Poco dopo lei ritornò nella stanza, fumante di rabbia. – Non gli farebbe male mostrare un po’ di empatia per una volta nella su maledetta vita – sputò acida andando all’altro lato del letto.

- Le persone hanno modi di affrontare queste cose, Mandy – cercò di blandirla Iggy dirigendosi alla porta. – Anche se sembra una scusa ridicola –

- È sua madre, non gli servono scuse -. Iggy se ne andò senza una risposta e lei si spostò accanto a Ian, guardando sua madre. – Non so che cosa si è calata questa volta – disse in tono rigido, toccando la sua mano esangue.

Questo sembrò accendere la lampadina nel cervello di Ian e indietreggiò. – È andata in overdose? –

- Prende un sacco di medicine e a volte esagera, dimentica il dosaggio – spiegò semplicemente Mandy. Sembrava che stesse più che altro cercando di convincere se stessa. Le parole di Iggy gli rimbombarono nel cervello e acquisirono più senso, ma avrebbe preferito di no.

- Tu stai bene? – le chiese accarezzando il braccio.

- Certo – sospirò Mandy – So che sembrò un relitto ma ho una corazza dura. Lo devi fare per sopravvivere in questa merda, no? –

- Mi dispiace, Mandy –

- Non devi, erano solo un paio di antidolorifici in più, niente di vitale – rise, riferendosi a sua madre. Era questo il fatto, non pensavano mai a loro stessi. Colto dall’emozione, Ian si scusò e uscì dalla stanza, trovando Mickey seduto in corridoio con la testa reclinata contro al muro bianco. Cosa poteva dirgli? Mi dispiace che tua madre si faccia del male quando vi vede? Dev’essere difficile, capisco perché non venite qui spesso? Almeno lui aveva Fiona e Lip, due semi-adulti che si prendevano cura di lui, a modo loro. Avevano fatto il possibile nel coro degli anni, schiavi delle circostanze del loro buco di casa senza due figure di riferimento. Almeno lui aveva avuto una sorta di guida durante la crescita, cure e protezione. Cosa diavolo avevano avuto Mandy e Mickey?

Ian rimase in piedi davanti a lui e lo guardò con il cuore spezzato. Mickey aprì gli occhi e alzò lo sguardo sfidando la luce bianca dell’ospedale, fissando quelli annebbiati di Ian. – Iggy deve imparare a stare zitto – commentò dopo aver messo insieme i pezzi. Questa volta Ian non disse nulla, fisicamente incapace di formare anche solo una sillaba.

- Ehi – li chiamò Iggy camminando verso di loro. – Voi potete andare in hotel, state sporcando dappertutto. Resto io qui –

Mickey non se lo fece dire due volte e schizzò verso l’ascensore, premendo frettolosamente i tasti per far aprire le porte. Ian lo seguì rapidamente e aspettò tenendo Mickey sott’occhio mentre salivano.

- Mickey? – lo chiamò esitante come se il moro fosse un pezzo di vetro che si sarebbe rotto se avesse alzato troppo la voce.

- Che c’è? – rispose Mickey, in tono per nulla fragile. In non seppe come continuare quindi uscirono dall’ospedale senza un’altra parola. Non doveva insistere, cercare di fargli raccontare qualcosa, era Mickey a dover decidere cosa dire.

Probabilmente Mickey aveva segnato l’indirizzo dell’hotel prima di partire o doveva essere un’abitudine dei Milkovich ogni volta che venivano in Florida. Era a due fermate di metro di distanza e ci andarono direttamente. Se non fosse stato per l’atmosfera pesante, Ian avrebbe riso alle facce probabilmente scioccate degli ospiti alla vista del loro aspetto così disastrato in un albergo così immacolato.

Salirono fino all’ultimo piano e Mickey aprì con la tessera la stanza in fondo al corridoio, entrando per primo. Ian chiuse la porta e sbattè le palpebre, non sorpreso, ma comunque meravigliato dalla bellezza della stanza. La vista era perfetta e dominava quella che sembrava l’intera costa oceanica, delimitata dalle luci della città.

Mickey sparì in bagno e Ian udì lo scroscio dell’acqua che scorreva quindi rimase nel sontuoso salotto leggendo il menù del servizio in camera sul tavolino. Era già mezzanotte passata ma voleva lavarsi prima di sdraiarsi sulle sedute dall’aria costosa, anche se il divano color crema era piuttosto accattivante. Andò alla finestra di vetro che copriva quasi l’intera parete e guardò fuori, abbagliato.

Mickey ritornò dopo qualche minuto lavato e profumato e si appollaiò sul divano. – Non volevo prenderti il posto – si scusò. – Dovevo solo togliermi tutta quella cazzo di sabbia dai capelli –

- Non preoccuparti – rispose Ian tentato di accoccolarsi accanto a lui; sembrava quasi di poterlo vedere ancora emanare il vapore caldo della doccia. Anche se rimaneva calmo, Ian poteva praticamente percepire nel suo respiro che c’era qualcosa di diverso nel modo in cui sollevò gli occhi e Ian capì che togliersi la sabbia dai capelli non era l’unico motivo per cui aveva voluto restare un po’ solo. Ma Ian non avrebbe tirato fuori il discorso, questa volta avrebbe lasciato che fosse Mickey a farlo se ne aveva bisogno, perché Iggy aveva ragione, ognuno affrontava le cose in modo diverso.

La doccia era un sogno e Ian ci restò per almeno venti minuti, non abituato ad avere una pressione dell’acqua decente. Il sapone aveva un profumo fantastico e qualunque fosse lo shampoo che forniva l’hotel stava facendo magie alla sua testa. Dopo aver alleviato tutto lo stress accumulato all’ospedale con quel massaggio, si infilò un paio di pantaloncini, una maglia larga e raggiunse Mickey, che era ancora sul divano.

Si era appisolato con la testa seppellita nell’incavo del gomito, girato verso lo schienale. Ian si accovacciò accanto al divano e lo osserva per un momento, giusto per assicurarsi che stesse bene. Sentiva il profumo del bagnoschiuma Irish Spring, non quello dell’hotel; Mickey doveva essere portato da casa. Era così tipico di lui portarsi le sue cose e non fidarsi nemmeno delle coccole offerte dall’hotel. Ian si rattristò a questo pensiero e si alzò. Forse Mickey non aveva bisogno o non voleva che lo facesse ma Ian si sarebbe preso cura di lui. Chi altro l’avrebbe fatto?

 

 

Nota mia: Buon anno a tutti! Spero che abbiate passato bene le vacanze. Le mie sono state piene, non mi sono fermata un attimo, ma ora che sono finite tornerò a dedicarmi sicuramente di più alla storia. Questo capitolo in realtà è stato diviso in due visto che molto più lungo degli altri e se avessi dovuto pubblicarlo intero avreste dovuto aspettare ancora troppo per leggerlo. Perciò questa è la prima parte, a breve vi pubblicherò la seconda.

   
 
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