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Autore: Keeper of Memories    21/01/2023    3 recensioni
Dal testo:
"Soppesò la situazione per alcuni istanti.
«In cosa consisterebbe questo lavoro, dunque?» chiese, riportando lo sguardo sulla giovane.
«Alla fine di quest’anno, si terrà un evento nella città di Philadelphia. Un prezioso opale verrà esposto per un breve periodo durante una festa, prima di essere donato a un membro di una famiglia di reali europei. Il committente vuole quell’opale.»
«Mi state chiedendo di rubare!»
Natalia distese la sua espressione, dipingendo un dolce sorriso innocente sul suo volto fanciullesco.
«Mi è stato detto che le vostre mani sono molto abili. È corretto?»
Francis sorrise serafico. «Lo sono, in più modi di quanti possiate immaginare.»"
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Quattro persone assoldate da quattro misteriosi committenti; quattro incarichi che li vedranno nemici, poiché la posta in gioco è troppo alta per lasciar correre. Chi ne uscirà vincitore? Ma soprattutto, chi sono questi misteriosi committenti?
[Human!AU]
[FrUk] [Ameripan]
Genere: Azione, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, America/Alfred F. Jones, Francia/Francis Bonnefoy, Giappone/Kiku Honda, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Quella sera, Francis Bonnefoy era semplicemente stupendo. Fu esattamente quello che si disse guardandosi allo specchio, mentre ammirava il suo riflesso tirato a lucido nella sua uniforme da cerimonia della Marine Nationale. Il blu e il bianco gli donavano particolarmente, dando quasi una patina luminosa a tutta la sua persona.
 
Ve la meritavate anche voi, un’uniforme così bella.
 
Il suo sorriso sparì, lasciando solo un vuoto soffocante al centro del suo petto. Scese rapidamente le scale dell’hotel e ordinò della tequila al bar del piano terra, quasi per abitudine.
Mezz’ora dopo, la sua compostezza era tornata e nella sua espressione serafica non vi erano più tracce di fastidiose ombre del passato. Chiamò una carrozza e si diresse all’hotel Continental, sempre meno convinto del lavoro che lo attendeva.


 
 
Per la grande serata di gala, Arthur indossò il completo migliore del suo repertorio, appositamente modificato per le sue “esigenze lavorative”: un gilet in broccato nero, un ascot tie verde scuro e un frac nero dalle maniche leggermente lunghe, dove vi si nascondevano piccole tasche per i suoi discreti strumenti da scasso.
Presentò il suo invito all’ingresso e lasciò il suo cappotto a un membro dello staff dell’hotel.
 
Si va in scena.
 
La sala del ricevimento era molto ampia ma arredata in uno stile insolito rispetto a quello a cui Arthur era abituato; la carta da parati color terracotta presentava una trama arabescata dorata, i mobili erano finemente decorati con motivi orientali e le lampade affusolate che scendevano delicatamente dal soffitto ricordavano i fiori di loto. Nulla di vagamente simile ai sobri interni neoclassici che si vedevano nelle case inglesi.
Arthur indossò il suo migliore sorriso ed entrò, cercando con lo sguardo volti familiari. La prima persona che riconobbe fu Eduard Von Bock, il gentiluomo che gli aveva fornito l’invito e il lavoro. Decise di non avvicinarsi, un po’ per prudenza, un po’ perché sembrava impegnato a conversare con altri tre gentiluomini e una signorina e non desiderava disturbarli.
«Sir Kirkland?»
Arthur si voltò al suono del suo nome, riconoscendo immediatamente le due persone che aveva davanti: aveva passato molto tempo con loro durante il viaggio in nave, spillando facilmente loro un bel gruzzolo di denaro giocando a carte.
«Signori, è un piacere incontrarvi nuovamente in circostanze più liete e rilassate» li salutò, facendo un cenno con il capo. Discussero del più e del meno per un po’, come l’etichetta richiedeva, senza troppo interesse reciproco.
«Ora che ci penso, sir Kirkland, ci dovete una bella rivincita a Whist!» fece notare uno di loro e Arthur sorrise, assaporando già la sua vittoria. Dopotutto gli invitati stavano ancora arrivando, non aveva fretta; il suo piano era già stato accuratamente preparato, doveva solo attendere.
«Mie signori, sarò felice di concedervi una rivincita! Trovate un quarto elemento e possiamo iniziare quando volete.»
«Credo di conoscere la persona giusta, attendetemi al tavolo» disse uno di loro, prima di sparire tra la folla.
 

 
Francis si era aspettato molte cose per quella serata. L’ultima di queste era ritrovarsi con il suo sfuggente salvatore inglese a un tavolo, a giocare a Whist. Probabilmente nemmeno lui se l’aspettava, a giudicare dal sorriso tremolante che gli aveva rivolto appena si era seduto davanti a lui.
«Sembra che dovremo collaborare, Monsieur Kirkland» disse scherzosamente, riservandogli un sorriso sornione.
«Fate la vostra parte, Monsieur Bonnefoy, e andrà tutto bene.»
 
Giocarono diversi round, puntando una discreta somma di denaro. Francis era piuttosto abile con le carte e si riteneva una persona abbastanza fortunata. Eppure, in tutti i suoi ventotto anni di vita, non aveva mai vinto una somma tanto ingente giocando a Whist. Fin troppe volte gli era arrivata una mano davvero buona e, quando non era così, Arthur sembrava avere sempre ciò che serviva per uscirne vittorioso.
Insospettito, Francis decise di osservare meglio il suo “alleato” durante quello che probabilmente sarebbe stata la loro ultima partita. L’inglese era certamente abile, lo notò mentre mescolava le carte con rapidi movimenti regolari, quasi ipnotici. Non colse però nulla di strano, sebbene non fosse sicuro nemmeno lui stesso di cosa stesse cercando.
 
Di sicuro non sono usciti assi dalle sue maniche.
 
Le carte che arrivarono a Francis però erano perfette, gli sarebbero bastati pochi round e sarebbero stati in vantaggio, arrivando ai cinque punti necessari per vincere. L’unica cosa che gli rimaneva da testare era sbagliare appositamente. Lanciò una carta del seme sbagliato.
L’espressione di Arthur rimase immutata, cosa che non stupì Francis più di tanto. Gli inglesi erano sempre così fastidiosamente composti. Doveva infastidirlo di più per ottenere qualcosa, quindi sbagliò di nuovo. Al secondo tentativo ottenne uno sguardo impassibile, al terzo un sopracciglio alzato, al quarto un tic nervoso alla palpebra destra.
A Francis non servì altro. Quell’inglese aveva sicuramente combinato qualcosa, ma era stato così abile che nemmeno Francis se n’era accorto.
 
Dovrò tenerlo d’occhio. Non che mi dispiaccia.
 
 

Arthur si alzò dal tavolo da gioco e, presa la sua parte della vincita, si congedò dagli altri giocatori. C’era qualcosa in quel Francis che lo metteva vergognosamente a disagio, qualcosa che andava aldilà del non voler dare spiegazioni per la sua fuga repentina della settimana prima. Forse era il suo sorriso sornione, o forse i modi naturalmente civettuoli di quel francese, ma Arthur aveva sempre e costantemente la sensazione che fosse in grado di leggergli l’anima e questo non riusciva a sopportarlo.
Inoltre, odiava il modo in cui aveva buttato via le carte pressoché perfette durante l’ultima manche. Insomma, chi è tanto sciocco da perdere volontariamente? Quell’uomo certamente non aveva sale in zucca.
 
In fondo alla sala si levò un applauso; una piccola folla aveva circondato una teca quadrangolare, coperta da un drappo scuro. Un giovane uomo si staccò dalla folla e si avvicinò alla teca, Arthur lo riconobbe come uno dei tre gentiluomini con cui Von Boch stava conversando all’inizio della serata. Era molto alto e ben piazzato, forse la persona più alta dell’intera sala; indossava un’uniforme cerimoniale con insegne russe, un dettaglio che Arthur notò solo in quel momento. Un sorriso cordiale dipingeva il volto leggermente fanciullesco circondato da un’aureola di capelli biondo chiaro.
«Buona sera a tutti» disse in un’inglese dal forte accento russo «il mio nome è Ivan Nikolaevič Braginski, consigliere personale della zarina Marija Aleksandrovna e vostro ospite per questa serata.»
La folla eruppe in un altro applauso, a cui Ivan rispose con un leggero inchino.
«Sotto questa teca si trova il gioiello dalla bellezza unica» proseguì, mantenendo lo stesso sorriso cortese, senza che questo arrivasse mai ai sottili occhi indagatori «che, nella sua magnanimità, Sua Maestà Imperiale e Reale ha concesso ai vostri occhi il piacere e privilegio di osservare.»
Il russo afferrò il pezzo di stoffa e lo rimosse, mostrando finalmente il contenuto della teca. Un opale candido grande quando una noce brillava al centro di essa, incantando gli occhi dei presenti con il riflesso di tutti i colori che la mente umana era in grado di concepire. La gemma era inoltre montata su un ciondolo d’argento e, facendo i calcoli con il costo attuale dell’argento, Arthur realizzò di poter tranquillamente usare quel gioiello per pagare lui stesso i migliori medici per suo fratello Conor e vivere di rendita nel frattempo. Non che volesse vivere di rendita, il suo lavoro lo divertiva fin troppo.
 
Il breve discorso terminò e una fiumana di gente affollò i dintorni della teca, esattamente come Arthur si aspettava. Uscì dal salone e salì le scale che portavano ai piani superiori, dove si trovavano le stanze degli ospiti. Il suo obiettivo era il ripostiglio del primo piano, dove la servitù teneva il necessario per le pulizie. Dai suoi appostamenti, sapeva che nessuno si sarebbe addentrato in quella stanza per almeno un’altra giornata, il posto perfetto per nascondere un certo travestimento.
Tutto quello che doveva fare era scassinare la serratura, per poter entrare rapidamente al momento giusto.
 
 

Francis ascoltò attentamente il discorso del russo, senza mai distogliere gli occhi dalla teca. Eccolo lì, il suo splendente obiettivo, sotto gli occhi di centinaia di persone. Scandagliò attentamente la stanza; non aveva esattamente pianificato qualcosa, non era nel suo stile, preferiva improvvisare.
Poteva sfondare la teca e sfruttare la sorpresa e lo sgomento per scappare, o creare un diversivo veramente rumoroso e rubare la gemma indisturbato.
Poteva fare molte cose.
Poteva.
In realtà, nemmeno Francis sapeva cosa avrebbe fatto; una prospettiva che in realtà lo elettrizzava parecchio.
Attorno a lui, poche erano le persone che si erano tenute a distanza dalla teca. La prima che individuò fu l’elegantissima Natalia, che individuò immediatamente mentre parlava con altri tre gentiluomini. Le sorrise, ma lei lo ignorò ostinatamente, con suo sommo dispiacere.
Non lontano da lui, un chiassoso americano stava intrattenendo alcuni ospiti con qualche storia che, per ragioni meramente linguistiche, Francis non comprendeva. In realtà, non era tanto l’americano chiassoso ad essere interessante, quanto il giovane di origini asiatiche alle sue spalle, che lo osservava con espressione impassibile. A Francis fece venire i brividi; i loro sguardi si incrociarono brevemente, ma Francis guardò immediatamente altrove.
La sua attenzione si spostò nuovamente sul misterioso Arthur Kirkland, nell’esatto istante in cui questo usciva a passo svelto dal salone.
 
Sbaglio o il nostro sfuggente gentiluomo inglese sta sorridendo?
 
Francis seguì Arthur con lo sguardo. Era sicuro di aver visto un’espressione insolitamente divertita sul suo volto e, per qualche inspiegabile ragione, il suo istinto gli disse di seguirlo.
Raggiunse il primo piano dell’hotel e, restando a debita distanza, osservò Arthur fermarsi davanti alla porta di uno sgabuzzino. Con rapida precisione, Arthur si tolse i guanti candidi ed estrasse dalle maniche della giacca due sottili strumenti metallici.
 
Oh? Un ladro, dunque?
 
Francis sorrise, elettrizzato dalla nuova informazione. Finalmente anche lui aveva un piano.
 

 
Arthur aveva controllato diverse volte il corridoio alle sue spalle prima di cimentarsi con i suoi strumenti. La serratura era leggermente arrugginita, un elemento che, calcolò, gli avrebbe fatto sprecare almeno un minuto in più rispetto al solito. Non sarebbe stato un problema.
Quello di cui non riusciva a capacitarsi era come quel maledetto francese avesse fatto a coglierlo di sorpresa.
«State cercando qualcosa, monsieur Kirkland?» lo sentì dire alle sue spalle.
Arthur sobbalzò per la sorpresa, tanto da dover fare appello a tutta la sua compostezza e al suo sangue freddo per riprendersi. Ritrasse uno dei due strumenti e si voltò verso il suo interlocutore; avrebbe fatto comunque quello che doveva fare con l’altro, anche se questo avrebbe ritardato di altri preziosi minuti il suo piano.
«Ah, monsieur Bonnefoy, stavo cercando il bagno e credo di essermi perso.»
«Il bagno, dite?»
Francis Bonnefoy avanzò lentamente verso di lui, un sorriso smagliante stampato in volto.
«Dovete defilarvi ancora una volta, Kirkland?» aggiunse, posando con nonchalance una mano sulla cornice della porta alle sue spalle.
Cercando istintivamente di nascondere quello che stava facendo, Arthur finì con le spalle al muro.
«Ah, quello. Spero non ve la siate presa…»
Arthur maledisse mentalmente quel francese e quella invasione del suo spazio personale. Era fastidiosamente vicino, troppo per i suoi gusti. Se non fosse stato un professionista con i suoi fidati arnesi da scasso, probabilmente gli sarebbero già scivolati di mano.
«Si. No. Forse…» sbuffò, fingendo di pensarci «potreste però rivelarmi il vostro segreto per farvi perdonare.»
«Magari sono semplicemente uscito e non mi avete visto.»
«Non prendetemi in giro, Arthur. Passi la vostra sparizione misteriosa, ma oggi mi avete fatto vincere un’intera manche di Whist. So barare con le carte, ma quello che avete fatto voi ha dell’incredibile.»
Francis afferrò il polso di Arthur, rivelando a quest’ultimo una forza inaspettata data la figura piuttosto sottile del capitano francese.
«Quindi, qual è il vostro segreto, mon cher
Arthur rise, a quanto pare qualcuno aveva sbirciato aldilà della sua maschera.
«Quello che ho fatto vi stupisce così tanto Bonnefoy, perché voi non siete altro che un dilettante, mentre io sono un professionista» disse Arthur, riempiendo la sua voce di disprezzo «le mie mani sono capaci di meraviglie che voi non potete nemmeno immaginare.»
Francis ammutolì, forse per alcuni istanti di troppo, la mente improvvisamente distratta dalle mani dell’inglese. Stava per ribadire qualcosa, quando Arthur terminò il suo lavoro: ci fu un “click” e la serratura cedette. Con loro grande sorpresa, tuttavia, anche la porta, probabilmente difettosa, cedette sotto il peso di entrambi.
 

 
Più tempo passava a Philadelphia, più Francis era convinto di essere stato baciato dalla fortuna. Non era passata neanche una settimana ed era già finito sopra un affascinante ladruncolo inglese, letteralmente.
La porta alle spalle di Arthur si era aperta, facendolo sbilanciare e cadere a terra. Francis, che aveva mantenuto la stretta sul suo polso, era caduto assieme a lui e ora lo osserva divertito dalla sua posizione di vantaggio.
«Quindi? Mi stavate parlando delle vostre mani» disse allegramente, mentre il volto dell’inglese diventava progressivamente del colore dei pomodori maturi. Francis gongolò, consapevole e compiaciuto dell’effetto che stava avendo su di lui.
«Vi dispiace…?» bofonchiò Arthur, distogliendo lo sguardo.
«In realtà, si. La vista da qui è meravigliosa.»
Arthur bofonchiò qualcosa nella sua lingua natia, dal tono probabilmente nulla di lusinghiero nei suoi confronti, sempre tenendo lo sguardo ostinatamente lontano dal volto di Francis.
«Intendete denunciarmi?»
L’inglese infine incrociò nuovamente il suo sguardo, dove Francis scorse una certa serietà nonostante le guance arrossate.
«Dipende. Avete in programma qualcosa di interessante per stasera?»
«Uno spettacolo grandioso, in realtà» rispose, ritrovando parte della sua spavalderia.
«Allora fatemi vedere di cosa siete capace.»
Francis si alzò e porse il braccio all’inglese, per aiutarlo. Arthur si alzò, ignorando totalmente l’offerta d’aiuto, e si lisciò gli abiti stropicciati. Una frazione di secondo più tardi, il suo pugno colpì il viso di Francis, tanto velocemente da non dargli nemmeno la possibilità di reagire.
«Me lo sono meritato.»
«Vi voglio sempre ad almeno dieci piedi da me.»
Francis si massaggiò leggermente la mascella, seguendo cautamente l’inglese verso il salone dell’hotel.




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Note:
Eccomi di nuovo, così presto! Ebbene si, lo ammetto, avevo questo capitolo prontissimo da un po'. Le scene mi facevano troppo ridere!
Non ho molto altro da dire, se non che, finalmente, la situazione inizia a farsi interessante. Appare Ivan, a cui ho voluto dare un patronimico come si deve, come tutti i suoi connazionali. Francis ha un piano e no, non è portarsi a letto Arthur; quello al massimo è un effetto collaterale. Piacevole, ma collaterale. Ora, dovrete solo attendere il prossimo capitolo per scoprire perchè Kiku ha quello sguardo terrificante... ma ogni cosa a tempo debito! Nel mentre, grazie per essere arrivati fin qui con la lettura. Spero tanto che questa storia vi stia intrigando!
   
 
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