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Autore: eeuphoria    25/01/2023    0 recensioni
[soukoku]
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“and we’ve both done it all a hundred times before” —two slow dancers ; mitski
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Davvero credevi che le cose tra voi due non sarebbero cambiate mai. Anche dopo che te ne sei andato l’odore di sangue è rimasto lo stesso e tu ti sei erroneamente convinto che ci fosse un ordine, nella disperata monotonia della vita —suicidi mancati e casi irrisolti, combattimenti e sangue versato, altri suicidi mancati,— che nulla avrebbe mai potuto sconvolgere. Ma Chuuya si è tirato fuori dal gioco a cui tutti voi stavate giocando, e ha preso quello che per qualche motivo eri convinto fosse il tuo ruolo.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Chuuya Nakahara, Osamu Dazai
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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. 𝐛𝐮𝐭 𝐰𝐞'𝐫𝐞 𝐭𝐰𝐨 𝐬𝐥𝐨𝐰 𝐝𝐚𝐧𝐜𝐞𝐫𝐬




Il sangue che gocciola dalle bende non è il tuo. Cade sulle radici del sottobosco e filtra nel terreno umido della notte, gli alberi si nutrono del tuo peccato e il confine tra l'omicidio e il sacrificio diventa una linea sfocata.

Ma sei giovane e troppo consumato per la tua età. Il crimine non può turbare un animo vuoto racchiuso in un corpo forgiato dall’abitudine, così ti godi la passeggiata al chiaro di luna. L’estate è alle porte e l'aria della notte ha il profumo del bosco. Giochi a seguire con lo sguardo la tua ombra e quella di Chuuya che tra i rami e le foglie si riducono in mille frammenti e mutano forma, appena visibili alla tenue luce delle stelle.

Se l’avessi saputo in quel momento che una notte di giugno qualsiasi sarebbe diventato un ricordo tanto importante, avresti fatto in modo di rovinarlo —perché tenere alle cose ti fa paura, che siano notti di luna piena sporche di sangue o la combinazione di occhi blu e capelli rossi.

A quindici anni però non pensi a cose del genere. Non adesso, Osamu. Adesso sei troppo preso da un lavoro svolto alla perfezione, sei orgoglioso del modo in cui sul campo di battaglia tu e il tuo partner siete perfettamente coordinati —come due ballerini di una danza letale, anime complementari che nella violenza si cercano e trovano il posto a cui appartenere.

Hanno iniziato a chiamarvi Doppio Nero. Un nome sussurrato a mezza voce e intriso di timore che striscia per i vicoli lerci di Yokohama. Non si sa chi sia stato, se qualche organizzazione nemica o la stessa Port Mafia, ma a te piace. E sei certo che piaccia anche a Chuuya; perché siete giovani e troppo rovinati e la consapevolezza di essere temuti è una sensazione inebriante.

Sarete anche cani randagi abbandonati sul bordo della strada, ma siete cani con la rabbia.

(Nessuno si avvicina ai cani malati.)

Chuuya si arresta di colpo. Mentre la sua ombra si ricompone tra un tronco e un arbusto, la sua voce spezza il silenzio: «Guarda»

Davanti a te c’è solo un sentiero che si perde nel bosco. Istintivamente il tuo corpo si prepara a un’altra battaglia, ma tra le ombre non si nasconde alcuna minaccia, solo un tenue bagliore —piccole gocce di sole che fluttuano nell’aria ferma, si accendono per un attimo e scompaiono quello successivo.

«Uffa, Chuuya! Mi hai fatto prendere un infarto! Sono solo lucciole!» esclami con il tono lamentoso di un bambino, perché sai quanto gli dia fastidio. E infatti lui prova a tirarti un calcio che tu prontamente schivi.

«Non sei capace di stare zitto e guardare per qualche minuto?»

Chuuya ti supera e si inoltra nel buio con uno scricchiolio d’erba secca e rametti calpestati. Tende la mano verso una lucciola e una luce dorata gli illumina il palmo, ma subito si spegne e ricompare qualche centimetro più in là. Chuuya si sposta. Si muove con cautela e la concentrazione di un bambino impegnato in un gioco importante —lo trovi esilarante, ma anche adorabile.

I minuti passano e una pioggia di lucciole si solleva dal suolo, danzandovi intorno come minuscole fate. E sembra quasi che una costellazione abbia lasciato il suo posto nel cielo per scendere in terra a rendervi omaggio, a voi giovani e maledetti.

«Proprio non riesci a cogliere la bellezza delle piccole cose?» ti domanda all’improvviso.

Lui non l’ha notato, ma mentre dava inutilmente la caccia alle lucciole, una gli si è posata sulla tesa del cappello.

«Non sono un romantico» rispondi. (È una bugia, ma solo perché lo dici in questo momento, con gli occhi di Chuuya che riflettono centinaia di piccole luci).

«Non scordare: noi camminiamo sopra l’inferno, guardando i fiori»

«Kobayashi Issa»

Forse il grande poeta aveva ragione. La bellezza che il mondo ti offre, quei momenti di miracolo e meraviglia che si celano nelle notti d’inizio estate, non sono altro che una mera distrazione. Vivi in un mondo marcio, Osamu, marcio quanto te —o tu sei marcio quanto il mondo.

«Il mondo non ha niente da offrirmi per persuadermi a vivere. Mi annoio facilmente»

Chuuya tace per un po’, riflessivo. «Quindi è davvero così? Il grande maniaco del suicidio è solo… annoiato?
»

Potresti dirgli la verità, che ad un certo punto la noia diventa la più maestosa forma di disperazione. Ma non lo fai. Lo guardi cercare di stringere gocce di sole tra le mani come se fossero miracoli, anche se per te l’attimo di meraviglia è già svanito e le lucciole sono tornate a essere insetti.

Osamu, tu semplicemente non credi che valga la pena vivere. Eppure inizi a pensare che forse un modo per dimenticare la tua dannazione potrebbe esistere, finché il Doppio Nero sarà in vita, nascosto tra le ombre della notte.

 

。・:*:・゚★,。・:*:・゚☆。・

 

Davvero credevi che le cose tra voi due non sarebbero cambiate mai. Anche dopo che te ne sei andato l’odore di sangue è rimasto lo stesso e tu ti sei erroneamente convinto che ci fosse un ordine, nella disperata monotonia della vita —suicidi mancati e casi irrisolti, combattimenti e sangue versato, altri suicidi mancati,— che nulla avrebbe mai potuto sconvolgere. Ma Chuuya si è tirato fuori dal gioco a cui tutti voi stavate giocando, e ha preso quello che per qualche motivo eri convinto fosse il tuo ruolo.

Ora, Osamu, potresti anche continuare a mentire a te stesso e dirti che non hai idea del perché Chuuya si sia ucciso. Oppure puoi essere onesto con te stesso almeno una volta, in questa tua esistenza maledetta, e ammettere che più che un suicidio sembra un omicidio e l’assassino sei tu.

L’appartamento di Chuuya è in realtà una suite in uno degli hotel più eleganti della città. E in realtà l’hotel è tutta una copertura per l’ennesimo degli affari della Mafia. La hall è enorme, elegante e vuota; il concierge ti lascia passare come si lascia passare un fantasma. C’è un elegante panca con il cuscino di velluto nel largo ascensore che sale fino all’ultimo piano, ma tu resti in piedi, le mani nelle tasche del cappotto e il respiro mozzato.

La suite di Chuuya occupa tutto l’ultimo piano del palazzo. Hai perso il conto delle volte in cui sei stato qui; a un certo punto avresti potuto pensare che fosse anche un po’ casa tua, ma hai sempre preferito vederti come un ospite tollerato a stento —era più divertente così.

È passato tanto tempo dall’ultima volta, i tuoi occhi attenti notano le cose che sono cambiate e quelle che sono rimaste le stesse. Ci sono nuove aggiunte alla collezione di vini pregiati e bottiglie ormai vuote in esposizione sulle mensole che tu ricordi ancora chiuse o appena aperte. Ci sono nuovi libri dalle copertine di pelle nella libreria e nuovi set di calici in cucina; nuove penne sulla scrivania, i vecchi dipinti alle pareti, scelti con buon gusto. A Chuuya piaceva l’eleganza ordinata, ostentata con naturalezza —come i guanti di pelle che sfilava sempre prima di compiere un lavoro.

Pare che la Mafia non abbia fatto indagini nel suo appartamento. Dopotutto Mori l’aveva detto, che se avesse lasciato un biglietto non sarebbe stato più chiaro.

Ogni cosa è al suo posto, come piaceva a Chuuya (come se avesse riordinato l’appartamento con cura, prima di lasciarlo). Dalle grandi vetrate si gode una vista panoramica della città e il mare all’orizzonte che brilla nella luce del primo pomeriggio. Qualcuno che non sei tu potrebbe definirla una giornata meravigliosa.

Sul basso tavolino di legno e vetro in mezzo al salotto sono stati dimenticati un calice sporco e un Romanée-Conti appena aperto, unica sbavatura in mezzo al perfetto ordine.

Afferri il collo della bottiglia e la sollevi all’altezza degli occhi. Quando i raggi di sole colpiscono il vetro e il liquido cremisi al suo interno, puoi vedere i resti dei fiori che si sono depositati sul fondo.

Rimetti la bottiglia sul tavolo.

Dall’altra parte dell’appartamento —il tuo sguardo nostalgico si sofferma un secondo di troppo sulla porta della camera da letto— le vetrate si aprono su un terrazzo grande abbastanza per ospitare un salottino da esterno e un numero indefinito di vasi.

Ricordi che una volta hai provato a saltare di sotto, Osamu. Mentre il vento ti sferzava il viso e ti si annodava tra i capelli avevi pensato che quella sarebbe potuta essere la volta buona; ma prima che riuscissi a fare un solo passo nel vuoto, Chuuya ti aveva afferrato per la camicia e strattonato all’indietro. Eravate caduti sui vasi di fiori.

«Non venire a morire da me» aveva detto Chuuya, in un tripudio di terriccio e cocci di vasi, foglie e petali. E ricordi che eri rimasto colpito dal fatto che ti avesse sentito alzarti, perché erano le due del mattino e tu lo avevi lasciato profondamente addormentato e con l’alito che sapeva di alcol.

I vasi, ora, sono perfetti e curati come se quell’incidente non fosse mai accaduto. (Se ci sono solo due testimoni a conservare un ricordo, quando entrambi sono morti è mai davvero accaduto?). E c’è una pianta che non c’era l’ultima volta che sei stato qui —petali blu come il cielo poco dopo il tramonto.

Tu, Osamu, un biglietto l’hai lasciato. È la prima volta che lasci un biglietto. Chissà perché non l’hai mai fatto prima.

Torni dentro e ti versi un bicchiere. Usi lo stesso calice ancora sporco che hai trovato sul tavolo e ti chiedi se un bacio indiretto possa comunque considerarsi un bacio.

Il Romanée-Conti sa di vino, veleno e anime troppo rovinate.

Fai un brindisi al Doppio Nero.

 

*



Nakajima Atsushi ha redatto il verbale il più in fretta possibile, con le parole di Ranpo nelle orecchie e un brutto presentimento incastrato in gola.

Il foglio si è un po’ sporcato di lacrime, ma visto che è ancora abbastanza leggibile e lui è di fretta lo lascia sulla scrivania del suo mentore e si precipita fuori dall’ufficio, anche se in teoria la sua giornata lavorativa non si è ancora conclusa.

In una mano stringe la busta su cui Dazai ha annotato il nome di un hotel famoso —si maledice per non averla aperta subito,— nell’altra ci sono i fogli che contengono le sue ultime parole.

E anche se corre, Nakajima Atsushi sa già che non arriverà in tempo.
 
 
 
 

   
 
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