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Autore: Brume    22/01/2023    3 recensioni
"…Ho passato anni immersa nella mia missione, nel mio mondo.
Ho sempre guardato avanti e accettato le sfide, combattuto contro nemici in forma umana e verso i miei demoni finché, ad un certo punto della mia vita, mi sono accorta che - come lama il cui filo è rovinato da chissà cosa - anche io ho cominciato ad osservare piccole crepe, pertugi che aprendosi nel cuore e nell’ anima si andavano a dilatare ed allargarsi sempre più, facendosi contaminare da una serie di cose… dal sentimento, dalle passioni…Ecco; per questo motivo, ad un certo punto, non me la sono più sentita di portare avanti la mia missione: stavo cambiando, inesorabilmente.
Ma non ho in ogni caso dimenticato chi sono, né ho mortificato me stessa.
Ho solo accettato alcune cose, ho lasciato che i sentimenti si avvicinassero sempre più al raziocinio. Ho aperto il mio cuore, ho amato, sono stata amata. Ho portato avanti i miei ideali, accettando questo cambiamento, lasciando che la vita mi travolgesse…e ne è uscito un quadro fantastico. "
NB: Aggiornamenti settimanali, compatibilmente con impegni lavorativi.
Genere: Angst, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Le mura – chiare- del convento sono semplici blocchi di pietra rasa. Non vi sono stemmi, scritte, rilievi o sculture; tutto appare sobrio, come si conviene ad convento di campagna che, a quanto pare, non ha tra le consorelle alcun nome di rilievo.  Per entrare, si oltrepassa un grande arco, al momento libero da porte o cancellate e, subito, ci si ritrova in un cortile di forma rettangolare dove finestre della stessa forma permettono alla luce di entrare ed agli occhi di quei visi velati di poter osservare cosa succede. Ed è proprio uno di questi visi, piuttosto giovane mi pare, che esce dalla porticina liscia di legno scuro. Ci viene incontro , con calma serafica, fermandosi ad un paio di metri da noi.

“Buongiorno, sorella. Il mio nome è Oscar François de Jarjayes e sto cercando alcune persone che, mi è stato detto, potrebbero avere trovato ospitalità tra queste sacre mura.”
Il tuo tono è sicuro, quasi spavaldo ma…non mi inganna: l’ ho sentito il timore, forse un velo di paura, farsi strada in gola. Una consonante di qualche tono più basso del solito, una vocale troncata dove non c’è bisogno…
La giovane novizia annuisce, sorride.
“Vogliate scusarmi, dovrò informare la madre superiore” risponde; ti vedo annuire mentre un velo di preoccupazione  scende e vela lo sguardo mentre la suora torna da dove era venuta.
Ti volti verso di me, forse vuoi una conferma che non posso darti.
Immagino che di questi tempi, viste le voci  sul clero che hanno iniziato a farsi strada, il concetto di carità e accoglienza cristiana sia venuto meno  dico; al contempo, osservo le finestre e le figure che, di tanto in tanto, fanno capolino curiose.

“André, credi…credi che riusciremo ad entrare? Pensi che la mia famiglia accetterà di vedermi?” domandi, ad un certo punto.
Mi avvicino a te ,  ti stringo tra le braccia.

“Perché mai non dovrebbero farlo? “ rispondo.
Nemmeno io mi aspetto granché, ma cerco di farti forza. Vedo che…che mi sorridi, forse sono riuscito a rasserenarti…attendiamo, dunque, impazienti e nel mentre cerco  Alain che -già da un momento - ha deciso di farsi da parte e si è appoggiato con le spalle al muro del monastero, poco più in la.

…Non credevo di poterli trovare così presto, anzi…non pensavo proprio di trovarli… mi sussurri; ti sto per rispondere quando una suora ci viene incontro. Porta con sé un grosso mazzo di chiavi e ciò fa ben sperare.
“Venite; scusate l’ attesa” dice, aprendo il cancello; poi, si fa da parte, attende il nostro passaggio e lo richiude. Noi, chiaramente, attendiamo che ci faccia strada.
“Seguitemi, i signori vi aspettano” ci riferisce, infine, rivolgendoti uno sguardo sereno.
La seguiamo senza più alcun indugio: attraversiamo il piccolo cortile e raggiungiamo il portone entro il quale era sparita la novizia.
“ …una volta all’ interno, troverete due corridoi, troverete una piccola sala apparentemente chiusa; è il parlatorio. La porta è sulla parete di destra; entrate, percorrete il corridoio…vi condurrà al refettorio. Li vi attenderanno i vostri congiunti” dice e, come la sua consorella, si dilegua ancora prima che sia possibile ringraziarla.
Io e te ci fissiamo e, colmi di emozioni, seguiamo le sue istruzioni.
L’ ambiente è come me lo aspettavo: sobrio, essenziale, nessun suono se non il rumore di passi lontani; ti riprendo per mano,  mentre percorriamo la strada che ci ha indicato.
Tremi.
Posso anche percepire la tua emozione, il tuo respiro farsi sempre più veloce.

“Ecco…dovrebbero essere li “ dico indicando quella che mi sembra una stanza dalla quale proviene la fioca luce di alcune candele. Dopo alcuni passi, ne abbiamo la conferma.
Madame e la nonna sono in piedi, parlottano fisso, si tengono per mano.
Indossano abiti monacali – una precauzione? Un puro caso? – e per qualche secondo non si accorgono di  noi, finché…

“…Madre…” sussurri, come se avessi paura.

Madame alza il viso, è pallido.
Lo stesso fa mia nonna.
Immobili, restiamo a guardarci increduli.

“Oscar, Oscar!” esclama , ad un tratto, tua madre.
 E’ commossa e tiene a bada, a stento, le lacrime: allora l’ abbracci, l’ abbracci forte e ciò che vi dite mi è impossibile da capire. Quindi è il mio turno; vado incontro a mia nonna, mi chino giusto un po' per abbracciarla e lei, quasi fossi quel bambino di otto anni appena arrivato a Palazzo, mi accarezza, mi consola.

“…Come …come avete fatto a trovarci?” sento che domanda Madame.
Alzo lo sguardo dal viso di mia nonna e ti osservo. Lo fai anche tu, ma non dici nulla.
“…Sono tornata a palazzo” rispondi.
Tuo padre è seduto in poltrona, si sta scaldando davanti al camino; da quando siamo entrati non si è mosso. Non lo fa nemmeno stavolta. Lo osservi, socchiudi le palpebre.

“E’ così da quando sei andata via” dice la nonna, rivolgendoti uno sguardo triste

“…devi comprenderlo…” dice tua madre. Non so se la pensi esattamente come lui, sicuramente i doveri di una buona moglie, quale è sempre stata, impongono tali parole, in apparenza semplici ma pesanti come macigni.

Lo fissi, fissi le spalle possenti che da sempre incutono rispetto e timore. Lo fissi, in attesa di un cenno. Uno sguardo. Una speranza…che però non arrivano, forse non arriveranno mai…


“Dove…dove siete stati fino ad ora? Come avete fatto a sopravvivere?” domanda, infine, tua madre. Ci facciamo da parte e raggiungiamo alcune sedie. Il tuo sguardo è sempre…la. Verso il camino.
Siamo seduti accanto, quindi ti prendo la mano. Dopo un lungo sospiro lo sguardo torna sul viso teso di tua madre.
Siamo stati a Parigi, da amici… e ci siamo adoperati per …campare” rispondi, vaga, senza aggiungere altro.Se solo potessi parlare, condividere con la tua famiglia il tuo …il nostro dolore…
E’ troppo difficile – anche se lo desideri, e lo stesso vale per me – parlare di quei giorni, di ciò che è accaduto. I tempi non sono ancora maturi, tuo padre non è ancora pronto e forse non lo sarà mai.
Il discorso finisce li e lo spazio è di nuovo occupato da un silenzio pesante come piombo.
Nonna ha una espressione triste in volto.

“…State bene? Vi serve qualcosa?” provo a dire “ …nonna, nella lettera che mi hai scritto hai fatto cenno ai miei guadagni, alla casa dei miei genitori… ecco, se dovesse servire qualcosa io…”
Madame sorride.
“Nanny, perché non vai con tuo nipote? Io e mio marito, in qualche modo, faremo: possiamo attendere qui nuovi sviluppi…” dice, speranzosa; ma nonna no, non farebbe mai una cosa del genere, non potrebbe abbandonarli così…
“Madame, il mio posto è qui, con voi: ho allevato vostro marito, le vostre figlie…come potete chiedermi una cosa simile?” dice. Ha le lacrime agli occhi.
La madre di Oscar allunga le braccia, arrivando a stringerle le mani.
Io ti guardo. Non so che altro fare. Che altro dire.

Ti alzi, allora, e abbracci forte tua madre. Poi, sorprendendo tutti, ti dirigi verso il Generale, fermandoti a poca distanza dalla poltrona.

“Padre…”  dici. Sai bene che a tutti gli effetti questo incontro è un addio e che non possiamo andarcene senza che tu abbia almeno provato a parlare con lui. Ti osserviamo, tutti, in attesa di una risposa…di un miracolo…

Ma tuo padre non dice nulla.
Non si volta neppure.

Rimani li, dunque, impalata ad aspettare, aspettare, per minuti lunghi quanto ore…

Nulla succede: nulla. Dal generale non arriva alcun suono, non si scorge alcun movimento. Guardo nonna, tiene lo sguardo fisso a terra.

“E’ così da quando sei partita, bambina mia. Ti ha cercata, sai? Tra i vivi…e tra le liste delle persone decedute. Ha camminato in lungo ed in largo per le vie di Parigi, stando ben attento a non farsi scoprire. Infine…si è chiuso in sé stesso, in questo mutismo” dice

I tuoi occhi si riempiono di lacrime , cerchi di nasconderli ma non riesci più di tanto…
Io…penso ancora a cosa possa fare per loro…per te.
Ci cerchiamo, silenziosi. Fuori, in cortile, si odono passi veloci ed un borbottio sommesso.
Mi accorgo che il sole sta tramontando…

“Io…noi…possiamo proprio fare niente  per voi?”

Stavolta…la tua voce è rotta dal pianto.
Tuo padre si alza in piedi, si volta, ci fissa.
E’ stato un qualcosa di così repentino da lasciarci momentaneamente senza fiato.

“Non voglio alcun denaro da voi, traditori della vostra stessa patria! Andate via. VIA!tuona.
Infine, torna a sedersi, nel suo silenzio e nel ricordo di un mondo che non c’è più e mai tornerà.

Mi avvicino a te.
 Ora, io, tua madre, tu, nonna siamo di nuovo vicini, lo sconcerto ed il dolore  nei nostri rispettivi sguardi.

“…”

Tua madre vuole dire qualcosa. Le parole…le muoiono in gola.


“Andiamo via” ti sento dire.

La tua voce è ferma, profonda.
E’ il suono del tuo orgoglio.

“Oscar, ne sei certa?” domando.

Nei tuoi occhi c’è tutto l’ amore che provi per quel padre così visionario, testardo, fiero; ma ciò non basta; non basta amare, purtroppo, per risolvere le cose, per parlare alla ragione…per cambiare una persona che da sempre ha vissuto in un modo e che ora si è vista crollare il mondo addosso.

“Nonna, io…” balbetto.

Lei mi guarda, ha compreso.

“André… “ mormora.

Ti avvicini a tua madre e l’ abbracci. Io faccio lo stesso con mia nonna.

Le campane suonano, forse, di Compieta mentre noi usciamo mesti, il cuore rotto a metà.





All’ uscita, Alain ci attende vicino al carretto. Anche lui ha il volto teso. Ed ha freddo, batte i denti.
“Mi spiace averti fatto aspettare così tanto” dico , una volta vicino. Lui fa spallucce e, al contempo, con un cenno del capo mi indica Oscar, che senza dire nulla ha preso posto sul retro.
“Non è andata, giusto?!” dice salendo a cassetta.
“No.”
E’ una risposta secca la mia, non per maleducazione ma per non infierire ulteriormente. Lui come al solito intende; prende le briglie tra le mani ed a quel punto salgo anche io.
“Partiamo subito?” domanda.
“No. Ho fissato due stanze in una locanda, almeno per questa notte. Andremo li.” rispondo.
Lui annuisce; io mi volto verso di te.
 Mi dai le spalle, sei seduta sul pianale  con le gambe a penzoloni e guardi la strada.

“A te sta bene, Oscar?”
Un cenno del capo. Il tuo benestare.

“Andiamo, Alain. Sarà una lunga notte” dico, sconsolato, demoralizzato come non mai.




***


“Non mi ha nemmeno degnata di uno sguardo, André…”

Il fuoco è ormai caldo, tu sei distesa, su di un fianco, su di un giaciglio inaspettatamente morbido; la veste da notte segna le tue forme, morbide.
Il tuo viso è una maschera di dolore.
Non so di preciso cosa possa aspettarti come risposta; io,  in ogni caso…ci provo.

“Sono rimasto sorpreso anche io. Conoscendolo, avrei pensato che affrontasse direttamente
l’ argomento…”


“Infatti. Invece… ciò che ha fatto mi ha recato ancora più dolore” dici; e ti metti a sedere, china, sul letto, quasi piegata su te stessa…

“Cosa vorresti fare, ora?” domando.

“Che intendi?”

“…vuoi fare un altro tentativo?”
Intanto, inizio a spogliarmi.
 Sono stanco e non vedo l’ ora di mettermi a letto, di raggiungerti.

Allunghi il braccio verso il comodino, prendi un nastro e ti leghi i capelli, pensierosa; io ti osservo, mentre piego i miei vestiti e li ripongo sulla sedia.

“No, non credo. Non adesso.” Rispondi.
Poteva apparire come una domanda scontata, ma non lo è.
Così come non lo è stata la tua risposta.

Finalmente riesco a infilarmi sotto le coperte.
E’ tardi.
Sento il tuo corpo , nella penombra, farsi sempre più vicino al mio quindi apro le braccia, ti accolgo.

“Possiamo fermarci quanto vuoi, amore mio. Non c’è alcuna fretta” dico senza specificare oltre. Le mie dita iniziano a giocare con i tuoi riccioli biondi.

“No, André: partiamo. Che altro potrei fare?” rispondi e la tua voce si rompe, ad un certo punto.
Sul tuo viso ci sono lacrime salate che raccolgo con le mie labbra.

“Come desideri… Oscar. Va bene così, allora….”
Ti stringi ancora di più a me.

“E’ così, dunque…. adesso lo siamo davvero, soli. Lo sono davvero…”

Le tue parole sono un colpo al cuore.
Stavolta però non posso risponderti, almeno a parole; non ci sono sillabe, frasi, non c’è nulla che possa dire di fronte alla tua affermazione.

Accarezzo la tua schiena, i tuoi capelli.
Il sonno che stava per afferrarmi oramai se n’è andato.
Spalanco gli occhi, nel buio. Aggiusto le coperte.

“André…” ti sento dire dopo un attimo.

“Dimmi, Oscar…”

“Ti amo.”
Un sussurro.

“Ti amo anche io, Oscar” .
Un altro sussurro.

Chiudo gli occhi. Ti bacio.


Si, l’ amore.

Ecco, cosa ci salverà, cosa lenirà le ferite, cosa ti guarirà.

L’ Amore.



L’ unica cosa che ci resta.


 
   
 
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