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Autore: Jigokuko    15/01/2023    0 recensioni
{FE Three Houses - Post Crimson Flower}

"Se anche dovessi venire sconfitto, la stirpe dei Blaiddyd andrà avanti."

Le parole di Dimitri scambiate con Rhea celavano un segreto.
Prese Fhirdiad e la vita della Purissima, Edelgard ne viene a conoscenza; invece di distruggerlo, lo porta con sé e lo condivide con il popolo sotto mentite spoglie.
Ma commette un grave errore e le sue bugie vengono a galla.

Non si può impedire ad un fulmine di scatenare la propria luce.
Genere: Angst, Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Byleth Eisner, Dimitri Alexander Blaiddyd, Nuovo personaggio
Note: Kidfic, Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Fulmine Sanguinolento - Il Leone che si credette un'Aquila
 

21

Devour Me, Colossus (Part II): Contortions


Dedue aveva conosciuto Ksenia subito dopo l'evento che gli aveva portato via tutto: la sua casa, i suoi genitori, sua sorella... quando giunse a Fhirdiad assieme al principe che lo salvò, lei era sempre nella sua stanza, giorno e notte, rannicchiata in un angolo con le braccia avvolte attorno alle gambe magrissime. Se qualcuno tentava di approcciarla, scoppiava a piangere.
Lui non parlava affatto la lingua del Fódlan e gli era quasi impossibile comunicare, ma con quella bambina le probabilità scendevano addirittura sotto lo zero. Aveva provato tante volte a capire quale fosse il suo problema -che fosse sconvolta dall'accaduto era plausibile, eppure c'era qualcosa di strano, di non detto-, ma ad ogni tentativo di anche solo avvicinarsi, lei fuggiva, gridando parole a lui incomprensibili.
Solo quando imparò il loro significato riuscì a mettere insieme i pezzi; credeva fosse spaventata dal fatto che venisse dal Duscur, invece le frasi erano sempre rivolte a sé stessa.
"Sta lontano, sono un mostro, la peste ti avvelenerà".
... perché una bambina di undici anni avrebbe dovuto dire una cosa del genere?
Aveva continuato a domandarselo per tanto tempo, finché non se ne dimenticò. Piano piano, mentre Dimitri si riprendeva dalle sue ferite, aveva avuto modo di fargliela conoscere ed alla fine si legò anche a lei, nonostante fosse estremamente timida e tentasse sempre di evitarlo.
Crescendo quel divario sparì; Ksenia per lui rimaneva un mistero, ma le voleva davvero bene ed era contento che il principe avesse al suo fianco qualcuna come lei.
Nove anni dopo la tragedia del Duscur, esattamente prima di scendere in campo a Tailtean, il re l'aveva preso da parte e gli aveva fatto giurare che l'avrebbe protetta ad ogni costo, perché lei era estremamente importante e non doveva assolutamente morire.
Non c'era bisogno di dirglielo, ciò che per Dimitri era sacro, lo era anche per lui.
Le amare parole di quella bambina le comprese solo dopo che tutto si sgretolò un'altra volta. Lui era un mostro, lei un cadavere che teneva stretta in grembo una testa umana, gli occhi fissi nel vuoto. Avrebbe potuto andarsene, lasciarla al suo destino, eppure non ci riuscì... e non fu per l'ordine datogli in precedenza, ma perché si rese conto di provare un affetto veritiero nei suoi confronti. Nonostante tutto, aveva continuato a stare al suo fianco.
Per tutti quegli anni aveva odiato sé stesso per non essere riuscito a proteggere il suo re, ma ora che era morto per aver salvato la donna che più gli stava a cuore, era felice.
Aveva svolto bene il suo compito.

Emise un verso strozzato, gli occhi si spalancarono e lentamente le iridi persero il colore rosso, tornando di ghiaccio. Si toccò il ventre con le mani, percependolo bagnato di qualcosa di caldo.
Solo dopo sentì un fortissimo dolore in tutto il corpo, ma non riusciva ad urlare tanto era confusa. Vedeva tutto bianco, la luce del sole le colpiva il volto con un'immane prepotenza.
Una voce ovattata proveniva alle sue spalle; "ma... a... mm... mam... mamma... mamma?!"
Aleksei... dov'era suo figlio?! Cosa stava succedendo?!
Qualcosa di affilato uscì e lei cadde all'indietro a peso morto, ma venne sorretta in tempo. Vide dei capelli biondi, uno splendido viso ed occhi freddi... eccolo, l'aveva trovato.
Era in armatura...? Ebbe un sussulto, ricordandosi improvvisamente tutto: l'assedio al forte, la battaglia in corso... la morte di Dedue.
Tirò su col naso e singhiozzò, iniziando a piangere. Sentiva le profonde ferite rigenerarsi lentamente, ma il dolore emotivo era decine, no, centinaia di volte più forte e lacerante.

- Perché... perché lui...?-
- Ti ha protetta fino alla fine, ha dato la vita per te.-
- Io non me lo meritavo, Aleksei...-
- Smettila di dire sciocchezze. Piuttosto... scusami se ti ho trafitta con la spada, eri come impazzita, non sapevo come farti riprendere la ragione—-
- Non scusarti. Hai... hai fatto bene, non riuscivo a controllarmi, ad ogni attacco le ferite diventavano più profonde, il dolore era atroce.-

La donna sollevò il braccio, i tagli simili a crepe su di un terreno arido stavano ancora sanguinando, tutte le unghie delle mani erano saltate via. Il suo intero corpo faceva malissimo, non sapeva se sarebbe riuscita a stare in piedi da sola. Che caduta in basso... sperava di poter durare di più ed invece aveva fatto un disastro e non era nemmeno arrivata ad Enbarr.
Riuscì a mettersi seduta e solo dopo notò il lago di sangue ed i corpi umani irriconoscibili, corrosi da quel liquido velenoso. Cos'aveva fatto...
Era un mostro, un dannatissimo mostro incapace di controllarsi.

Ad Enbarr il sole splendeva, come succedeva quasi ogni singolo giorno. Eppure, stavolta non bastava a mettere di buonumore il principe. Stava in piedi davanti alla finestra della sua stanza, osservando l'immenso giardino interno del palazzo imperiale. Nelle ultime settimane gli erano mancati tantissimo i tempi in cui, con suo fratello, passava intere giornate a correre laggiù. Ricordava sempre con un sorriso quando Benedikt lo costringeva a giocare a nascondino, a fare la conta ed a spaventarlo, sin da bambino era sempre stato dispettoso, ma gli voleva bene così, anche quando non lo faceva dormire per notti consecutive dopo avergli raccontato tremende storie su mostri e fantasmi.
E allora perché tutto doveva cambiare a tal punto? Perché non poteva più giocare con lui? Perché non poteva nemmeno più stare in sua compagnia, osservarlo mangiare biscotti rubati dalle cucine e sentirlo lamentarsi di tutti quei nobili che cercavano di entrare nelle sue grazie?

- Bennie...

Sussurrò, stringendo la tenda color borgogna tra le dita.
Sua madre non aveva parlato. Aveva insistito, ci aveva provato con tutte le sue forze... ma lei, dannazione, lei non aveva alcuna intenzione di aprir bocca, come se fosse estranea a tutto ciò! Era sconcertato, si sentiva completamente demoralizzato, sconfitto. Che imperatore sarebbe stato...?
In realtà lui non ambiva affatto a quel titolo e scoprire che lo sarebbe diventato, a dire la verità lo spaventava parecchio. Non si vedeva come sovrano, non quando aveva passato l'intera vita con la convinzione che non sarebbe mai diventato tale; lui era solo il secondo figlio, l'Impero andava al primogenito.
... che era sempre lui, a quanto pare.
Qualcuno bussò alla porta facendolo riprendere dai pensieri che viaggiavano alla velocità della luce e si voltò di colpo dopo un sussulto. Mormorò un "avanti" e dallo stipite sbucò una testa di capelli blu-verdastri... suo padre. Si fece strada nella sua camera, fino ad essergli a pochi passi di distanza, lo sguardo serio -meno apatico del solito, forse addirittura preoccupato-. Incrociò le braccia e lo guardò dalla testa ai piedi, poi si decise finalmente a parlare.

- ... Hans, – Mormorò. – devi venire con me.-
- Di cosa si tratta?-
- Vieni e lo scoprirai. Porta il tuo tomo, ti servirà.-
- ... No, voglio saperlo ora, da te. Quando ci sono mia madre, o Hubert... tu sei più freddo del solito, ma per favore, almeno tu, dammi delle risposte... anche solo una parte di esse. Il resto lo chiederò a Bennie, ti prego, dimmi qualcosa, o non obbedirò più a tutti voi— me ne tornerò al Garreg Mach e riprenderò gli studi. Sto perdendo fin troppe lezioni.-

L'uomo sospirò profondamente e si guardò intorno, sospettoso. Alla fine, decise di chiudere a chiave la porta e di sedersi sul letto con il figlio.
Sapeva che Edelgard non avrebbe approvato la sua decisione, ma Hans ormai non era più un bambino a cui nascondere le cose importanti... come non lo era più Benedikt stesso, il fulcro di tutta quella storia.

- ... Ci fu una guerra, venticinque anni fa, in cui l'Impero Adrestiano invase ciò che un tempo si chiamavano Alleanza del Leicester e Sacro Regno di Faerghus. La Chiesa Centrale, obiettivo primario di tua madre, aveva chiesto asilo a quest'ultimo, perciò lo scontro fu inevitabile.
Tuo fratello è figlio del re che la protesse, Dimitri Alexandre Blaiddyd, il quale morì in uno scontro all'ultimo sangue. Probabilmente anche il cadavere di sua madre è seppellito nella Pianura di Tailtean, luogo dove si svolse quella sanguinosa battaglia.
Venne trovato da Edelgard a Fhirdiad, la capitale, ad un mese di vita, e decise di portarlo via con sé. A distanza di vent'anni, ancora non ho compreso un gesto simile, per lui ha deciso di cancellare anche la sua stessa gloria.-
- E... e come è venuto a sapere di tutto ciò?-
- Presumibilmente attraverso Rufus Blaiddyd di Itha, suo zio. Potrebbe essere coinvolta la nipote, la quale ora è a capo dei Leoni Blu. Ma ci sono dettagli che solo chi si trovava a Tailtean il giorno della morte del re può sapere. Questo rimane un mistero.-

Al giovane tremavano le mani, incapace di fissare altro oltre i suoi stessi piedi che dondolavano nervosamente. Benedikt era un principe strappato alla famiglia... da sua madre, la quale aveva fatto scoppiare una guerra? Ora un po' comprendeva la rabbia con cui l'aveva sfidata a duello, la violenza dei suoi colpi... il problema era che tutto il resto continuava ad essere torbido, perché continuavano a tenerlo all'oscuro. Cercò lo sguardo blu di suo padre, i cui occhi bastavano per dire "da me non saprai altro".

- Ora verrai con me?

Annuì placidamente, alzandosi e seguendolo come un'ombra.

Ephraim evitò per il rotto della cuffia un fendente di Mitja proveniente da sinistra. Lo prese saldamente per un polso e lo tirò a sé, colpendolo violentemente allo stomaco con una ginocchiata. Era la seconda volta che lo prendeva proprio in quel punto e finalmente riuscì a sortire un effetto più marcato.
Il suo avversario indietreggiò di qualche passo tenendosi il ventre con la mano, finché non fu costretto a piegarsi in due e rimettere un miscuglio di cibo mezzo digerito, saliva e sangue; lacrimando dallo sforzo, lunghe strisce azzurre di trucco sciolto si disegnarono sul suo viso.
L'uomo rinfoderò la spada e si mise le mani sui fianchi, stiracchiandosi.

- Diamine, certo che sei proprio duro da buttare giù, non credevo potessi tenermi testa a tal punto, complimenti.-
- Non ho ancora finito...- Mitja tossì, sputando altro sangue.
Sì che hai finito, ragazzino. Non ti reggi nemmeno in piedi, di questo passo potresti avere dei danni permanenti.-

Ignorando le sue proteste, finalmente poté concentrarsi sull'inferno che era appena accaduto: in un batter d'occhio aveva perso mezzo esercito, tutto a causa di una singola persona, sua sorella.
Cos'aveva, esattamente, dentro di sé per essere riuscita a causare tutto quel disastro, per giunta usando un tipo di magia che non aveva mai visto? Ad Itha non avevano avuto occasione di parlare e conoscersi bene, tutto ciò che aveva saputo erano le sue origini per metà agarthee – ma quella non era affatto magia agarthea. Lo era sembrata all'inizio, con quel miasma viola, nero ed appiccicoso, ma poi aveva iniziato ad usare il suo stesso sangue per uccidere e lì ci aveva capito ancor meno.
Iniziò ad avvicinarsi a lei, al momento distesa a terra, sorretta con un braccio dietro la schiena da un uomo estremamente inquietante dalla pelle cadaverica, il quale la stava aspramente rimproverando con una voce profondissima ed oscura. Quando lo vide, un brivido gli percorse violentemente la spina dorsale, quasi congelandolo sul posto. Chi era...? Il padre? C'era qualcosa di strano in lui... come se lo avesse già visto, gli avesse già parlato, eppure non ricordava di averlo mai incontrato, nemmeno quando fu selezionato per introdursi a Shambhala e combattere le Serpi delle Ombre.
Il principe era in piedi accanto a loro e, quando lo vide, gli rivolse uno sguardo torvo, gli occhi talmente stretti tra loro da distorcere la pelle delle palpebre inferiori e formare piccole rughe. Si mosse in sua direzione, i tacchi altissimi dei suoi stivali producevano un tonfo ad ogni passo pesante. Si fermò a pochi centimetri, sovrastandolo con la sua stazza. Tutto l'insieme – armatura, spessa pelliccia, scarpe, lo faceva sembrare più gigantesco di quanto già non fosse; l'ultima volta che lo aveva visto era magrissimo, denutrito, privato di ogni vitalità, mentre ora il suo viso si era riempito, la pelle aveva ripreso colore ed i capelli erano lucenti, anche la muscolatura si era notevolmente accentuata... sembrava un leone, o lo era per davvero?

- Ephraim, – Parlò, con voce gutturale. – sta lontano da mia madre. O ti ammazzo.

La sua stretta sulla spada ancora bagnata del sangue di Ksenia si fece più forte. Poteva aver fatto cambio d'arma con quel giovane pallido come un cencio, ma a lui non serviva per forza una reliquia degli eroi per frantumargli tutte le ossa; tutti quei soldati ad Enbarr non erano stati uccisi dalle ferite provocate dalla lancia, ma a causa del totale annichilimento dei loro organi interni, ridotti a mera poltiglia.
Lui scosse il capo.

- Non sono qui per farle del male, voglio... voglio solo assicurarmi che stia bene.-
- Cosa importa? Siamo nemici, l'hai dimenticato?-
- Altezza, non potrei mai essere vostro nemico, siete come un figlio per me. Non ho alcuna intenzione di sporcarmi le mani con il vostro sangue, né con quello di quella donna.-
- ... Lei sta bene, ma voglio che dimostri la veridicità delle tue parole. Ferma questa buffonata, generale.
Non voglio che raggiungiate Fhirdiad, Sera si trova lì, non ho alcuna intenzione di lasciarti invadere il luogo in cui sono nato e farle del male.-
- Fhirdiad è stata ritrovata...? La... la capitale del Regno?-
- Sì... grazie al tuo aiuto. Se non avessi trovato Areadbhar, sarebbe rimasta nascosta per sempre.-
- Capisco.-

"Mi dispiace... El", mormorò, prima di prendere un profondo respiro.
Si trovava tra due fuochi e dalla parte di entrambi— lui, che era sempre stato fedele al cento per cento verso la sua imperatrice, aveva fallito, miseramente.
Ma quelle erano questioni tra non-più-madre e figlio, la sua intromissione serviva solo a perdere tempo, causando una rabbia sempre più crescente dalla parte di colui che si era sentito tradito, usato. E l'affetto che provava per quel principe gli faceva desiderare che venisse messa la parola fine a tutta quella farsa arrivata addirittura a mietere vittime – povera creatura, chissà quanto aveva sofferto.
Fece un paio di passi indietro e mise una mano sull'elsa della spada -in quel momento poté vedere Aleksei alzare la guardia- e la estrasse, puntando la sua lama argentata verso il cielo, l'astro solare diviso in due perfette metà. Come quello scontro era iniziato, allo stesso modo decise di finirlo.

- Soldati d'Adrestia! – Tuonò, usando il diaframma. La voce potente, come ci si aspetterebbe da un leader di quel calibro. – In nome dell'Aquila Bicefala, deponete le armi. Questo esercito non combatterà una battaglia ingiusta, ritirata! Salvate le vostre anime!-

E tutti si fermarono, come congelati nel tempo. Il viola scuro del campo di battaglia si separò, diventando rosso, blu e nero, la distinzione tornò ad essere netta, marcata.
Tutto tacque.
Ephraim depose anch'esso l'arma, riponendola nel fodero e, cautamente, si avvicinò al corpo di Ksenia, guardandola da pochi metri di distanza – quell'uomo, la sua aura di malvagità gli impediva di muovere un ulteriore passo. Qualcosa lo frenava, come se potesse ucciderlo se solo l'avesse sfiorata.
Lei aveva i suoi occhi di ghiaccio semiaperti, lo guardava con un piccolo sorriso, il viso pallido e cadaverico. Un buco era aperto sul suo ventre -giurò di averne visto i tessuti ricucirsi lentamente- e le braccia erano attraversate da profondissime crepe che grondavano sangue fin sulle e dalle mani.
Nonostante ciò, rimaneva bellissima.
Fece per dirle qualcosa, ma dovette bloccarsi. Qualcuno aveva parlato e non era un soldato del Faerghus, ma una voce a lui ben familiare.

Era un uomo di nome Adonis, un corazzato di alto rango facente parte dei suoi subordinati, con una fede nell'Aquila Bicefala seconda solo alla sua... peccato fosse molto più spietato.
Ed in quel momento, il generale capì di aver commesso un errore, nella sua scelta di parole. Se solo avesse comandato una ritirata, non sarebbe successo nulla, ma—

- In nome della Legge, mi permetto di disobbedire all'ordine del generale Ephraim von Gerth, il quale va contro la nostra imperatrice Edelgard von Hresvelg. In suo nome, Guardia Imperiale, seguitemi contro questi traditori, seppelliteli nelle viscere del Generale Testardo!

E fu il caos.
Un vortice scarlatto tornò alla carica verso l'ormai stremato esercito avversario, ancor più violentemente di prima.
Artemiya urlava maledizioni contro chiunque l'approcciasse, combatteva da sola contro quattro persone alla volta per proteggere Mitja, il quale ancora non era riuscito a riprendersi; inginocchiato sul selciato, faticava a respirare ed ogni tre per due vomitava sangue. Le diceva di lasciarlo perdere e salvarsi, ma lei sembrava sorda ai suoi richiami ed ignara dei colpi che stava ricevendo.
Aleksei e Thamiel si raggiunsero l'un l'altro e fecero nuovamente scambio d'armi, iniziando ad attaccare schiena contro schiena e proteggersi a vicenda, mentre Yolandi faceva da scudo a Myson e Ksenia con le sue piante velenose magiche – e nel frattempo tenendo imprigionato il fratello maggiore con una spessa liana spinata. A darle man forte c'era Behemoth, il quale aveva innalzato una barriera magica intorno ai due; salvare la regina, ad ogni costo.
La maggior parte dei soldati si era rivolta proprio contro il suo stesso generale che, a malincuore, aveva iniziato ad ucciderli – cos'aveva fatto?! Davvero aveva commesso un errore tanto grossolano?!
Era esausto, anche se non voleva ammetterlo lo scontro con Mitja aveva drenato tutte le sue energie, la magia ormai esaurita. Perse per un attimo l'equilibrio e quell'errore gli costò caro.
Il suo avversario lo pugnalò ad un fianco e lui crollò a terra, privo di forze. Urlò di dolore, cercando di estrarre il pugnale dalla carne -invano-, una macchia di sangue che si espandeva sulla sua camicia bianca. La vista si annebbiò, tutto si ridusse ad una massa di macchie multicolore e sconclusionate.
Aleksei vide la scena con la coda dell'occhio e, in un istante, si gettò contro il ladro acrobata. Senza dargli il tempo di realizzare, Areadbhar si schiantò dritta sul suo collo, facendogli saltare via la testa come una bottiglia di spumante appena stappata. Il corpo cadde all'indietro, schiantandosi al suolo e mescolando il suo sangue con quello già presente, ormai innocuo, riversato da quella magia assurda.

- Ephraim! EPHRAIM! – Urlò, quasi rovinandosi le corde vocali. – Dannazione, se solo mia madre fosse—-
- Mi dispiace, Altezza...-
- No, no, no, che stai dicendo? Non è colpa tua, tu avevi detto loro di ritirarsi—-
- Ho... ho sbagliato le mie parole. Se solo ci avessi pensato di più... lasciatemi morire, me lo merito, ho tradito l'Adrestia...-
- Taci, o ti prendo a pugni! – Sbottò, estraendo di colpo il pugnale dalla sua carne. – La mia magia bianca non è un granché, ma deve, deve tenerti in vita finché non potrai ricevere cure appropriate.-

Aleksei impose la mano dritta sulla ferita imbrattandosi il guanto di rosso, ed iniziò a recitare a bassa voce una formula magica. Emanò un vago calore, una luce pallida che proveniva dal suo palmo. In poco tempo il dolore sparì e, seppur rimasto aperto, il taglio smise di sanguinare. Se solo si fosse fatto insegnare la magia bianca dalla madre, pensò, ma con i "se" e con i "ma" non si arrivava mai da nessuna parte, né tantomeno nel bel mezzo di un campo di battaglia.

- Behemoth... Behemoth...- La donna chiamò il drago, il quale teneva ancora lei ed il padre rinchiusi in una gabbia di magia oscura.
- Zitta, Anaxagoras. Dannazione, fatichi pure a respirare, di questo passo morirai prima di domattina! Ti ridurrai in cenere se continuerai a sforzarti, testa dura!- Myson la rimproverò duramente, una grande rabbia nella voce profonda, crepe di terrore.
Lei scosse violentemente il capo.
- Non posso stare qui a guardare la mia gente morire, padre. Behemoth—!-

Con l'ultima frase alzò la voce, finendo per mettersi a tossire. Stille di sangue le bagnarono le labbra come un macabro rossetto, reso ancor più scarlatto dall'epistassi in corso.
Fortunatamente, quel verso di disperazione fu udito dal suo destinatario, il quale indietreggiò di qualche passo per poterla sentire al meglio ed evitarle ulteriori sforzi, la guardia sempre alta e la barriera ben solida.

- Come posso esservi d'aiuto, Maestà?-
- Behemoth, dobbiamo salvare i nostri alleati, qui sta succedendo un pandemonio, moriranno tutti! Dobbiamo ritirarci...!-
Il suo interlocutore sospirò, abbassando lentamente le braccia.
- ... L'ordine era quello di vincere ad ogni costo ed io non ho intenzione di ritirarmi, non dopo aver visto il vostro attendente sacrificarsi per voi— volete rendere tutto vano? Il vostro sogno, quello di incoronare Aleksei re del Sacro Regno di Faerghus...?
... Mi dispiace, ma il mio di principe vuole per voi la felicità e, se ci ritirassimo, non potreste ottenerla.
Mi prendo tutta la responsabilità di ciò che sto per fare. Non fatevene una colpa.-

Behemoth dissolse la barriera, lasciando padre e figlia scoperti. Si mise a quattro zampe ed iniziò a mutare forma; grandi ali di pelle scure come la notte gli fuoriuscirono dalla schiena e presto anche il suo intero corpo cambiò. Una testa gigantesca ricoperta di scaglie e pelliccia su cui svettavano sei corna, il collo lunghissimo, le zampe magre con artigli grandi quanto due uomini adulti, la coda sottile come una frusta. Un occhio scarlatto ed uno bianco e lattiginoso.
Con un colpo d'ali si sollevò di qualche metro da terra, il petto si gonfiò per permettere a più aria possibile di entrare nei polmoni e, una volta pieni, soffiò fuori tutto il loro contenuto incendiandolo, creando un vero e proprio lanciafiamme, la sua gola illuminata dal fuoco al suo interno.
Myson strinse a sé Ksenia e ne avvolse il corpo ferito e stremato con il suo mantello, Aleksei si gettò su Ephraim per fargli da scudo, Artemiya afferrò Mitja, se lo caricò in spalla e fuggì verso il resto del gruppo, Yolandi si abbassò fino al suolo -schiantando a terra anche la liana che imprigionava Malkuth- e Thamiel rimase immobile, l'inferno si rifletteva nei suoi occhi scarlatti illuminandoli con tante piccole pagliuzze dorate.
Era una visione che in pochi avrebbero avuto l'occasione di vedere nella loro vita, splendida e lucente ma bollente, letale. I draghi erano magnifiche creature.
Le urla dei malcapitati che venivano inghiottiti dalle fiamme si estinguevano velocemente, le loro uniformi scarlatte mescolate con il fuoco e ridotte poi in cenere.
Quando Behemoth cessò il suo attacco, una spessa coltre di fumo si alzò accecando i presenti come se fosse calata la notte. Piano piano si diradò, rivelando... il nulla.
I soldati adrestiani erano stati carbonizzati al punto da scomparire e nel muro di cinta che circondava il Forte Merceus si era formato un gigantesco buco e di conseguenza gli aveva fatto perdere l'epiteto di "inespugnabile".
La creatura si voltò ed abbassò il capo fino a raggiungere la regina, il suo occhio scarlatto che la scrutava. Si udì un eco distante ed al contempo potente, "perdonatemi", le disse.

Aleksei si alzò, spostò delle ciocche bionde cadute sugli occhi ed iniziò a guardarsi attorno spaesato, quasi come se avesse improvvisamente perso la memoria e si fosse dimenticato il suo stesso nome. Guardò Artemiya, i suoi occhi neri erano spalancati e terrorizzati, Mitja era collassato sulla sua spalla già da un po'. Guardò Thamiel – lui era calmissimo. Guardò Yolandi, lei era ancora buttata a terra. Guardò la coppia mamma-nonno più il colpevole di tutto quel casino. Li raggiunse, barcollando.

- Era... era necessario?- Biascicò.
Il drago tornò uomo.
- Mi dispiace non aver chiesto il permesso a nessuno, ma o noi o loro, Altezza.-

Behemoth si spostò, rivelando dietro di sé un gruppo di soldati, metà erano maghi vestiti di nero con maschere che nascondevano il loro viso, metà guerrieri di tutti i tipi in uniforme blu. Non erano tantissimi, cinquecento arrotondando per eccesso.

- Sono rimasti solo loro... l'ultimo attacco è stato violentissimo.-
- Comprendo... ti ringrazio, ma per favore, non fare una cosa simile quando andremo ad Enbarr.-
- Vuoi ancora andarci, Aleksei...?- Artemiya si intromise nel discorso. Lui annuì.
- Non ho intenzione di scatenare un'altra battaglia come questa, ma devo andarci. O tutte queste morti saranno state inutili.-
- È contro l'imperatrice che combatteremo, la prossima potrebbe essere ancor più violenta—-
- Se hai paura, puoi tornare a Fhirdiad.-
- Lo sai che non ti abbandono. È solo che siamo tutti feriti e stremati... se ci andassimo ora, firmeremmo la nostra condanna a morte.-
- E tua madre morirebbe.-

Myson si alzò in piedi, tenendo Ksenia in braccio. I suoi occhi erano socchiusi e quel poco di iride che si poteva intravedere sotto la coltre di ciglia nere e lunghe era opaco, ghiaccio sporco. Il taglio che le aveva squarciato il ventre era ancora lì e ciò fece sentire il principe talmente in colpa da mordersi l'interno della guancia – anche le ferite sulle braccia persistevano, doveva essersi indebolita parecchio con quel suo attacco di furia cieca.

Si portò una mano al mento, pensieroso. In effetti, anche lui era piuttosto stanco, se avesse attaccato Edelgard in quelle condizioni, non sarebbe andata diversamente da quando ci aveva combattuto l'ultima volta: uno scontro futile, nel quale avrebbe sicuramente perso altri uomini.

- ... Avete ragione. – Constatò, accarezzando il viso di sua madre. Era fredda. – Dovremmo accamparci e teletrasportare l'esercito alla capitale solo una volta che ne avremmo le forze... non sarà facile.-
- Se posso intromettermi, – Ephraim era riuscito ad alzarsi, ma faticava a rimanere in piedi. Una mano sul fianco pressata sulla ferita ancora aperta. – il muro che è stato distrutto per vostra fortuna era vuoto, ma le altre parti della fortezza contengono le stanze per i soldati e, ovviamente, delle infermerie. Le guaritrici si troveranno sicuramente ancora lì, potranno aiutarci a rimetterci in sesto se sono io a chiederglielo.-
- Dovremmo fidarci? L'esercito che è stato fatto fuori era il tuo, sarebbe giusto uccidere anche te.- Myson parlò, pugnalandolo una seconda volta con quei suoi occhi inquietantissimi. L'uomo rabbrividì, il dolore al fianco improvvisamente più acuto.
- Io non—-
- Lui è dalla nostra parte. Faremo come dice.- Aleksei si frappose tra loro, offrendogli un sostegno fisico.
- Ti fidi troppo delle persone sbagliate... ecco perché metà del tuo esercito è composto da agarthei.-

Il principe si voltò, incapace di ascoltarlo ulteriormente. Sua madre era una persona sbagliata? Se l'avesse detto un'altra volta, gli avrebbe volentieri spezzato l'osso del collo – e probabilmente sarebbe stata la sua prima azione una volta finito tutto ciò.
Dato che non era in grado di camminare da solo, si era caricato il generale sulla schiena e, seguendo le sue indicazioni, guidò l'esercito all'interno delle spesse mura del Forte Merceus. La scena era abbastanza esilarante nella sua testa; quand'era bambino, Ephraim lo portava sempre in giro in quel modo, ed ora era molto più grande di lui e le loro posizioni si erano invertite.

I feriti vennero subito soccorsi -soprattutto Ksenia, la quale aveva fatto svenire almeno tre guaritrici a causa delle sue condizioni-, mentre a chi stava meglio erano state assegnate delle stanze singole (da dividere però in due data la loro scarsità). Aleksei era finito con Thamiel, mentre Yolandi con Artemiya – ed un Malkuth costantemente imprigionato e narcotizzato da chissà che. Myson non aveva abbandonato la figlia neanche per un secondo e Behemoth si era scusato ripetutamente con ogni singola persona dalla parte dell'impero che aveva trovato, per poi offrire il suo aiuto con i feriti.
Ironicamente, Ephraim e Mitja erano stati messi in due letti vicini.

Aleksei aveva lasciato Areadbhar nella sua stanza ed era uscito per prendersi una boccata d'aria. Dall'alto vide Artemiya al centro della piazza e decise di raggiungerla. Si era spogliata della sua pesante armatura ed era rimasta con un completo blu aderente, le maniche a sbuffo la facevano sembrare quasi possente, gli stivali bianchi conferivano uno stacco di colore ed i suoi capelli erano sciolti, grossi boccoli castani scendevano dolcemente sulle sue spalle e sulla schiena.
Quando lo vide arrivare, gli rivolse un dolce sorriso e lui ricambiò.

- Cosa fai qui? Sei talmente stanca che ancora ti tremano le gambe.- Gliele guardò. Era vero.
- Volevo offrire una preghiera per Dedue... e a tutti gli altri caduti ovviamente. Ti va di farlo con me?-
- Io... Artemiya, non ho mai pregato in vita mia, non sarebbe irrispettoso?-
Lei ridacchiò.
- Sera mi disse la stessa cosa.-
- ... Davvero?-
- Quando partisti da solo, – Aleksei pensò di udire anche uno "stupido" tra le sue parole. – per Shambhala, era davvero disperata, perciò le proposi di pregare un po' insieme, tutto qui. Era titubante, ma lo abbiamo fatto insieme, è stato bello.-
- Allora penso lo farò anch'io... recita la preghiera, io ti seguo.-

La ragazza annuì, congiunse le mani, chinò il capo e chiuse gli occhi. Lui la imitò.

"Oh, Dea Sothis, che tu possa perdonare tutto il sangue versato quest'oggi sul campo di battaglia. Perdona Ksenia Arnim, Aleksei Irek Blaiddyd, Artemiya Rosenrot Blaiddyd, Mitja Leclerc, Ephraim von Gerth, Behemoth, Myson, Thamiel, Yolandi, Malkuth e tutti coloro che hanno contribuito a tutto ciò. Soldati imperiali, soldati del regno, soldati agarthei, non fare distinzione, siamo tutti tuoi figli. Che le anime dei caduti possano trovare la pace e si ricongiungano al Principio."

Quando ebbe finito, la sentì tirare un profondo sospiro, perciò aprì gli occhi e la guardò. Stille salate scendevano lungo il suo viso di porcellana, gli occhi lucidi rivolti verso il cielo terso. Si avvicinò per metterle una mano sulla spalla, ma lei si fiondò tra le sue braccia, fregandosene del sangue ancora impresso sull'armatura immacolata. L'avvolse con il suo mantello, stringendola a sé e lasciandola sfogare per un po', le dita intrecciate nei suoi riccioli.

- Aleksei... perché? Perché le persone devono farsi la guerra? Edel— l'imperatrice ti ha fatto da madre per vent'anni, perché allora abbiamo dovuto uccidere così tanti suoi soldati per sperare di ottenere ciò che ci, ti spetta?-
- È proprio ciò che voglio chiederle, sta tranquilla. Risolveremo tutto, avrai, avremo il nostro regno.-

Era scesa la notte ed ogni luce dell'infermeria era stata spenta, il buio era totale.
Eppure Ephraim non riusciva a chiudere occhio, ripensava alla scena terrificante accaduta lo stesso giorno, l'urlo straziante di sua sorella, le vittime che aveva mietuto... ogni volta che provava a dormire, le immagini di lei gli tornavano subito alla mente, non le avrebbe scordate per un po'.
All'improvviso, sentì qualcosa di caldo appoggiarsi sulla sua mano e sussultò.

Shh. – Un sibilo. – Non vorrete svegliare gli altri.-
- Ksenia...? Sei tu? Dovresti tornare nel tuo letto, hai un buco nella pancia—-
- Si è chiuso, non preoccupatevi.-

La silhouette di una corona si illuminò, proiettando una piccola luce anche su di lei, accentuata dalla fiammella magica che aveva acceso sulla mano.
Quando riuscì a vederla, sembrava un fantasma; aveva una camicia da notte bianca che le lasciava le braccia ferite  -ora, stranamente, i tagli sembravano meno profondi- scoperte, i capelli rosa sciolti e spettinati. Aprì i bottoni del suo vestito, noncurante di starsi mostrando mezza nuda ad un semi-sconosciuto e si tolse le bende che le avvolgevano il busto.
Nulla. Non c'era più nulla, a parte un piccolo graffio.
Lui spalancò la bocca e lei gli sorrise, iniziando a rivestirsi.

- Questo è il mio Segno, si chiama Luna Crescente. L'ha creato mio padre, quell'uomo inquietante che sta dormendo accanto al mio letto.-
- "Creato"...? È artificiale?-
- Sì... è una lunga storia, quando avremo più tempo ve la racconterò. Sono qui perché voglio curare la vostra ferita, è profonda, probabilmente vi porterà alla morte.-
Lui deglutì.
- Ma anche tu sei in condizioni precarie, tuo padre continuava a dire cose come "morirai", "ti ridurrai in cenere" allo sfinimento. Non voglio avere la responsabilità della tua morte.-
- Finché Lonnbéimnech è intatta sulla mia testa, non morirò, generale, non preoccupatevi per me. Davvero.-
- Ksenia... per favore, chiamami con il mio nome, senza onorificenze. Sono tuo fratello, ricordi?-
- Va bene, Ephraim...-

Gli alzò le vesti, togliendo le bende dai suoi fianchi. Come pensava, la ferita era già infetta, presto gli sarebbe venuta la febbre e, nel giro di pochi giorni, sarebbe morto. Vi impose le mani ed una luce pallida si sprigionò dalle sue mani.
Ephraim sentì chiaramente tutti i tessuti ricucirsi e sanarsi, il dolore dissolversi velocemente. Nel giro di pochi secondi, la pelle era tornata liscia e tonica, neanche un graffio era presente. La guardò, incredulo.
Non aveva mai incontrato nessuno con simili poteri curativi.

- Posso... posso dormire accanto a te, stanotte?

Lui le sorrise, facendole posto nel letto striminzito, chiaramente pensato per una singola persona. Ksenia si tolse la reliquia dal capo e si infilò sotto le coperte, appoggiando la testa nell'incavo del suo collo. La coprì fin sulle spalle con il lenzuolo e la tenne accanto a sé – seppur non sapesse bene come toccarla a causa dei tagli sulle braccia.

- Sai... ho sempre desiderato avere un membro della mia famiglia che fosse normale, pensavo di avere solo mio padre, ma quando ho saputo di avere te sono stata davvero felice. Mi dispiace non averlo dimostrato adeguatamente quando ci siamo conosciuti, ero... e sono in uno stato mentale precario. Non sono in grado di esprimere le emozioni positive come vorrei.-
- Vale lo stesso per me. Sei la cosa più bella che mi sia capitata in decenni, spero di poterti conoscere al meglio dopo che tutto ciò sarà finito.-
- Ho capito subito che avevi ordinato quell'attacco a malincuore, Ephraim.-
- Me ne sono accorto... non sono riuscito a guardarti. Mi dispiace che le mie azioni abbiano portato alla morte di quella bestia a te così cara.-
- Non fartene una colpa, io per ripicca ho ucciso tantissimi dei tuoi soldati.
Ephraim, – Il suo tono si fece più serio. – verresti con me a Fhirdiad?-
- Fhirdiad...? Io sono il capo della Guardia Imperiale—-
- Non ne sei più sicuro, ormai. Vorrei che guidassi la Guardia Reale di Aleksei quando sarà re. Lui si fida di te, avere una faccia conosciuta lo aiuterà sicuramente.-
- Io... non lo so, Ksenia, mi fai questa domanda così a bruciapelo... vorrei avere del tempo per pensarci.-
- E lo hai, anzi, scusa se te l'ho chiesto così, di colpo. Non dev'essere facile voltare le spalle alla causa che hai servito per decenni.-

Detto ciò, dopo qualche altro scambio di battute, la donna si addormentò tra le braccia del fratello, il respiro leggero. Stargli accanto l'aveva calmata, aiutata a distogliere i pensieri dalle disgrazie successe solo poche ore prima.
Ephraim, invece, non aveva chiuso occhio a causa di quella domanda pesante come il piombo.

- Ti sei preso tutto il lenzuolo.-
- Hey, ne ho più bisogno io. Sono fragile, delicato e tu vieni da una terra che è ricoperta di neve per tre quarti dell'anno, puoi sopportare un po' di aria fresca!-
- Thamiel, essere nato al freddo non mi rende automaticamente immune, ho vissuto tutta la mia vita nella città più calda del continente. Tu vivi letteralmente sottoterra, dovresti essere quello che lo tollera meglio.-

Aleksei tirò la coperta così forte che il suo compagno di letto finì per girarsi a pancia in giù, interamente scoperto e con la faccia stampata sul cuscino.
Nonostante il principe agartheo fosse molto più magro, due uomini adulti in una branda singola non potevano dormirci decentemente. Il biondo aveva la schiena appiccicata contro il muro gelido, mentre l'altro rischiava di cadere sul pavimento se solo si fosse spostato di qualche centimetro... ed essere appiccicati in quel modo non piaceva a nessuno dei due.

- Non potevi fare cambio con Artemiya ed andare a dormire con tua sorella?-
- Divertirsi con una donna ti stancherebbe, domani ci sarà un'altra battaglia, ricordi?-
- Io non— ma che vai a pensare?! È mia cugina, siamo parenti! Avrei solo preferito dormire con lei perché, a confronto tuo, è piccola e ci sarebbe stato più spazio per entrambi.-

Finita la frase gli diede un calcio sul fianco che lo fece rotolare giù dal letto. Dannato agartheo.
Thamiel ci tornò velocemente sopra, il contatto con il pavimento ghiacciato lo aveva fatto rabbrividire dalla testa ai piedi.

- Non pensavo che quell'angelo di Ksenia potesse avere un figlio così... così...-
- Così cosa?-
- ... Antipatico. – Sbuffò, portandosi quel poco di coperta sopra al naso. – Sai, lei ti vuole un bene immenso, ti ha cercato per così tanto, pur non essendo sicura che fossi vivo.
Ed ora sta distruggendo sé stessa pur di rendere giustizia a te.-
- Allora tu sei a conoscenza della sua condizione...-
L'albino annuì.
- Non se lo merita. Non voglio vederla morire.-
- Sembri tenere a lei.-
- Beh, mi ha fatto da madre per tanto tempo, come non potrei? Sai che originariamente doveva essere una delle mogli di mio padre? Ma dopo lo scoppio della guerra ha sposato il tuo ed i piani sono saltati.-
- Quel matrimonio è durato poco, perché il re di Agartha non l'ha sposata dopo?-
- ... Non lo so, forse perché la sua sanità mentale era venuta meno, ma a questa ipotesi do poco valore, io credo che Myson gliel'abbia sottratta. Seppur sia una persona tremenda, ama sua figlia -od il suo Segno-, se fosse stata costretta a fare figli con mio padre, probabilmente sarebbe già morta a causa dello stress.-

Aleksei sospirò profondamente. C'erano tante cose di sua madre che ancora doveva imparare, ma tutto ciò di cui era a conoscenza era la sua immensa sofferenza, che negli anni si erano sovrapposti tanti elementi e traumi. Ma lei si era sempre rialzata e questo glielo invidiava parecchio; così fragile ed al contempo forte... non poteva chiedere donna migliore da cui discendere.

Attorno ad un tavolo si erano radunati tutti i capisaldi di quell'esercito improvvisato, una mappa rudimentale del palazzo imperiale stesa sul legno.
C'era Ksenia, agghindata nel suo splendido abito blu con la corona in testa, le ferite sulle braccia ora sottili crepe scarlatte impresse nella pelle, accanto a lei Ephraim, i lunghi capelli sciolti che continuavano a cadergli sul viso, Aleksei in armatura alla sua destra assieme a Myson.
Dalla parte opposta c'erano Artemiya, Mitja, Thamiel, Behemoth e Yolandi, già pronti per partire alla volta della capitale.
Stavano tutti bene ed erano in perfetta forma perché, quella mattina, Ksenia aveva usato Balsamo di nascosto da suo padre, curando al meglio delle sue capacità tutti i feriti dell'infermeria.

- La Sala del Trono ha tre entrate. – Ephraim indicò dei punti sulla mappa. – Per quella est bisogna attraversare i giardini, la sud la si raggiunge più velocemente, ma ci sono delle rampe di scale sulle quali si può essere rallentati, mentre la ovest passa per la Sala Ricevimenti ed è la più semplice da percorrere... per entrambi gli eserciti, tenetelo a mente.-
- Tu cosa consigli?- Ksenia lo guardò, puntandogli addosso i suoi occhi di ghiaccio.
- Io... – L'uomo incontrò lo sguardo di Myson, rabbrividendo. – ovest, indubbiamente. Il percorso non è lungo come quello est e, soprattutto, è interamente all'interno del palazzo.- Il suo pensiero andò a Thamiel, il quale era estremamente indebolito sotto al sole.

Lui non voleva assolutamente rivelare quelle informazioni, nonostante fosse in buoni rapporti con Ksenia ed Aleksei, non era sua intenzione tradire ulteriormente l'Impero dando un così grande vantaggio ai suoi nemici, dopotutto non sapeva le complete e reali intenzioni del principe – aveva provato a domandarle alla sorella, ma a dire il vero nessuno sapeva perfettamente cosa gli passasse per la testa. Eppure era lì, attorno a quel tavolo, a rivelare ogni segreto del luogo che avrebbe dovuto proteggere.
La verità era che quell'uomo, il cadavere, lo sfigurato in abiti scuri lo aveva minacciato, gli aveva mostrato un pugnale dalla lama nera -lo stesso materiale che aveva usato quell'abominio delle Serpi delle Ombre per uccidere il capitano Jeralt, ricordava- e gli aveva assicurato che avrebbe riaperto la sua ferita se non avesse collaborato, aggiungendo che nemmeno la magia del "suo angelo" avrebbe potuto aiutarlo in quel caso.
Ephraim non voleva morire, tutto qui. Poteva sembrare egoista da parte sua, un così devoto sostenitore dell'Aquila Bicefala, ma non poteva farci nulla, il suo sacrificio poteva arrivare fino ad un certo punto. Ed in ogni caso sarebbero partiti per Enbarr, con o senza i suoi consigli.

- Buona idea, Ephraim, – Aleksei parlò. – io avevo pensato di teletrasportarci nei giardini, ma con un sole del genere perderemmo Thamiel, non può combattere al meglio con degli stracci avvolti attorno alla testa.-
- Che carino, mi pensi!- Si intromise l'albino, con un tono scherzoso.
Il principe gli lanciò un'occhiataccia.
- ... Ed apparire direttamente nella Sala del Trono ci esporrebbe ad una tripla manovra a tenaglia. Ergo, suicidio. È meglio sconfiggere più soldati possibile prima di arrivare nel cuore pulsante del palazzo. Sarà anche invecchiata, ma Edelgard von Hresvelg rimane un avversario temibile, dobbiamo ponderare ogni nostra mossa e risparmiare le energie per quando arriveremo a lei.-

Anche quella mattina il sole splendeva ad Enbarr. Come, d'altronde, tutte le altre.
Le notizie del giorno prima erano state devastanti; l'esercito e parte della Guardia Imperiale, compreso il suo capo, erano stati attaccati al Forte Merceus da due gruppi di soldati che portavano il vessillo del cavaliere ed il grifone -del quale Hans non sapeva i dettagli, non avendolo mai visto-, accompagnati da una gigantesca bestia completamente nera -il drago che aveva sfondato il soffitto...?-. Il rapporto era arrivato per via aerea il tardo pomeriggio e la notte sarebbe dovuto arrivarne un altro, così come quella stessa mattina, ma nessuna nuova era più giunta. Silenzio.
"Bennie, sei stato tu...? Cos'hai fatto?", si ritrovò a pensare mentre, ancora una volta, i suoi occhi lilla erano fissi sui giardini in cui i due giocavano da piccoli, la tazza di tè sul tavolino ormai fredda e la fetta di torta squagliata nel piatto. Non che avesse voglia di mangiare, in quella situazione.
Qualcuno bussò alla porta e lui iniziò a credere di essere tornato indietro nel tempo di ventiquattr'ore, perché era tutto così uguale al giorno prima?
Stavolta però non era Byleth, ma uno dei tanti cavalieri a protezione del castello. L'incantesimo si era (quasi) spezzato.

- Principe Hans, siete atteso alla Sala del Trono, ci sono notizie importanti di cui dovete venire a conoscenza. Seguitemi, subito. Prendete con voi il vostro tomo.L'uomo sembrava essersi pentito di aver usato un tono rude.
- È successo qualcosa di grave? – Hans si alzò, iniziando a seguirlo a passo svelto. – Sono giunte altre notizie dal Forte...?-
- Per la vostra sicurezza, è meglio che prima raggiungiamo la destinazione, parlare ci rallenterebbe.-

Il giovane non capiva tutta quella fretta, ma eseguì gli ordini. Dopotutto non aveva scelta.
Quando il gigantesco portone a doppia anta venne aperto, non fece in tempo a guardare al suo interno che sua madre lo raggiunse e lo abbracciò, stringendolo forte a sé e trascinandolo dentro.

- Per fortuna stai bene...!

Lui era confuso, soprattutto dopo averla vista con l'armatura addosso. Da quanto non la vedeva così? Anni, sicuramente.
Anche suo padre era vestito come se dovesse partecipare ad una battaglia. Cosa diamine stava succedendo...?

- Hans, ci sono intrusi nel palazzo.- Edelgard parlò.
- I—intrusi?!-
- Sembra siano gli stessi che hanno attaccato il Forte ieri, si stanno facendo strada nell'ala ovest.-
- Com'è possibile che siano già qui? Da Enbarr alla fortezza sono giorni di viaggio via terra!-
- Loro sono... comparsi all'improvviso, in città non c'è alcuna traccia di scontri, si trovano tutti qua dentro. E stanno risalendo.-

La donna stringeva forte i pugni. Era preoccupata ma, soprattutto, arrabbiata, come se il solo metodo d'intrusione la mandasse su tutte le furie. Il teletrasporto era un incantesimo comune -anche se non aveva mai sentito di interi eserciti apparsi dal nulla-, eppure ciò l'aveva agitata parecchio.
Era qualcos'altro che gli stava nascondendo? Qualcuno che conosceva faceva cose simili? Questo "Faerghus", in particolare?
Il principe assottigliò lo sguardo, osservandola andare a prendere la sua reliquia: Yagrush. La Pietra Segno di Seiros prese vita e con essa tutta l'ascia, la quale si illuminò come se avvolta dalle fiamme.

- Madre, chi sono veramente i nostri nemici? Perché un semplice incantesimo di teletrasporto vi ha agitato a tal punto?-
- Hans, non c'è tempo per parlare. Presto arriveranno da noi, devi prepararti a combattere, dimostrami di essere uno Hresvelg e futuro imperatore.-
- Perché continuate a scappare dalle mie domande?! Che imperatore sarò, se non mi mettete nemmeno a conoscenza di quella che è la storia del mio paese?
C'è Benedikt là in mezzo, non è vero? È per questo che rimanete zitta? Perché lui viene dal Faerghus? – Edelgard spalancò gli occhi e schiuse le labbra, quella domanda sembrò esserle caduta come un macigno sulla testa. – Se voi non volete parlare con me, allora lo chiederò a mio fratello!-

Hans prese a correre per la Sala del Trono in un moto di rabbia. Byleth, Hubert, Edelgard stessa e gli altri soldati lì presenti tentarono di afferrarlo, ma lui fece in tempo a lanciare un incantesimo che alzò una barriera di fuoco per tenerli distanti ed a fuggire, dirigendosi dritto nell'ala ovest.
Mentre attraversava i giganteschi corridoi finemente scolpiti nel marmo, iniziò a pensare, in un barlume di lucidità, di essere diventato proprio come Benedikt. Era sempre stato lui a prendere le decisioni più avventate e suicide ed ora lo stava bellamente imitando. Quel dannato altezzoso gli aveva fatto addirittura disobbedire a sua madre, la donna che amava di più al mondo! L'essere coscienti di essere l'erede al trono portava a questo, quindi? Cos'era, una maledizione?
Raggiunto un portone in legno massiccio dipinto per farlo sembrare d'oro, si fermò, trovandosi ansimante, il cuore che batteva nel petto così forte da sentirlo nelle orecchie ed in tutti i muscoli del corpo. Impose le mani sulla doppia anta ed essa si aprì, rivelando l'ambiente della sala ricevimenti.
Si presentava come un corridoio dal soffitto altissimo, con i lampadari spenti che pendevano, decine di colonne ed archi ed il pavimento di pietra adornato da un tappeto scarlatto. In quella stanza si facevano spesso grandi feste a cui partecipavano nobili e comuni cittadini, tutti uniti sotto le ali protettive dell'Aquila Bicefala.
Ma ora era pieno di soldati i quali, quando lo videro, si misero subito in formazione a sua protezione.
Hans strinse il suo tomo tra le braccia, pronto a scagliare un incantesimo in caso di evenienza.
Dall'altra parte della sala, dietro al secondo portone, si poteva sentire una cacofonia di urla e metallo che strideva, fendenti in lontananza perfettamente udibili. Finché esso non venne sfondato ed una mandria di uomini entrò a testa bassa come un ariete.
Il principe riconosceva due tipi di soldati là in mezzo; maghi con il volto coperto, gli abiti neri ed utilizzatori di magia oscura e guerrieri di ogni tipo di colore blu acceso, i quali si mescolavano con il rosso suo e dei suoi alleati. Non ci pensò troppo ad immergersi nella calca, evocando fiamme dal suo tomo e lanciandole contro chi gli si avvicinava, carbonizzandoli.
Era già stato mandato, come capo delle Aquile Nere, in campi di battaglia contro dei banditi ed uccidere era sempre stata un'esperienza orribile, ma quel preciso scontro era ancor più complicato, sia perché quelli erano veri e propri soldati, sia perché, a quanto pare, quell'armata era guidata da suo fratello.
Il capitano che gli offriva più protezione venne colpito al petto da quello che sembrava un attacco magico del vento e la sua spessa armatura si frantumò, i pezzi di metallo gli si piantarono nella carne e lui crollò a terra, rantolando e perdendo immense quantità di sangue. Lui, spaventato, tentò di salvarlo usando un incantesimo curativo, ma nello stesso istante venne scagliato un incantesimo di magia oscura che lo colpì nella spalla sinistra.
Urlò, sembrava come se migliaia di spine lo avessero punto e si stessero scavando una strada per conficcarsi sempre più in profondità. Barcollò, la vista sfocata.

In quell'istante, vide una figura bianca saettare tra la folla e si sforzò di mettere a fuoco la scena. Vide un uomo altissimo, con i capelli biondi e le spalle avvolte da una spessa pelliccia, il mantello blu che seguiva ogni suo movimento. Diede un pugno in faccia ad un mago in nero così forte da fargli esplodere la maschera che aveva addosso e frantumargli il volto, deturpandolo completamente; il sangue gli schizzò sul braccio e tinse la sua armatura di rosso. Aveva attaccato un alleato?!
Passò poi ad uccidere vari soldati imperiali, sia con pugni devastanti, calci capaci di ammaccare armature al punto da far soffocare chi le indossava e, nel modo più brutale, tagliando a metà corpi con una lancia avvolta da fuoco e fulmini.
Solo dopo realizzò che quella macchina da guerra fosse in realtà suo fratello.
Benedikt si era fatto strada tra la milizia con una facilità disarmante ed in pochissimi secondi lo aveva raggiunto. Hans chiuse gli occhi, pronto a ricevere la morte, ma pochi secondo dopo fu obbligato a riaprirli.
Lui gli aveva messo un braccio attorno alle spalle e lo aveva avvicinato a sé, avvolgendolo con il mantello usando la mano libera. Alzò lo sguardo, incontrando il suo volto di porcellana macchiato di sangue non suo, gli occhi di ghiaccio serrati in due fessure e rivolti verso il suo stesso esercito. Se uno sguardo fosse stato in grado di uccidere, metà di quelle persone sarebbero già morte.
Era cambiato parecchio dal Bennie che conosceva; l'ultima volta era magrissimo, emaciato, con gli occhi persi ed il corpo livido, mentre ora sembrava una montagna, il viso aveva preso colore e si era nuovamente riempito, i capelli erano lucenti, l'espressione stoica.

- CHE NESSUNO, – Tuonò, la sua voce potente quanto mille catastrofi. – NEMICI OD ALLEATI, OSI TORCERE UN CAPELLO A MIO FRATELLO. O RIDURRÒ I VOSTRI MISERI CORPI IN MELMA. – Poi, abbassò il capo, guardandolo finalmente negli occhi. – Dimmi che stai bene.-
Hans schiuse le labbra per parlare, ma si costrinse a stringere i denti.
- Benn— è... è profondo...- Tremò, ma venne tenuto in piedi.
- Cazzo, – Il biondo inveì. – bastardo agartheo. Avrei dovuto distruggere il suo intero corpo, non solo la sua faccia. Maledetto...-
- Cal—calmati...!-

Quando i due principi si erano riuniti, il combattimento si era fermato, come se tutti fossero stati colpiti da un incantesimo congelante.
Aleksei si voltò di nuovo verso l'esercito del Faerghus, cercando con lo sguardo qualcuno in particolare.
Poco tempo dopo, in mezzo a facce sconosciute emerse una figura femminile. La corona sulla sua testa, seppur attraversata da una grossa crepa, sembrava un sole, il vestito blu in perfetto contrasto con i capelli color pesca e la pelle diafana. Sulle braccia aveva quelle che sembravano crepe, le quali la facevano somigliare ad un'antica bambola di porcellana. Levitò fino a loro e, quando Hans vide i suoi occhi, non poté fare a meno di notare quanto fossero simili a quelli di suo fratello.

- Puoi aiutarlo, vero?

Lei si avvicinò ulteriormente, rivolgendo un sorriso al ragazzo. Gli appoggiò una mano sulla guancia, accarezzandola piano e Hans sentì un insolito calore irradiarlo, il tocco di quella donna era etereo. Lentamente, il dolore lancinante alla spalla si dissolse e sulla pelle non ve ne fu più traccia.

- Ti senti meglio? – Lui annuì. – ... Ne sono contenta. Aleksei ti vuole un bene immenso, non mi sarei mai perdonata il non averti curato la ferita.-
Aleksei...? È così che ti fai chiamare, ora? E... e Benedikt?-
- Benedikt von Hresvelg è morto, Hans. Il mio nome è sempre stato Aleksei Irek Blaiddyd.-
- Blaiddyd... mio padre ha detto che sei figlio di un re. – Sospirò, abbassando lo sguardo e stringendo più forte il tomo che aveva tra le braccia. – Sei venuto fin qui per farmi la guerra, non è vero?-
- Sei impazzito? Non potrei mai, siamo fratelli.-
- ... Ma non di sangue, noi non siamo realmente legati.-
- Non contano i legami di sangue, qui. Siamo cresciuti come fratelli e per me sei e sempre sarai tale. Io non muovo guerra alle persone che amo.-
- Eppure hai attaccato la donna che ti ha sempre fatto da madre.-
- Lei mi ha riempito di bugie.-
- Capisco...-
- Sai, sono contento di averti rivisto. Volevo scusarmi con te per essere sparito ed averti causato tanti problemi... ho agito d'impulso, senza pensarci.-
Hans rise sotto i baffi.
- Non cambierai mai, Ben— ... Aleksei. C'è un diminutivo a questo nome?-
Aleksei sbatté le palpebre un paio di volte. Non che ne sapesse molto del linguaggio del Faerghus...
- Alyosha, oppure Lyosha. Ma io lo trovo bellissimo così com'è.- Disse Ksenia. Hans la guardò, pensandoci sopra.
- ... Avete ragione, uhm...-
- Mi chiamo Ksenia, sono sua madre.-
- Sua madre?! – Il principe non riuscì a non ricordare le parole di Byleth: "probabilmente anche il cadavere di sua madre è sepolto a Tailtean". – U—uno zombie?!-
- Non è morta, Hans.-
Peggio. Non sai che mi è successo là sotto, dieci giorni a farmi mangiare dai vermi...- Lei sorrise, facendolo spaventare ulteriormente.
- Non infierire! ... In ogni caso, devo andare alla Sala del Trono e parlare con l'imperatrice.-
- Ci combatterai, quindi?-
- Questo dipende tutto da lei. Nel frattempo, ti dispiacerebbe fare l'ostaggio? – Senza dargli il tempo di elaborare, Aleksei girò Hans in modo da farsi dare le spalle e poi gli puntò la lama di Areadbhar alla gola. La sua luce era estremamente inquietante e si rifletteva nei suoi occhi lilla. – Non preoccuparti, non ti faccio nulla. – Sussurrò il biondo. – Ascoltatemi bene: il principe ed erede al trono ora è mio ostaggio, un passo falso e gli stacco la testa.
Liberate il passaggio affinché io possa dirigermi alla Sala del Trono, in questo modo non gli succederà nulla. Artemiya, vieni con me!-

Dal manipolo di soldati in blu emerse un volto ad Hans familiare: l'attuale capocasa dei Leoni Blu, con la quale aveva scambiato qualche parola i primi giorni di scuola, ma che subito dopo si era volatilizzata. Ecco dov'era finita... con quell'armatura addosso e l'espressione rigida sembrava una persona completamente diversa dalla ragazza timidissima che aveva incontrato.
Aleksei spinse il fratello in avanti, iniziando a camminare in mezzo ai soldati adrestiani, sia lui che le donne al suo seguito con la guardia alta. Seppur si fidasse di lui, il principe era terrorizzato dalla lancia che aveva alla gola, un passo falso, uno scatto mal calcolato... e zac, avrebbe ricevuto il dono dell'ubiquità.
Il portone si richiuse alle loro spalle e, non appena nella sala ricevimenti si scatenò nuovamente il caos, Areadbhar venne calata e la sua luce si dissolse. Hans tirò un sospiro di sollievo.

- Perché hai voluto anche me?- Domandò Artemiya.
- Sei o non sei lo Scudo del Faerghus?-
Le sue guance si tinsero violentemente di rosso.
- Io...-
- Devi proteggere mia madre, è ancora debole... e fare in modo che non usi più quel potere, o saremmo tutti in guai seri se si scatenasse in un luogo così ristretto.-
- Ricevuto!-
- Hai così poca fiducia in me, Aleksei?- Chiese la regina, fingendosi offesa.
Mamma, hai provato ad uccidere anche me nella tua furia cieca, vorrei evitare di doverti trafiggere nuovamente.-
- Mi dispiace...-

I quattro proseguirono a ritroso per il corridoio prima percorso da Hans. A ripensarci, anche Aleksei aveva fatto quella stessa strada quando fuggì dalla sua prigionia, senza parlare di tutte quelle volte in cui era passato di lì perché, semplicemente, ci aveva vissuto.
Di fronte all'unica barriera che li separava dall'imperatrice, Ksenia prese la mano al figlio, fermandolo.

- La Luna Crescente non funziona al suo massimo se vieni ferito da una reliquia. Fa attenzione, non voglio che tu soffra com'è successo a me.-
- Fidati di me.-

La donna lo lasciò andare e, finalmente, giunsero alla tappa finale, l'obiettivo che si erano preposti. A Ksenia il cuore martellava nel petto, ogni muscolo del suo corpo rigido come pietra. Erano passati vent'anni da quando l'aveva vista, ma come, come dimenticarsene?
La sovrana che aveva messo fine al Sacro Regno di Faerghus, le aveva portato via il figlio ed aveva decapitato l'amore della sua vita. Al solo pensiero, il sangue ribollì, lo sentì scalpitare nelle vene e cercare di aprirle, il dolore sempre crescente.
Artemiya le prese la mano ed il contatto con il freddo metallo dei suoi guanti la riportò alla realtà. Il dolore cessò. Le due si guardarono negli occhi e la ragazzina le rivolse un timido sorriso. La regina ricambiò.
Edelgard era immobile, sembrava dovesse esplodere da un momento all'altro, che la sua facciata di gelida e stoica imperatrice minacciasse un crollo imminente. Vide la spalla nuda di suo figlio, la giacca strappata in quel punto, e si congelò ulteriormente, lanciando dardi avvelenati al gruppo attorno a lui, concentrandosi ulteriormente su quello che una volta era il suo primogenito. Aleksei illuminò la lama di Areadbhar, la tensione si tagliava con il coltello.

- Bene, – Hubert parlò, la sua voce talmente calma da risultare irritante. – immagino che il Generale von Gerth meriti una punizione. – Il suo sguardo volò dritto verso Artemiya, la quale stava ancora stringendo la mano a Ksenia. – Voi non dovreste essere morta, avvelenata da vostro nonno, Lady Artemiya?-
- Al contrario vostro, lui non è un barbaro che condanna a morte le ragazzine, dovreste imparare dal vostro subordinato.- Lei rispose con tono acido, facendo ridere il marchese.
- Di voi si diceva che foste estremamente timida e remissiva, a quanto pare l'influenza di quell'ingrato fa male a tutti, ha contagiato fin troppe persone.-
- Basta così, Hubert. – Edelgard, finalmente, parlò. – Qual è il tuo obiettivo, Benedikt? Perché hai attaccato quella che una volta era la tua casa?-
- Potrei farti la stessa domanda. – Invece di una voce maschile, però, rispose la donna che gli stava dietro. – Perché hai scatenato una guerra che ha mietuto così tante vittime innocenti, invaso territori e stretto un'alleanza con i tuoi stessi carnefici, solo per uccidere un lucertolone con smanie di potere? Era davvero necessario, imperatrice?-
Non puoi pretendere che le vittime ammontino a zero quando una causa è così grande. La colpa del Regno fu quella di ospitare la Chiesa di Seiros, se non l'avesse fatto, magari il Re degli Illusi avrebbe ancora la testa sulle spalle.-
Ksenia strinse i pugni fino ad incidere mezzelune sui palmi delle mani, i tagli pulsavano.
- Perché non avrebbe dovuto farlo, con gli accordi che il Regno aveva con la Chiesa? Senza l'approvazione dell'Arcivescova il titolo del re cade. Ed in ogni caso, senza alcuna prova della malvagità di Rhea, come, dimmelo, come Dimitri avrebbe dovuto sapere che ospitarla fosse un errore? Hai gestito così bene il tuo grande piano da averla fatta passare come vittima, e di conseguenza versato sangue inutile a destra e a manca.
Ancora, dopo vent'anni, ti fai tutti questi castelli in aria, pensi di essere in cima al mondo che hai plasmato con le tue mani insozzate. Svegliati, esistono ancora figli della Dea là fuori ed Agartha è più grande che mai. Non hai risolto proprio nulla.-

Edelgard non disse nulla, ma Hubert prese da sé l'iniziativa. Una runa oscura apparve nel suo palmo e le scagliò Luna Λ contro, un astro lucente apparve alle spalle di Ksenia e venne sostituito da un vortice nero.
Lei aprì le mani, Lonnbéimnech si incendiò e venne completamente avvolta da una luce che dissolse l'oscurità dell'incantesimo di Hubert con immane facilità.

- Si cade sempre nelle stesse abitudini, a quanto pare. – Le tremavano le gambe, ma la gonna lunga le nascondeva. – Non ti piace quando parlo, vero, Edelgard?-
- Non so nemmeno chi tu sia, come potrei?-
- Dovevo immaginarlo, sei così cieca da non essere in grado di ricordare le tue vittime, nemmeno quelle che hai seppellito mentre erano ancora in vita.-

L'imperatrice si morse il labbro, realizzando. Ora l'aveva riconosciuta, senza tutto quel fango, il sangue e la pioggia a sfigurarla non se n'era resa conto, ma lei era quella donna insolente di Tailtean. Adesso aveva tutto più senso, ecco chi aveva rivelato tutto a Benedikt, non un fantasma o chissà quale sogno premonitore.

- Ciò che voglio è il regno che mi avete rubato, pensavo di avervelo già detto.- Aleksei parlò, spostando la conversazione su di sé.
- Non ho intenzione di regalarti un terzo del mio territorio, non dopo quello che hai fatto.-
- Quella è la mia casa!-
- È questa casa tua, per quale motivo ti ostini tanto a voler vivere in un posto del genere?!-
- Perché mi hai mentito e voglio starti il più lontano possibile!-

In un'esplosione di rabbia, il leone si scagliò sull'aquila, brandendo Areadbhar ed usandola come un giavellotto. Una freccia infuocata ed infusa di fulmini si schiantò proprio sul trono dove stava seduta l'imperatrice, miracolosamente fuggita un attimo prima di essere impalata e fulminata a morte. Aleksei con un volo felino estrasse la reliquia dalla seduta, non perdendo tempo a tornare sul suo obiettivo.
Neanche Edelgard perse ulteriori secondi preziosi e presto la lama di Yagrush venne diretta verso lo stomaco del principe, nel punto in cui le placche dell'armatura si intersecavano tra loro. Lui riuscì ad evitare il colpo solo in parte, ritrovandosi con lungo taglio sanguinante sul fianco.
Ignorò l'intenso bruciore ed approfittò della ritirata di lei per tentare di trafiggerla, ma fece in tempo a proteggersi con lo scudo. L'immensa forza usata, però, fu capace di farla sbilanciare.
Aleksei le tirò un calcio sul fianco, facendola rotolare a terra di qualche metro.

Attorno a loro, si era scatenato un ulteriore caos. Artemiya aveva incrociato le lame con Byleth e Ksenia si destreggiava tra la magia di Hubert e nel frattempo teneva un occhio vigile su Hans, pronta a proteggerlo nel caso fosse finito nel tumulto.
Il principe imperiale era terrorizzato da tutta quella visione di violenza ed aveva finito per rifugiarsi in un angolo e sperare che tutto ciò finisse in fretta, o di svegliarsi da quell'incubo fin troppo realistico.
Ad Artemiya volò la spada dalle mani ed, esausta, crollò a terra, incapace di muoversi con l'armatura addosso, il sudore sulla fronte le appiccicava la frangia al viso. Ksenia ansimava, era arrivata al suo limite, ma Hubert, seppur ferito e sanguinante, non aveva intenzione di darle tregua. Ormai sembrava uno scontro a senso unico.

Le lame di Areadbhar e Yagrush stridevano ad ogni contatto; nessuno dei due, nonostante i violenti colpi ricevuti, osava arretrare di un passo.
Edelgard assestò un fendente mirando verso il collo dell'avversario, ma Aleksei intercettò il colpo d'ascia con uguale, se non superiore, veemenza. Il metallo d'ombra risuonò come mille campane apocalittiche ed Areadbhar iniziò a creparsi, le fiamme divennero più alte come se l'anima al suo interno stesse soffrendo. Il principe non gliela diede vinta e, arrecando più forza, respinse l'imperatrice ma, nel momento in cui le lame smisero di collidere, la sua reliquia si spezzò in due parti e la zampa del leone cadde al suolo, distrutta, lui in ginocchio.
Non c'era tempo per stupirsi o piangerla, non avevano finito.
Edelgard, avvalendosi del vantaggio, subito caricò un attacco per dargli il colpo di grazia, ma lui si azzardò a parare l'ascia con il braccio. Fortunatamente venne colpito nel punto in cui l'armatura era solida e finì solo per sentire le ossa del braccio destro spezzarsi sotto il suo peso. Strinse forte i denti, il dolore era immenso. Cosa fare? Era ambidestro, ma non era così stupido da combattere una come lei a mani nude.
Con la parte buona afferrò l'asta di Areadbhar, ma in quello stesso istante accadde l'impensabile: i pezzi e le briciole d'osso si riunirono e saldarono assieme, ricomponendo la lancia originale. La sentiva diversa al suo tocco, come se entrambi i suoi Segni vi risuonassero all'interno.
Possibile... possibile che gli avesse infuso il suo potere? No, doveva essere qualcos'altro.
Un flash gli riapparve nella mente.
Il sigillo a Fhirdiad.
Sua madre.
Sangue.
La lama di Areadbhar ricoperta di sangue rigettato.
La lama di Areadbhar che assorbiva il sangue come una spugna.
... Areadbhar aveva acquisito la Luna Crescente.
Scattò in piedi come una molla e, con la sinistra, diede un colpo diretto al ventre di Edelgard, scagliandola a terra. A quanto pare, era completamente esausta, nonostante volesse dare una parvenza di forza.
Aleksei la sovrastò, puntandole la lama alla gola. Lei lo guardò, congelandolo con lo sguardo.

- ... Abdicate.-
- Non ti sarebbe più facile uccidermi? Hai vinto, fallo.-
- Siete stata mia madre, dannazione, vi sembro un mostro?! – Alzò la voce. – Volete che privi mio fratello della donna a cui tiene maggiormente?-
Edelgard soffocò una risata.
- Voi Blaiddyd siete troppo buoni, ma questo vi porterà sempre alla rovina.-


   
 
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