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Autore: Stillathogwarts    18/01/2023    2 recensioni
Dopo la Battaglia di Hogwarts, Harry torna a Grimmauld Place e si lascia finalmente andare, affrontando il dolore per le perdite che ha subito nel corso della sua vita.
Pov Harry | One Shot
Genere: Drammatico, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio, Harry Potter, Hermione Granger
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Disclaimer: I personaggi e il mondo di Harry Potter in generale non mi appartengono. Questa fanfiction è stata scritta da me senza alcuno scopo di lucro.

 
 

After The Storm





 

Non aveva la più pallida idea di quanto tempo fosse trascorso da quando si era seduto sui gradini che conducevano alla porta di Grimmauld Place numero 12.
Per la prima volta nella sua vita, attorno a Harry Potter c'era silenzio.
Nella sua testa non c'era alcuna voce serpentina a sibilare minacciosa, nessuna vocina interiore a dirgli che non stava facendo abbastanza, che doveva alzarsi e rimboccarsi le maniche per sconfiggere Voldemort, che c'era gente che stava morendo proprio in quel momento e lui se ne stava fermo.
Il contatore dei morti si era fermato, la guerra era finita e l'ultimo cadavere ad aver toccato il suolo era quello di Tom Riddle.
Per la prima volta nella sua vita, la mente di Harry era solo di Harry, ma le immagini che si susseguivano nella sua testa restavano comunque terrificanti, perché il silenzio aveva portato a galla il dolore, tutto in una volta.
La realtà dei fatti lo aveva colpito appieno solo dopo aver lasciato Hogwarts ed essersi separato dagli altri; dietro le sue palpebre, le figure esanimi di Lupin, Tonks, Fred, Colin Canon e delle altre vittime della battaglia finale si alternavano rapidamente, torturandolo. All'improvviso, non era più sicuro che il dolore più atroce che aveva provato nella vita fosse stato causato dalla Maledizione Cruciatus.
Il pensiero che in quel momento avrebbe dovuto essere lì con Sirius peggiorò il suo stato d'animo, inducendolo a serrare i pugni; le lacrime, smaniose di venire fuori, gli provocavano un doloroso bruciore agli occhi.
Poteva piangere ora, no? Poteva permetterselo.
La guerra l'aveva vinta, dopotutto.
Era il momento di piangere i caduti e lui ne aveva più di chiunque altro.
Da quando era venuto al mondo, Harry non aveva fatto altro se non perdere i suoi cari, uno dopo l'altro, a causa di quella guerra.
Tirò un sospiro profondo.
«Ron lo sa che sei qui?»
La rapidità con cui aveva captato quel flebile movimento alla sua sinistra gli fece domandare se avrebbe mai smesso di essere all'erta, se come Malocchio Moody sarebbe rimasto paranoico per il resto della sua vita.
«No», mormorò Hermione, avvicinandosi con cautela a lui. «I Weasley si stanno occupando di Fred.»
«E perché non sei con lui?» chiese il moro, anche se la conosceva già la risposta a quella domanda, era lo stesso motivo per cui lui stesso si trovava da solo nella casa che aveva ereditato anni prima dal suo padrino e non con Ron, Ginny e il resto dei Weasley.
«Le perdite si piangono in famiglia, Harry» disse infatti la giovane. «E tu sei l'unica famiglia che mi è rimasta.»
Harry deglutì forte e tirò su col naso. Erano l'uno la famiglia dell'altro, l'unica che avevano a quel punto.
«Per un momento ho creduto di aver perso anche te.»
La voce di Hermione si ruppe alla fine della frase e un singhiozzò sfuggì al suo controllo; prontamente, si portò la mano in viso e strinse gli occhi, forse per mandare indietro le lacrime.
Il ragazzo si rialzò e le posò una mano sulla spalla. «Mi dispiace, Mione» sussurrò con aria colpevole, ma lei sorrise e scosse il capo.
«Capisco perché hai dovuto farlo», ribatté lei e quando Harry sollevò un sopracciglio, dubbioso, lei sbuffò. «Davvero! Ciò non toglie che abbia fatto male.»
Il giovane annuì brevemente, poi abbracciò la sua migliore amica, sua sorella, con calore. «Mi dispiace», ripeté con un filo di voce.
«È finita, Harry» disse solo Hermione. «È finita. Ed è tutto ciò che conta, ora.»

*

Rimasero seduti sui gradini, avvolti da un religioso silenzio, fino al calar del sole.
Voldemort era morto da un giorno e non importava quante volte avessero ripetuto a sé stessi e all'altro che era finita, stentavano ancora a crederci.
La stanchezza li travolse a sera inoltrata, inevitabilmente.
Era un malessere che derivava da mesi di deprivazione di sonno, da sforzi eccessivi per dei ragazzi della loro età, dall'essere in fuga mentre venivano cacciati e braccati da Ghermidori e Mangiamorte.
Non ricordavano come fosse la vita prima della guerra perché per loro la guerra c'era sempre stata; anche quando per gli altri non era ancora ricominciata, loro c'erano già dentro, sin dal loro ingresso nel mondo magico.
Harry Potter, il Ragazzo che è Sopravvissuto.
Hermione Granger, la sua migliore amica Nata Babbana.
Segnati fin dalla nascita.
«Dovremmo mangiare qualcosa e poi cercare di dormire, Harry.»
Il moro annuì distrattamente, ma non accennò a lasciare la sua postazione.
Hermione attese in silenzio che il moro esternasse i suoi pensieri, senza forzarlo ad esprimerli a voce alta e alla fine, egli cedette.
«Ho paura di ciò che troveremo lì dentro» ammise Harry, sospirando. «Senza alcun dubbio Yaxley e i suoi compari hanno fatto una capatina qui, dopo esserci infiltrati al Ministero.»
Non voleva farla sentire in colpa per aver accidentalmente passato il testimone dell'Incanto Fidelius al Mangiamorte, rivelando loro la posizione dell'abitazione; la sua era una mera constatazione, un dato di fatto, Hermione in cuor suo lo sapeva.
«Magari il ricordo di Silente è bastato a farli desistere», ipotizzò lei, ma dal suo tono si capiva perfettamente che quella non era una speranza che nutriva, né reputava plausibile. «Immaginali mentre fuggono a gambe levate, urlando, magari. Qualcuno potrebbe essere inciampato nel suo stesso mantello.»
E incredibilmente, Harry rise.
Rise un po' più forte del dovuto, rise finché le costole non iniziarono a fargli male, contagiando anche Hermione, e quando, finalmente, si fermò, scoprì di sentirsi più leggero.
Forse ridere a crepapelle, per quanto fosse una reazione spropositata in quel particolare contesto, poteva essere liberatorio quanto piangere a dirotto.
Alla fine, però, le loro espressioni serie e grevi ritornarono al proprio posto.
«Posso entrare per prima, se preferisci» si offrì la ragazza. «Ti proporrei di andare a casa dei miei, ma sono abbastanza sicura che siano stati anche lì.»
Harry scosse la testa. «No, no», decretò. «Lasciamo quel fardello per un altro giorno. Oggi è stato abbastanza pesante così.»
Si obbligò a rimettersi in piedi e si diresse verso la porta in legno antico, attraverso la quale si accedeva al numero 12 di Grimmauld Place.
Nessuno dei due fu sorpreso del caos che regnava nell'abitazione.
C'erano detriti ovunque, schegge di vetro, frammenti di mobilio; i Mangiamorte non avevano risparmiato nemmeno i pochi cimeli della famiglia Black che Mundungus non aveva rubato, i quadri raffiguranti quegli esemplari dal sangue puro dei quali decantavano tanto la superiorità. Tutto era a pezzi, in rovina, irrimediabilmente danneggiato, devastato... esattamente come loro. Harry la trovò una metafora quasi ironica quando quel pensiero gli balenò in testa; lo stato decadente della casa sembrava rispecchiare il loro stato interiore.
Avevano vinto la guerra, eppure erano devastati e addolorati.
Non avrebbero dovuto essere felici?
Ma d'altronde, come potevano festeggiare quando avevano subito così tante perdite?
Se non altro, pensò Harry mentre continuava a scansionare l'abitazione con lo sguardo, lui e Hermione avrebbero avuto qualcosa con cui tenersi impegnati nei giorni a venire, qualcosa che gli impedisse di pensare, che distogliesse le loro menti dai dolorosi ricordi della guerra.
«Beh, speriamo almeno che ci abbiano lasciato i letti per dormire», sospirò Hermione, abbattuta.
Harry abbozzò un mezzo sorriso, ma sapeva perfettamente che, letti o meno, avrebbero entrambi faticato a dormire ugualmente.

*

«Harry, che diamine stai facendo?»
Non le rispose, al contrario, continuò imperterrito a gettare oggetti nel camino del salotto, incurante del frastuono che stava causando, il quale probabilmente era il motivo che aveva attirato Hermione in quell'area della casa, a quell'ora tarda della notte.
Non voleva svegliarla o spaventarla, ma Harry era come in trance, come se il suo corpo, la sua rabbia e il suo dolore avessero preso il sopravvento.
Era da tanto che non si sentiva così fuori controllo, precisamente dal suo quinto anno a Hogwarts, quando erano le tetre emozioni di Voldemort a dominare la sua mente.
«Harry, fermati adesso.»
La mano di Hermione si posò sulla sua spalla, decisa, nel tentativo di fargli riacquistare lucidità.
«Smettila.»
«Perché dovrei?» ribatté lui, la voce fredda e distante e allo stesso tempo carica di disperazione.
«Perché non dovrei dare fuoco a tutta questa roba?»
Era di nuovo la rabbia a trasparire dal suo tono e dal suo volto.
«Che me ne faccio di uno stupido portaombrelli a forma di zampa di troll?» proseguì Harry, imperterrito. «Tonks non è qui a inciamparvi, facendolo cadere per terra, no?»
Gettò con veemenza un altro oggetto nel camino.
«E questi stupidi specchi?» riprese, ormai quasi urlando. «Non so perché Aberforth mi abbia ridato quello che aveva comprato da quel mascalzone di Mundungus. Insomma, Sirius non è qui per rispondere dall'altra parte del gemello!»
«Harry...» tentò Hermione, ma il moro era troppo assorto nei suoi pensieri perché la voce della sua migliore amica facesse presa su di lui, riportandolo alla realtà.
«E questa vecchia valigia?» ruggì ancora Harry, indicando un vecchio baule aperto, con le lettere R.J. LUPIN incise su di essa che parevano quasi brillare sotto la luce lunare. «Remus non è qui per usarla, non può più andare da nessuna parte, ha raggiunto la sua destinazione finale!»
Le lacrime avevano ormai preso a sgorgare copiosamente, ma il giovane non sembrava essersene accorto.
«E perché dovremmo conservare queste inutili bacchette trabocchetto?» singhiozzò alla fine. «Fred non è qui per farci degli scherzi!»
«Harry...» ripeté Hermione, in un sussurro flebile; non sapendo esattamente cosa dire, gli circondò le spalle con un braccio e lo strinse a sé, optando per un muto conforto.
«No», mugugnò lui a mo' di protesta, ma la ragazza non desisté.
«Non vuoi sul serio dare fuoco a queste cose», cercò di farlo ragionare. «Sai anche tu che non desideri sbarazzartene.»
«Non mi servono» disse Harry, con voce spezzata. «Fanno male.»
«Lo so» convenne lei, pazientemente. «Ma un giorno vorrai dare a Teddy quella valigia, perché sarà l'unica cosa che potrà avere di suo padre. E un giorno, quando ti chiederà perché continui a tenere quell'orrendo portaombrelli, potrai raccontargli che sua madre lo faceva cadere per terra ogni singola volta che metteva piede in casa e ne sorriderà e tu sarai felice di non essertene liberato, perché sono abbastanza certa che Teddy apprezzerà quel gesto.»
Il giovane emise un gemito soffocato.
«E non vuoi perdere nemmeno uno dei pochi ricordi che hai di Sirius, di questo sono assolutamente sicura.»
Harry si lasciò cadere sul pavimento, tra le lacrime, poi si portò le mani sul viso.
«Non posso... Hermione, non ce la faccio...»
Hermione si sedette al suo fianco e lo strinse a sé.
«Sono morti a causa mia...»
«Sono morti a causa di Voldemort», lo corresse lei, con il tono di chi non avrebbe accettato repliche. «Non si sono sacrificati per te, stavano combattendo per salvare il mondo, come il resto di noi.»
Harry scosse il capo con forza. «Gli avevo chiesto di prendere tempo...»
«Non avevamo scelta» gli rammentò pazientemente Hermione. «Per avere una possibilità di successo, dovevamo distruggere gli Horcrux. Dovevano darci il tempo di farlo.»
«E Sirius?» insisté allora lui. «Se ti avessi ascoltata, se mi fossi ricordato dello specchio...»
Tutto stava tornando a galla con la forza di uno tsunami; Harry avvertiva il dolore per ogni perdita che aveva segnato la sua esistenza, per ogni persona cara che gli era stata sottratta troppo presto e per cui non aveva avuto modo di elaborare il lutto perché doveva dimostrarsi forte, rimanere vigile, lottare, lottare, lottare.
Ma la lotta era finita ormai e lui non aveva più altro a cui pensare.
«Ti sei appena liberato del peso del mondo che gravava indesiderato sulle tue spalle e ora vuoi addossarti tutte le colpe per le cose che sono andate storte, anche se non erano sotto il tuo controllo?» gli domandò lei, compatendolo visibilmente. «Eri solo un ragazzo, Harry. Sei ancora solo un ragazzo.»
Il giovane tirò su con il naso, le lacrime che non accennavano a smettere di sgorgare dai suoi occhi stanchi.
«Va tutto bene, Harry», mormorò dolcemente Hermione, accarezzandogli i capelli con dolcezza. «Piangi, sfogati. Puoi farlo, ora. Puoi essere solo un ragazzo. È tutto finito. Va tutto bene.»
«Non va tutto bene» obiettò lui, ma la giovane si limitò a stringerlo un pochino più forte.
«Ma lo farà, Harry» disse solamente. «Andrà tutto bene.»
«Come fai a saperlo?» chiese tra un singhiozzo e l'altro il Prescelto.
Hermione fece una pausa di silenzio. «Lo so perché qualunque cosa accada, abbiamo l'un l'altro ed è sempre stata la nostra forza più grande.»
Harry tirò su col naso e abbracciò la sua migliore amica a sua volta.
Era la verità, Hermione aveva ragione. Se era stato in grado di affrontare tutti gli orrori che la vita gli aveva posto sulla strada, era stato solo grazie a lei e a Ron, ai suoi amici, al supporto e all'aiuto che gli avevano dato, senza chiedere niente in cambio.
La loro amicizia era la sua forza e finché li avesse avuti al suo fianco, tutto sarebbe andato bene, alla fine.
«Grazie, Hermione.»

.

.

.

[COMPLETA]


n.d.a.

Salve!
Questa è una piccola OS senza pretese (forse la cosa più breve che abbia scritto nell'ultimo anno), in cui ho voluto dare a Harry la possibilità di sfogarsi e di tirare fuori un po' di rabbia per il fatto che gli sono state portate via praticamente tutte le figure genitoriali (o vicine ai suoi genitori) che abbia mai avuto. Ho sempre pensato che meritasse di avere l'occasione di urlare e piangere quelle morti, per cui gliel'ho voluta dare io in questa breve fanfiction. 
Il genere è hurt/comfort, con Hermione che gli sta accanto a e lo sostiene in questo suo momento di debolezza, com'è giusto che sia perché (per me, almeno) il trio resta l'emblema dell'amicizia pura. 
Detto ciò, spero che la storia vi sia piaciuta. Lasciatemi una recensione se vi va, a me fa sempre piacere leggere le vostre opinioni!
A presto!

 

   
 
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