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Autore: Keeper of Memories    21/01/2023    2 recensioni
Dal testo:
"Soppesò la situazione per alcuni istanti.
«In cosa consisterebbe questo lavoro, dunque?» chiese, riportando lo sguardo sulla giovane.
«Alla fine di quest’anno, si terrà un evento nella città di Philadelphia. Un prezioso opale verrà esposto per un breve periodo durante una festa, prima di essere donato a un membro di una famiglia di reali europei. Il committente vuole quell’opale.»
«Mi state chiedendo di rubare!»
Natalia distese la sua espressione, dipingendo un dolce sorriso innocente sul suo volto fanciullesco.
«Mi è stato detto che le vostre mani sono molto abili. È corretto?»
Francis sorrise serafico. «Lo sono, in più modi di quanti possiate immaginare.»"
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Quattro persone assoldate da quattro misteriosi committenti; quattro incarichi che li vedranno nemici, poiché la posta in gioco è troppo alta per lasciar correre. Chi ne uscirà vincitore? Ma soprattutto, chi sono questi misteriosi committenti?
[Human!AU]
[FrUk] [Ameripan]
Genere: Azione, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, America/Alfred F. Jones, Francia/Francis Bonnefoy, Giappone/Kiku Honda, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Philadelphia, novembre 1873


Alfred scese dal treno, tirando un sospiro di sollievo. Il viaggio in treno era andato liscio come l’olio, anche se la sua mano non aveva mai per un istante lasciato la colt assicurata al suo fianco, nemmeno mentre dormiva. La notizia delle rapine ad opera della banda di Jesse James si era ormai diffusa in tutte le Americhe e nessuno si sentiva veramente al sicuro.
Si avviò verso la strada principale, alla ricerca di una carrozza per andare all’hotel gentilmente offerto dal suo “sponsor” d’oltreoceano, quando un curioso trambusto attirò la sua attenzione.
Subito fuori dalla stazione, un giovane stava cercando di dare delle indicazioni a un cocchiere, senza riuscirci.
«Avete bisogno di aiuto, signore?» intervenne prontamente Alfred.
«Dipende giovanotto, quanto sai il francese? Perché il signore qua presente parla solo quello» bofonchiò esasperato il cocchiere.
Alfred ringraziò mentalmente suo padre, che oltre a fornirgli una buona educazione, aveva insistito affinché imparasse qualche lingua straniera.
“Come pensi di allargare gli affari se sai parlare solo la lingua di casa tua e i clienti non ti capiscono?” gli diceva spesso.
«Dove deve andare, signore?» chiese Alfred al giovane in francese, ricacciando in malo modo un fastidioso senso di nostalgia.
Ora che aveva modo di osservare meglio lo straniero in difficoltà, Alfred notò il volto dai tratti orientali dietro la spessa sciarpa di lana, nascosto in parte dal cappello calcato sulla testa. Capì immediatamente perché nessuno lo capisse: il suo francese, per quanto ottimo, manteneva la cadenza tipica del suo Paese natale.
«Devo andare qui» gli disse, mostrandogli un bigliettino con il nome di un hotel, senza altra indicazione. Gli occhi di Alfred si illuminarono.
«Ah, il Black Horse! Venite con me, alloggiò anche io lì.»
 

Kiku si accomodò all’interno della carrozza, mentre il gentiluomo americano che l’aveva aiutato dava delle indicazioni al cocchiere.
«Vi ringrazio infinitamente» gli disse, non appena il loro mezzo partì.
«Non avete nulla di cui ringraziarmi, signor…»
«Honda. Kiku Honda.»
«Signor Honda! Non dovete affatto ringraziarmi, aiuto volentieri chi è in difficoltà. Il mio nome è Alfred Jones.»
«È un piacere conoscervi, signor Jones.»
Osservò in silenzio l’americano; nonostante Kiku avesse vissuto in Europa per alcuni anni ormai, i capelli biondi e gli occhi azzurri restavano due tratti notevoli ai suoi occhi e quel gentiluomo li possedeva entrambi. Inoltre, riconobbe immediatamente un capo d’abbigliamento che indossava, di cui perfino nelle strade di Parigi si era iniziato a vociferare.
«Posso porvi una domanda, signor Jones? Se non sono indiscreto.»
«Prego, prego, chiedete pure» rispose il suo interlocutore con un sorriso.
«Ho notato i vostri “blue jeans”. Siete per caso uno di quei cercatori d’oro?»
Il volto di Alfred si illuminò.
«Beh, io ormai non più, ma mio padre lo era! Era un grande uomo, sapete…»
Kiku ascoltò con grande attenzione i racconti sulle avventure del signor Jones senior, attraverso le parole di un figlio oltremodo entusiasta. Rimase piuttosto atterrito in realtà dal tono di voce e dal trasporto di quest’ultimo, probabilmente sarebbe stato considerato eccessivo perfino in Europa.
Non gli chiese mai perché stesse parlando al passato, temendo di intuire la risposta. Non sarebbe stato affatto educato e non gli andava proprio di mettere a disagio qualcuno che si era dimostrato così gentile con lui.
 
Arrivarono all’hotel e Alfred lo aiutò perfino con l’addetto alla reception, assicurandosi che gli venisse assegnata la stanza corretta.
Kiku si congedò dalla sua nuova conoscenza e, data l’ora tarda, riposò alcune ore nella sua stanza prima di scendere per la cena. L’hotel non aveva molti ospiti in quel periodo dell’anno, non contò più di una ventina di persone nella sala ristorante. Notò il signor Jones a un tavolo e il suo primo istinto fu quello di salutarlo. Tuttavia, non appena si avvicinò abbastanza, notò come questo stesse guardando fuori dalla finestra con sguardo spento. Qualcosa lo aveva demoralizzato, per cui decise di sedersi in un tavolo accanto e non disturbarlo.
A disturbarlo abbastanza fu invece il numero di posate presente al suo tavolo, che gli impegnarono buona parte delle sue energie mentali per la serata; erano il motivo principale per cui aveva frequentato raramente i ristoranti parigini. Era capitato che alcuni suoi compagni d’università l’avessero invitato a cena fuori, in quell’occasione gli era stato semplicemente detto di iniziare con le posate più esterne. Decise di seguire quell’indicazione, nonostante lo sguardo perplesso del cameriere che gli portava i piatti.
 
«Signor Honda!»
Kiku aveva appena finito la sua faticosa cena, quando si sentì chiamare da una voce familiare.
«Signor Jones.»
«Perché non siete venuto a cenare con me?»
«Sembravate assorto, non volevo disturbarvi» rispose Kiku, abbassando lo sguardo.
«Sciocchezze, avrei apprezzato la compagnia.»
«Oh, mi dispiace.»
Kiku sentì il suo volto scaldarsi per l’imbarazzo. La società occidentale era così tanto diversa dalla sua e ora temeva che quello che lui aveva considerato un gesto di cortesia fosse visto come mancanza di rispetto.
«Non preoccupatevi!»
Alfred si sedette sulla sedia libera davanti alla sua e incrociò le gambe. Il suo umore sembrava essere migliorato.
«Piuttosto, non credo di aver afferrato la ragione del vostro viaggio…» proseguì.
«Sono stato invitato a una festa che si terrà tra una settimana circa.»
«Una festa? Si tiene per caso all’Hotel Continental?»
Kiku annuì e gli occhi di Alfred s’illuminarono.
«Questa è davvero una bella coincidenza! Ci andrò anch’io.»
«Senza dubbio lo è.»
«E dite, avete programmi per i prossimi giorni?»
Kiku scosse la testa. «Semplicemente pensavo di visitare la città.»
«Potremmo visitarla insieme, signor Honda. Philadelphia è stata teatro di molti eventi importanti per la storia americana. Se vi sta bene, vorrei farvi da guida!»
Kiku guardò stupito Alfred per alcuni istanti. Non era sicuro di volere una guida, gli piaceva fare passeggiate tranquille in città a lui sconosciute, perdendosi talvolta. Accettando quell’offerta sicuramente avrebbe perso la tranquillità, ma d’altro canto gli sembrava davvero maleducato rifiutare la guida di una persona così disponibile.
«Sarà un piacere» disse infine, anche se non era del tutto vero.
 

 
La mattina successiva Alfred si svegliò presto e, con doveroso entusiasmo, scese le scale dell’hotel fino alla sala ristorante. Kiku Honda, il suo nuovissimo compagno d’avventure, lo stava già aspettando a un tavolo.
«Aspettate da molto?» gli chiese, sedendosi davanti a lui. Kiku scosse la testa.
«Sono appena arrivato.»
Un cameriere servì loro una sostanziosa colazione americana, che Alfred divorò con gioia.
«Ah, mi sono dimenticato di chiedervelo…» disse Alfred, prima di ingurgitare un gustoso pezzo di bacon «c’è qualche luogo che vi interessa visitare? Possiamo iniziare da quelli.»
«Beh, in realtà si…»
Kiku abbassò lo sguardo sul suo piatto, Alfred vide chiaramente le sue guance imporporarsi.
«Dell’hotel Continental ho sentito che fanno la miglior Angel Food Cake della città.»
«Oh? Vi piacciono i dolci, quindi?»
Il colore acceso dalle guance si espanse, ricoprendo il volto del giovane fino alla punta delle orecchie. Alfred lo sentì biascicare qualcosa sull’essere infantile, ma non capì le esatte parole.
«Non preoccupatevi, amico mio! Vi farò assaggiare i dolci migliori d’America» lo interruppe, alzando notevolmente la voce.
Kiku lo guardò in maniera strana, come se lo vedesse per la prima volta. Alfred scoppiò a ridere; lo sguardo del giapponese, unito al colorito acceso del suo volto, gli davano un’aria davvero buffa.
«Andiamo! Tutte quelle torte non si mangeranno da sole» aggiunse, alzandosi in piedi e uscendo con passo sicuro dall’hotel.
 
 

Kiku era ormai sfinito. Lui ed Alfred avevano fatto una lunga passeggiata per la città, fermandosi in tutti i luoghi che quest’ultimo riteneva rilevante: i monumenti della città e i locali che servivano dolci.
Alfred infatti sembrava aver preso molto seriamente il suo desiderio, un pensiero che fece sorridere Kiku. Per quanto chiassoso, quell’americano era davvero gentile e premuroso nei suoi confronti.
«… e infine questo è l’Independence Hall, il luogo dove è stata firmata la Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti d’America» disse Alfred, davanti all’imponente costruzione di mattoni rossi. Erano arrivati infine nella splendida Indipendence Square e Kiku non aveva lasciato per un attimo il suo taccuino, appuntandosi tutto ciò che il suo cicerone gli raccontava.
In quel momento però decise di non scrivere altro e di usare il suo carboncino, ormai ridotto a un mozzicone, per fare ciò che gli riuscì meglio: disegnare. Gli ci vollero pochi tratti sfuggenti, e la sagoma dell’Independence Hall prese forma sul foglio, in tutta la sua austera bellezza.
«Ma è bellissimo!»
Kiku sollevò lo sguardo dal foglio, solo per incontrare quello splendente ed entusiasta di Alfred, che, con molta poca cura dello spazio personale, stava sbirciando il suo disegno da dietro la sua spalla.
«Siete troppo gentile» biascicò Kiku, sentendo ancora una volta il suo viso scaldarsi.
«Nient’affatto, amico mio. Che abilità straordinaria! Che talento! Magnifico, magnifico davvero.»
Di nuovo, Alfred aveva chiamato Kiku “amico” e di nuovo, Kiku si sentiva confuso. Per lui, un legame di amicizia era qualcosa di solido, costruito nel tempo. Come poteva quell’americano chiamarlo “amico”, se si conoscevano da appena due giorni?
«Uhm, vogliamo andare?» disse Kiku, sperando di cambiare efficacemente discorso.
«Beh la giornata volge al termine, dobbiamo solo rientrare, credo.»
«In realtà, visto che non siamo lontani dal fiume, mi piacerebbe prendere un battello e godermi il panorama… se siete d’accordo.»
Alfred lo guardò per alcuni istanti, uno sguardo che celava malamente un certo imbarazzo.
«Temo di non aver considerato nel nostro programma di oggi anche questa eventualità…»
Kiku si diede dello sciocco. La sua guida era stata così gentile da pagare ogni cosa per lui durante quella giornata, era ovvio che una situazione del genere prima o poi si sarebbe presentata. Inoltre, Alfred gli aveva accennato come l’attuale crisi economica che aveva investito il suo Paese avesse messo in difficoltà la sua Compagnia. Che sciocco ingrato che era stato! Doveva rimediare al più presto.
 

Alfred guardò esterrefatto il minuto giapponese sparire tra la folla con velocità inumana. Nonostante la bassa statura, Kiku Honda era davvero agile ed atletico, constatò con una certa sorpresa. Perfino lui faticava a stargli dietro.
Alfred si fermò per riprendere fiato. Aveva corso come un disperato lungo le rive del fiume Delaware per stare al passo di Kiku, ma alla fine ci aveva rinunciato. Si diede dello sciocco; probabilmente il giovane giapponese si era definitivamente stancato di lui e aveva deciso di fare quel tour in battello che tanto desiderava da solo.
«Signor Jones! »
Alfred si voltò, notando un braccio sventolare tra la folla. Si fece strada, schivando agilmente le persone, solo per trovare un minuto Kiku Honda, sudato e paonazzo, che ansimava pesantemente.
«Amico mio, è tutto a posto? Sembrate sfuggito per miracolo a una carica di bufali arrabbiati» disse, chinandosi su di lui.
«Ce li ho.»
«Cosa?»
«I biglietti del battello» disse Kiku, sollevando due pezzi di carta stropicciati che stringeva spasmodicamente nella mano «Siete… siete stato gentile. Per favore, accettate questo come pegno del mio… apprezzamento per tutto ciò che avete fatto per me.»
Kiku si inchinò, porgendo i biglietti con entrambe le mani ad Alfred.
«Non dovevate, davvero, è stato un piacere.»
«Ve ne prego. Sarei onorato di navigare lungo questo fiume assieme a voi, Signor Jones» insistette Kiku, non appena riprese fiato.
Alfred sorrise, lo stomaco ormai diventato un groviglio di emozioni, tra cui la gratitudine e la gioia.
«Accetto volentieri!»
 
 
Il viaggio in battello fu molto piacevole, perfino per gli standard di Kiku. Alfred aveva perso buona parte delle sue energie e ora potevano finalmente conversare con serenità. Alfred lo riempì di domande e Kiku fu ben felice di raccontargli dei suoi studi a Parigi e delle sue ambizioni per il suo Paese.
«Siete davvero una brava persona, signor Honda. La vostra famiglia in patria deve essere fiera di voi.»
A Kiku si formò un doloroso nodo in gola. Ringraziò le lunghe lezioni di disciplina e autocontrollo che suo padre gli aveva impartito; nessuno, nemmeno suo padre quando era in vita, gli aveva mai rivolto parole simili.
«Questo non lo so, signor Jones. Non ho più una famiglia.»
«Oh. Perdonatemi, non avevo inteso.»
Kiku scosse la testa, abbassando lo sguardo sulle mani intrecciate in grembo. «Mia madre morì quando ero in fasce. Mio padre è venuto a mancare pochi anni fa.»
«Non siamo poi così diversi...»
«Voi dite?» Kiku guardò Alfred, incuriosito.
«Mia madre morì quando ero piccolo, durante il nostro pellegrinaggio verso l’America. Mio padre è venuto a mancare qualche anno fa, per un malore. Mi manca ogni giorno della mia vita.»
Alfred osservava il pelo dell’acqua incresparsi al passaggio del battello. Non aggiunse altro, non era così bravo a contenere le emozioni come il suo interlocutore e non voleva certo mettersi a piangere in un momento del genere.
«Vostro padre ha cresciuto un figlio generoso e di buon cuore. Sono sicuro che sarebbe fiero di voi» disse Kiku, con una sicurezza nella voce che lasciò stupito perfino l’americano.
«Spero abbiate ragione, amico mio. Lo spero tanto.»
 

La giornata di Alfred e Kiku si concluse all’hotel, dopo cena. Non toccarono più argomenti così gravosi, come se tra loro si fosse instaurato un tacito accordo, come se entrambi sapessero già cosa albergasse nel cuore dell’altro e non fossero più necessarie ulteriori parole. Si salutarono davanti alla porta delle rispettive camere, con la promessa di rivedersi anche nei giorni successivi.
 

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Note:
Ciao a tutti! Eccomi di nuovo con un altro capitolo. Ebbene, se da una parte abbiamo Arthur e Francis che cercano di evitarsi (soprattutto Arthur), qui abbiamo un fin troppo gentile Kiku che non riesce a dire di no a un fin troppo chiassoso Alfred... e non è neppure andata così male!
Piccole noticine storiche: è proprio in quell'anno che Levi-Strauss inizia a vendere i suoi primi blue jeans, proprio a San Francisco e proprio ai famigerati cercatori d'oro.
Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto e, se volete, come sempre, potete farmi sapere cosa ne pensate! Alla prossima^^
   
 
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