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Autore: Nao Yoshikawa    24/01/2023    1 recensioni
Questa non è una storia felice o strappalacrime. Mi piacerebbe dire che non si tratta nemmeno di una storia sentimentale, ma sarebbe una bugia. Non so cosa mi stia passando per la testa, non so perché avverto l’impellente bisogno di mettere per iscritto quello che mi passa per la testa. Dopotutto è inutile e una perdita di tempo, ma so che il pensiero mi tormenterà finché non lo farò. Ma ho anche promesso a me stesso che brucerò tutto. Nel raccontare la storia che lega me e Kisuke Urahara – mio rivale e nulla più per il resto del mondo, ma molto altro per me, non userò stupide metafore e giri di parole. Solo la verità oggettiva. Per quanto la mia memoria sia ottima, mi tocca andare indietro di centinaia di anni e cominciare dalla mia infanzia. Anzi, dalla nostra infanzia, sicché è da allora che io e Kisuke Urahara siamo, mio malgrado, legati.
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Mayuri Kurotsuchi, Urahara Kisuke, Yoruichi Shihoin
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo quattro

Maturità
 
 
Cent’anni nella vita di uno Shinigami non sono che un battito di ciglia. Nel mio caso, però, si è trattato di un periodo lento e lungo in cui tutto è mutato, in cui sono mutato io stesso. In quegli anni ero diventato il capitano della Dodicesima compagnia e capo del Dipartimento di ricerca e sviluppo. Ero diventato ciò che da bambino avevo tanto detto di non voler diventare, ma crescendo cambiano le idee e gli obiettivi. E nessuno meglio di me poteva essere adatto a quel ruolo, poiché il più geniale della Soul Society ero diventato io. Ma al contrario di Kisuke non ero affatto amato, come sempre del resto. Anzi, ero temuto e la gente aveva paura di me. Mi guadagnai la nomina di folle, scienziato pazzo e via dicendo, e non nascondo che la cosa mi piaceva. Non avevo alcun limite, ed ero tornato a essere il sadico e malvagio di un tempo. Anzi, da ragazzino avevo solo giocato. Adesso ero davvero al limite tra buono e cattivo, tra amico e nemico. Alla Soul Society però sapevano che era più saggio tenermi come alleato piuttosto che come rivale. Posso dire che probabilmente, almeno in parte, ero impazzito davvero, ma di quella follia lucida che ti porta ad agire con coscienza. Per quanto riguarda Kisuke, non lo vidi più da quel giorno. Per cento anni in realtà non sentii nemmeno più pronunciare il suo nome. Avrei potuto cercarlo, lo avrei trovato con facilità. Ma ero troppo orgoglioso per farlo. Perché, per l’unica volta in cui mi ero esposto, aprendo il mio cuore all’amore e ai sentimenti, ecco che lui quel cuore lo aveva spezzato, pur sapendo quanto mi fossi sforzato per aprirmi a lui. Chi è dunque più malvagio tra me e lui? Punti di vista, immagino. Forse fu proprio il suo allontanamento ad incattivirmi. Trovavo gioia nella mia occupazione, nelle invenzioni e negli esperimenti, tuttavia il senso di insoddisfazione non mi abbandonava. Adesso era davvero il migliore, il più geniale di tutti – come lui mi aveva detto che sarei diventato. Ma lo ero davvero, o lo ero diventato solo perché Kisuke se n’era andato, lasciandomi il suo posto? Visto che dopo cent’anni il dolore era ancora vivo in me, mi ero rassegnato al fatto che non se ne sarebbe mai andato. Mi era anche venuto in mente di inventare qualcosa che mi facesse dimenticare lui e il dolore, ma poi pensai che quel dolore mi sarebbe servito a non ricaderci più. E poi, nessuno aveva mai saputo di noi. Se nessuno sapeva, non era reale. Potevo cullarmi in questa beata illusione. E poi aveva molto a cui pensare. Oramai aveva una compagnia mia da gestire. Avevo una luogotenente che avevo creato io stesso, efficiente e ubbidiente. Non avevo chissà quali rapporti con gli altri capitani, i quali non sapevano poi molto di me. E mi andava bene così. Ero convinto che avrei continuato così per sempre e mi sarebbe andata bene. Io e Kisuke non eravamo destinati a stare insieme in quel modo. Ma le cose cambiarono in modo drastico quando degli estranei, dei ryoka, invasero la Soul Society. Oh, maledetto Ichigo Kurosaki, maledico lui perché è colpa sua se in seguito, io e Kisuke, ci saremmo ritrovati. Era il suo prezioso allievo, dopotutto… tsk. Questa è la storia che conoscono tutti, quella del tradimento di Aizen, storia di cui effettivamente non mi importò molto ai tempi, ma con cui anche io stesso avrei dovuto fare i conti, per forza di cose. Sarebbe stato tutto quasi perfetto se solo nel mio cammino non avessi rincontrato lei, Yoruichi. In realtà è più corretto dire che fu lei a venire da me, quasi volesse tormentarmi ancora. Erano anni che non la vedevo, non era cambiata poi così tanto, aveva solo i capelli più lunghi.
«Tu. Sei tu» dissi soltanto, stupito e infastidito. Certi rancori e certe gelosie che mi accompagnavano sin da bambino non mi avrebbero mai abbandonato.
«Già. E tu sei tu. Interessante look, Mayuri. Un po’ spaventoso, devo dire» mi parlò. Capii subito che cosa fosse venuta a fare, ma non ero interessato, non le avrei permesso di tirare fuori argomenti di cui non volevo parlare.
«Sì, beh. Che cosa vuoi? Quei ryoka hanno portato piuttosto scompiglio alla Soul Society. Ovviamente di mezzo non potevi che esserci tu.»
«Io e Kisuke in realtà.»
Doveva per forza nominarlo, quella maledetta. Feci finta che il suo nome mi fosse indifferente.
«Ovviamente» poi abbassai la voce, mostrandole forse fin troppo interesse. «Perché sei venuta a parlare con me?»
La risposta la conoscevo già, ma volevo sentirgliela dire. Yoruichi mi fissava con quei suoi occhi da gatta.
«Mayuri, posso assicurarti che niente è come sembra. Sono passati tanti anni, ma Kisuke non ha mai smesso di pensarti.»
Sollevai una mano, facendole segno di zittirsi. Non volevo ascoltarla, non volevo ascoltare niente che riguardasse Kisuke Urahara.
«Oh, ti prego. Risparmiati queste inutili chiacchiere. Immagino che lui ti abbia detto qualcosa riguardo a noi, vero?»
«Non qualcosa, lui mi ha detto tutto. Mi ha detto che per un breve periodo siete stati insieme e che lui ha sofferto molto quando è dovuto andare via.»
Sentivo la rabbia arrivare a ondate. Lui aveva sofferto? Era stata sua la scelta di andarsene e lasciarmi lì. Però era anche stata mia la scelta di fare finta che non fosse mai esistito.
«Ebbene? Perché pensi che mi interessi? Sono passata più di cento anni. Sono cresciuto, nel frattempo. L’esperienza mi ha aiutato a capire che quello che condividevamo – qualsiasi cosa fosse – non poteva avere futuro.»
Yoruichi sbuffò come una bambina e si avvicinò. Lei non aveva paura, non ne aveva mai avuto.
«Lo sai? Tu sei veramente testardo, come Kisuke del resto. Perché non dici che lo ami? Questo non rovinerà la tua reputazione da scienziato spaventoso, credimi»
«Oh, tu non sai un bel niente, maledetta» sibilai, furioso.
Lei assottigliò lo sguardo.
«Ah, davvero? Ci conosciamo da quando siamo bambini, posso vantare di sapere qualcosa di te, che dici? Io vi ho osservati mentre crescevate e diventavate grandi. Tu e Kisuke vi siete sempre voluti, anche quado eravate bambini. E tu eri geloso di me, anche se tutti pensavano che il tuo interesse fosse nei miei confronti. Oh, sarebbe stata la spiegazione più facile, certo. Ma voglio dire, siete stati tutta la vita a perdervi e ritrovarvi, quando la smetterete? Siete un po’ troppo cresciuti per giocare ancora. E per la cronaca, ho fatto lo stesso identico discorso a quell’imbecille. Per essere due geni, siete davvero lenti in certe cose!»
Cercai di dire qualcosa, ma non riuscii a dire niente. Quella donna aveva avuto il potere di lasciarmi senza parole, robe da matti. Probabilmente aveva ragione su tutto. Anzi, di sicuro era così. Ma, prima cosa, non lo avrei ammesso. Seconda cosa, anche ammettendolo, che sarebbe cambiato? Era passato troppo tempo, il mio dolore si era trasformato in rabbia e rancore. Mi piacerebbe dire che con il tempo anche i ricordi erano sfumati, ma quelli purtroppo erano ben stampati nella mia testa,
«Kisuke è andato via. Non ha voluto che lo seguissi» dissi soltanto.
«Lui lo ha fatto per proteggerti.»
«Non ho mai chiesto la sua protezione.»
«Allora perché non lo hai cercato? In questi cent’anni. Avresti avuto il modo, eppure cosa ti ha fermato? La verità è che quest’amore ti ha fatto sempre paura. Hai sempre avuto paura di ciò che non potevi controllare, di ciò che sfuggiva alla tua comprensione.»
Era nella mia testa e non mi piaceva. Nessuno poteva leggermi dentro, tanto meno Yoruichi.
«Basta, mi hai stancato. Non voglio perdere tempo ad ascoltarti» conclusi. Yoruichi sospirò e poi chiuse gli occhi.
«Verrà poi il momento di rincontrarvi. E succederà molto presto.»
Quella mi suono come un’inquietante premonizione. Mi voltai a guardarla, ma lei non c’era più. Non volevo incontrare Kisuke, ma sapevo che sarebbe successo e che, anche se non lo volevo, i nostri destini si erano incrociati nuovamente.
Il resto della storia la conoscono tutti, ma nessuno conosce i retroscena che riguardano me e lui. Durante la nostra battaglia nell’Hueco Mundo non ebbi certo modo di pensare a lui, avevo ben altro per la testa. Ma Kisuke ci fu fondamentale per imprigionare Aizen, e questo mio malgrado mi rese fiero quanto indispettito. Ecco Kisuke Urahara, che era stato considerato un traditore, quando in realtà era stato solo una vittima delle circostanze. Quando avevo appreso ciò, mi ero sentito in parte sollevato, anche se non sorpreso. Ovviamente Kisuke non avrebbe mai fatto niente di così terribile, era solo stato incastrato da Aizen. Da un lato però mi sentii solo più frustrato: allora per quale motivo si era separato da me? Perché non mi aveva detto tutto quanto sin dall’inizio? Kisuke era sempre stato così, ambiguo e vago. Quanto odiavo questa parte di lui e quanto invece amavo tutto il resto.
Non potevo sfuggire a lui, perché fu lui a venirmi a cercare dopo la guerra contro Aizen. Adesso che non era più considerato un traditore, poteva anche muoversi liberamente dal mondo degli umani alla Soul Society. E aveva quindi più possibilità di disturbare il sottoscritto. Ero stato chiaro sia con la mia luogotenente che con gli altri membri della compagnia: se Kisuke Urahara dovesse presentarsi, non fatelo entrare, sono troppo impegnato per vederlo. In verità stavo scappando, me ne rendo conto, ma non avevo nulla da dirgli. Anzi, avevo troppo da dirgli, ma vederlo avrebbe significato espormi di nuovo e l’ultima che l’aveva fatto ne ero uscito distrutto.
Sottovalutai Kisuke, però. Lui trovò comunque il modo di entrare e violare la privacy e la sicurezza che mi ero tanto duramente costruito. E per farlo distrusse anche una parte del mio laboratorio, il mio luogo felice…
«Ops. Mi sa che ho un po’ esagerato a questo giro. Il livello di sicurezza è altissimo, non potevo aspettarmi niente di diverso da te!»
Mi disse questo, mentre sorrideva con il cappello chinato davanti agli occhi, ma con un’espressione diversa. L’espressione di chi nella vita aveva vissuto tanto ed era maturato. La vita di chi aveva sofferto. Ma avevo sofferto anche io.
«T-tu…» ero così furioso che mi tremavano le mani. Kisuke era sempre il solito, arrivava e distruggeva tutto. «SEI UN MALEDETTO IDIOTA. COS’HAI FATTO?»
Kisuke si guardò attorno, con quell’aria da finto svampito.
«Sono davvero mortificato! Giuro che te lo aggiusto.»
«No. No, tu non aggiusti un bel niente. Ora te ne devi andare. E subito, anche!»
Mi avvicinai e feci per spingerlo, ma non volli toccarlo. Io a quel corpo mi ci ero stretto, quelle mani avevano stretto me. Il ripensarci mi provocò una fitta di dolore. Kisuke smise di sorridere. Ora mi guardava con malinconia.
«Non sei cambiato molto. Dietro tutto quel trucco e i tuoi vestiti strani, c’è anche Yuri.»
«Non hai alcun diritto di chiamarmi in questo modo. Lo hai perso nel momento in cui te ne sei andato» allora lo guardai negli occhi. Non volevo chiedere il perché. Però volevo conoscere le risposte.
E alla fine domandai comunque.
«Perché te ne sei andato senza dirmi la verità? Pensavi forse che non ti avrei creduto.»
«Yuri, io non ho mai dubitato di te. Era di me che dubitavo. Non meritavi una vita da reietto.»
«Smettila di pensare al posto mio. Io decido cosa merito o meno. La verità è che io semboe un bastardo senza cuore, ma quello veramente senza cuore sei tu. Sei andato via e non ti sei mai guardato indietro. Tu sapevi quanto mi è costato aprirmi a te, ma non te n’è importato nulla.»
Mi ero fatto più vicino, sarei tanto voluto apparire minaccioso, ma probabilmente apparivo solo patetico. Poi vidi altro nello sguardo di Kisuke. Una scintilla di rabbia.
«Forse è vero quando dici che ho sempre pensato al posto tuo. Ma dall’altro lato, perché tu non sei mai venuto a cercarmi? Davvero l’hai fatto per ripicca o non volevi per paura? Perché tu hai sempre avuto paura di tuoi sentimenti per me.»
Ero stufo. Stufo della gente che voleva entrare nella mia testa, di Kisuke che riusciva ad entrare nella mia testa. Senza il mio permesso. Ma mi aveva mai chiesto il permesso per fare qualcosa, dopotutto? Non mi era passato nemmeno per il cervello che Kisuke potesse essere arrabbiato o ferito per non averlo cercato, in quegli anni. Per me esistevano solo le mie reazioni. Forse ero egoista, ma non me ne importava.
«L’amore è una cosa troppo complicata, diventa insana per due come noi» dissi allora. Avevamo troppo cervello per lasciarci andare all’amore come tutti facevano. Kisuke sospirò e la rabbia di poco prima nei suoi occhi sparì.
«Io invece credo che non fosse il nostro tempo. Erano i momenti sbagliati.»
«E cosa ti fa credere che questo sia quello giusto, invece?»
«Siamo cresciuti, adesso. Siamo maturati, abbiamo l’esperienza dalla nostra parte.»
Sarebbe stato bello se Kisuke fosse stato capace di arrendersi. Ma no, lui non si arrendeva mai. Mi guardai attorno. Non avrei abbassato del tutto la guardia, ma lo feci un pochino.
«Sei stato con qualcun altro?» domandai. Il mio lato geloso era segreto perfino a lui. Anche se doveva averlo intuito.
«Con nessuno.»
«Ti aspetti che ci creda?»
«Tu mi hai posto una domanda e io ti ho risposto.»
«Allora cosa vorresti dire? Che hai amato solo me per tutto questo tempo?»
«Per tutto questo tempo» mi ripeté.
L’amore era come una malattia, un virus a cui non riuscivo a trovare una cura. O forse non volevo. L’amore non era neanche necessario a due come noi, che non erano nemmeno umani. Ma forse noi eravamo troppo umani per non avere questo.
«E quindi, cosa ti aspetti che io faccia, adesso? Che ti accolga a braccia aperte?» domandai, un po’ provato. Avevo concesso a lui quello che non avrei mai più concesso a nessuno. Tanto da sentirmi svuotato.
E allora dissi di no.
 
 
Metto la parola fine a questa autobiografia, che ho buttato giù senza neanche fermarmi a riflettere o a pensare o a rileggere. Non voglio farlo. Sentivo solo il bisogno di tirare fuori tutto, ma molto probabilmente questi scritti verranno bruciati.
Sono passati alcuni mesi dalla fine del conflitto tra Shinigami e Quincy e devo ancora abituarmi a questo periodo di pace. Ovviamente Kisuke è stato un aiuto durante questa guerra, ma io e lui non abbiamo più parlato di questo. Io ho deciso di porre una fine a noi, ma è davvero così? Continuo a provare insoddisfazione. E non mi riferisco all’insoddisfazione che si prova quando un tuo esperimento fallisce e allora sei costretto a riprovare (il che mi ha sempre dato un certo piacere). Per tutta la vita ho desiderato superare Kisuke Urahara. L’ho fatto, ma mi sento comunque sconfitto. Perché chi può stabilire, alla fine dei fatti, chi sia il più geniale tra me e lui? E se fossimo stati due shinigami nella norma, ci saremmo trovati comunque per vivere felicemente?
Lascio da parte carta e penna. Mi sento stanco, stanco dentro. La cosa che più mi fa arrabbiare di tutta questa situazione, è che se Kisuke me lo chiedesse adesso, di sicuro non saprei dirgli di no. Se sono pentito di averlo fatto? Certo che sì. In un modo o nell’altro dovevo comunque soffrire. In un modo o nell’altro, le nostre strade sono sempre state destinate e incrociarsi. Quando gli ho detto no, oramai quasi due anni fa, lui non ha insistito. Avrei voluto che mi pregasse, ma non è da lui, non è da me, da noi. Così ora eccomi qui. Con tutto quello che ho sempre voluto o quasi. Forse è vero che due come noi non potranno mai vivere l’amore in modo normale, qualsiasi diavolo di cosa voglia dire.
Il tempo giusto…
Avverto uno strano rumore al di fuori del mio laboratorio. Come qualcuno che raschia alla porta, poi dei colpetti sempre più forti. Non esiste in tutta la Soul Society uno shinigami tanto idiota da venirmi a disturbare. Quindi vado a vedere cosa succede.
«Chi è tanto stupido da venire qui a creare confusione?» chiedo scorbutico.
Davanti a me, c’è l’ultima persona che pensavo di vedere. Il che è strano, perché oramai dovrei sapere che Kisuke salta fuori sempre quando meno te lo aspetti. Lui è lì, il suo solito cappello verde e bianco chino sugli occhi. Lo sguardo colpevole, un po’ in imbarazzo ma anche luminoso. Un po’ come se fosse felice di vedermi. Ci fissiamo per alcuni lunghi istanti senza riuscire a dire nulla. Ma due come noi sono capaci di comunicare anche così. Io sento tutto quello che lui vorrebbe dirmi e lui sente tutto ciò che vorrei dirgli io.
Anche se mi hai detto di no, credo sia questo il nostro momento giusto. Cosa abbiamo da perdere oramai? Ti chiedo perdono per il male che ho fatto e per le volte in cui sbaglierò ancora.
Avevi ragione tu, Kisuke. Avevo paura. Ho ancora paura di questa cosa chiamata amore. Ma se mi facessi bloccare da questo, ancora, dopo tutto questo tempo, non riuscirei a perdonarmelo.
Ti ho sempre amato.
Ti ho sempre amato anche io.
Tutto questo ce lo diciamo senza parlare. Mi accorgo solo in quel momento che tiene qualcosa in mano, uno strumento da laboratorio, o almeno ciò che ne rimane.
«Emh… ciao, Yuri. Scusa se vengo a disturbarti, ma… stavo sperimentando una cosa e mi si è rotto. Non è che puoi prestarmi la tua attrezzatura?»
Spalanco gli occhi. Lui sa quanto mi dà fastidio quando tocca la mia roba. E inoltre non si sforza nemmeno di nascondere quella che è una bugia banale. Lo fisso. E sorrido. Non mi ha mai ascoltato, sono felice che non l’abbia fatto neanche adesso. Così mi sposto per farlo passare, e poi richiudo la porta. Il resto della mia vita, il più grande esperimento su me stesso, è cominciato. Esito: sicuramente positivo.
Come lo so? Non lo so, infatti. Ma alle volte anche uno scienziato deve sperare nelle possibilità più impossibili.
 
FINE

 
Nota dell'autrice
Ed eccocì arrivati alla fine di questa breve, ma intensa storia. Sono davvero molto felice di averla scritta e pubblicata, dopo averci pensato per mesi. Spero abbiate apprezzato, alla prossima!
Nao
   
 
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