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Autore: EleWar    18/01/2023    6 recensioni
Ogni storia d'amore che si rispetti, ha i suoi alti e bassi, ma solo la potenza del sentimento fa superare tutti gli ostacoli. Quali difficoltà dovranno affrontare, ancora, Ryo e Kaori per essere finalmente e definitivamente felici?
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Kaori Makimura, Nuovo personaggio, Ryo Saeba
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: City Hunter
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…. Lo so, lo so che devo ancora rispondere alle rec del capitolo precedente, ma ho poco tempo a disposizione e dovevo fare una scelta: il capitolo o le rec e ho pensato che forse volevate leggere il proseguo della storia.
Prometto che presto vi rispondo ^_^
GRAZIE DI TUTTO *_____*
Eleonora

 
 
Cap. 7 - Sulle spine
 
Yuki già da un po’ sedeva in disparte nel bar della hall dell’hotel.
Era scesa in anticipo, rispetto all’ora stabilita per l’appuntamento con Ryo, ma tanto aveva passato una notte pressoché insonne, ed aveva accolto con sollievo il sorgere del sole.
Sapeva che l’uomo, notoriamente poco mattiniero, non avrebbe anticipato la sua venuta, ma, nel dubbio… era sicura che sarebbe arrivato e fremeva di aspettativa.
 
Era letteralmente fuggita dal suo regno, ancora una volta.
Aveva passato la frontiera a piedi, in autostop, e per non dare nell’occhio si era conciata come la classica turista fai da te, con tanto di zaino in spalla, scarponi e abiti comodi; aveva legato i capelli in una semplice coda di cavallo e inforcato dei finti occhiali da vista.
Il camionista che l’aveva fatta salire le aveva subito detto, con aria sorniona e da lupo famelico:
 
“Ehi, bellezza, ma lo sai che assomigli proprio alla nostra Regina?”
 
Voleva essere un complimento e Yuki non si era scomposta: aveva pianificato tutto nei minimi dettagli e si era aspettata anche un commento del genere.
D'altronde era il personaggio di spicco del suo piccolo regno, e i mass media erano letteralmente tempestati di foto e video che la ritraevano, difficile passare inosservata.
Aveva risposto semplicemente:
 
“Grazie, me lo dicono in tanti” e gli aveva strizzato l’occhio.
 
Giunta nello stato limitrofo, di passaggio in passaggio era arrivata fino all’aeroporto e, grazie ad un passaporto falso, si era imbarcata su di un volo low cost e aveva fatto rotta verso il tanto amato Giappone.
Aveva volato di notte, e di notte era giunta in terra nipponica.
 
L’Hotel Imperatore del Sol Levante non era dei più lussuosi, ma nemmeno un alberghetto da quattro soldi, pertanto aveva modificato il suo outfit indossando abiti casual, ma del tutto anonimi: aveva lasciato gli occhiali e i capelli legati e, anziché camuffarsi con il solito cappellone a tesa larga e larghi occhiali da sole, che avrebbero attirato maggiormente l’attenzione, aveva optato per un profilo basso.
 
Troppo nervosa per mangiare, aveva sorseggiato del tè che continuava a raffreddarsi nella teiera; non ricordava di essere mai stata così tanto tesa come in quel momento; nemmeno la cerimonia dell’incoronazione le aveva fatto quell’effetto.
 
Fugacemente ripensò a Kris, che aveva lasciato ignaro ad Arimania, ma era fuori discussione metterlo a parte dei suoi piani, meno che meno portarlo con sé: questa era una faccenda che riguardava lei e lei soltanto, e non solo perché era La Regina, piuttosto perché era Yuki e voleva essere padrona del suo destino e scegliere chi amare.
Pur di avere Ryo sarebbe stata disposta anche a dividerlo con tutte le altre donne che lui avrebbe deciso di frequentare, che fossero del suo harem personale o le giovani cortigiane: anche lei, del resto, sarebbe stata impegnata comunque con Kris, il suo futuro marito, e doveva – e voleva – tenere fede ai suoi impegni coniugali.
Sapeva che lo sweeper non era uno stinco di santo, che non amava i legami, e soprattutto la sua moralità, in fatto di relazioni amorose, era discutibile, pertanto era sicura che tale sistemazione sarebbe stata vantaggiosa pure per lui; che non avrebbe fatto obiezioni e si sarebbe adattato più che volentieri a quel ménage bizzarro quanto vuoi, ma del tutto soddisfacente per entrambi.
Ricordava di aver avuto su di lui un enorme ascendente, sapeva che la desiderava, aveva visto anche un barlume di sentimento nei suoi occhi, quindi non c’era da temere un altro rifiuto da parte sua.
Stavolta tutto sarebbe andato per il meglio, ne era certa.
 
 
 
 
Kaori, nonostante la rabbia cieca che l’animava, non aveva perso la sua concentrazione, e anzi questa si era acuita ancora di più da quando zigzagava per le vie della città, come una pilota provetta.
Aveva imparato a guidare la moto di Ryo già da un po’, e a volte lui gliel’aveva lasciata prendere, nonostante fosse una cilindrata molto potente e l’uomo temesse per la sua incolumità.
Ma la sweeper era una temeraria, e lui lo sapeva: non c’era mezzo di trasporto che Kaori non conoscesse, i motori non avevano segreti per lei, del resto era o non era l’altra metà dei City Hunter?
Nella sua mappa mentale del fitto reticolato della città, sapeva dove trovare scorciatoie, vicoli ingombri d’immondizia ma percorribili solo su due ruote, scalinate, rampe, abbrivi e faceva rombare la due cilindri che stava cavalcando come una novella amazzone.
 
Il corto giubbotto di pelle la proteggeva dal vento, ma i capelli liberi dal casco, le si erano appiattiti sulla fronte; poco male, non doveva presentarsi acconcia e in ordine, si sentiva ribollire di sdegno e anche il suo aspetto avrebbe dovuto esprimere tutto il suo furore, quindi i capelli sparati sarebbero andati benissimo.
Peccato quelle fastidiosissime lacrime che la velocità le strappava via: era solo per effetto del vento, giusto? Perché non stava realmente piangendo, vero?
Con un gesto rabbioso, velocemente, se le deterse con le dita.
 
Ben presto raggiunse il parcheggio antistante l’hotel citato nella lettera; per una frazione si secondo si chiese se fosse quello l’albergo giusto, ma poi si tranquillizzò pensando che, nonostante l’ira e la disperazione, aveva perso tempo a controllare per bene il nome sull’elenco.
Aveva imparato da Ryo a dominare la sua impulsività, la sua smodata esuberanza; era anche lei una sweeper professionista e non avrebbe permesso alla tempesta emotiva che la stava attaccando su più fronti, di sopraffarla tanto da lasciarla attonita e senza forze.
La lucidità innanzitutto!
 
Una volta scesa dalla moto, però, si sentì improvvisamente svuotata.
Cosa avrebbe fatto ora?
Sarebbe entrata come una furia e, piombando sui due, avrebbe fatto una scenata?
E se loro non si fossero trovati più lì?
E se, peggio, fossero saliti in camera da lei?
Prima di tutto doveva verificare; sì, verificare tutto.
Si costrinse a considerare la cosa come un normale pedinamento, anzi no, un appostamento: avrebbe dovuto svolgere discretamente delle indagini, accertarsi, identificare il nemico e stabilirne la posizione.
 
Si riscosse e si diede un contegno.
Fece un passo indietro e controllando il suo stato nello specchietto della moto, con gesti sapienti e nervosi, si aggiustò i capelli ribelli; si massaggiò il viso per riacquistare un po’ di sano incarnato, si stirò verso il basso il giubbotto e, assumendo un’aria il più possibile rilassata, a passi lenti e misurati, le mani infilate nelle tasche laterali del giubbetto, entrò nell’albergo.
Preoccupandosi di non farsi troppo notare, né attirare l’attenzione, si guardò intorno con fare annoiato, senza dar segno di voler posare gli occhi su qualcosa o su una persona in particolare.
Che non si credesse che stava cercando qualcuno!
 
C’era un discreto via via intorno alla reception, su e giù per le scale e intorno agli ascensori: turisti, viaggiatori, uomini d’affari, ma anche donne di tutte le età e nazionalità, paludate in vistosi abiti esotici o in pragmatici tailleur da lavoro.
Come avrebbe riconosciuto la Principessa? Non certo per la corona in testa!
Si ritrovò a ridacchiare mentalmente, la ragazza.
Anche la prima volta che l’aveva vista non spiccava per eleganza e fascino; era bella, certo, ma sarà che stava facendo la controfigura all’attrice principale di un film, e, insomma, non aveva notato nulla di particolare in Yuki, nemmeno dopo aver riconosciuto in lei l’atteggiamento rigido e altezzoso di chi è abituato a volare alto sopra i comuni mortali.
Ad essere sincera non le era parsa neanche così tanto antipatica, non più di tante altre clienti bellone.
 
Kaori stava ancora cercando un indizio rivelatore fra i visi che affollavano l’hotel in quel momento, quando, sedendosi al bancone del bar, la vide dal riflesso dello specchio posto dietro il barman.
 
A vederla così, sembrava una giovane studentessa in viaggio per il mondo; l’espediente degli occhiali le davano pure un tocco da intellettuale: chissà se erano posticci, oppure funzionali ad una sua eventuale carenza di vista?
Sedeva sul bordo della seggiola e, nonostante si sforzasse di apparire rilassata e perfettamente a suo agio, Kaori poteva scorgere in lei una certa tensione: la Regina Yuki sarà stata anche brava a nascondere i suoi veri sentimenti dietro una maschera di freddezza, ma Kaori sapeva riconoscere i sintomi di chi si sta sentendo fuori dal mondo, perché per tutta la vita aveva provato quella fastidiosissima sensazione.
 
Nell’attimo stesso in cui Kaori avvistò Yuki, però, si sentì a sua volta vulnerabile e scoperta.
Se la sweeper aveva riconosciuto la Regina, allo stesso tempo la Regina avrebbe potuto riconoscere la sweeper, e come spiegare la sua presenza lì?
Lì avrebbe dovuto esserci Ryo e non lei…
Già, avrebbe dovuto esserci il suo fidanzato, ma perché non c’era?
 
Non perse tempo a rimuginare sull’assenza di Ryo e, prima che Yuki potesse beccarla, si nascose dietro un’enorme pianta ornamentale, molto simile ad una palma, che torreggiava al lato del salottino; si accovacciò perfino, fino all’altezza del vaso: da quella postazione poteva vedere tutto intorno.
Poteva tenere sotto tiro la nemica e la porta girevole dell’hotel, nel caso fosse arrivato quel fedifrago di Ryo.
 
La sweeper valutò che, approssimativamente, quella poteva essere l’ora giusta per l’appuntamento, ma non stava succedendo nulla.
Le sembrava di essere lì appostata da una vita, quando trasalì sentendo la pendola della reception battere dodici rintocchi.
 
Tecnicamente la mattinata era già finita.
 
Anche Yuki era sobbalzata e aveva guardato ansiosamente l’antico orologio e, subito dopo, la porta a vetri.
Si era mossa a disagio sulla poltroncina e aveva scavallato le gambe, piantandole bene sul pavimento; anche il linguaggio del corpo tradiva il suo nervosismo, la sua tensione, Kaori lo vedeva bene.
Non che lei fosse messa meglio, per giunta rannicchiata dietro quella strana pianta ombrosa: iniziava a sentirsi tutta indolenzita, lo stomaco reclamava del cibo e, forse forse, avrebbe dovuto anche andare in bagno.
 
Era così presa dai suoi pensieri e dall’osservare fittamente Yuki, che quasi scattò come una molla quando sentì una voce a pochi centimetri dal suo orecchio chiederle:
 
“Cosa stai facendo?”
 
Kaori si voltò, spaventata a morte, e le ci volle un po’ per capire che la voce apparteneva ad un grazioso bambino sugli otto anni che, vestito con una divisa di una qualche scuola, la guardava con curiosità.
 
“Hai perso forse qualcosa?” domandò lui, ancora.
 
Erano quasi testa a testa, Kaori e il bambino: la donna accovacciata era alta quanto lui in piedi.
Presa alla sprovvista, non seppe cosa rispondergli; non avrebbe certo potuto mandarlo via, magari in malo modo, ma nemmeno mettersi a chiacchierare tranquillamente con lui: in entrambi i casi avrebbe attirato l’attenzione di tutti.
Come spiegare la sua posizione dietro la finta palma?
Il bimbo però restava lì, per niente impressionato dall’atteggiamento di Kaori, come se per lui fosse perfettamente normale restarsene accucciati dietro un’enorme pianta, nella hall affollata di un hotel.
Nella sua innocenza, qualunque scusa Kaori avesse trovato, sarebbe andata benissimo, perché per i fanciulli tutto è possibile.
Il sorriso disarmante che continuava ad illuminare il suo viso costrinse la sweeper a dargli una risposta qualsiasi, pur di farlo allontanare:
 
“Mi è caduto un orecchino e lo stavo cercando proprio qui”.
 
“Ma quale? Il destro o il sinistro? Perché non ne indossi nessuno!” ribatté il ragazzino.
 
Kaori si morse la lingua per non lasciarsi scappare un’imprecazione.
 
“Il destro. Il sinistro l’ho qui” si batté sulla tasca del giubbotto.
 
“Se me lo mostri, vedo com’è fatto e posso darti una mano…” propose innocentemente il bimbo.
 
Kaori si rimangiò lo sbuffo che le stava salendo dalla gola; stava anche perdendo tempo prezioso dietro quel simpatico ma importuno mocciosetto e, per stare a parlare con lui, aveva perso di vista Yuki.
 
Stava per spazientirsi quando il ragazzino, appoggiandole una manina grassoccia sulla spalla, le domandò:
 
“Come lo chiamerai il tuo bambino?”
 
“Cosaaaaaaa?” quasi urlò la ragazza, tirandosi su in piedi di scatto, rossa in viso.
 
“Kentaro? Eccoti finalmente” proruppe sua madre, spuntata chissà da dove, e avvicinandosi a grandi passi verso i due “Kentaro, tesoro, non disturbare la signora” e prendendolo per mano, fece per portarlo via, mentre Kaori si confondeva e si scusava, dicendo che no, non la stava disturbando, che si figurasse e via discorrendo.
Ma sul più bello, la madre di Kentaro le disse, con un sorriso a trentadue denti:
 
“Sa, il mio Ken riesce sempre a prevedere se sarà un maschio o una femmina” e gongolando aggiunse in un tripudio di miele “Quando incontra una donna in stato interessante… lei mi capisce” e, inspiegabilmente, arrossì fino alle orecchie “Voglio dire… lui ci indovina sempre!”
 
“Co-cosa???” proruppe Kaori con voce stridula e con un tono così alto che riuscì a sovrastare tutto il brusio dell’andirivieni, attirando l’attenzione dei presenti; tutti si voltarono verso di lei che, al colmo dell’imbarazzo, aveva letteralmente preso fuoco.
 
“Ka-Kaori… ma sei proprio tu?” si sentì apostrofare.
 
La sweeper voltò la testa e si trovò faccia a faccia con Yuki, la Regina di Arimania.
 
   
 
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