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Autore: ConstanceKonstanz    09/01/2023    0 recensioni
Questa storia inizia nel passato.
In un mondo diverso dalla Terra, più freddo della Terra, più piccolo della Terra.
Dove abbiamo imparato a lavorare il ghiaccio, a usarlo come arma, come sostegno per le case. Dove la pioggia non è acqua, ma un tesoro da conservare. Dove la neve è più di un elemento: è una pietra preziosa. Dove il nostro nemico maggiore è ciò che ha permesso ai vostri antenati di sopravvivere: il fuoco.
Questa storia inizia nel Mondo del Natale.
Ed inizia con un nome.
Quello della mia nemica, o dell’unica persona che abbia mai conosciuto veramente: Dinah.
Genere: Avventura, Fantasy, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 10
DINAH
“Manca solo un giorno, Siena! Un solo dannatissimo giorno”
Dinah l’aveva già ripetuto tre volte. Era di fronte a me, mi stringeva le spalle. Gli occhi erano gonfi, cerchiati da profonde occhiaie. Mi avevano cercata tutta la notte. Nico, accanto a lei, annuiva senza distogliere lo sguardo dal mio. Sembrava terrorizzato di vedermi scappare di nuovo. Ma non c’era tenerezza in quegli occhi, solo calcolo. La preoccupazione di un soldato che per un attimo ha visto sfumare l’obbiettivo della sua missione. E chissà perché mi fece male. 
“Cosa ti è saltato in mente, si può sapere?” sbraitò Dinah “Cosa pensavi di fare?”
Eravamo nel parcheggio dell’ospedale. Mi avevano trovata poche ore prima, addormentata accanto a Nick.
“Come avete fatto a trovarmi?” la interruppi.
Nel frattempo si alzò un vento forte e freddo. Intuii che di lì a poco avrebbe iniziato a nevicare.  
“E’ stata un’idea di Nico” rispose Dinah, indicandolo con lo sguardo “Abbiamo sentito di Nick a uno strano aggeggio tutto nero … Com’è che l’ha chiamato Bianca?”
“Radio” suggerì lui.
“Sì, alla radio e Nico ha pensato potessi esserci anche tu. E grazie al cielo che ci ha pensato!”
Non risposi, un fiocco di neve cadde fra i nostri visi.
“Dobbiamo andare” continuò Dinah, stringendomi un polso “Manca solo un giorno, Siena! Un solo, dannatissimo giorno”
 Fece per portarmi via, ma io non mi mossi. “Che ti prende ,Siena?”
La fissai. “Io non vengo”
“Che significa che non vieni?”
“Non posso abbandonarlo”
“Chi?”
“Nick” grugnì Nico.
Annuii.
Dinah fissò il suo sguardo nel mio. Iniziò a nevicare. Ricordai la prima volta che l’avevo vista. Un mattino di tanti anni prima, un mattino che sapeva d’Inverno come quello. Lei era piccola, lo sguardo d’acciaio, i capelli argento con le punte blu tagliati in un caschetto, il corpicino da bambina tutto avvolto in un mantello rosso. Si era inginocchiata di fronte a me e aveva sfiorato il suo pugnale. “Principessa” aveva detto. Io non mi ero mossa, ero piccola, sapevo solo ciò che mi era stato insegnato; che ero intoccabile, che sarei sempre stata protetta dai miei sudditi. Le avevo ordinato di alzarsi e lei aveva scosso la testa. La mano sempre sul guio. A distanza di anni, per la prima volta, in quel parcheggio d’ospedale, compresi ciò che aveva desiderato fare, ciò che, per un secondo, aveva oscurato il suo sguardo. Io ero suo cugina e lei la mia, ma io era l’erede al trono e lei una guardia del corpo. E, per un secondo, aveva voluto uccidermi. In un impeto di rabbia , mi liberai dalla sua stretta. “Io non vengo” ribadì con voce tremante.
Dinah sbuffò “Siena cosa stai dicendo? E’ stata tua l’idea di tornare nel nostro mondo!”
“Lo so, ma senza di noi, Nick rimarrà solo”
“E allora? Oggi è la nostra ultima possibilità, non possiamo rischiare”
Corrugai la  fronte. C’era qualcosa, in tutta quella situazione, che non tornava. Mio padre aveva dato un ordine preciso: che non tornassi mai più. L’aveva dato a due tra i soldati migliori del suo regno. E i soldati eseguono gli ordini. Loro erano sempre stati contrari. E allora perché quella mattina Dinah insisteva così tanto? Perché né lei né Nick si opponevano più strenuamente al nostro ritorno? Perché, mi chiesi rabbrividendo, sembrava quasi che avessero più fretta di me di tornare nel nostro mondo?
Socchiusi gli occhi e repressi un gemito.
Sapevo perché.
C’era un solo motivo che poteva spingere due guardie del re a trasgredire un suo ordine: l’interesse. Dinah e Nico avevano una missione ,nel nostro mondo, qualcosa che non c’entrava con me o con la mia salvezza, qualcosa che, anzi, avrebbe potuto mettermi in maggior pericolo. Inconsciamente, indietreggiai di un passo. Mi ero sempre sentita protetta al loro fianco, perfino la notte in cui il mio popolo mi aveva attaccata, quella in cui avevo abbandonato i miei genitori. Mai, neppure per un attimo, avevo dubitato di loro.
Quella mattina successe. Li guardai e fu come vederli per la prima volta. Vidi le loro spade, le lame affilate, i loro muscoli, lo sguardo calcolatore. E mi sentii indifesa.
“Siena che hai?” sbottò Dinah, avvicinandosi.
Non risposi, la guardai, invece. E qualcosa nel mio sguardo, la convinse a fermarsi. Attorno a noi, prese a nevicare sempre più forte. Non m’importava. Avevo gli occhi lucidi, la gola secca, i pugni chiusi. Non mi importava. Tutto ciò che vedevo era Dinah. Dinah che mi diceva che il vento era solo vento, Dinah che mi difendeva, Dinah che afferrava il suo guio pronta a colpirmi.
“Perché?” domandai con voce malferma “Perché?”
“Perché cosa?” sbuffò, incrociando le braccia. Il guio brillò.
“Perché volete tornare nel nostro mondo?”
Dinah spalancò gli occhi. “Tu vuoi tornare nel nostro mondo!”
“E perché voi acconsentite? Perché, nonostante mio padre abbia ordinato il contrario, voi sareste disposti a riportarmi indietro?”
“Noi siamo tutt’ora contrari, ma sei la nostra principessa e ti obbediremo”
“Smettila Dinah!” Strillai, cercando di mascherare il tremito nella mia voce. Lei mi guardò stupita. Era tanto tempo che non mi sentiva più alzare la voce “Voglio la verità”
Li vidi scambiarsi uno sguardo, a disagio. E desiderai essere lontana anni luce. Il vento ululò più forte.
“La verità” ripetei.
Dinah lanciò un ultimo sguardo a Nico, lui scrollò le spalle, poi mi guardò.
“Siena, non è come pensi tu” iniziò e una parte di me avrebbe voluto tapparsi le orecchie e non ascoltare più una sola parola “Noi ti proteggeremo sempre, siamo qui per questo”
“Ma …” incalzai, la voce impastata.
“Ma ci sono delle cose che dobbiamo fare. Cose che non ti riguardano, ma che ci stanno aspettando nel nostro mondo”
Gridai. Ricordo che gridai e che qualche passante si fermò. Ricordo che gli occhi di Dinah brillarono senza che io ne comprendessi la ragione e ricordo che mi sentii disperata. E la disperazione è qualcosa di pericoloso. Azzera la tua volontà, ti acceca. Divora chiunque tu sia, qualunque cosa tu creda. Ed il peggio è che non puoi opporti.
Persi l’equilibrio e barcollai. Nico feci per avvicinarsi, ma poi si fermò.
“Che genere di cose?” ringhiai, alla fine.
Dinah si strinse nelle spalle. “Cose”
“Ti ho chiesto di che genere, Dinah. Sono la tua principessa. Rispondimi!”
Non rispose subito. Per un attimo sorrise tristemente, poi inchiodò il suo sguardo nel mio e intuii che era pronta a colpire.
“Principessa, eh?”  iniziò, ma la voce  era alterata, gli occhi ridotti ad una fessura. Stava perdendo il controllo.  “Principessa di cosa, esattamente? Di un popolo che ti odia? Di un regno in rovina? Principessa senza un re, giusto? Principessa sola. Mi spiace, Siena, ma tu non sei più la mia principessa da un po’” La guardai senza rispondere, ma dentro di me qualcosa si ruppe “Sei solo una ragazzina viziata a cui è stato insegnato che il mondo è ai suoi piedi. Non c’è nulla di regale in te. Hai paura, piangi sempre e non sai maneggiare una spada.  Tu non sei niente senza i tuoi genitori e non sei tagliata per guidare un popolo. Il re lo sapeva, ecco perché ti ha mandata via, sapeva che il tuo adorato popolo ti avrebbe uccisa, impiccata. Perché dovrei servirti?” Distolse lo sguardo dal mio e curvò le labbra in un sorriso malizioso “Lo sai che potrei essere io regina? Se tu morissi, se non ritornassi a casa, chi credi che erediterebbe il trono? La figlia del traditore, no? Colei i cui genitori avevano già tentato di detronizzare i tiranni!” Le brillarono gli occhi, di una luce così sincera da fare male “Ritroverei i miei genitori, finalmente, regnerei, non sarei un più un soldato, sarei ciò per cui sono nata: una reale. Perché credi che sia qui?” domandò, il sorriso divenne un ghigno “Per riportarti a casa, naturalmente. Per essere sicura che tu venga giustiziata oppure perché tu rimanga qua, da sola. Per me è uguale, morirai comunque.”
Tremai. Un brivido percorse tutta la mia spina dorsale fino a invadere le mani, le braccia, la testa, le gambe, le ginocchia. Il mio sguardo si annebbiò.
La neve scendeva e mi ricopriva, mi bagnava. Allargai le mani e sfiorai ogni fiocco. Chiusi gli occhi e per un attimo, mi sentii a casa.
Fu abbastanza.
Trattenendo un gemito, trovai la forza di sussurrare: “Me la caverò, invece”.
Dinah rise, una risata amara “E come pensi di fare, Siena? Non è un mondo buono, questo. Non è come il nostro. Le persone non credono, i bambini non credono. Nessuno crede in Babbo Natale, nessuno crederà a te. Morirai, provandoci”
Avrei voluto replicare, dirle che non era così, che Nick credeva, ad esempio, che quel mondo aveva alle spalle uno storia diversa dalla nostra, fatta di guerre, di morte, dirle che noi non eravamo migliori, ma rimasi zitta. Non ero sicura di avere abbastanza forze anche per quello. Ma Nico mi aveva guardata per tutto il tempo e non so come, capii.
“C’è lui, vero?” sibilò. La voce calma, il tono neutro, ma negli occhi brillava una luce sinistra “Nick, non è così? Lui sì che crede, lui è ricco e tu ci hai già fatto la pace, andrà tutto bene, non è vero? E’ così che la pensi Siena, non è vero?”
Non risposi, la sua voce bruciava troppo.
“Beh, se le cose stanno così” s’intromise Dinah “Sei davvero un’illusa. Nick non è dalla nostra parte, non te accorgi? Ci ha traditi, ci ha usati! Ti porterà da suo padre e ti costringeranno a parlare, dovrai dirli dove è il nostro mondo, come arrivarci. Non meriti di servire il tuo popolo, Siena. Sei egoista e per un tuo capriccio, lo metteresti in pericolo”
Fu quell’ultima frase a darmi la forza. Se non meritavo io di servire il mio popolo, non lo meritavano di certo loro.
“Non è così!” sbottai “Non è come dite voi! Nulla, voi non sapete nulla! Né di me, né di Nick! Perché non dovrei fidarmi di lui e dovrei fidarmi di voi? Siete dei traditori. Non voglio più vedervi. Lasciatemi! andatevene! Siete banditi da questo e dal nostro mondo! E non provate neppure a dire che se tornerò, mi uccideranno, che la monarchia è finita, perché io sono ancora viva e finché il mio cuore batterà, batterà quello del mio regno” Alzai lo sguardo e incrociai quello di Dinah “Tu non sei una regina. Non lo sarai mai. Sei vile, il popolo lo sente questo. Mio padre ha sbagliato tante cose, ma non è mai stato un codardo in vita sua. E’ rimasto, la notte che tutto questo ha avuto inizio, lui è rimasto, ad affrontare il suo popolo, la sua rabbia, a consegnarsi a persone che ama come figli” A quel ricordo una lacrima scese lungo la mia guancia “Tu, non sarai mai degna di lui. Sei una traditrice, esattamente come tuo padre prima di te”
Avevo esagerato, lo sapevo. L’avevo colpita nell’unico punto che lei non poteva difendere e non ne andavo fiera. Ma la rabbia e il dolore di quel momento avevano deformato i miei pensieri.
Incrociai lo sguardo di Dinah. Era folle, accecato dal dolore. Repressi un brivido, ma non indietreggiai. Lei ringhiò, un suono basso, ancestrale, simile al richiamo di un lupo. Poi, con una rapidità micidiale, estrasse il guio dal fodero e si avventò su di me. Non ebbi tempo di pensare o di urlare, ebbi solo il tempo di reagire. Afferrai la lama e la strinsi in una morsa disperata. Dinah spingeva per colpirmi, ma il movimento l’aveva colta inaspettata. Annaspò ed in quel momento, sapendo che non avrei avuto una seconda occasione, reprimendo le grida di dolore che mi straziavano il petto, le sferrai un calcio negli stinchi. Barcollò, ma non cadde e non allentò la presa. Digrignava i denti e nel suo sguardo brillava la forza selvaggia di una guerriera. Per la prima volta capii perché mio padre avesse voluto lei come mia guardia del corpo.
Indietreggiai e la situazione, in un attimo, si capovolse. Lasciai andare la lama che brillò di una luce scarlatta e sinistra. La mia mano destra sanguinava, la testa mi girava, ma ero figlia di mio padre, ero una combattente e mi era stato insegnato a non fermarmi mai. Travolsi Dinah con tutta la forza che mi rimaneva e finalmente allentò la presa sul pugnale che cadde a terra, imbrattando la neve di rosso.  Lo raccolsi con un scatto fulmineo e glielo puntai alla gola.
Il tempo si fermò, il resto del mondo scomparve. Eravamo solo io e lei. Fissai i suoi occhi nei miei e per un attimo rividi la bambina che era stata. E capii che non avrei mai potuto ucciderla. Abbassai il pugnale, ma nello stesso istante lei mi sferrò un calcio e riprese il guio.
La neve tornò a cadere, Nico era vicino, le mani sulla spada. Da una finestra vidi i ricci di Nick fare capolino. Ci osservava. Vidi un paio di infermiere costringerlo ad allontanarsi. Non guardarono neppure verso di  noi. Dinah appoggiò il pugnale sul mio volto, lo premette ed io non riuscii a trattenere un gemito di dolore.
Lentamente si avvicinò a me, fino a sfiorarmi l’orecchio.
“Regola numero uno” sussurrò “Se hai la possibilità di uccidere il tuo avversario, fallo”
Aprii gli occhi spaventata, ma Dinah fu più veloce e rinfoderò il guio. Prima che potessi vedere il suo sguardo, lei si voltò.
Nico apparve accanto a me e mi aiutò a rialzarmi.  “Non verrai con noi, vero?” +
“No” risposi e nello stesso istante la sua presa su di me si allentò. Sapevo già che avrei sentito la mancanza di quell’abbraccio.
Dinah mi guardò un’ultima volta, uno sguardo strano, che non riconobbi. Poi, assieme a Nico se ne andò. Li osservai finché le loro sagome non scomparvero, a quel punto una lacrima mi bagnò una guancia. Ma non mi permisi il lusso di crollare. Strinsi i pugni, invece e con passo incerto ritornai da Nick. Se non ero più la principessa di Dinah, avrei almeno fatto in modo di esserla per il mio regno.
 
“Devo tornare a casa, Nick”
“Come sarebbe a dire devo? Capo ci sei? Hai visto cosa ha fatto Dinah poco prima, stava per infilzarti come uno spiedino!”
“Dinah non è il mio popolo”
“Sai, dovresti smetterla di parlare così. Sembri un libro di storia”
Lo guardai confusa, ma lui aveva già ripreso ad abbuffarsi. A quanto pare, rischiare la vita prosciuga energie.
“Questo budino è la fine del mondo” esclamò tutto a un tratto.
Sorrisi e lanciai uno sguardo alla finestra. Era già mezzogiorno. Non mi rimaneva molto tempo.
“Nick io devo andare” dissi, improvvisamente tesa. Non sapevo neppure che faccia avesse un passaggio infra-mondo.
“A far che?”
“A trovare un passaggio per casa”
Lui emise un fischio “Aspetta solo che recuperi i vestiti e verrò con te”
Se la situazione non fosse stata così critica, sarei anche scoppiata a ridere. “Non essere ridicolo, Nick! Hai una gamba ingessata e sei appena stato ferito. Non sei nelle condizioni di aiutarmi”
Lui mi fissò. Lo sguardo serio. “Invece, credo proprio di essere l’unico in tutto il mondo a poterlo fare, capo”
 
 
Non so come, ma Nick riuscì a convincere tutti i medici dell’ospedale che stava bene. Dopodiché digitò un numero ed un’enorme macchina nera venne a prenderci. Quando fu il momento di  andarcene Nick uscì dall’ospedale tenendo in mano un intera scatola di budini.
“Erano troppo buoni” si giustificò.
Sorrisi, ma mi sentivo stanca. Rivedere tutte quelle strade mi faceva male. Molto più di quello che avevo pensato. Era come rivivere la paura, la tristezza, la delusione di quella notte. Stava tornando tutto a galla in un unico, doloroso vortice. Strinsi forti la maniglia della macchina.
“Sei stata molto coraggiosa, capo”
La voce di Nick mi colse di sorpresa, lo guardai, ma lui era voltato verso il finestrino.
“Anche tu” replicai.
 
La casa di Nick era un’enorme edificio rosso, con i muri ricoperti di edera, un prato verde tutt’attorno e un sacco di finestre bianche. Il cancello d’entrata era gigantesco e di ferro battuto. Quando lo superammo un paio di uomini ci aprirono le portiere e ci condussero in casa. All’interno ogni ambiente era straordinariamente grande, il pavimento era di legno ed ogni mobile, ogni vaso, quadro  o tappeto sembrava estremamente prezioso.
“Porta questi in cucina, Pierre, per favore” Fece Nick porgendo i budini ad un cameriere.
Nello stesso istante, una donna con i capelli tinti di rosso e le unghie laccate di rosa comparve alle sue spalle. Era bella. Fu questa la prima cosa che pensai quando la vidi. Gli occhi erano scuri, la pelle abbronzata, sorrideva e con quel sorriso sembrava pronta a sciogliere qualunque dolore. Emanava anche energia, una dolcezza potente.
“Nicholas, tesoro mio!” cinguettò stritolando Nick in un abbraccio. Per un attimo pensai fosse una sua qualche zia, poi l’occhio mi cadde sulla divisa da cameriera.
“Rosa” la salutò Nick teneramente, ricambiando l’abbraccio.
Corrugai la fronte. Perché Nick trattava così una cameriera? Perché sembrava quasi volerle bene come ad un familiare?
“Come stai?” Continuò lei interrompendo il flusso dei miei pensieri.  “Ti senti bene? Perché hai la gamba rotta? Ero così preoccupata! Ho seguito tutto alla tv! Vuoi un po’ del mio brodo? Sai che il mio brodo aggiusta tutto”
Nick rise. “Rosa, vorrei presentarti Siena” la interruppe indicandomi.
Lei mi guardò. Per qualche secondo rimase interdetta ,come se cercasse di capire il mio ruolo in tutta quella storia, poi la sua espressione si sciolse in nuovamente in un sorriso e mi abbracciò.
“Un’ amica di Nick. Che piacere Siena!” trillò nel mio orecchio.
Per qualche secondo non mi mossi, sembravano passati secoli dall’ultima volta che qualcuno mi aveva stretta così. Mi sentivo straordinariamente al sicuro. Come tra le braccia di mia madre. Rosa sapeva di fiori, aveva un odore di dolce e di fresco. D’istinto l’ abbracciai anche io. “E’ un piacere anche per me” 
Quando ci staccammo c’era ancora il suo profumo nell’aria. Nick teneva lo sguardo basso, era appoggiato sulle stampelle come qualcuno che porta tutto il peso del mondo con sé .
Stavo per chiedere cosa avesse, ma Rosa mi precedette.
“Non è in casa, Nicholas. E’ partito due giorni fa per la Russia, pare abbiamo avvistato Big Foot”
Lui alzò lo sguardo “Deduco non tornerà a casa per Natale, giusto?”
Per la prima volta da quando ero entrata mi colpì la vastità di quella casa. Poteva essere un enorme luogo solitario, in fondo. 
Rosa gli si avvicinò e gli scompigliò i capelli. “Vado a farti il mio brodo”
 
Quando arrivammo in camera sua, dopo che Rosa ci ebbe portato il brodo ed un’infinità di altri piatti deliziosi, mentre il sole stava già iniziando a tramontare, guardai Nick.
“Qual è il tuo piano, quindi?”
Lui finì il suo budino, poi alzò lo sguardo e lo inchiodò nel mio. “Devo farti vedere una cosa”.
 
I Grace possedevano una piscina, una sala da biliardo, una da poker e anche una biblioteca. Ma ciò di cui andavano più fieri, il vero gioiello della loro corona, era il laboratorio.
 “E’ più piccolo di quello Boston” spiegò Nick fermandosi di fronte al quadro di un signore dallo sguardo arcigno “Ma mio padre ci tiene gli esperimenti o le idee più importanti. Quelle da cui non vorrebbe separarsi per nulla al mondo”
Una parte di me iniziava a capire dove volesse arrivare. Con una manata, Nick rovesciò il quadro. Sul muro, proprio di fronte a noi, era incastrata una specie di piccola tavola di metallo coi numeri. Nick ci schiacciò sopra velocemente. “Spero non abbia cambiato codice” borbottò.
Aspettammo quelle che parvero ere, poi, un fischio riempì l’aria e la parete si aprì rivelando uno stretto corridoio. I muri e i pavimenti erano di metallo, i tubi correvano sul soffitto e l’aria che si respirava era rarefatta.
“Prima le signore” fece Nick cedendomi il passo. Mi morsi  le labbra ed entrai. Quel posto mi innervosiva. Percorsi il corridoio concentrandomi solo sul tintinnio delle stampelle di Nick sul metallo. Poi, sbucai in una stanza circolare. Era disordinata, piccola, piena zeppa di libri accatasti alla rinfusa, di modellini abbandonati negli angoli, di fogli sparsi sul pavimento e di tazze di caffè vuote o semivuote disseminate in ogni angolo. Era così diversa da tutto il resto della casa. Un paio di oggetti più grandi, quelli che intuii essere gli esperimenti, era addossati alla parete destra ed erano pieni di polvere. L’unica cosa che sembrava essere al suo posto era un quadro appeso alla parete opposta, pulito e straordinariamente realistico. Attraverso il vetro un bimbo piccolo, sorridente, con tanti ricci indomabili mi fissava. Accanto a lui un uomo dai tratti duri, la bocca sorridente, lo guardava con dolcezza. Una cosa mi colpì: avevano gli stessi occhi.
Nick mi si avvicinò senza far rumore.
“E’ tuo padre quello nel quadro?”
“Non è un quadro, è una foto”
“E’ lui, vero?”
“Sì”
Non aggiunsi altro, ma lasciai Nick da solo di fronte alla foto, intuii di non essere l’unica a vederla per la prima volta.
Osservai gli esperimenti. Uno in particolare attirò la mia attenzione. Era piccolo, scuro, sembrava una cassa, ma di metallo. C’erano un paio di placche rotonde sul davanti con un ago rosso al centro. Non sembrava qualcosa in grado di causare molti danni. Con un brivido mi chiesi se non fosse esattamente ciò che il padre di Nick si era detto quel giorno.
Nick appoggiò una mano sulla mia spalla.
“E’ quella?” chiesi.
Lui annuì.
“Pensavo fosse esplosa con tutto il resto”
“E’ esplosa, infatti. Questa è  una copia, costruita sulla base dei progetti di Maria. E’ identica, Siena. In ogni dettaglio”
Lo guardai. In ogni dettaglio voleva dire solo una cosa.
“Se lo useremo” mormorai “Moriremo”
“C’è una sola persona che può ripararlo”
Non dissi niente. Sapevo chi era.  E quindi sapevo anche che avrebbe detto di no.
 
Né io né Nick sapevamo dove abitasse Maria. I ricordi di quella notte erano fin troppo dolorosi e confusi.
“Non hai un modo di rintracciarla?” gli dissi “Non avete una sorta di registro di quelli che lavorano qui?”
Nick sbatté gli occhi un paio di volte. “Intendi per rintracciare il suo indirizzo?”
Sbuffai “No, Nick, intendo per vedere se ha famiglia e decidere così il suo regalo di Natale”
“Fai sarcasmo, capo?”
Sbuffai.
Lui alzò le mani in segno di resa. “E va bene, va bene. Stavo scherzando. E comunque, no. Dovrei bypassare il sistema e ci impiegherei ore, inoltre, ci sarebbe scritto solo l’indirizzo di quando lavorava per noi e non possiamo essere sicuri che nel frattempo non si sia trasferita”
Mi morsi il labbro. Era tardi. Troppo tardi per affrontare anche quel problema. Il sole era già tramontato e di lì a poco sarebbe stata la Vigilia. Ricordai le parole di Dinah: mancava un solo giorno. Un solo dannatissimo giorno. Poi, mi venne un’idea.
“Capo?” fece Nick, il tono preoccupato “Tutto bene? Hai uno sguardo strano”
Sorrisi “Ho un’idea.
 
Quando entrai, il pavimento scricchiolò sotto i miei piedi. Forse era per via della sproposita grandezza della casa di Nick o per il fatto che ,per la prima volta da quando ero arrivata sulla Terra, ero completamente sola, ma la casa di Bianca mi sembrò terribilmente desolata.
Chiusi la porta e mi guardai attorno. Rimpiangevo di non avere Nick al mio fianco, ma era ancora troppo debole per accompagnarmi.
“Bianca?” chiamai, ma nessuno rispose.
Mi mossi lentamente. Ogni finestra era chiusa e non lasciava passare luce. Non si muoveva nulla e perfino i suoni della città giungevano ovattati. C’era un clima di irrealtà che mi dava i brividi.
“Bianca?” riprovai.
Una sgradevole sensazione mi assalì. Mi voltai, ma non vidi nulla. Eppure sentivo di non essere più sola nella stanza ora.
“Chi va là?” gridai, ma non ottenni risposta. Al suo posto un rumore, un lieve fruscio che ricordava i passi di un lupo di notte, in un bosco.
Feci per impugnare il pugnale, ma nello stesso istante ricordai che non l’avevo più. Strinsi i pugni e mossi un passo, ma stavolta il fuoco circondò la mia gamba facendomi cadere. Trattenni un urlo e annaspai alla ricerca d’aria mentre il fuoco saliva fino al petto, ai polmoni e mi stringeva in una morsa incandescente. Gridai sperando che qualcuno potesse sentirmi, ma non successe nulla. Provai a muovermi. Luce, avevo bisogno di luce. Qualunque cosa fosse, sospettavo che potesse attaccare solo nell’oscurità.  Mi trascinai fino alla finestra con la vista sempre più annebbiata, il fiato ancora più corto. Le braccia tremavano per lo sforzo. Mi aggrappai al davanzale e provai a tirare una tenda, ma il fuoco stringeva troppo forte. Con un ultimo sospiro, mi riversai a terra.
 
“Principessa?” chiamò una voce “Principessa?”
Aprii gli occhi, ma non riuscii a mettere a fuoco la figura di fronte a me.
“Principessa!” la sentì esultare “Siete viva! Ecco, prendete un po’ di acqua”
La donna mi tirò a sedere e mi porse un bicchiere. Lo afferrai con mani tremanti, mentre la testa mi girava fino a scoppiare.
“Principessa, state bene?” chiese Bianca, quando riuscii finalmente a distinguere i tratti del suo volto. “ Sono tornata a casa e vi ho trovato in preda a delle convulsioni selvagge”
Mi accarezzò i capelli, ma io sobbalzai. Qualunque tocco ricordava la morsa incandescente di poco prima.
“Non parlare così, Bianca. Sembri un libro di storia”
“Prego?” fece lei strabuzzando gli occhi.
Scossi le spalle “Niente, scusa. Volevo dire …” Nascosi il viso tra le mani. “Sono solo confusa” mormorai. “Non sembravano convulsioni”
“No?”
“No”
“Probabilmente è la stanchezza, principessa. Non avete dormito molto ultimamente, vero?”
Annuii.
“Potrei preparavi del latte caldo o magari del tè”
Scossi la testa “Bianca” mormorai “Devo chiederti una cosa”
Lei spostò lo sguardo su di me ed attese. Io osservai il mio corpo, non c’erano segni di bruciature o tagli. Stavo bene, la testa girava terribilmente, ma il fuoco di poco prima sembrava essere solo un ricordo lontano che  presto sarebbe sfumato. Guardai fuori dalla finestra. Ricordo che pensai a Dinah, se fosse stata con me, non avrei avuto così tanta paura. Pensai anche a Nico. Mi sarebbe bastato un suo sguardo per essere sicura di non stare impazzendo. Ma loro due non c’erano più. Spariti a cercare un portale, ammesso che non l’avesse già trovato.
“Se ne sono andati” mi ritrovai a dire prima di rendermene conto. Guardai Bianca “Dinah e Nico se ne sono andati”
Lei annuì. “Lo sospettavo”
“Mi hanno tradita Bianca, loro non volevano aiutarmi, non l’hanno mai voluto.”
“Mi dispiace, principessa” sussurrò lei.
Io sentii una lacrima bagnarmi la guancia e con fastidio alzai la testa al soffitto. E lì, per un secondo, troppo velocemente perché potessi mettere a fuoco, mi sembrò che un’ombra, la stessa che ci aveva guardato precipitare dall’elicottero, mi osservasse. Fu un attimo, ma bastò perché il ricordo del fuoco tornasse a bruciare sulla mia pelle.
Abbassai lo sguardo su Bianca, ma lei non sembrava essersi accorta di nulla. Dopotutto, pensai, poteva essere solo stanchezza.
Sbuffai. ”Bianca”
Lei mi guardò.
“Ieri hai visto Dinah e Nico?”
“Sì, principessa.”
“Hai visto anche chi gli ha portati fino a qui?”
 
Bianca si ricordava solo a grandi linee l’aspetto di Maria e comunque non ci aveva parlato. Ma aveva parlato con Nico. E Nico era un soldato addestrato a memorizzare ogni tipo di percorso, a distinguere le differenze tra due strade perfettamente identiche per riuscire a sopravvivere in un mondo perennemente bianco. E quindi si ricordava come avevamo fatto a tornare e come si chiamasse la strada da cui eravamo partiti. Bianca fece fatica a ricordare, ma alla fine disse un nome che mi sembrava di aver già sentito.
Me ne andai subito dopo. Quella casa, ora, senza più Nico e Dinah, mi dava i brividi.
Salì sulla lunghissima macchina di Nick e dissi al conducente –che voi sulla terra chiamate autista- il nome della strada.
“Sì, signorina” rispose. Asettico. Persa sotto un cielo buio e spaventoso, mi ritrovai a desiderare un abbraccio di Rosa.
 
Maria era fuori quando arrivammo. Stava buttando un sacco nero e dall’aria pesante dentro una cassa verde e malconcia. Ancora una volta mi colpì il contrasto tra la regalità dei suoi gesti e la povertà della sua vita. Più di tutto mi colpì la durezza del suo volto. Presi coraggio e scesi dall’auto.
“Maria!” gridai.
Lei alzò lo sguardo su di me. Non sembrava contenta di vedermi. “Cosa ci fai qui?”
“Beh” borbottai “Anche a me fa piacere vederti”
“Fai sarcasmo, principessa?”
“A quanto pare mi riesce bene quando sono spaventata.”
Mi guardò come se fossi pazza.
“E comunque non sono qui per questo” ripresi “Ho bisogno di te”
Lei mi fissò per qualche, poi proruppe in una risata esasperata. “Scordatelo” fece, dandomi la spalle “Di favori non ne faccio più”
“Non hai neanche ascoltato di cosa ho bisogno!”
Si voltò. “Lo so fin troppo bene, invece” Il tono era duro, ma lo sguardo no. Riconobbi quella luce: era paura.
“Maria, lo so che ti senti in colpa per quello che è successo, ma devi credermi se ti dico che non succederà di nuovo. Ora sai dove hai sbagliato, puoi ripararlo e lo farai”  Lentamente mi avvicinai a lei “Ti prego” sussurrai “E’ l’unico modo che ho per tornare a casa”.
Sperai di averla convita. Pensai di avercela fatta, ma quando incrociai il suo sguardo repressi un brivido. Una rabbia selvaggia, infinita sfigurava il suo viso. Sembrava che un fantasma mi guardasse attraverso i suoi occhi. Lo stesso che da anni la tormentava ogni notte.
“Io non ti aiuterò” ringhiò “E quello che è successo è colpa mia. Solo colpa mia. Se non avessi costruito quella macchina, se non avessi avuto quell’assurdo di rivederlo, tutto questo non sarebbe successo.”
“Rivedere cosa?” chiesi. Pessima domanda.
Lei urlò, un urlo generato dalla disperazione del suo cuore, poi mi afferrò un braccio e mi condusse all’interno della sua officina.
“Devo mostrarti una cosa” farneticò.
Fantastico, pensai, era in preda ad un collasso nervoso.
 
Maria mi condusse all’interno di una stanza piccola e scura, che sapeva di tristezza. La poca luce che filtrava dalla finestra illuminava una scrivania dalle gambe arrugginite e un paio di scaffali pieni di libri stropicciati. Maria si avvicinò alla scrivania ed aprì un cassetto. Le mani le tremavano e gli occhi erano lucidi mentre mi porgeva un piccolo quaderno dalla copertina blu.
Con la testa mi fece cenno di aprirlo. Io eseguì. Sulla prima pagina era stata messa la foto di una donna sulla trentina, con i capelli chiari tagliati corti e gli occhi che ridevano. Sotto, in modo veloce, immaginai per l’urgenza del dolore, era stato scarabocchiato il suo nome. Ancora una volta, con un brivido di terrore, mi resi conto di riuscire a leggerlo. Voltai pagina in fretta. Stavolta, la foto era più piccola e ritraeva un ragazzo con tanti capelli ricci e un sorriso caldo. Continuai a sfogliare mentre una sgradevole idea iniziava ad invadere la mia mente. Ogni pagina conteneva una foto nuova, uomini, donne e bambini tutti diversi tra loro, tutti legati tra loro da un oscuro destino: erano i fantasmi che ogni notte popolavano i sogni di Maria.
“Sono tutte le persone che ho ucciso” sussurrò Maria.
Ne mancava una. La guardai. Le parole non sarebbero mai bastate ad esprimere il dispiacere che provavo per lei.
Lei sembrò capirmi perché sorrise tristemente. “Ora sai perché non posso aiutarti”
Era vero, lo sapevo e quindi sapevo anche che non sarei riuscita ad insistere ulteriormente. La mia unica possibilità di tornare a casa in tempo era rimasta intrappolata tra le pagine di quel quaderno. Mi voltai con il cuore pesante e la testa che girava. Quando fui sulla porta, un secondo prima di aprirla, dissi l’unica cosa che,se fossi stata al suo posto, avrei voluto sentirmi dire. “Andrà meglio, Maria. Un giorno andrà meglio.”
 
Trovai Nick nella stessa posizione in cui l’avevo lasciato. La testa china su un foglio, gli occhi semichiusi, la gamba ingessata distesa sul letto. Stava scrivendo qualcosa e sembrava avere fretta. La mano sinistra schizzava velocemente da una parte all’altra. Avvicinandomi mi resi conto che non era la fretta a preoccuparlo, ma la frenesia dell’idea. Stava cercando di tenere il passo dei suoi pensieri. Si accorse di me solo quando mi piazzai di fronte alla luce.
“Capo, è fantastico” sussurrò estasiato “Ho capito ogni cosa!”
Sbuffai. “Spero che in quel ogni cosa ci sia un modo di riportarmi a casa”
Nick sorrise, non sembrò nemmeno avermi sentita “Era così semplice, per tutto il tempo è stato sotto i nostri occhi, se solo ci avessi pensato prima”
“Pensato a cosa?” insistetti.
Lui guardò attorno a sé, c’erano fogli scarabocchiati ovunque. L’occhio mi cadde su una foto di Wall Street  e un barlume di speranza si riaccese in me. Nick seguì il mio sguardo.
“Hai capito, capo?”
Annuii. Osservai ogni altra foto, ogni foglio, capii che quelli non era scarabocchi,ma cartine, parole. Riconobbi in quelle linee le strade di New York. E il mio cuore si sciolse.
Nick mi porse un foglio, l’ultimo, quello stava finendo di scrivere. Era un’altra cartina, ma aveva qualcosa di diverso, lo sentivo. C’erano delle strade, strade che non riconoscevo, che correvano attorno ad un unico punto evidenziato in rosso. Accanto, a lettere piccole e confuse, era stato scarabocchiato un nome. Ground zero. E per la prima volta, non ebbi paura di quelle parole che non avrei dovuto conoscere.
“Il prossimo passaggio apparirà lì, capo”
L’avrei abbracciato. Meglio, gli avrei eretto un monumento. Non ero mai stata così grata ad una persona in vita mia. Ma prima che potessi dire qualcosa, Nick mi fermò, sembrava imbarazzato.
“E’ stato un piacere” borbottò, afferrando le stampelle ed alzandosi. Lo osservai dirigersi verso la finestra e armeggiare con la maniglia, dopo qualche secondo lo raggiunsi e lo aiutai ad aprirla. L’aria fredda investì i nostri volti, in lontananza si vedevano le luci di New York brillare. Nevicava.
“Come  hai fatto a capirlo?” domandai dopo un po’.
Lui non rispose subito e quando lo fece, la voce era bassa. “E’ il dolore, capo. Il dolore fa da collante tra un passaggio e l’altro. Ho osservato ogni luogo in cui ne era apparso uno e all’inizio non capivo, pensavo ad un collegamento logico, ad un’immagine aerea. Ragionavo da uomo, ma voi, voi non siete uomini, non come noi, siete creature magiche e ragionate come tali. Avete un’altra concezione del dovere, delle leggi, perfino della vita. E quindi, quindi ho pensato come voi e ho iniziato ad andare oltre i soliti schemi” Aprì la mano e lasciò che un fiocco di neve si posasse sul palmo. Lo guardammo per poco, poi prima che si sciogliesse, soffiai per mandarlo via “E allora ho capito. Non era uno schema a legare i portali, ma un’emozione. I portali  appaiono dove è successo qualcosa di molto grave, dove è scoppiata una guerra, una bomba o dove un disastro naturale ha cancellato tutto. Appaiono con un compito preciso: devono riportare la speranza. E’ questa la magia del Natale, capo, lo capisci? E’ questo il suo potere, portare speranza, è la capacità di credere che qualcosa che è stato, potrebbe essere ancora. Voi avete bisogno di noi, del nostro credere, ma noi, noi abbiamo bisogno di questa magia, ne abbiamo un disperato bisogno. Abbiamo perso la capacità di produrre speranza molto tempo fa”
Non risposi, una parte di me, una parte che non conoscevo e che non riuscivo a controllare, stava lottando per emergere. Avevo già sentito quelle parole, qualcun altro me le aveva di già dette. Ricordai un volto, uno sguardo limpido che sfocò subito, una ninnananna, mia madre che mi cullava, una risata, lacrime, un pianto di bambina. Sequenze di immagini correvano alla rinfusa nella mia mente, si alternavano veloci, graffiavano per riuscire a catturare la mia attenzione. Rividi Times square, ma aveva qualcosa di diverso, le immagini, le macchine, non sembravano essere le stesse di quella mattina, ricordai una notte in cui il vento aveva ululato più forte che mai, risentii la voce di Dinah sussurrarmi di non avere paura. Cercai di mettere a fuoco la stanza attorno a noi, ma prima che ci riuscissi l’immagini sfumò. Sentii la testa farsi pesante, le gambe tremare. Mi aggrappai al davanzale prima di cadere.
“Capo tutto bene?” chiese Nick guardandomi preoccupato.
Avrei voluto rispondergli di no, che non andava tutto bene. Che da quando ero arrivata sulla Terra avevo la costante sensazione di aver dimenticato un’intera parte della mia vita, che sapevo leggere la sua lingua anche se nessuno me lo aveva insegnato e che stava nascendo in me l’agghiacciante sospetto di essere già stata lì, in un’altra vita, la stessa che qualcuno o qualcosa aveva voluto cancellare. Avrei voluto dirgli tutto questo ed ero sul punto di farlo, ma poi commisi l’errore di guardarlo e nei suoi occhi vidi riflessi i miei. Per un secondo dimenticai dove fossi e confusi il mio sguardo con quello di mio padre. Lui non si sarebbe mai permesso di crollare, non di  fronte ad un suo amico, a qualcuno spaventato quasi quanto lui.
“Capo?” mi richiamò Nick “Vuoi sederti?”
Scossi la testa. “Sto benissimo”
Lui mi lanciò un’occhiata dubbiosa, ma io lo precedetti.
“Che cos’è Ground zero, Nick? Che cosa è successo di così brutto?”
Abbassò lo sguardo e strinse i pugni, sembrava dover reggere il peso del mondo. “C’è stato un attentato” rispose infine “A Settembre, pochi mesi fa, degli aerei pilotati da dei kamikaze si sono schiantati contro due torri …”
“Le Torri gemelle” sussurrai, ma Nick non sembrò notarlo.
“E’ stato un momento gravissimo. Quelle torri erano uffici, ci lavoravano centinaia di persone, tutte con famiglia, tutte morte”
Voltò il viso a destra, immaginai che un tempo, dalla sua finestra, si vedessero quelle torri.
“E’ morto anche un mio amico. Stava andando a raggiungere suo padre in un ufficio, un colpo e lui non c’era più. Un altro colpo e anche il padre era morto. E dopo … dopo è stato anche peggio. Ci sono andati di mezzo interi gruppi di persone, solo perché credono in un dio diverso, solo perché sembrano diversi” Storse la bocca ed alzò lo sguardo su di me “Se la mia teoria è giusta, il portale potrà apparire solo lì. Certo, il congegno di Maria ci darà una mano, ma …”
“Maria non ci aiuterà” lo interruppi.
Nick non sembrò sorpreso, si limitò a fare spallucce.
“Tu lo sapevi!” protestati
 “Avevo qualche sospetto”
“E perché non me lo hai detto?”
Stizzita, gli voltai le spalle, ma Nick mi si avvicinò, si abbassò finché la sua bocca non sfiorò il mio orecchio. “Siena” sussurrò con una voce che mi fece rabbrividire  “Tu non sai cosa vuol dire sentirsi responsabile della morte di qualcuno, capito? E ti auguro di non scoprilo mai”
Avrei voluto replicare, dirgli che nessuno di loro due era responsabile di un bel niente, ma proprio in quel momento una voce bassa, adulta, che non avevo mai sentito, ci interruppe.
“Cosa sono questi disegni, Nicholas? Chi è la tua amica?” chiese un uomo alto e robusto, sulla quarantina. I tratti del volto erano duri, la mascella squadrata, gli occhi scuri sembravano un cielo senza stelle. Si muoveva per la stanza con passi lunghi e secchi. Sembrava preoccupato di perdere qualcosa, qualcosa che riguardava il mondo e la sua grandezza. Per un secondo posò il suo sguardo su di me ed in quel volto, riconobbi i tratti di suo figlio.
Mi voltai verso Nick . “Ciao papà” borbottò.
   
 
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