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Autore: Nao Yoshikawa    16/01/2023    1 recensioni
Sequel di "Everybody wants love".
Sono passati tre anni, i bambini sono cresciuti e gli adulti sono maturati (più o meno). Nuove sfide attendono i personaggi e questa volta sarà tutto più difficile. Dopotutto si sa, la preadolescenza/adolescenza non è un periodo semplice. E non sono facili nemmeno i vecchi ritorni.
Ciò che è passato deve rimanere nel passato.
Non pensarci.
Non pensarci e andrà tutto bene.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Yuri | Personaggi: Kuchiki Rukia, Kurosaki Ichigo, Nuovo personaggio, Renji Abarai, Urahara Kisuke
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo quattordici
 
Rin osservava malinconica e pensierosa sua madre, mentre si vestiva. Rangiku era sempre molto elegante e amava indossare bei vestiti. Aveva quarant’anni, ma era molto più affascinante e avvenente di tante ragazze più giovani. E Rin la guardava, ammirata ma anche con una certa tristezza addosso. Con l’arrivo della pubertà erano venute fuori anche tutte le sue insicurezze. Ricordava che da bambina era molto sicura di sé, ruffiana come solo una bambinetta adorabile poteva essere. Adesso invece si guardava allo specchio, per poi distogliere o sguardo. Era troppo. Odiava la sua pelle in accesso, si sentiva grassa e sgradevole. Ingombrante. E aveva l’impressione che perfino la sua faccia si stesse gonfiando, malgrado mangiasse pochissimo. Perché non riusciva ad essere magra ma formosa?
«Mamma, ti sei mai sentita brutta?»
Rin adesso si era alzata. Aveva afferrato uno dei capi di Rangiku e se l’era poggiato addosso, cercando di capire come le sarebbe stato. No, sicuramente avrebbe solo fatto ridere qualcuno. Rangiku si fermò a guardarla.
«Non che io mi ricordi. Aspetta… qualcuno ti ha detto qualcosa?!» si allarmò. Rin arrossì. Era meglio che sua madre non sapesse nulla dei suoi complessi e tormenti.
«M-ma no, è solo per sapere» poi tornò a guardarsi allo specchio. «Io non mi vedo molto carina. Lo ero da piccola, ma adesso sembro un mutante… ma perché?»
Rangiku le accarezzò i capelli lunghi e chiari.
«È l’età. La pubertà sa essere terribile. Si cambia tanto, fisicamente e psicologicamente. È un po’ infernale. Ma Rin, se ci fosse qualcosa che non va, me ne parleresti, vero? So che a volte sono esagerata e ti metto in imbarazzo, ma voglio solo il tuo bene.»
Rangiku strinse le spalle della figlia e per la prima volta si rese conto di quanto apparisse esile. Ma cosa c’era che non andava? Forse avrebbe dovuto scavare più a fondo?
«Ma certo, lo so. Non c’è niente che non va» Rin sorrise e poi spostò l’attenzione su un altro argomento. «Però mamma, davvero. Puoi licenziare Loly? Non mi piace, non voglio che tu e papà vi lasciate per colpa sua!»
«Oh, Rin» Rangiku la fece voltare. «Non posso licenziare qualcuno solo perché ho dei sospetti. Terrò gli occhi aperti, e se dovessi vedere qualcosa di strano, agirò di conseguenza. Io e tuo padre comunque non ci lasceremmo per così poco.»
Rin si rasserenò, ma solo un pochino. Era ora di cena e aveva un’angoscia terribile al pensiero di mettersi lì a mangiare. Aveva anche una fame atroce, quella oramai non l’abbandonava più. Ma preferiva soffrire la fame piuttosto che sentirsi ancora orribile. E poi aveva da poco imparato a mangiare di nascosto, per poi vomitare tutto. Quello non gli piaceva molto, ma non riusciva a farne a meno.
E poi a tavola era diventata taciturna. I suoi parlavano molto e cercavano di includerla nei discorsi.
«Rinuccia, non hai fame? Se vuoi ti imbocco io» gli suggerì Gin scherzosamente.
«Non mi sembra una grande idea» ammise lei, muovendo i piedi sotto il tavolo.
«Tesoro, per adesso mangi così poco. Sicura che stai bene? Forse è qualche intolleranza?»
«… Forse è innamorata» disse Gin, serio. «Sei innamorata?»
Rin arrossì e si portò una mano sul viso.
«…No.»
«Non mi sembri convinta.»
«Papà, per favore. Non è quello il punto.»
«Chiedevo solo, è mio dovere chiedere… Come si chiama?» domandò poi.
«Gin, non essere molesto adesso» lo rimproverò Rangiku.
Rin sospirò. Si sforzò di mandare giù qualche boccone, poi andò a chiudersi in camera sua, ma sua madre non gli aveva tolto gli occhi di dosso nemmeno un attimo.
Più tardi, mentre si toglieva il trucco dal viso, Rangiku decise di parlare con Gin delle sue preoccupazioni.
«Rin mi fa preoccupare» disse, osservandosi allo specchio.
«Sai di chi è innamorata?» domandò Gin, sfilandosi la cravatta.
«Gin! Non in quel senso. Intendo dire che qualcosa non va in lei. Mangia poco, parla poco. Non lo so, sembra malaticcia. Forse c’è qualcosa che non sappiamo? E se frequenta cattive compagnie? O peggio, se qualcuno le dà fastidio? Vittima di bullismo? Lo sai che questa età è terribile.»
Gin si avvicinò e la strinse da dietro, avvertendo il suo corpo teso.
«Su, Rangiku. Respira. Sono sicuro che non è niente di tutto questo.»
«E allora cosa? Il non sapere mi fa impazzire»
«Anche a me. Dobbiamo solo prestare attenzione» le sussurrò ad un orecchio, per poi baciarle il collo. Rangiku ansimò e poi si staccò.
«Ti aspetto nell’idromassaggio»
«Arrivo» rispose lui subito. Prese il cellulare poggiato sul lavandino e vide che aveva appena ricevuto un messaggio da un numero che non conosceva.
Signor Ichimaru, sono Loly. Penso di aver dimenticato lì il mio braccialetto, al bagno di sopra. Potrebbe tenerlo al sicuro per me?
Gin si guardò intorno e poi rispose.
Nessun problema, Loly. Tuttavia avresti potuto anche dirlo a mia moglie.
Doveva tenere distante quella ragazza. Ma era giovanissima, avrebbe potuto gestirla.
Le chiedo scusa, non volevo disturbare la signora. Allora… ci vediamo domani.
D’accordo, a domani.
C’era sempre qualcosa di languido nei modi di fare e nelle parole di Loly. Gin si chiese se avesse quel modo di fare con chiunque o se fosse solo un trattamento a lui riservato. Sperò vivamente di no.
 
 
Non era facile badare alla casa adesso che Chad era momentaneamente solo. Per fortuna Kohei era un amante seriale dell’ordine e gli dava una grande mano. La sua Karin gli mancava da matti, non vedeva l’ora di rivederla e per fortuna mancava solo qualche giorno al suo ritorno. Per il momento, doveva accontentarsi di sentirla al telefono.
«Se vinciamo anche questa partita, l’anno prossimo siamo ai nazionali. Ti rendi conto? Sono proprio fiera dei miei ragazzi.»
Chad l’ascoltava, mentre con una mano cercava di ripiegare in modo ordinato i vestiti puliti.
«Sono fortunati ad avere un’allenatrice tosta come te.»
«Ma io sono tosta solo davanti a loro! Mi mancano i miei ragazzi preferiti. Come state tu e Kohei?»
«Io sto bene. Kohei è un po’ strano» Chad guardò da lontano suo figlio che sistemava i libri sullo scaffale con meticolosa attenzione. Anche se aveva solo dodici anni, era un gigante buono dal grande cuore, sempre accompagnato all’immancabile Pixie. Certo, gli faceva strano pensare che suo figlio si stesse approcciando all’amore.
«Lo sai? Non sono certa che mi vadano bene tutti questi segreti. Io sono sua madre.»
Chad sospirò. In realtà lui non sapeva bene come gestire la situazione. E almeno in teoria avrebbe dovuto, suo figlio era come lui alla sua età.
«Credo che sia preso una cotta. Per Naoko, credo. Ha sempre avuto un debole per lei.»
«Oh. Naoko è una ragazzina deliziosa. Ma credi sia il caso di…amh… fare quel genere di discorsi a nostro figlio?»
Chad avrebbe evitato di dirle che Kohei aveva iniziato a fare domande di quel tipo. Però sì, in effetti era importante spiegare certe cose, l’adolescenza era il periodo in cui si sperimentava di più.
«…Non devo farlo io, vero?»
«Beh, Yasutora. Tu sei suo padre.»
«E tu sua madre.»
«Ma con me potrebbe sentirsi a disagio. E poi siete simili, saprai spiegarglielo.»
Chad lo sperava davvero.
« Comunque non vedo l’ora che tu torni a casa.»
Karin sorrise.
«Non vedo l’ora anche io. Resisti solo qualche giorno e poi recupereremo tutto il tempo perso.»
Chad si irrigidì quando sentì il tono languido della moglie. Non vedeva davvero l’ora di riaverla con sé.
«Sì, ma certo. Adesso vado. Riguardati.»
Dopodiché andò a controllare cosa stesse facendo Kohei. Lo scorse che si guardava allo specchio, quasi studiandosi.
«Kohei, tutto bene?»
«Eh? Ah, sì. Mi stavo solo guardando. Voglio capire perché Naoko guarda più Satoshi che me.»
E così suo figlio aveva un rivale in amore? Brutta storia davvero, soprattutto perché i due erano molto amici. Ora doveva anche spiegargli che l’amore poteva anche non essere ricambiato?
«Kohei, a te Naoko piace molto, vero?»
«Ovviamente sì. Vorrei tenerla per mano.»
Sorrise di tenerezza nel sentirlo parlare così.
«È molto dolce da parte tua. Ma sai? A volte capita che proviamo qualcosa per una persona e che quella persona… non provi lo stesso.»
Kohei si voltò a guardarlo, imbronciato. Per lui la situazione era molto più semplice: Naoko gli piaceva e di sicuro anche lui doveva piacergli. Perché era molto più carina e gentile con lui di quanto lo fossero tutti gli altri.
«Hai ragione, infatti Satoshi rimarrà deluso. Se ne farà una ragione.»
«Cosa? Ma Kohei…»
Kohei era totalmente fuori strada. Ma spezzare il suo cuore non era nelle sue intenzioni.
«Scusa, pa’. Però adesso ho bisogno di privacy. Ci sono delle cose che non posso fare davanti a te, perché è sconveniente.»
«Me ne vado» disse subito Chad, che non voleva prendere parte a niente di sconveniente. Avrebbe dovuto tirare fuori lui stesso il discorso. Kohei, come la maggior parte dei suoi coetanei, sperimentava l’attrazione e l’eccitazione sessuale. In un altro momento però, si disse. E non era affatto una scusa perché si sentiva più sicuro con Karin al suo fianco. Non aveva niente a che vedere con questo.
 
 
Toshiro aveva fatto un notevole passo avanti con Hayato e questo lo rendeva più di buon umore e affettuoso anche nei confronti di Momo. Quei due, anche dopo tre anni, erano ancora una coppietta innamorata. Toshiro si divertiva a stuzzicarla mentre lei suonava al pianoforte per rilassarsi. Ad esempio, stringendola da dietro e infilandole con delicatezza una mano nella scollatura.
«Shiro, ti ricordo che c’è Hayato in casa» sussurrò Momo, divertita.
«Ma io e Hayato adesso siamo amici, più o meno» e dicendo ciò le baciò la fronte. Momo sospirò, poggiando la mano sul suo polso.
«Spero che con te sia riuscito ad aprirsi. Sta diventando un bambino molto chiuso.»
Per la prima volta Toshiro si ritrovò nella spiacevole situazione di dover nascondere qualcosa a alla sua compagna. Ma se Hayato gli aveva fatto delle confidenze, non poteva rivelargliele.
«Non devi preoccuparti. Hayato avrà un carattere difficile, ma è un bravo ragazzo» gli confidò, ripensando a come Hayato e Kaien insieme cercassero di proteggere Masato e Yuichi dalla cattiveria della gente.
«Davvero? Sono contento che sia così» Momo si fece più languida e gli diede un bacio passionale sulle labbra. Suo figlio passò accanto a loro senza nemmeno guardarli.
«Sto uscendo con Shinji. Incredibile che più sei asociale e più la gente vuole passare del tempo con te. Ciao»
Toshiro arrossì, con le braccia ancora strette alla vita di Momo. Quanto meno Hayato non lo aveva guardato male, il che era già un grande inizio.
 
Hayato salì in auto, l’aria annoiata e scocciata come al solito.
«Eeeehi, Hayato. Come va? Allora, dove vuoi andare?» domandò Shinji. Stava cercando di risultare simpatico in tutti i modi. Insomma, se c’era riuscito Toshiro, perché non avrebbe dovuto riuscirci lui? Hayato si voltò a guardarlo.
«Mi fai guidare?»
Shinji si mise a ridere.
«Non penso proprio. È più sicuro se guido io.»
«Più sicuro? Non credo proprio» borbottò poggiando la schiena sul sedile. «Comunque voglio andare in sala giochi e a mangiare schifezze. Mia madre non me lo fa mai fare.»
«Ma tua madre non è qui, quindi possiamo» disse Shinji. Poi pensò subito ad un argomento per una possibile conversazione durante il viaggio. Come poteva risultare simpatico e interessante ad un dodicenne? Quando lui era adolescente pensava solo ad una cosa…
«Allora, emh… c’è qualcuno che ti piace?» domandò, in modo più diretto di quanto avrebbe voluto. Hayato inarcò un sopracciglio, in un modo che gli ricordò spaventosamente Sosuke.
«Ti informo che a me piace pochissima gente. Tipo Kaien. E Miyo. E… Rin…»
Tombola. Quindi c’era qualcuno che aveva conquistato il cuore, ed era niente meno che la piccola Rin Ichimaru.
«Ma che cosa tenera, ti piace Rin?»
«I-io non ho detto che mi piace in senso strano!» Hayato arrossì, iniziando ad agitarsi.
«Va bene, tranquillo. Non c’è niente di male. Sinceramente sono sollevato. Temevo avessi una cotta per mia figlia.»
«Per Miyo? Il fratellastro che s’innamora della sorellastra? È un cliché troppo stupido, non ci casco» dicendo ciò guardò oltre il finestrino. «Miyo è come una sorella. Rin è… beh… non è proprio come una sorella però… ma perché dobbiamo parlare di me?»
«Vuoi davvero che ti parli di quello che faccio con tuo padre?» lo tentò. Hayato fece una smorfia, a braccia conserte.
«Meglio di no.»
Alla fin fine Hayato era un adolescente come tutti gli altri, giocava solo a fare il duro. Arrivarono alla sala giochi e poiché Shinji era un tipo molto competitivo e che si lasciava trascinare dal momento, spese un numero considerevole di monete. Alla fine si accontentarono di un paraggio. Poi andarono a mangiare qualcosa e a quel punto sembrava che la giornata non potesse avere alcun picco, né in positivo né in negativo. Hayato era tranquillo e parlava con lui, ma non si apriva troppo. L’unica informazione che era riuscito a carpire, era che avesse una cotta per Rin, tutto qui. Questo era un po’ snervante. Shinji conosceva l’Hayato bambino, ma di quel nuovo Hayato conosceva ancora così poco.
«Sosuke, ti sto dicendo che è andata bene, io e Hayato non ci siamo ammazzati. Ma sì, è andato un attimo al bagno, lo sto aspettando qua fuori» Shinji parlava ad alta voce, non facendo caso alla gente che gli passava accanto. «Lo sai? Tuo figlio è più criptico di te, avrà successo con le donne e anche con gli uomini. Comunque ora ti saluto, ci vediamo a casa.»
Hayato uscì dal locale poco dopo, l’espressione assonnata.
«Sono stanco morto.»
Shinji lo squadrò e poi si avvicinò. Aveva addosso un odoraccio che conosceva fin troppo bene.
«Hayato, cos’hai fatto?»
Il ragazzino fece spallucce.
«Niente.»
«Vallo a raccontare a qualcun altro. Hai fumato? Erba, tra l’altro?!»
Adesso era finita la parte dello Shinji divertente e affabile. Hayato non poteva fare certe cose alla sua età, era inopportuno e pericoloso.
«Solo un poco» si lamentò. «E poi non la fare tragica, tu non eri meglio di me alla mia età, ne sono sicuro.»
Hayato non aveva torto, ma il punto non era quello.
«Non parliamo di me, stiamo parlando di te. Quando sarai adulto potrai fare quello che vuoi. Malla tua età, metterti a fumare certa roba, ti fa solo male. E poi vorrei proprio capire dove la trovi! Così non va bene, lo capisci o no che non va bene?»
A Shinji non piaceva fare la parte de genitore severo. Miyo non gli aveva mai dato motivo di farlo. Ma Hayato non era Miyo.
«Cambia tono. Tu non sei mio padre.»
Shinji trattenne il fiato e lo afferrò per una spalla.
«No, ma il tuo vero padre non sarà molto felice quando saprà quello che hai fatto. Ora entra in macchina e falla finita. Stava andando tutto troppo bene, eh? Bene, continua pure a detestare me e tutto il mondo senza un motivo preciso!»
Hayato si lasciò trascinare in auto e smise effettivamente di parlare. Che la piantassero tutti. Lui non era un bambino. Era libero di fare quello che voleva, ed era anche indipendente. Allora perché sentiva spesso le lacrime pungergli gli occhi e un nodo insopportabile alla gola?
 
 
«Ciao, Ichigo. Scusa se ti ho fatto venire all’improvviso, ma ho bisogno di parlare con te.»
Quando Tatsuki gli aveva detto di volergli parlare, per Ichigo era stato facile capire quale potesse essere l’argomento: Ishida, sicuramente. Aveva accettato subito, anche perché voleva evitare di pensare il più possibile ai suoi problemi. Poteva farsi carico di altro o almeno di questo pensava. Yoshiko si era avvicinata a lui, tenendo in mano un orsacchiotto.
«Ciao, zio Ichiii»
«Ehi, ciao Yoshiko» lo salutò lui, accarezzandole la testa. Tatsuki sospirò.
«Yoshiko, puoi andare un attimo in camera tua? Devo parlare con lo zio Ichigo.»
Yoshiko si imbronciò e la guardò male. Ma obbedì comunque e, stringendo il suo orsacchiotto, corse nella cameretta.
«A volte ho l’impressione che quella bambina mi detesti. Adora solo suo padre» ammise Tatsuki.
«Ma no figurati, ho sentito dire che le bambine spesso sono molto legate al padre. E a proposito di Ishida… qual è il problema? Perché non mi sono certo scordato della tua chiamata dell’altro giorno.»
Tatsuki si sedette di fronte a lui e si morse il labbro. Non era facile affrontare l’argomento e non c’era nemmeno un modo facile per dirlo.
«Ichigo, tu che sei un dottore, è possibile che una persona subisca un trauma e se ne dimentichi per anni?»
Ichigo aggrottò la fronte, rigido. Lui era un chirurgo in realtà e non se ne intendeva, però sì, sapeva che una cosa del genere era possibile e non era nemmeno tanto raro.
«Tatsuki, cosa è successo?» domandò. Era sempre in allerta se si trattava del suo migliore amico. Tatsuki fece un respiro profondo e gli parlò di quello che aveva scoperto, assistendo al cambiamento d’espressione di Ichigo man mano che il racconto andava avanti. Non solo non aveva mai capito sua moglie, ma non aveva mai capito il suo amico più caro. Non si accorgeva di niente, mai.
«Io non so cosa fare. Come ci si comporta in questi casi? Dovrei parlargli io? Forse dovrebbe vedere uno psicoterapeuta? Ho paura di causargli sofferenza. Io non posso pensare a quello che gli è successo.»
Nel sentirla, Ichigo lasciò da parte per il momento i suoi pensieri.
«Credo che vedere Yuichi approcciarsi al sesso abbia risvegliato inconsciamente i suoi traumi. E credo che la cosa vada affrontata per gradi, altrimenti sarebbe solo un altro trauma. Però io voglio fare qualcosa. Lui c’è stato per la mia depressone post-parto. C’è stato sempre e io…»
E io mi sento impotente, avrebbe voluto aggiungere. Non aveva il potere di risolvere le cose con uno schiocco di dita, come nessuno del resto. Ichigo sospirò, passandosi una mano sul viso.
«Lo so. Anche io vorrei aiutarlo. Se solo sapessi come…»
Entrambi udirono la porta di casa aprirsi e poi richiudersi. Uryu era appena tornato e non poté nascondere un’espressione sorpresa quando li vide insieme.
«Kurosaki, che fai qui? È successo qualcosa?»
Ichigo si alzò di scatto, lanciando un’occhiata a Tatsuki.
«Sì. No. No, è che ho litigato con Rukia e mi serviva un parere. Ma adesso si è fatto tardi e me ne vado. Stammi bene» disse frettoloso, passandogli accanto senza nemmeno guardarlo negli occhi. Uryu alzò gli occhi al cielo e, per quanto lo avesse trovato strano, aveva altro a cui pensare. Guardò sua moglie, la quale gli sorrise. Era difficile fare finta di niente.
«Tutto bene, Uryu?»
Lui scosse la testa.
«Non proprio. Mi rendo conto che sono stato terribile di recente. Non è da me, non so che mi succede. Sono stato terribile soprattutto con Yuichi, spero che non mi odi.»
Per quanto Tatsuki fosse poco affettuosa dal punto di vista fisico, si avvicinò a lui per abbracciarlo. Gli sembrava così fragile.
«Ma no che non ti odia. Forse dovresti solo parlare con lui. Sai quanto nostro figlio è sensibile e comprensivo.»
Uryu socchiuse gli occhi e le sfiorò la fronte con le labbra. Certo che lo sapeva. Gli ricordava lui alla sua età. O almeno credeva.
 
 
Yuichi di solito a quell’ora si esercitava col violino, ma non quella sera. Era rimasto al telefono con Masato fino a qualche minuto prima. Ed era preoccupato, proprio non riusciva a stare fermo, così aveva preso a sistemare compulsivamente i suoi libri e oggetti di scuola. La porta era socchiusa e Uryu si fermò un attimo prima di entrare. Guardava suo figlio e gli sembrava fragile. Come se qualcuno fosse lì pronto a fargli male. Tossì e poi entrò.
«Yuichi, ti disturbo?»
Al ragazzino cadde un libro a terra.
«Oh, no papà. Stavo solo facendo un po’ d’ordine. È successo qualcosa?» si voltò a guardarlo. Sperò solo che suo padre non notasse la sua preoccupazione, perché sarebbe stato difficile da spiegare.
«No, non è successo niente. Sono venuto solo qui per dirti che… beh… Mi dispiace se ultimamente sono stato severo in modo eccessivo. In effetti sono diventato un rompiscatole.»
Yuichi si rilassò appena, sorpreso.
«Beh… un pochino. Più che altro, io non faccio niente di male e nemmeno Masato.»
«Lo so. Mi spiace. Sono diventato apprensivo dall’oggi al domani e nemmeno so perché. È che… mi terrorizza il fatto che qualcuno possa farti male.»
Yuichi arrossì e si sforzò di non tradirsi.
«Nessuno mi ha fatto male. Io e Masato ci proteggiamo a vicenda. Lui mi vuole bene. E anche io gliene voglio. Quindi non ti devi preoccupare per questo.»
Era sempre stato un pessimo bugiardo, lo sapeva bene. Ma l’ultima cosa che voleva era far preoccupare suo padre. Era comunque felice che lui gli avesse parlato a cuore aperto.
«Lo so che vi volete bene. È sempre stato così. Sei un bravo bambino, Yuichi. Anzi… oramai non sei più tanto un bambino» si ritrovò ad ammettere, per quanto gli costasse. Yuichi sorrise.
«Beh, dai, ho solo dodici anni. Devo ancora crescere molto. Piuttosto, papà. Tu stai bene, vero?»
Quella era la domanda che Uryu non si era aspettato. E forse avrebbe dovuto, proprio in nome della sensibilità di suo figlio.
«Sì, certo che sto bene. Nessun problema» lo rassicurò. E così, padre e figlio avevano messo da parte le rispettive preoccupazioni per far stare meglio l’altro. Una volta rimasto solo, Yuichi si fiondò a prendere il suo cellulare e scrisse un messaggio a Masato.
Mio padre ha voluto parlarmi. Giuro, ho avuto paura che volesse farmi qualche discorso strano su di te.
 
 
Da Masato, ore 21, 00
 
Beh, meno male dai… I miei invece...non lo so, sono strani per adesso. Non ci capisco niente.
 
Masato, disteso nel suo letto, sospirò. Suo padre era uscito e non era ancora tornato e sua madre se ne andava in giro con quell’aria triste. Ma che stava succedendo?
 
Ichigo aveva fatto una passeggiata prima di tornare a casa. Era consapevole di non poter scappare per sempre, che prima o poi avrebbe dovuto affrontare il discorso con Rukia, per quanto male potesse fargli. Era ancora incredulo se solo ripensava alle parole di sua moglie.
 
 
«Cosa vuoi dire che lo hai amato?»
Tra Rukia e Kaien c’era stata una storia d’amore? Quando? Lui aveva sempre saputo che fossero sempre stati solo amici. Certo, trovava un po’ strano che due persone con una differenza di età del genere fossero così amici, ma non si era mai interrogato. Si era sempre fidato ciecamente delle parole di Rukia. La stessa donna che ora lo guardava colpevole, la stessa donna che forse non conosceva bene come pensava.
«Sì, Ichigo. Io avevo quindici anni e lui venticinque. Ci siamo innamorati e… ci siamo messi insieme, ma non lo sapeva quasi nessuno. Credevo sarebbe stato l’amore della mia vita.»
E magari sarebbe stato così, se solo Kaien fosse vissuto. Ichigo si sedette, ad un tratto tutta la stanza aveva preso a girare. Rukia gliel’aveva nascosto per tutto questo tempo? E perché mai?
«Perché? Perché me lo stai dicendo adesso?» domandò stringendo un pugno e tenendo lo sguardo basso. Rukia tremava, si sentiva terrorizzata.
«Perché ciò che ho ignorato per più di vent’anni, ora è tornato in superficie. Mi dispiace. Volevo evitarmi ulteriore sofferenza. E anche a te.»
 
Tante domande affollavano la mente di Ichigo. Rukia non gli aveva detto nulla perché era ancora innamorata di Kaien? Aveva sposato lui per sostituirlo? Dopotutto lui e Kaien si erano sempre somigliati molto, erano stati praticamente identici. Scosse la testa, allontanando quei pensieri ossessivi e allora si decise a tornare a casa.
Proprio a casa, Rukia lo attendeva. Aveva parlato con Kukaku, le aveva detto tutto, le aveva detto che aveva confidato a Ichigo il suo più grande segreto e che ora sarebbe stata pronta ad affrontare le conseguenze, anche se questo voleva dire perderlo. Amava Ichigo con tutta sé stessa. Aveva amato Kaien e per troppo tempo aveva rinnegato quell’amore facendo finta che non fosse mai esistito, facendosi solo più male. Era stata anche una bell’ipocrita, a suo tempo, a dispensare consigli a Byakuya come fosse un’esperta. Lei in realtà non sapeva niente. Mentre se ne stava seduta al tavolo, sentì Kon agitarsi e correre verso Ichigo che era appena entrato. Accarezzò il cane, rivolgendo poi uno sguardo a sua moglie. O a un’estranea.
«Dove sono i ragazzi?» domandò.
«Stanno già dormendo» Rukia respirò profondamente. «Ichigo… vuoi lasciarmi?»
Non lo avrebbe biasimato in caos, non gli aveva nascosto una cosa da nulla.
«Non sono tipo da far finire un matrimonio così facilmente. Ma non so se posso fidarmi di te. Chissà quante cose mi hai nascosto.»
«Solo questa, Ichigo. Anche se mi rendo conto che fa per cento. Dubita di tutto, ma non dell’amore che provo per te.»
Poteva pensare che fosse una cattiva persona, una bugiarda o traditrice. Ma  no che non lo amasse.
«Dimmi una cosa. Ti sei messa con me per sostituirmi?» domandò Ichigo di getto. Si prendeva in giro, lo sapeva. Dopotutto non riusciva più a fidarsi di Rukia. Quest’ultima scosse la testa.
«Non ho mai pensato a te come un sostituto.»
E Ichigo avrebbe tanto voluto crederle. Ma come poteva?
«Capisco. Beh, adesso vorrei andare a dormire, è stata una giornata faticosa.»
Rukia non disse nulla. Una volta sola si massaggiò il viso. Forse le cose sarebbero andate diversamente se solo avesse detto tutto a Ichigo sin dal principio. Ma ora era inutile pensare al passato. Ora c’era il difficile presente, adesso doveva fare qualcosa se non voleva perdere Ichigo.
 
Masato si avvicinò a Kaien. Non riusciva a dormire, Kaien invece dormiva già da un pezzo. Picchiettò sulla sua spalla.
«Kaien… Kaien?»
«Mh… eh?» borbottò, aprendo gli occhi. «Che c’è?»
Masato rimase in silenzio qualche attimo. Non voleva pesare su suo fratello. Kaien si metteva già troppo nei guai per lui. Anche se non lo diceva, era chiaro che finisse sempre nei guai per cercare di proteggerlo.
«Posso dormire con te?» domandò a bassa voce.  Era da anni che non gli chiedeva di dormire insieme. A Kaien parve strano, ma non fece domani. Non gli dispiaceva avere qualcuno accanto in quelle notti che sembravano così fredde.
«Accomodati» disse scostando la coperta. Masato si accomodò e chiuse gli occhi. Ora si sentiva più al sicuro.
 
   
 
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