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Autore: TigerEyes    11/09/2009    20 recensioni
Akane cambia dal giorno alla notte, assumendo movenze feline e diventando inaspettatamente... audace! Sarà forse a causa dello spirito di una gatta sacra? E Ranma come reagirà? Tutti infatti sappiamo quanto adora i gatti...
IX e ULTIMO CAPITOLO ON LINE con una fanart di Kelou!
Genere: Comico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Eccoci di nuovo qui, scusate l’attesa! Spero questo capitolo possa risultare divertente quanto i precedenti, come il beta fratellone Rik mi ha giustamente fatto notare, questa volta non vi sono molte gag, ho dato più spazio a determinate descrizioni, forse troppo, giudicate anche voi. Avverto inoltre che compaiono qua e là espressioni poco consone ai personaggi, spero tuttavia che leggendo si capisca il perché. Mi raccomando come sempre segnalatemi qualsiasi cosa vi appaia stonata! ^_-
Ringrazio dal profondo del cuore il senpai Kuno, la musa ispiratrice Laila, la mia adorabile bestiaccia Tharamil, la beta sorellona Moira e poi Robbykiss, Eriko-chan, fufy93, il beta fratellone Rik, Luluchan, Ranma, caia, la divina Breed, mononoke, la mia adorata bluemary e infine akane_stars per gli entusiasti, bellissimi e anche chilometrici commenti che avete lasciato. Ragazzi, davvero non so come esprimervi la mia imperitura gratitudine, le vostre recensioni mi hanno riempito di gioia e di commozione, spero di non deludervi con questo e i prossimi capitoli: mancano solo cinque giorni al completamento della possessione, riuscirà Ranma a trovare una soluzione? O la situazione peggiorerà ancora? Mmmm… sì, direi di sì e parecchio pure, ed è tutta colpa del nuovo arrivato! XDDD
Il disegno che trovere nel cap è di Kelou, che ringrazio sentitamente, buona lettura! ^_^



VI parte

AD ARMI PARI?





Quando Ranma giunse finalmente all’ingresso del Museo Egizio di Tokyo, non riuscì a credere alle sue pupille nemmeno sfregandosele: l’edificio era ancora in piedi. Nessuna voragine, nessuno sbuffo di fumo, neppure una crepa, non il benché minimo rumore, a parte quello di qualche auto di passaggio.
Niente di niente. Possibile? Il portone d’ingresso era chiuso e intatto, nessun muro o finestra erano stati sfondati. Che Shampoo avesse tirato dritto? Oppure aveva desistito? No, l’aggettivo desistere non era nel vocabolario di quella gatttttt…accia come non lo era nel suo, quindi o aveva proseguito la sua corsa senza fermarsi, oppure era entrata senza far danni nel palazzo. Tutto quel silenzio faceva ben sperare, tuttavia decise di dare comunque un’occhiata, tanto per
(vedere Akane)
assicurarsi che fosse tutto a posto, nient’altro!
(Se, se…)
Piombò giù dal tetto su cui era appollaiato imprecando a denti stretti, attraversò la strada con un unico balzo e fece il giro dell’edificio. Il retro del museo dava su un giardino circondato da un muro piuttosto alto. Ranma lo scavalcò agilmente con un salto e… eccolo là: un buco enorme si apriva al primo piano del palazzo, neanche l’avessero preso a cannonate. Furba Shampoo: aveva scelto di penetrare da quel lato del museo sapendo che nessuno, da fuori, l’avrebbe vista mentre lo sbriciolava in corrispondenza di una finestra.
Dannazione!
Ranma si precipitò verso la gigantesca apertura, terrorizzato all’idea di ciò che poteva essere accaduto dentro il museo: di tutte le sue ‘fidanzate’, Shampoo era quella più determinata a mettergli l’anello al dito, al punto che ‘togliere di mezzo Akane’ era diventato il suo slogan, come ‘Ranma, preparati a morire!’ era ormai quello di Ryoga. Perfetto, stavolta Nabiki non avrebbe potuto fornire alla cinesina motivazione migliore per far fuori Akane sul serio!
Il respiro gli rimase strozzato in gola. La breccia aperta era niente in confronto al disastro che Shampoo aveva combinato oltre, perché ovunque guardasse aveva l’impressione di posare lo sguardo su un cumulo di calcinacci, anziché in una sala del museo: ben poche statue erano rimaste in piedi, la gran parte era riversa sul pavimento, in frantumi grandi e piccoli che formavano un tappeto compatto di macerie. Lì per lì aveva quasi creduto che fosse venuto giù il soffitto.
“Akaneeeeeeeee!”. L’eco si perse fra le rare sculture ancora in piedi, alcune con testa umana, altre con testa di animale. “Akaneeeeeeeeeeeeeeeeeeee!”.
Avanzò di qualche passo e poco mancò che inciampasse su un pezzo di granito nero a forma di testa di cane. Un orecchio era saltato via, ma il ghigno era rimasto intatto. Scansò il botolo ringhiante con un calcio e avanzò fra i detriti in preda all’angoscia: nessuna traccia della fidanzata sgraziata, né di quella aggraziata, né del professor Kazzuto o come accidenti si chiamasse. Era ovvio che avessero lottato furiosamente, ma dove erano andate a finire? Erano uscite all’esterno e avevano proseguito il combattimento chissà dove? E l’egittologo che fine aveva fatto? Akane non era in grado di tener testa a Shampoo a lungo, eppure lì la lotta era stata cruenta.
“Akaaaaneeeeeeeeeeee!”, chiamò ancora Ranma mettendo le mani a coppa attorno alla bocca. Ancora una volta nessuna risposta. E se… e se una statua crollando a terra l’avesse schiacciata? Ranma si guardò intorno, avvertendo sudore freddo colare copioso lungo la schiena, mentre brividi di gelo la risalivano fino a fargli rizzare il codino dietro la nuca.
Oh, no…
Prese a sollevare i massi più grossi e a scagliarli contro le pareti, a spostare voluminosi pezzi di roccia, a scavare a mani nude fra i detriti, senza mai smettere di invocare la fidanzata.
Oh, no, kamisama, no, no, NO!
Aveva il terrore di trovarla sepolta sotto quel caos e al tempo stesso di non rivederla più e si mise a scavare con maggior frenesia, col cuore che pompava tanto furiosamente che gli sembrava avesse traslocato nelle orecchie. Un altro po’ e un bell’arresto cardiaco lo avrebbe fulminato sul posto.
Dietro una scultura senza braccia trovò un tavolo rovesciato e lo sollevò, scoprendo al di sotto un marasma di carte impolverate. Ne afferrò alcune e si rese conto che erano appunti presi dal professore a proposito di alcuni papiri che stava decifrando. Stava per gettarle quando ai suoi piedi scorse un piccolo registratore. Lo sollevò, mandò indietro il nastro per pochi secondi e schiacciò il tasto play.
«…rimane piuttosto lacunoso, ma il senso è chiaro e alla fine riporta per intero la formula. Tuttavia, pur essendo il museo in possesso del collare, temo che il reperto sia del tutto inutile, dal momento che ogni tentativo di decifrare l’evocazione si è rivelato infruttuoso: non ha senso, non vuol dire niente. Scrivo comunque la formula sul mio blocco degli appunti, ma se non riesco a venirne a capo, il collare non servirà a un bel nulla contro Bastet…». Si udì un boato in lontananza. «Ehi! Ma che succede? Cos’è questo baccano?»
Collare?! Evocazione?! Ma porco suino! Il professore aveva forse trovato il modo per contrastare quella divina disgrazia di Bastet e la registrazione si fermava proprio nel momento in cui quella scassarotule di Shampoo aveva disintegrato una finestra per entrare.
Ranma si mise a rovistare tra i fogli sparpagliati sul pavimento e sotto un mucchio trovò un oggetto di metallo di forma circolare. Era stranamente pesante per essere così sottile, ma tolta la polvere capì il perché: era una specie di cinghia fatta con una lamina d’oro, sulla quale erano attaccati degli anellini per tutta la sua lunghezza; da ogni anellino pendeva un ossicino schiacciato, forse d’argento, la cui forma ricordò a Ranma i biscotti per cani. Se era quello il collare di cui parlava Kisuda, doveva essere appartenuto a un cane senza attributi.
Alla sola idea, la faccia di Ranma si accartocciò per il disgusto, ma si mise ugualmente il prezioso manufatto fra i denti e riprese a rovistare fra le carte, finché trovò un blocco notes e lo sfogliò fino a raggiungere l’ultima pagina scritta, dove il professore aveva annotato la formula per evocare chissà che diavoleria contro la divinità con i baffi. Ranma tenne il collare in una mano, il blocco notes nell’altra e lesse ad alta voce:
“Pampulu… pimpulu… parim pam pu?! Ma… ma che razza di formula è?!”.


“Hai capito quel che devi fare, piccola Shampoo?”, chiese Bastet grattando il mento della gattina rosa che teneva fra le braccia – Mi affido a te, non mi resta molto tempo: di notte posso facilmente sopraffare la parte razionale di Akane, ma di giorno questa sciocca è fin troppo vigile, può lottare e resistermi, è incredibilmente tenace. Su va’, sbrigati, adesso che è distratto.
La dea lasciò andare Shampoo, che si avvicinò silenziosamente a Ranma, voltato di spalle all’altro capo della sala attigua a quella in cui si erano nascoste. Se ne stava in piedi, immobile, con le braccia abbandonate lungo i fianchi: aveva lasciato cadere i fogli che teneva in mano e non si era più mosso. Strano. Come strana si era fatta la sua aura, non sembrava nemmeno la sua. C’era qualcosa di diverso, lo percepiva man mano che si appressava a lui, eppure nulla sembrava cambiato, a parte il fatto che aveva detto qualcosa a voce alta e poi si era zittito. Non aveva importanza, comunque, nulla l’aveva più, al di fuori degli ordini della sua padrona.
Gli arrivò di soppiatto alle spalle e si fece ancora più cauta. Niente, Ranma non muoveva un muscolo. Si acquattò al suolo, attese ancora e infine, con un balzo poderoso, saltò verso la testa del codinato con l’intenzione di attaccarsi alla sua faccia come una ventosa.
Ma non ci arrivò mai.
Ma… ma che…
Una mano si era serrata attorno al suo collo sottile e la teneva sospesa in aria, costringendola ad aggrapparsi con le unghie al braccio teso che la reggeva per non soffocare. Cercò di divincolarsi, inutilmente: nonostante i graffi e i morsi, ‘Ranma’ non accennava a mollare la presa.
Che sta succedendo?!


Bastet non aveva fatto in tempo a comunicare telepaticamente alla sua schiava di tornare indietro: il ka* di Ranma era cambiato improvvisamente, aumentando la sua dimensione in modo vertiginoso, al punto da impregnare l’intera sala. E ora guardava la scena sbigottita: il ragazzo, che si era voltato di scatto non appena la gatta gli era balzata addosso, non mostrava il minimo terrore verso Shampoo, la teneva anzi sollevata avanti a sé con una mano, indifferente ai suoi attacchi. Poi, dopo secondi interminabili, lo vide scagliare la micia lontano da sé senza nemmeno guardarla, perché i suoi occhi erano puntati dritti su di lei: occhi rossi, come il colore dei mattoni cotti nei forni. Quindi Bastet vide ciò che cingeva il collo di ‘Ranma’ e cominciò a fumare rabbia dalle orecchie appuntite.
Non può essere vero! È una catastrofe!
Il suo futuro concubino stava indossando il collare di quello spelacchiato, rognoso, pulcioso trasporta zecche ambulante del suo peggior nemico.



Questa non ci voleva! Non ci voleva!
Con un mugolio cavernoso e prolungato soffiò in direzione di ‘Ranma’ che ringhiava mostrando i canini pronunciati e gli mostrò le zanne a sua volta. Se avesse avuto la cara, vecchia pelliccia, adesso le si sarebbero rizzati tutti i peli della schiena per la furia.
Stramaledetto cagnaccio impiccione!
Spiccò una serie di balzi, saltando da una colonna all’altra della sala principale del museo, frantumandone gli spigoli e arrestandosi di fronte a ‘Ranma’ con gli artigli pronti a cavargli quegli orribili occhi di brace, anche se sapeva che non avrebbe mai avuto il coraggio di farlo.
‘Ranma’ allargò il sorriso ed emise una risata rauca.
“Senti senti che gradevole fetore… La decomposizione ha giovato al tuo odore, quasi non ci credo che sia tu a emanare questa fragranza di gatto putrefatto…”.
“Quello che appesta l’aria ovunque vada sei tu, dannatissimo beccamorto!”, sbraitò la dea portandosi il dorso di una mano davanti al naso arricciato per il disgusto: il tanfo di centinaia di migliaia di cadaveri che si portava addosso era già insostenibile.
“Anch’io sono felice di rivederti, Bastet, anzi, sono così euforico che mi vien voglia di alzare una zampa e pisciare su una colonna”.
“Esci subito da quel corpo, Anubi! Immediatamente! O giuro su Amon-Ra che…”.
“Cooosa? Mi caverai gli occhi? Due millenni passati nel corpo di una mummia piena di tarme ti hanno resa ancora più noiosa, Bastet, sempre le stesse minacce infantili…”, sogghignò il dio incrociando le braccia al petto. Che voce agghiacciante aveva, sembrava provenire da un antro buio e senza fondo, come il mondo dei morti di cui quello sciacallo rinsecchito era il guardiano. “Accomodati, avanti, strappa pure gli occhi al tuo adorato Ranma!”.
“Non provocarmi, Anubi: sarai anche il dio dell’Oltretomba, ma resti pur sempre un lurido spazzino del deserto, un mangiacarcasse coperte di vermi!”.
Anubi distese lentamente le braccia lungo i fianchi, le mani strette a pugno.
“Bada a come parli, ingoialische! Al contrario di te, io non tengo affatto al corpo che stai occupando!”.
Bastet soffiò ancora una volta e la voce uscì stridula e lamentosa dalla gola.
“Non te lo chiederò ancora: esci-da-quel-corpo! SUBITO!”.
La dea si mise in posizione di attacco e per tutta risposta Anubi costrinse il fisico di Ranma a una mostruosa metamorfosi: il volto del codinato si allungò fino ad assumere la forma di un canide, con una fila di denti aguzzi per tutta la lunghezza della bocca, da cui una saliva velenifera colava appestando l’aria; le orecchie si appuntirono e si coprirono di peli scuri, come tutto il resto del corpo, che con una serie di spasmi s’ingrandì al punto da lacerare i vestiti che Ranma indossava; le unghie di mani e piedi divennero affilati come rasoi e le scarpe furono ridotte a brandelli.
“Ora non c’è Sekhmet a proteggerti, mangiaratti, sarai un magnifico scendiletto!”, latrò leccandosi i baffi.
Bastet schivò il fulmineo attacco di Anubi per una vibrissa e mentre il dio dell’Aldilà distruggeva col suo impeto l’unica statua che la raffigurava, la dea si aggrappava furente a una colonna e cadeva agilmente a terra su mani e piedi.
“Ho una sorpresa per te, annusacarogne: il culto di Sekhmet è stato unito al mio e siamo diventate una cosa sola!”.**
Fu il turno di Bastet di cambiare aspetto: le orecchie appuntite si fecero più rotonde, il corpo si espanse oltre i limiti imposti dai vestiti che finirono a brandelli, mentre la pelle si copriva di una fitta peluria dorata, l’estremità della coda finì nascosta da un ciuffo di peli lunghi e marroni e le unghie retrattili delle zampe divennero enormi come uncini. Ma fu il volto della dea a far scappare un guaito ad Anubi, perché non era il muso di un gatto che stava guardando, bensì di una leonessa: era il volto di Sekhmet.
Bastet ruggì e partì all’attacco, con l’obiettivo di far saltare via il collare di Anubi dal collo di Ranma, ma il dio dalle fattezze di sciacallo si dimostrò ancora una volta incredibilmente veloce, per appartenere all’inferiore progenie degli esseri scodinzolanti: evitò senza problemi l’assalto, quindi si passò la lingua fra i canini e partì al contrattacco.


Shampoo si risvegliò davanti alla faccia sorridente di un faraone di pietra e scosse più volte la testa frastornata, finché gli occhioni a forma di chiocciolina rotante tornarono a brillare di seducente malizia. Maledetto umano, come aveva osato trattarla in quel modo? Doveva assolutamente vendicarsi, era in gioco l’onore suo e della sua divina protettrice. A proposito, dov’erano finiti?
Un improvviso frastuono oltre la testa di arenaria che aveva di fronte le indicò la direzione. Saltò oltre il reperto e a momenti le cascò la mascella per lo sbigottimento: una leonessa gigante con la gonna di Akane stava combattendo contro un cane altrettanto gigante ma dal pelo più folto con i pantaloni di Ranma. Entrambi si reggevano sulle zampe posteriori e gli artigli erano così esageratamente grandi che non osava pensare a cosa l’avrebbe ridotta una sola delle loro zampate, né poteva farsene un’idea, perché i due combattenti se le davano di santa ragione a colpi di… insulti?!


“Chi sarebbe il leccaculo delle divinità?! Ripetilo!”, minacciò Bastet lanciando contro Anubi il testone di granito nero sul quale Ranma era quasi inciampato: il dio dell’Oltretomba si abbassò per schivare ‘se stesso’ e la testa di sciacallo si frantumò contro il muro alle sue spalle.
“Tu, viscida gatta! Non ti sei forse strusciata contro le gambe di tutto il pantheon?”, malignò Anubi saltando ripetutamente sui pezzi della statua della dea fino a ridurne in polvere la zucca.
“Bugiardo, non su tutti! Non mi sono mai strusciata contro le zampe di Sobek!”, sbraitò Bastet prendendo a calci il gonnellino di pietra di Anubi.
“Grazie a Ra, è un coccodrillo, ti avrebbe divorata viva! Ma con tutti gli altri non hai esitato: un po’ di fusa, qualche pru pru gettato là ed ecco ottenuto il favore di turno!”. Anubi schivò il torso di basalto che Bastet gli aveva tirato contro e riprese a saltare con foga su un altro pezzo della scultura che ritraeva la dea: stavolta se la prese con il torace. “Sei riuscita a ottenere tutto quello che volevi solo con le moine perché non sei mai stata in grado di riuscirci da sola, ti sei dovuta persino unire a Sekhmet per poter tenere testa agli altri dei!”.
“Non ho mai avuto bisogno di unirmi a lei per tenere testa a te, ci sono sempre riuscita benissimo!”, urlò lei tirandogli il basamento della statua del dio cui erano rimasti attaccati i piedi.
“Ceeerto, come l’ultima volta!”. Anubi finì di disintegrare le gambe di pietra della dea e prese un respiro profondo. “Alito dei mille scarnificatori infernali!”.
Bastet dovette portarsi una zampa sul muso e allontanarsi con un poderoso balzo per impedire al corpo di Akane di schiattare fulminato: l’olezzo che promanava da Anubi era già insostenibile, ma il suo fiato faceva vomitare anche le budella, prima di condurre al tilt cerebrale per soffocamento.
La dea saltò da un pilastro all’altro e da una parete all’altra inseguita da Anubi, finché non lo sentì scatarrare e battersi il petto con un pugno: a forza di alitare e risucchiare aria doveva essergli andata di traverso la saliva. Perfetto. Bastet si fermò a distanza di sicurezza dalla nube tossica che aleggiava intorno al dio dell’Aldilà e gridò.
“Ruggito di… di…”.
La dea si portò disperata le zampe a ghermire la testa.
Per mille granai pieni di topi, ruggito di cosa? Accidenti, non riesco a ricordare l’attacco di Sekhmet!
Anche Anubi se n’era accorto, tanto che smise all’istante di tossire e, fissandola basito, cominciò a sghignazzare puntandole contro un artiglio e tenendosi lo stomaco con l’altra zampa. Una nebbiolina densa uscì con uno sbuffo dalle orecchie in fiamme di Bastet…
“Ruggito spacca-timpani!”, urlò emettendo a pieni polmoni un ultrasonico ‘roar’ in grado di spazzare via il tanfo esiziale attorno ad Anubi e costringere quest’ultimo a tapparsi le orecchie.
Ora!
Depurata l’aria, Bastet si gettò contro il suo avversario con le zampe anteriori protese: avrebbe finalmente strappato via quel dannato collare che permetteva ad Anubi di ‘possedere’ Ranma, così da poterlo ridurre in schegge infinitesimali e impedirgli di tornare a infastidirla.
Ma Anubi non si fece cogliere impreparato. Benché stordito, si aspettava un attacco da parte della dea e semplicemente la attese incrociando le braccia al petto e sfoggiando un ‘sorriso’ perfido: appena lei sarebbe stata abbastanza vicina, avrebbe sollevato una delle zampe posteriori e l’avrebbe inondata con la sua urina infernale, liquefacendola.
Un momento: io indosso dei pantaloni!
Bastet gli piombò addosso, ma Anubi riuscì a schivare per un pelo le sue zampate spostandosi di lato all’ultimo istante. La dea atterrò agilmente sulle quattro zampe, usò il muro opposto come ‘pedana’ e ripartì all’attacco. Aveva artigli più grandi dei suoi e Anubi fu costretto a indietreggiare costantemente per schivarli: l’avrebbe investita col suo alito non appena fosse riuscito a prendere un respiro bello profondo, ora come ora i suoi affondi erano troppo fulminei per dargli il tempo di contrattaccare. Ma quando si accorse di essere quasi con le spalle al muro, improvvisamente scartò di lato e Bastet si ritrovò un braccio affondato per metà in una parete portante. Il dio dell’Oltretomba stava allora per morderla a una spalla, quando una ginocchiata allo stomaco tanto veloce da essere invisibile lo fece volare…


…verso di lei?! A Shampoo si rizzò il pelo sulla schiena per la paura, ma con pochi balzi riuscì a fuggire prima che quella specie di demone-cane le rovinasse addosso e a dileguarsi imboccando la stessa voragine che aveva aperto in un muro per entrare nel museo.


Quando il silenzio scese improvviso sulle sale del Museo Egizio di Tokyo, niente faceva più pensare che fino al giorno prima avesse ospitato una raccolta di antichità: non c’era quasi oggetto che non fosse stato ridotto in briciole, comprese gran parte delle colonne e delle pareti, per cui nella calma innaturale le sale espositive somigliavano all’interno di una monumentale groviera, una volta che il polverone sollevato si era del tutto posato sul cumulo di mummie rachitiche mezze sfasciate, i vasi rotti, i rilievi fratturati, i papiri sbrindellati. Anche le finestre erano finite quasi tutte in frantumi.
Gli autori di questo spaventoso sacrilegio stavano ansimando, studiandosi dall’alto delle loro stature, curvi sotto il peso dei propri corpi ultrasviluppati, le braccia penzoloni. Si studiavano allo stremo delle forze, con la consapevolezza che il prossimo attacco sarebbe stato l’ultimo: tra morsi, graffi e contusioni non c’era parte del corpo che non ululasse.
“Ti strapperò… quel ridicolo collare… e finalmente Ranma… sarà mio…”.
“Sei la solita… cretina… questo ragazzo… non ti potrà mai… soffrire… proprio… come me…”.
“Il cretino… sei tu… avevo elaborato… un piano… perfetto…”.
“Non farmi ridere… che mi scappa… una sonora…”.
Bastet mostrò le zanne.
“Sudicia bestiaccia… vedrai… se non ci riesco!”.
Balzò di colpo in avanti, gli artigli sguainati stavolta lungo i fianchi, ma Anubi fece altrettanto: contrasse i muscoli e saltò verso la dea, le fauci spalancate pronte ad azzannarla di nuovo. All’ultimo secondo però Bastet cambiò direzione, poggiando una delle zampe inferiori su un muro pericolante, sfoderò le unghie e riuscì ad afferrare il collare di Anubi. Subito il dio le ghermì il braccio e posò le zampe posteriori sul torace della dea per scagliarla lontano da sé, ma anche Bastet aveva fatto lo stesso e le due divinità finirono per respingersi contemporaneamente.
Bastet e Anubi volarono letteralmente ai lati opposti di quella che era stata la sala più rappresentativa del museo, la prima contro un torace di arenaria di proporzioni colossali, il secondo contro la porta blindata del caveau. L’impatto fece svenire Bastet per il dolore, mentre Anubi batté la testa e scivolò nell’oblio.


Fu un’emicrania stellare ad accompagnare il risveglio di Akane, che alzandosi a sedere si ritrovò attorniata da detriti e con una specie di collare per barboncini con la puzza sotto il naso stretto in una mano. Ma che era successo? L’ultima cosa che ricordava era che Shampoo l’aveva svegliata e attaccata, inseguendola per le sale del museo finché lei non era inciampata. Da quel momento buio totale, ma non era difficile immaginare cos’era accaduto: Bastet doveva aver preso il controllo del suo corpo per contrastare Shampoo, visto che lei, come al solito, non era riuscita a far di meglio che schivare i suoi colpi. Ciò che la circondava era quindi il risultato del loro combattimento? Akane non sapeva dove posare gli occhi: non c’era niente di integro, tanto che per un momento dubitò persino di trovarsi ancora nel museo egizio e si chiese che fine avesse fatto il professor Kisuda: era corso a chiamare la polizia? Di bene in meglio…
Si alzò in piedi e solo allora si rese conto di quanto il combattimento contro Shampoo fosse stato cruento: al di là del fatto che avessero distrutto praticamente ogni cosa, non c’era parte del corpo che non dolesse. Akane abbassò lo sguardo su di sé per constatare quanti lividi avesse collezionato e si accorse che ben poco le era rimasto addosso: a parte la gonna dall’orlo strappato, non indossava più né la camicetta, né il reggiseno, né le scarpe. E nemmeno la biancheria intima! Non riusciva a capacitarsi di come fosse possibile, quando un mugolio giunse alle sue orecchie e di riflesso il cuore mancò un battito. Possibile che fosse lui? Avrebbe riconosciuto i suoi mugolii di dolore o di malcelato scontento fra altri mille, per cui non c’era possibilità di errore. Stava per avanzare fra le macerie quando si ricordò di non essere ‘presentabile’. Strappò una striscia di tessuto dall’orlo inferiore della gonna e se lo legò intorno al seno, quindi si diresse verso il lamento con l’osceno collare ancora stretto in una mano.
Quando giunse davanti alla porta del caveau, dopo aver superato cumuli di macerie degne di una scalata, il collarino per cagnetti senza attributi le scivolò per terra: un fetore tale aleggiava intorno a Ranma, che fu costretta a tapparsi il naso con tutte e due le mani. Se si fosse avvicinata di più, avrebbe sparso la cena ai propri piedi.
Per la prima volta nella sua vita, non riusciva a tollerare la vista del suo ‘fidanzato’ e non per via del solito litigio: non si sarebbe avvicinata a lui nemmeno se Nabiki in persona l’avesse pagata per farlo. Prese a indietreggiare inorridita e già sentiva lo stomaco sul punto di espellere il suo contenuto, quando Ranma riaprì finalmente gli occhi, si alzò a sedere tenendosi la testa con ambo le mani e infine alzò lo sguardo su di lei.
“Akane…? Ma che è… che è successo?”.
“Non lo so, ma non ti avvicinare!”, gridò lei continuando a premere una mano su naso e bocca mentre agitava l’altra di fronte a sé.
“Perché? Cosa ti ho fatto?”, le chiese lui preoccupato.
“Ancora nulla, ma se ti muovi lo farai di sicuro!”.
“Ma che stai dicendo?!”, sbraitò Ranma alzandosi e muovendo un passo in avanti.
Akane sgranò gli occhi ancora di più e arretrò con un balzo, rendendosi conto solo allora che, a parte i boxer, il suo fidanzato non indossava nient’altro, perché il nient’altro era ridotto a brandelli. Proprio come i suoi vestiti.
“Non avvicinarti, ho detto! Puzzi peggio di una discarica a cielo aperto, stai indietro!
Ranma inarcò un sopracciglio fissandola perplesso, quindi alzò lentamente un braccio e si annusò un’ascella. Akane temette di perdere i sensi.
“Sono solo sudato e impolverato, sarà qualcos’altro che…”.
“No, sei tu, qui ci siamo solo noi due! Possibile che non senti nulla? Sto per vomitare…”.
Ranma iniziò a innervosirsi e strinse i pugni.
“Non dire fesserie! Dov’è il professore? E dov’è Shampoo?”, chiese stizzito.
“Non lo so dove siano e nemmeno m’interessa, ora me ne andrò da qui! E tu non seguirmi!”, rispose Akane continuando a indietreggiare.
Ranma stava per abbaiare qualcosa, la pazienza che già aveva preso il volo per destinazione ignota, quando notò il collare ai piedi nudi della fidanzata.
“Ranma… cos’hai?”.
Il codinato si prese di nuovo la testa fra le mani e sembrò sul punto di svenire, tanto ciondolava.
“Quel… quel coso…”, mormorò fissando il collare e indicandolo con un dito. “Ora ricordo…”.
L’inconfondibile suono di una sirena della polizia lo interruppe ed entrambi si voltarono a guardare in direzione dell’uscita del museo, quindi tornarono a fissarsi allarmati. Sì, al diavolo Shampoo e il professore, bisognava scappare.
Ranma agì come suo solito d’istinto e incurante delle proteste di Akane corse verso di lei, infischiandosene delle lacrime che zampillavano dai suoi occhi come i getti d’acqua di una fontana.
“Non ti avvicinare a me, ho dettoooooo!”.
La ragazza sollevò sopra la testa il basamento di una statua e lo calò sulla zucca di Ranma schiacciandolo al suolo.
“Prendi, prendi, prendi!”.
Il busto senza braccia di Iside.
“Prendi, prendi, prendi!”.
Il capoccione di Ramesse III.
“Prendi, prendi, prendi!”.
Il tavolo di mogano del professore.
“Prendi, prendi, prendi!”.
Un martello gigantesco con su scritto “2 t”.
“Prendi, prendi, prendi!”.
“E quello dove l’hai trovato?!”, chiese Ranma con la faccia gonfia come una zampogna.
“Me l’ha dato l’autrice, era a corto di idee…”, rispose Akane ansimante.
La mente bernoccoluta di Ranma non perse tempo e approfittò della stanchezza di Akane per afferrare al volo il collare di Anubi, quanti più appunti del professore riusciva a infilarsi in bocca e Akane medesima. Manco a dirlo, la giovane svenne prima ancora che lui la sollevasse da terra fra le braccia e si precipitasse fuori dal museo attraverso il buco aperto da Shampoo.
Una volta fuori ebbe la strana sensazione che gli uccellini smettessero all’istante di cinguettare al suo passaggio e cascassero a terra come pere mature, eppure era certo di non emanare un odore così cattivo, che strano… Appollaiato su un tetto, Ranma osservò da lontano il professor Kisuda che urlava a squarciagola in una lingua ignota avvolto in un ampio camice bianco al contrario, con le maniche che giravano attorno al corpo e si chiudevano dietro la schiena. Un paio di nerboruti vestiti anch’essi con un lungo camice bianco – questo però era allacciato correttamente sul davanti – lo stavano trascinando via sostenendolo sotto le ascelle, incuranti delle sue grida disarticolate. Chissà dove lo stavano portando… In quell’ambulanza con gli sportelli aperti, forse? Non sembrava ferito… Beh, lui magari no, ma loro sì: erano pieni di lividi e tagli, doveva correre dal dottor Tofu affinché medicasse entrambi.

Il cortile antistante l’ambulatorio del dottor Tofu era immerso nel sole e nel silenzio, interrotto solo dal latrato di qualche cane lontano o dallo scampanellare di una bicicletta, quando Ranma vi atterrò e s’incamminò tranquillo verso l’ingresso della clinica, lasciando dietro di sé una scia di moscerini stecchini e di rose avvizzite. Pochi istanti dopo essere entrato nella sala d’aspetto, i muri esplosero verso l’esterno sotto la pressione dei pazienti in attesa, che scapparono a gambe levate fra urla, strepiti e lacrime tenendosi le narici tappate con una o entrambe le mani.

“Sei stato fortunato, Ranma”, esordì Tofu entrando nell’antibagno del primo piano dello studio medico e sedendosi su una sedia di plastica, il volto coperto da una maschera antigas. “Gli appunti del professore che hai portato via dal museo parlano proprio del collare di Anubi. Ah, l’ho chiuso in un cassetto del mio studio, a proposito…”.
“Grandioso! Prima però mi dica come sta Akane, dottore”, chiese Ranma immerso fino al mento nell’acqua bollente della vasca da bagno.
“Akane sta bene, ha solo qualche livido e qualche escoriazione, rinverrà presto e le darò una maschera come quella che indosso io, così potrai spiegare anche a lei cos’è accaduto al museo senza farla entrare in coma…”.
“Ehm… no, meglio di no, per ora…”.
Dovrei spiegarle cos’è accaduto anche nella mia camera ieri notte, per non parlare di quello che è accaduto a scuola, perché tanto prima o poi verrà a saperlo, meglio rimandare a data da destinarsi!
“La lasci riposare, anzi, perché non le somministra dei sonniferi? Stanotte Bastet tornerà sicuramente...”.
“Mmmm, buona idea, se non si sveglia prima che cali il sole potrei iniettarle una bella dose di Torazina*** perché faccia tutto un sonno fino a domattina: si userebbe per gli animali, ma dato che è posseduta da una gatta divina…”.
“Sì, sì, eccellente, purché la stenda fino a domani!”.
“Tu come ti senti, piuttosto? Hai finito col bagno?”.
“Mi sento rinato e ormai la puzza dovrebbe essere svanita: mi sono lavato a fondo tre volte”.
“Ah, bene…”.
Ranma vide la sagoma di Tofu sfilarsi la maschera antigas. E immediatamente portarsi la mani alla gola lanciando un grido strozzato.
“Qualcosa non va, dottore?”.
Dall’altra parte della shoji che separava bagno e antibagno Tofu tossiva convulsamente tenendosi la gola con una mano, mentre con l’altra cercava di recuperare la maschera finita per terra.
“Ehm… dottore?”.
Ranma lo vide infilarsi in fretta la maschera di gomma, per poi sentirlo prendere ampie boccate d’aria.
“Lavati ancora, Ranma! Almeno un altro paio di volte!”.
“Pensa davvero che…”.
“SÌ!”.
“E-ehm… va bene, se lo dice lei…”.
“Senti, Ranma, a proposito della tua idea di sfruttare il collare per tenere lontana Bastet e il fetore di Anubi per tenere lontane Shampoo, Ukyo e Kodachi…”.
“Non è un’idea geniale?”, gongolò il codinato.
“Su questi fogli il professore ha scritto che l’uso prolungato del collare avrebbe degli effetti collaterali”.
“E quando mai…”.
“Se continuerai a indossare il collare, non solo permetterai ad Anubi di prendere ogni volta possesso del tuo corpo, ma anche di lasciarti addosso un tanfo sempre più forte e duraturo, finché non verrà più via e allora, oltre a puzzare peggio di una fogna, Anubi si trasferirà permanentemente dentro di te come Bastet farà con Akane…”.
“Ehhh?! Ma cos’è, una moda?!”.
“Mi spiace, Ranma, il collare è un’arma a doppio taglio, ti sconsiglio di usarlo ancora: da una parte può tenere lontana Bastet perché lei, da quanto mi hai raccontato, odia Anubi; ma dall’altra potrebbe fare di te il veicolo terreno di questo dio oltremondano”.
“Lo sapevo che c’era la fregatura sotto, lo sapevo!”, sbraitò Ranma colpendo l’acqua con ambo i pugni.
“Comunque mi stupisce il fatto che ti ricordi tutto ciò che è accaduto al museo, mentre Akane non ricorda ciò che Bastet combina col suo corpo, non è strano?”.
“Altroché… Anubi forse vuole che io ricordi, così che usi il suo collare per respingere Bastet ogni volta che lei mi assalirà, o meglio ancora… così da permettergli di entrare nel mio corpo vita natural durante, forse anche lui vuole incarnarsi!”.
“È plausibile, anche solo per far dispetto alla sua nemica. A maggior ragione allora dovrai indossarlo solo se non hai altre alternative, siamo d’accordo?”
“Sì, dottore…”.
“Bene, fra poco Kasumi sarà qui, l’ho chiamata dopo avervi medicato per chiederle di portarvi dei vestiti nuovi e qualcosa da mangiare, sei sicuro di non voler restare, stanotte? Akane ti ha invocato più volte, nel sonno…”.
“Da-davvero?”, chiese Ranma arrossendo di colpo.
“So che per te è difficile starle vicino, ora come ora, ma ha bisogno del tuo aiuto adesso più che mai. Vedrai che una volta che le avrò iniettato il sedativo stanotte non ti darà noie in veste di Bastet e domattina potrai parlarle con tranquillità”.
“Ecco… vede… io…”.
“So cos’è accaduto a scuola, Ranma, i tuoi compagni sono venuti a cercarti e mi hanno raccontato tutto, non puoi immaginare in che stato è andato via Ryoga, sembrava uno zombie desideroso di risotterrarsi nella fossa… In ogni modo credo che tu debba chiarirti con Akane: se la lasci da sola a combattere contro Bastet, perderà ben prima della scadenza dei sei giorni”.
“Ma…”.
“Finirà per arrendersi, Ranma, se continuerai a evitarla per timore che Bastet si manifesti da un momento all’altro. Se tu che ti reputi invincibile e non hai mai esitato a correre in sua difesa ti tiri indietro per la prima volta, che penserà lei? Che ormai è tutto inutile, visto che non solo l’egittologo, ma nemmeno il grande Ranma Saotome può fare nulla per aiutarla…”.
“E non è vero, forse?!”, s’infuriò Ranma balzando in piedi, i pugni stretti lungo i fianchi. “Bastet è una dea, una dea! È in grado di compiere incantesimi, ha soggiogato Shampoo, è incredibilmente forte e può persino trasformarsi in qualcosa di ancora più mostruoso di un ffffffff…, che posso fare io contro una simile divinità?”.
“Non lo saprai mai se non fai nemmeno un tentativo, non credi? – Gli disse Tofu alzandosi in piedi – Prendila come una sfida, se preferisci, ma dalle un motivo per lottare: l’Akane che se ne sta sdraiata sul lettino dell’infermeria assomiglia sempre di meno a quella che conosco: non hai notato come stanno cambiando i suoi lineamenti?”.
“Cosa?! Davvero? No… io non…”.
Ranma rimase a fissare basito la shoji che lo separava dall’antibagno e da cui l’ombra del dottore si stava allontanando. Lo osservò sfilarsi di nuovo la maschera, venir colto da un nuovo attacco di tosse, scivolare contro la porta artigliando la maniglia, raddrizzarsi a stento infilandosi di nuovo la maschera antigas e uscire di corsa sbattendo la porta.
Akane contava su di lui. Anche adesso che la sua fobia per i cosi coi baffi gli rendeva arduo avvicinarsi a lei per il timore che Bastet prendesse improvvisamente il suo posto. A quanto pare per lei era diventato automatico contare su di lui come per lui correre in suo soccorso e salvarla, perché ormai era certa che non l’avrebbe abbandonata al suo destino, così come lui si sentiva l’unico autorizzato a proteggerla. E invece che aveva fatto, questa volta? Nonostante fosse preoccupato a morte, nonostante si sentisse frustrato perché per la prima volta era impotente di fronte all’ennesima minaccia, invece di combattere l’aveva scaricata al professore e tanti saluti. Ma che diamine di aiuto avrebbe potuto darle se finiva gattizzato proprio per mano sua?
Dannazione, ammettilo! La verità è che non riusciresti nemmeno a guardarla in faccia senza pensare a quel che è accaduto fra voi e sapendo che Bastet se ne sta dentro di lei con le orecchie dritte da far invidia a un sonar! Anzi, in realtà Bastet è sempre in agguato, pronta a fare della sua anima un sol boccone davanti ai tuoi occhi!
“E io non riuscirei a sopportarlo!”.
Ranma uscì dalla vasca da bagno, si accomodò su uno sgabello di legno e si insaponò dalla testa ai piedi per la quarta volta. Sarebbe rimasto sveglio anche tutta la notte a pensarci, se necessario, ma per la mattina dopo avrebbe partorito un discorso farcito di sensate idiozie per impedire ad Akane di lasciarsi stupidamente andare, di farsi strane idee su quanto accaduto nella sua camera da letto la notte precedente, tenerla il più a lungo possibile all’oscuro di quel che Nabiki aveva combinato a scuola – sperando che esistesse il modo per porvi rimedio prima che venisse a saperlo – ed escogitare il modo per cacciare Bastet dal suo corpo, magari andando a ripescare quel papiro che il prof aveva decifrato a casa loro per capire quale accidenti di ‘dimora alternativa non vivente’ avrebbe indotto la divina calamità a trasferirvisi.
Nel frattempo avrebbe chiesto a Kasumi di non rivelare ad anima viva che Akane era ‘ricoverata’ presso il dottor Tofu, così che nessuno dei loro compagni di scuola venisse a trovarla raccontandole in che disastro era stata coinvolta. E convincesse Nabiki a fare altrettanto, anche a suon di yen, se non voleva una sorella col collo tirato.

“Ka-ka… Ka-ka… Ka-ka…”.
“Le scappa la pupù, dottore?”.
“Kasumi! Che magnifica sorpresa in questa radiosa giornata!”.
“Veramente si approssima il tramonto…”, sorrise la maggiore delle Tendo a un Tofu che, con gli occhiali improvvisamente ultrariflettenti, staccava uno a uno gli ossicini dalla povera Betty e li gettava dietro la schiena come petali di margherite.
“Oh! Ah! Sì, sì, ha ragione, come volano le ore!”.
“Ho portato i vestiti e la cena per Akane e Ranma, ce n’è anche per lei, dottore, spero le piaccia l’oden”.
“A me? Oh oh oh, ma-ma certo che mi piace, lo adoro!”, gioì versando il contenuto fumante della sua ciotola sulla testa di Betty.
“E-ehm, potrei vedere mia sorella, ora?”.
“Co-co… co-co… co-co…”.
“Cocomero?”.
“Come no! Pre-prego, faccia come se fosse casa sua!”.
“Grazie, dottore”, sorrise ancora Kasumi lasciando Tofu solo nella sala d’aspetto.
Il dottore si mise a ballare il valzer con Betty, ridendo felice come se avesse annusato del gas esilarante. Ma ben altro gas penetrò nella stanza appena la porta che comunicava col corridoio venne spalancata.
“Dottore, ho preso una decisione! Io… dottore? Ma che le prende?”, chiese Ranma grattandosi la testa mentre Tofu stramazzava stecchito sul linoleum, un piede che mandava segnali di vita coi suoi scatti nervosi.
Avvolto solo da un asciugamano attorno alla vita, Ranma si guardò intorno, quindi sollevò un braccio e si annusò cautamente un’ascella.
“Mmmm… che occorra un quinto bagno?”.






Note:
*Il ka degli antichi Egizi corrisponde più o meno al qi dei Cinesi.
**L’unione di due o più divinità in una sola, per via di caratteristiche comuni che potevano contraddistinguerle, si chiama sincretismo. Esempi: il dio Amon e il dio Ra a un certo punto della storia egiziana sono stati ‘uniti’ per formare un’unica divinità, Amon-Ra. La stessa cosa è accaduta con Serapide, divinità nata dall’unione del culto di Osiride e di quello del dio-toro vivente Api.
***Ricordate Ghostbuster? No?! Correte a rivederlo, allora! ^_-
   
 
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